Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15390 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15390 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
Avv. Acc. IRPEF -ILOR ed altro 2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5298/2019 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME sito in INDIRIZZO Roma.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege .
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. PUGLIA SEZ. DIST. LECCE n. 2142/2018, depositata in data 2 luglio 2018.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnava innanzi alla C.t.p. di Lecce l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/2013 con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva contestato il mancato assoggettamento a redditi di
partecipazione riveniente nell’accertamento nei confronti della società a ristretta base azionaria RAGIONE_SOCIALE di cui era socio; la società, invero, aveva ricevuto un avviso di accertamento, con il quale l’Ufficio aveva accertato maggiori ricavi, procedendo a recupero a tassazione delle relative maggiori imposte.
La C.t.p. di Lecce, innanzi alla quale si costituiva anche l’ente erariale, con sentenza n. 4160/2014, rigettava il ricorso dopo aver in precedenza già rigettato il ricorso proposto dalla società avverso il proprio avviso di accertamento.
Contro tale sentenza proponeva appello il contribuente dinanzi alla C.t.r. della Puglia e si costituiva l’Ufficio chiedendo la conferma della sentenza di prime cure.
Con sentenza n. 2142/2018, depositata in data 2 luglio 2018, la C.t.r. adita rigettava l’appello ritenendo corretta la presunzione di distribuzione occulta di utili extracontabili.
Avverso la sentenza della C.t.r., il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo e l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 15053/2020, la sottosezione tributaria della sesta sezione di questa Corte rimetteva il ricorso alla sezione tributaria, ritenendo opportuno aderire alla richiesta di riunione di questo ricorso con altro recante il RGN 5301/2019, proposto dall’altro socio, NOME COGNOME per la medesima imposta e la stessa annualità.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 14 aprile 2025 per la quale il contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza e/o del procedimento, in relazione alla violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, n. 4, e art. 132 cod. proc. civ., nonché art. 118 disp. att. cod. proc. civ.,
totale assenza di motivazione (motivazione apparente), ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.», il contribuente lamenta l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha adottato una motivazione apparente, riportando la sentenza una serie di petizioni di principio, prive di alcun collegamento alle circostanze dei giudizi di primo e secondo grado, e priva di elementi argomentativi tale da esplicare le reali motivazioni del provvedimento.
Preliminarmente, quanto alla paventata opportunità della riunione, va rilevato che il tenore del motivo, attinente la motivazione della sentenza qui impugnata, non interferisce necessariamente con altro giudizio, per cui non si profila la necessità di trattare, congiuntamente al presente, anche il ricorso o dell’altro socio per l’eventuale riunione, tantomeno vertendosi in un caso di litisconsorzio necessario.
Il motivo è infondato.
3.1. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, dalle norme di cui agli artt. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. stesso codice, è desumibile il principio secondo il quale la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto, determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. 03/01/2022, n. 6758). Questo principio, in forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (comprese le sue disposizioni di attuazione) contenuto nell’art. 1, comma secondo, del d.lgs. 546/1992, è applicabile anche al rito tributario (Cass. n. 13990 del 2003; Cass. n. 9745 del 2017). Va osservato, inoltre, che a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non essendo più
ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022).
3.2. La sentenza in esame, non solo presenta le indicazioni richieste, contenendo lo svolgimento del processo e i fatti essenziali di causa, ma ha comunque una ratio decidendi chiaramente intellegibile, sicché la sua motivazione si colloca ben sopra la soglia del minimo costituzionale ex art. 111 cost. comma 6.
3.3. Con particolare riferimento alla presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili secondo un recente arresto, confermativo di altri di eguale tenore (Cass. 30/01/2024, n. 2752), costituisce consolidato orientamento giurisprudenziale, quello secondo cui in materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al
contribuente fornire la prova contraria (tra molte, si veda Cass. n. 1947 del 24/01/2019; n. 26171 del 2023). In particolare, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova contraria del fatto che i maggiori redditi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (tra le tante: Cass. 27 settembre 2016, n. 19013; Cass. 4 settembre 2020, n. 18383; Cass., 11 settembre 2020, n. 18854; Cass. 3 giugno 2021, n. 15393; Cass. n. 22578 del 2023), giacché la ristrettezza della compagine societaria implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, che fa ritenere plausibile in tutti la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza della esistenza di utili extra-bilancio, alla cui distribuzione è ragionevole ritenere che tutti i soci abbiano partecipato in misura conforme al loro apporto sociale, fatta salva l’anzidetta possibilità riconosciuta al contribuente di fornire la prova contraria (Cass. 29 dicembre 2017, n. 28542; Cass., 19 gennaio 2021, n. 752; Cass. n. 24719 del 2023). Questa Corte ha anche più volte precisato che il contribuente non si ritiene dispensato dall’onere della prova contraria solo che alleghi la mancata prova di un valido accertamento nei confronti della società, ma è necessario che provi la mancata distribuzione degli utili extracontabili, se non l’inesistenza a monte di un loro effettivo conseguimento, stante l’autonomia dei giudizi (Cass. 19 dicembre 2019, n. 33976; Cass. n. 20694 del 2023).
3.4. Nella fattispecie in esame, l’assunto secondo cui la sentenza è fondata su motivazione apparente è smentito dal passaggio motivazionale dal quale si evince che la C.t.r. pugliese ha approfondito la questione fondamentale devoluta alla sua cognizione, ovvero la distribuzione occulta di utili in favore dei soci
in società a ristretta base azionaria laddove, rilevando, sinteticamente ma esaustivamente, in ossequio alla disciplina testé declinata, che non è stata fornita la prova che i maggiori redditi non dichiarati abbiano avuto una diversa destinazione dalla distribuzione al socio ricorrente.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 14 aprile 2025.