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Utili extracontabili: prova del socio per evitarli

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18764/2024, ha stabilito che la presunzione di distribuzione di utili extracontabili in una società a ristretta base può essere vinta dal socio. È necessario però che quest’ultimo fornisca la prova concreta della sua totale estraneità alla gestione sociale. Nel caso specifico, un socio unico residente all’estero è stato raggiunto da un accertamento fiscale per profitti non dichiarati dalla sua società, amministrata unicamente dal padre. La Corte ha cassato la decisione di merito che non aveva adeguatamente esaminato le prove fornite dal contribuente (estratti conto, dichiarazioni) volte a dimostrare che i veri profitti erano stati percepiti dall’amministratore e non da lui. Il principio chiave è che il giudice deve valutare tutti gli elementi offerti per superare la presunzione, non potendosi limitare a considerazioni generiche.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Utili extracontabili: quando il socio non paga per colpe altrui

La questione degli utili extracontabili nelle società a ristretta base partecipativa è un tema caldo nel diritto tributario. La giurisprudenza ha consolidato una presunzione secondo cui i profitti “in nero” di una società con pochi soci (spesso familiari) si considerano automaticamente distribuiti a questi ultimi. Ma cosa succede se un socio è totalmente all’oscuro della gestione e, di fatto, è solo un prestanome? Con la recente ordinanza n. 18764 del 2024, la Corte di Cassazione fa luce sull’onere della prova necessario per vincere questa presunzione, valorizzando il ruolo delle prove concrete fornite dal contribuente.

I Fatti del Caso: Socio all’Estero e Padre Amministratore

Il caso riguarda un contribuente, socio unico di una S.r.l. e residente negli Stati Uniti, che si è visto notificare un avviso di accertamento per IRPEF relativa a presunti utili non dichiarati provenienti dalla società. La particolarità della vicenda risiede nel fatto che l’amministratore unico della società era il padre del contribuente, il quale sosteneva di essere completamente estraneo alla gestione aziendale e di non aver mai percepito un euro da tali profitti. Secondo la sua tesi, egli era solo un intestatario fittizio, mentre il vero dominus e percettore degli utili era il padre.

La Commissione Tributaria Regionale, tuttavia, aveva dato ragione all’Agenzia delle Entrate, ritenendo che il contribuente non avesse fornito prove sufficienti per superare la presunzione di distribuzione degli utili, limitandosi a rilevare che non aveva mai intrapreso azioni legali contro il padre-amministratore per far valere le proprie ragioni.

La presunzione sugli utili extracontabili e i suoi limiti

La Corte di Cassazione, accogliendo i motivi del ricorso del contribuente, chiarisce la natura e l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili. I giudici supremi ribadiscono che si tratta di una presunzione semplice (o hominis), basata sull’ id quod plerumque accidit, cioè su ciò che accade di solito in società con pochi soci, dove il controllo reciproco è elevato.

Tuttavia, proprio perché semplice, questa presunzione non comporta un’inversione dell’onere della prova. Spetta sempre all’amministrazione finanziaria dimostrare la propria pretesa sulla base di elementi gravi, precisi e concordanti. Una volta che l’Agenzia ha fornito questi elementi (come la ristrettezza della base sociale), la palla passa al contribuente, che ha il diritto di fornire la prova contraria.

L’onere della prova del socio per evitare la tassazione degli utili extracontabili

Il punto cruciale della decisione è il contenuto della prova contraria. La Cassazione afferma che il socio può liberarsi dalla pretesa fiscale non solo dimostrando che gli utili sono stati accantonati o reinvestiti, ma anche provando la propria totale estraneità alla gestione e conduzione societaria.

Nel caso di specie, il contribuente aveva prodotto diversi elementi a sostegno della sua tesi:
* La sua residenza permanente negli Stati Uniti.
* Una dichiarazione sostitutiva del padre che ne attestava l’estraneità alla gestione.
* Gli estratti dei conti correnti societari, da cui non risultavano movimenti a suo favore, ma piuttosto versamenti sui conti personali dell’amministratore.

La Corte ha censurato la sentenza di appello proprio per aver completamente omesso di esaminare questi elementi, definendo il suo ragionamento apodittico e insufficiente. La semplice mancata azione civile contro l’amministratore non è un elemento decisivo per negare l’estraneità del socio, specialmente in un contesto di rapporti familiari.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sulla base di principi consolidati in materia di prova presuntiva. I giudici di legittimità hanno sottolineato che il ragionamento presuntivo del giudice di merito deve essere fondato su fatti storici dotati di gravità, precisione e concordanza. In questo contesto, il giudice di secondo grado aveva errato nel non considerare gli specifici elementi probatori offerti dal contribuente, che miravano a dimostrare un fatto decisivo: la sua completa estraneità alla percezione degli utili, di fatto incassati dall’amministratore. La Cassazione ha ritenuto che il giudice d’appello avrebbe dovuto verificare se, alla luce delle prove prodotte (residenza all’estero, flussi bancari, dichiarazioni), il contribuente avesse effettivamente provato la sua posizione di mero intestatario formale. L’omesso esame di tali fatti ha viziato la sentenza, rendendola illogica e non conforme ai principi che regolano l’onere della prova in materia tributaria. Di conseguenza, la sentenza è stata cassata con rinvio, affinché un nuovo giudice valuti nel merito tutte le prove fornite.

Le conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un’importante tutela per i soci, soprattutto quelli non operativi, di società a ristretta base. Viene riaffermato un principio di civiltà giuridica: le presunzioni, per quanto utili, non possono trasformarsi in sentenze automatiche. Il contribuente ha sempre il diritto di difendersi provando i fatti, e il giudice ha il dovere di esaminare attentamente tali prove. Per i soci che si trovano in situazioni simili, la lezione è chiara: è fondamentale raccogliere e conservare ogni elemento utile a dimostrare la propria estraneità alla gestione sociale e alla percezione dei profitti, poiché solo una prova concreta e ben documentata può vincere la presunzione del Fisco.

In una società a ristretta base, si presume sempre che gli utili extracontabili siano distribuiti ai soci?
Sì, la giurisprudenza applica una presunzione semplice di distribuzione. Tuttavia, non è una presunzione assoluta. L’Amministrazione Finanziaria deve basare la sua pretesa su indizi gravi, precisi e concordanti, e il socio ha sempre il diritto di fornire la prova contraria per superarla.

Come può un socio dimostrare di non aver percepito gli utili extracontabili della società?
Il socio può fornire la prova contraria dimostrando alternativamente che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti nell’azienda, oppure, come chiarito in questa ordinanza, provando la propria completa estraneità alla gestione e conduzione della società. A tal fine, possono essere utilizzati documenti come estratti conto bancari (che non mostrano flussi di denaro verso il socio), dichiarazioni di terzi (come quella dell’amministratore), prove della propria residenza all’estero e qualsiasi altro elemento che dimostri la sua posizione di mero intestatario formale.

Il socio è responsabile per le imposte sugli utili anche se la società, quale sostituto d’imposta, non ha operato la ritenuta?
Sì. La Corte ribadisce che tra sostituto (la società) e sostituito (il socio) esiste un’obbligazione solidale fin dall’origine. Pertanto, l’amministrazione finanziaria può agire direttamente nei confronti del socio per pretendere il pagamento dell’imposta dovuta (nei limiti della ritenuta d’imposta applicabile), anche se la società non ha effettuato la ritenuta alla fonte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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