Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12288 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12288 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28529/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. COGNOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv. COGNOME Salvatore -controricorrenti- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CALABRIA, SEZIONE STACCATA DI REGGIO CALABRIA, n. 772/8/17 depositata il 3 aprile 2017
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 5 marzo 2025 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Reggio Calabria dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE un avviso di accertamento con il quale
rideterminava il reddito d’impresa da questa dichiarato ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR per l’anno 1993, operando le conseguenti riprese fiscali.
Successivamente il medesimo Ufficio notificava alla socia NOME COGNOME e al di lei coniuge NOME COGNOMEa quest’ultimo nella veste di responsabile in solido per il pagamento dell’imposta, ai sensi dell’art. 17, ultimo comma, della L. n. 114 del 1977 -altro avviso di accertamento relativo allo stesso anno 1993, mediante il quale, in virtù della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili conseguiti da società di capitali a ristretta base proprietaria, imputava alla prefata contribuente, in proporzione alla sua quota di partecipazione del 44%, un più elevato reddito di capitale, recuperandolo a tassazione ai fini dell’IRPEF.
Con ricorso proposto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Calabria i coniugi COGNOME impugnavano l’avviso di accertamento adottato nei loro confronti.
Il giudice adìto, in accoglimento delle richieste dei contribuenti, annullava l’atto impositivo.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, che con sentenza n. 772/8/17 del 3 aprile 2017 respingeva l’appello dell’Amministrazione Finanziaria.
Osservava il collegio di secondo grado che, sulla scorta degli accertamenti compiuti nel processo penale svoltosi a carico della COGNOME davanti al Tribunale di Reggio Calabria per il reato di cui all’art. 1, comma 2, lettera c), del D.L. n. 429 del 1982, convertito in L. n. 516 del 1982, conclusosi con la pronuncia di sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto emessa dal giudice dell’udienza preliminare in data 29 maggio 2000, doveva ritenersi superata la presunzione di distribuzione degli utili posta a base della pretesa tributaria.
Contro tale sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per
cassazione affidato a tre motivi.
I coniugi COGNOME hanno resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, dello stesso articolo la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 132 dello stesso codice.
1.1 Si sostiene che la CTR avrebbe posto a fondamento della decisione , avendo essa affermato, nel dispositivo della sentenza, di statuire sull’appello proposto avverso una pronuncia di primo grado diversa da quella impugnata (n. 131/06/2001, anziché 132/06/2001).
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 425 c.p.p. e dell’art. 116 c.p.c..
2.1 Si rimprovera alla CTR di aver a torto attribuito efficacia vincolante alla sentenza penale di assoluzione emessa nei confronti della COGNOME dal G.U.P. del Tribunale di Reggio Calabria, senza procedere a un autonomo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti in corso di causa.
Con il terzo mezzo, anch’esso ricondotto al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è lamentata la violazione o falsa applicazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973.
3.1 Si contesta alla Commissione regionale di essersi erroneamente discostata dal consolidato insegnamento di legittimità in base al quale spetta al contribuente dimostrare che gli utili extracontabili
accertati in capo alla società da lui partecipata non sono stati distribuiti fra i soci, bensì accantonati o reinvestiti.
Il primo motivo -da inquadrare, più correttamente, nello schema del n. 4) dell’art. 360, comma 1, c.p.c. – è infondato.
4.1 La sola circostanza che nella motivazione e nel dispositivo dell’impugnata sentenza siano stati indicati un periodo d’imposta (1993) e un numero di repertorio della pronuncia di primo grado (131/6/01) riferibili ad altra causa fra le stesse parti, vertente su questioni identiche, non vale ad inficiare il contenuto della decisione, perfettamente congruente con l’apparato argomentativo che la sorregge.
4.2 Risulta, peraltro, palese come le rilevate inesattezze siano da imputare a un mero errore materiale, atteso che nella parte narrativa viene fatto esplicito riferimento all’anno 1992.
Il secondo motivo è inammissibile.
5.1 Va anzitutto notato che del tutto improprio, e comunque sfornito di adeguato supporto deduttivo, si appalesa il richiamo fatto dalla ricorrente all’art. 425 c.p.p., che disciplina i casi in cui il giudice dell’udienza preliminare pronuncia sentenza di non luogo a procedere, non essendo dato comprendere dalla formulazione della censura in quale modo la CTR avrebbe violato tale disposto normativo.
5.2 Giova, inoltre, rammentare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, la censura di violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile esclusivamente ove si alleghi che il giudice di merito ha disatteso prove legali o considerato come facenti piena prova elementi istruttori soggetti invece a valutazione critica, e non anche quando si contesti il cattivo esercizio da parte del medesimo giudice del prudente apprezzamento delle prove, essendo una simile doglianza proponibile in cassazione soltanto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., nei limiti in cui è ancora consentito il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (cfr. Cass. n.
873/2025, Cass. n. 31131/2024, Cass. n. 25509/2024).
5.3 Ciò posto, nel caso di specie la CTR non ha affatto attribuito valore di prova legale o forza di giudicato alla sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti della COGNOME dal g.u.p. del Tribunale di Reggio Calabria, bensì ha ritenuto, nell’esercizio del suo prudente apprezzamento delle prove, che gli accertamenti compiuti in sede penale conducessero ad escludere l’avvenuta percezione da parte della contribuente degli utili extracontabili recuperati a tassazione dall’Ufficio.
5.4 Dietro l’apparente denuncia di violazione o falsa applicazione di legge, il motivo si risolve, quindi, in un malcelato tentativo di sottoporre a critica la valutazione del materiale probatorio operata dai giudici regionali.
5.5 Per completezza, giova soggiungere che nella fattispecie in esame non viene in rilievo lo «ius superveniens» rappresentato dall’art. 21 -bis del D. Lgs. n. 74 del 2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera m), del D. Lgs. n. 87 del 2024, in quanto, a prescindere dal fatto che non risulta accertato l’intervenuto passaggio in giudicato della menzionata sentenza di assoluzione con formula piena resa dal g.u.p. reggino, difetta, in ogni caso, uno dei presupposti di applicabilità della norma, ovvero quello costituito dalla natura dibattimentale della pronuncia penale assolutoria.
Il terzo mezzo è fondato.
6.1 Per fermo indirizzo nomofilattico, l’accertamento di un maggior reddito d’impresa in capo a una società di capitali a ristretta base proprietaria genera la presunzione semplice che tale reddito sia stato attribuito in forma di utili extracontabili ai soci, anche se non legati fra loro da vincoli familiari (cfr. Cass. n. 17107/2024), con la conseguenza che incombe su questi ultimi l’onere della prova contraria, consistente nel dimostrare che i ricavi accertati non sono stati ripartiti, bensì accantonati o reinvestiti (cfr., ex multis , Cass. n. 25322/2022, Cass. n. 24732/2022, Cass. n. 21487/2022, Cass.
n. 10724/2022), oppure che essi soci sono rimasti completamente estranei alla gestione e alla vita societaria (cfr. Cass. n. 26473/2024, Cass. n. 16014/2024, Cass. n. 18042/2018).
6.2 È stato, al riguardo, precisato che, al fine di potersi giovare della cennata presunzione, l’Ufficio è tenuto a provare unicamente la ristretta base sociale, non essendo necessario che l’avviso di accertamento relativo ai soci si fondi anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l’analisi delle loro movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore non giustificabile sulla base dei redditi dichiarati (cfr. Cass. n. 16913/2020).
6.3 Si è altresì chiarito che, nell’ipotesi in esame, non ricorre la violazione del divieto di presunzioni di secondo grado (cd. ‘praesumptio de praesumpto’ ) -ove mai reputato sussistente nel nostro ordinamento (in senso contrario si vedano, ex ceteris , Cass. n. 7145/2023, Cass. n. 37352/2022, Cass. n. 23860/2020, Cass. n. 20748/2019)-, poichè il fatto noto da cui muove il ragionamento inferenziale non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati in testa alla società, ma dalla ristrettezza della base partecipativa, dal vincolo di solidarietà ravvisabile fra i soci, dalla maggiore conoscibilità, da parte di questi ultimi, dell’andamento degli affari societari e dell’esistenza di utili occulti, oltre che dal reciproco controllo normalmente esercitato dai componenti di simili ristrette compagini (cfr. Cass. n. 19272/2024, Cass n. 25501/2020).
6.4 Non si è infine mancato di puntualizzare che la presunzione in discorso, la quale rinviene il suo fondamento nella ‘complicità’ che di regola avvince un gruppo societario composto da poche persone, rimane valida pure dopo l’introduzione dell’art. 7, comma 5 -bis , del D. Lgs. n. 546 del 1992, il quale non comporta alcuna inversione del riparto dell’onere probatorio, né preclude il ricorso alle presunzioni semplici disciplinate dal codice civile (cfr. Cass. n.
18764/2024).
6.5 Occorre ancora tener presente che, in tema di presunzioni semplici, gli elementi assunti a fonte di prova non devono essere necessariamente plurimi, in quanto il convincimento del giudice ben può fondarsi anche su un unico elemento, purchè grave e preciso, essendo il requisito della ‘concordanza’ menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (cfr. Cass. n. 4514/2024, Cass. n. 24643/2021, Cass. n. 17574/2009, Cass. n. 19088/2007).
6.6 Tanto premesso, va osservato che la CTR calabrese, pur mostrandosi consapevole dell’esistenza del diffuso orientamento di legittimità di cui si è detto, ha ritenuto essere stata fornita dalla contribuente la prova contraria idonea a superare la presunzione semplice di distribuzione degli utili extracontabili posta a base dell’accertamento tributario.
6.7 Ha evidenziato, sul punto, che l’attività di indagine integrativa compiuta dal Pubblico Ministero nell’àmbito del procedimento penale a carico della COGNOME non aveva «offerto elementi da cui po (te)ss(e) desumersi che effettivamente l’imputata ave(sse) percepito i redditi che si assum (eva) no non indicati nella dichiarazione annuale» .
6.8 Il ragionamento decisorio palesato nell’impugnata sentenza si risolve nella sostanziale disapplicazione delle «regulae iuris» sopra enunciate, avendo i giudici d’appello erroneamente reputato assolto l’onere della prova contraria gravante sulla contribuente, senza in alcun modo spiegare donde si ricaverebbe che gli utili occulti conseguiti dalla società partecipata fossero stati accantonati o reinvestiti o che ricorressero altre situazioni peculiari idonee ad escludere la percezione del maggior reddito presuntivamente attribuito dall’Ufficio.
6.9 Invero, ai fini della soluzione della vertenza, la Commissione regionale ha attribuito rilievo decisivo alla circostanza che nel
giudizio penale non fossero emersi elementi sufficienti per poter affermare, secondo la regola probatoria dell’ ivi vigente, che la COGNOME avesse effettivamente incassato gli utili di cui trattasi.
6.10 Essa, tuttavia, ha tralasciato di considerare che: (a)nel processo tributario, a differenza di quello penale, opera in danno dei soci di società a ristretta base partecipativa la presunzione semplice di distribuzione degli utili extracontabili accertati in capo al sodalizio; – (b)la prova contraria cui è tenuto il contribuente, avendo ad oggetto un fatto negativo, deve essere fornita attraverso la dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario -e cioè che gli utili in questione sono stati accantonati o reinvestiti o che il contribuente medesimo è rimasto del tutto estraneo alla gestione e alla vita societaria- oppure mediante presunzioni dalle quali possa desumersi tale fatto negativo (sull’argomento cfr. Cass. n. 25603/2023, Cass. n. 22176/2023, Cass. n. 8018/2021, Cass. n. 8968/2020).
6.11 Lungi dall’individuare eventuali elementi di natura indiziaria atti ad avvalorare una simile inferenza, il collegio di seconde cure si è limitato a richiamare in maniera generica gli esiti delle indagini integrative condotte in sede penale dal P.M., sottolineando che le stesse non avevano permesso di accertare in positivo l’effettiva percezione di dividendi da parte dell’imputata.
6.12 Sussiste, pertanto, la dedotta falsa violazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973, e in particolare del comma 3 del predetto articolo, il quale consente di ricavare la prova dell’incompletezza, falsità e inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione delle persone fisiche anche da presunzioni semplici dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Va, conseguentemente, disposta, ai sensi degli artt. 384, comma 2, prima parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, la cassazione dell’impugnata sentenza, nei limiti della censura
accolta, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai princìpi di diritto sopra espressi e tenendo conto, ove occorra per la determinazione del «quantum debeatur» , dell’esito finale del parallelo giudizio avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento societario.
7.1 Allo stesso giudice viene rimessa anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, ai sensi degli artt. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. cit..
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, respinti i restanti; cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione