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Utili extracontabili: quando si presume la distribuzione?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 25549/2024, chiarisce la disciplina della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili nelle società a ristretta base partecipativa. A seguito di un accertamento fiscale verso una società fallita, il Fisco ha agito contro un socio. La Corte ha stabilito che la mancata notifica dell’atto all’ex amministratore della società non invalida l’accertamento verso il socio. Quest’ultimo, però, ha piena facoltà di contestare la pretesa, anche nel merito dell’esistenza degli utili. Viene inoltre ribadito che, una volta provata la ristretta compagine sociale, l’onere di dimostrare la mancata distribuzione dei profitti ricade sul socio.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Utili extracontabili: onere della prova e diritti del socio

La gestione fiscale delle società a ristretta base partecipativa presenta sfide complesse, specialmente quando emergono utili extracontabili. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sulla presunzione di distribuzione di tali utili ai soci e sui loro diritti di difesa, anche in caso di fallimento della società. Questo intervento giurisprudenziale consolida principi importanti in materia di onere della prova e validità degli atti di accertamento.

I Fatti del Caso: L’accertamento al socio dopo il fallimento

Una società a responsabilità limitata, operante nel settore edile, veniva dichiarata fallita. Poiché non aveva presentato le dichiarazioni fiscali per l’anno 2008, l’Amministrazione Finanziaria emetteva un avviso di accertamento d’ufficio, determinando con metodo induttivo il maggior reddito d’impresa e il volume d’affari imponibile ai fini IRES, IRAP e IVA.

Successivamente, l’Agenzia notificava un secondo avviso di accertamento a uno dei soci, titolare di una quota dell’11,11%. L’atto si basava sulla presunzione legale secondo cui gli utili extracontabili accertati in capo a una società di capitali a ristretta base partecipativa si considerano distribuiti pro quota ai soci. Al contribuente venivano quindi contestati maggiori redditi da partecipazione ai fini IRPEF, con l’irrogazione di una cospicua sanzione.

La Decisione della Commissione Tributaria Regionale

Il socio impugnava l’atto, ma il suo ricorso veniva inizialmente respinto. In appello, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) ribaltava la decisione, annullando l’accertamento. Secondo la CTR, l’atto impositivo presupposto, quello notificato alla società fallita, non era da considerarsi definitivo perché era stato comunicato solo al curatore fallimentare e non anche all’ex amministratore. Questa omissione, a parere dei giudici di secondo grado, rendeva invalido anche l’atto consequenziale emesso nei confronti del socio. Inoltre, la CTR criticava la presunzione di distribuzione, ritenendola un automatismo che poneva sul socio una prova impossibile (probatio diabolica) per dimostrare la mancata percezione degli utili.

I Motivi del Ricorso e la Presunzione sugli utili extracontabili

L’Amministrazione Finanziaria proponeva ricorso per cassazione, contestando la sentenza della CTR su due fronti principali.

Primo Motivo: La notifica dell’atto alla società fallita

Il Fisco sosteneva che la CTR avesse errato nel ritenere necessaria la notifica all’ex amministratore per la validità dell’atto presupposto. Secondo la tesi erariale, la notifica al curatore era sufficiente, e l’eventuale omissione non avrebbe comunque potuto invalidare l’accertamento successivo nei confronti del socio.

Secondo Motivo: L’onere della prova sugli utili extracontabili

L’Agenzia contestava la visione della CTR sulla presunzione di distribuzione degli utili extracontabili. Richiamando la giurisprudenza consolidata, affermava che la ristretta base partecipativa è di per sé un elemento sufficiente a far scattare la presunzione, senza che l’Ufficio debba fornire ulteriori prove della materiale distribuzione. L’onere di dimostrare il contrario, cioè che gli utili sono stati reinvestiti o accantonati, spetta interamente al socio.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto entrambi i motivi del ricorso, cassando la sentenza della CTR con rinvio.

In primo luogo, la Corte ha chiarito che, sebbene l’accertamento relativo a periodi pre-fallimentari debba essere notificato sia al curatore che al contribuente fallito (e quindi al suo legale rappresentante), la mancata notifica a quest’ultimo non determina la nullità dell’accertamento emesso nei confronti del socio. L’effetto di tale omissione è un altro: l’atto non diventa definitivo per la società e, di conseguenza, il socio acquisisce il diritto di contestare la pretesa fiscale in ogni suo aspetto, compresa la sussistenza stessa degli utili extracontabili societari. In pratica, la sua difesa non subisce alcuna limitazione.

In secondo luogo, la Cassazione ha ribadito con forza il proprio orientamento sulla presunzione di distribuzione degli utili. Per le società a ristretta base sociale, l’accertamento di maggiori ricavi genera una presunzione semplice (e non una prova diabolica) che tali ricavi siano stati distribuiti ai soci. È sufficiente che l’Ufficio dimostri la ristretta compagine sociale. A questo punto, spetta al socio fornire la prova contraria, dimostrando che i profitti non sono stati ripartiti ma, ad esempio, accantonati a riserva o reinvestiti nell’attività. La CTR ha errato nel richiedere all’Amministrazione Finanziaria un’attività istruttoria ulteriore.

Le Conclusioni

La decisione della Suprema Corte riafferma due principi fondamentali. Da un lato, tutela il diritto di difesa del socio, garantendogli la possibilità di contestare pienamente un accertamento che lo riguarda, anche se l’atto presupposto verso la società fallita presenta vizi di notifica. Dall’altro, conferma la validità e l’efficacia della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, ponendo in capo al socio l’onere di dimostrare la reale destinazione dei profitti non dichiarati. La sentenza, pertanto, delinea un equilibrio tra le esigenze di accertamento del Fisco e il diritto di difesa del contribuente, chiarendo i confini e le responsabilità probatorie in una materia di grande rilevanza pratica.

La mancata notifica dell’accertamento fiscale all’amministratore di una società fallita invalida l’accertamento successivo nei confronti del socio?
No, la Cassazione chiarisce che non invalida l’atto verso il socio. Tuttavia, concede al socio la possibilità di contestare integralmente la pretesa fiscale, inclusa l’esistenza stessa degli utili della società, senza essere vincolato dalla mancata impugnazione da parte del curatore fallimentare.

In una società a ristretta base partecipativa, chi deve provare la distribuzione degli utili extracontabili?
L’Amministrazione Finanziaria deve solo provare l’esistenza di maggiori redditi non dichiarati dalla società e la sua ristretta base sociale. Si presume che tali utili siano stati distribuiti. Spetta poi al socio fornire la prova contraria, dimostrando che i profitti sono stati accantonati, reinvestiti o non distribuiti.

Fornire la prova di non aver ricevuto utili non dichiarati è considerata una “probatio diabolica” (prova impossibile)?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non si tratta di una prova impossibile. Il socio può e deve dimostrare, ad esempio, che i maggiori ricavi accertati non sono stati ripartiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società, superando così la presunzione semplice che nasce dall’accertamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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