Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17517 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17517 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
Avv. Acc. IRPEF 2013 –Società di capitali a ristretta base
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31694/2021 R.G. proposto da: COGNOME, rappresentato e difeso dall’Avvocato Prof. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Palermo, INDIRIZZOEMAIL
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege .
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. VENETO n. 675/2021 depositata in data 10 maggio 2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 maggio 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE, con il quale l’Ufficio rettificava la dichiarazione IRPEF per l’anno 2013
per presunto incasso di utili fuori bilancio, in quanto socio all’80% della RAGIONE_SOCIALE, a sua volta proprietaria al 100% della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della quale era stata effettuata una verifica fiscale, conclusa con p.v.c. del 28 aprile 2017, che aveva contestato l’indeducibilità di alcuni costi. Veniva anche esperito il procedimento di accertamento con adesione, ma invano.
Il Sig. COGNOME impugnava l’avviso innanzi alla C.t.p. di Treviso, instando anche per la sospensione del processo in quanto, asseriva, pregiudiziale si profilava la decisione sull’impugnazione di altro avviso di accertamento (n. T6X03CX01426/2017) notificato alla RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE la cui partecipazione totalitaria era stata ceduta dal sig. COGNOME alla RAGIONE_SOCIALEe di cui il sig. COGNOME era stato socio unico sino al 2/7/2013 e legale rappresentante sino al 23/6/2014); si costituiva l’ente erariale chiedendo il rigetto del ricorso.
La C.t.p. di Treviso, con sentenza n. 158/2019, rigettata l’istanza di sospensione, respingeva il ricorso ritenendo, che, essendo stato l’impugnazione avverso l’avviso di accertamento notificato alla RAGIONE_SOCIALE rigettata per difetto di legittimazione attiva perché impugnato dal sig. COGNOME in proprio, l’accertamento era divenuto definitivo; nel merito, disaminava come legittimo l’accertamento.
Contro tale sentenza proponeva appello il contribuente dinanzi alla C.t.r. della Lombardia, reiterando l’istanza di sospensione ex art. 295 cod. proc. civ.; l’Ufficio si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello.
La C.t.r. della Lombardia, con sentenza n. 675/2021, depositata in data 10 maggio 2021, disattendeva l’istanza di sospensione e respingeva l’appello, confermando il difetto di legittimazione processuale e la legittimità dell’avviso di accertamento.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 9 maggio 2025.
Considerato che:
1.1. Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 100 e 295 cod. proc. civ. anche in relazione all’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.», la società contribuente lamenta l’error in procedend o nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha respinto l’istanza di sospensione del processo in assenza di un giudizio definitivo che avrebbe dovuto attendere con la conclusione della controversia avviata con l’impugnazione dell’accertamento del presunto maggior reddito di impresa conseguito dalla RAGIONE_SOCIALE
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 44, 45, 47 e 89 d.P. R. 22 dicembre 1986, n. 917, dell’art. 27, primo comma, d.P. Rr. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 2697 cod. civ., anche con riferimento agli artt. 23 e 53 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ la società contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha operato una violazione e/o falsa applicazione della disciplina dell’imposizione sui redditi con particolare riguardo agli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all’imposta sul reddito della società, in tema anche di ripartizione dell’onere della prova.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 36, secondo comma, n. 4 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.», la società contribuente
lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha respinto l’appello e confermato la sentenza di primo grado e quindi l’accertamento dell’Ufficio palesando un vizio della motivazione riconducibile a quelli che, secondo l’elaborazione giurisprudenziale, sono tali da determinare la nullità della sentenza.
Il primo motivo è infondato.
Con un recente arresto (Cass. 25/03/2024, n. 7952) si è chiarito che nel processo tributario, qualora tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, va disposta la sospensione, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., della causa dipendente allorché la causa pregiudicante sia ancora pendente in primo grado, mentre, una volta che questa sia definita con sentenza non passata in giudicato, opera la sospensione facoltativa di cui all’art. 337, comma 2, c.p.c., con la conseguenza che, in tale ultimo caso, il giudice della causa pregiudicata può, alternativamente, sospendere il giudizio e attendere la stabilizzazione della sentenza con il passaggio in giudicato oppure proseguire il giudizio medesimo ove ritenga, sulla base di una valutazione prognostica, che la decisione possa essere riformata.
Nella fattispecie in esame, sia la C.t.p. che la C.t.r. hanno rigettato l’istanza di sospensione perché sul giudizio (quello oggetto del ricorso odierno n. 3) era, appunto, intervenuta una pronuncia, sia di primo e di secondo grado, per cui la sospensione era divenuta meramente facoltativa. Vi è da aggiungere che all’odierna camera di consiglio si è deciso con rigetto il ricorso proposto da NOME COGNOME e concernente l’avviso di accertamento n. T6X03CX01426 notificato alla RAGIONE_SOCIALE.lRAGIONE_SOCIALE e, pertanto, la sospensione necessaria deve essere necessariamente esclusa in quanto si è realizzato, anche ai sensi dell’art. 274, cod. proc. civ., in questa sede il simultaneus processus.
Il secondo motivo è infondato.
3.1. Con particolare riferimento alla presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili secondo un recente arresto, confermativo di altri di eguale tenore (Cass. 30/01/2024, n. 2752) costituisce consolidato orientamento giurisprudenziale, quello secondo cui in materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (tra molte, si veda Cass. n. 1947 del 24/01/2019; n. 26171 del 2023). In particolare, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova contraria del fatto che i maggiori redditi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (tra le tante: Cass. 27 settembre 2016, n. 19013; Cass. 4 settembre 2020, n. 18383; Cass., 11 settembre 2020, n. 18854; Cass. 3 giugno 2021, n. 15393; Cass. n. 22578 del 2023), giacché la ristrettezza della compagine societaria implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, che fa ritenere plausibile in tutti la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza della esistenza di utili extra-bilancio, alla cui distribuzione è ragionevole ritenere che tutti i soci abbiano partecipato in misura conforme al loro apporto sociale, fatta salva l’anzidetta possibilità riconosciuta al contribuente di fornire la prova contraria (Cass. 29 dicembre 2017, n. 28542; Cass., 19 gennaio
2021, n. 752; Cass. n. 24719 del 2023). Questa Corte ha anche più volte precisato che il contribuente non si ritiene dispensato dall’onere della prova contraria solo che alleghi la mancata prova di un valido accertamento nei confronti della società, ma è necessario che provi la mancata distribuzione degli utili extracontabili, se non l’inesistenza a monte di un loro effettivo conseguimento, stante l’autonomia dei giudizi (Cass. 19 dicembre 2019, n. 33976; Cass. n. 20694 del 2023).
3.2. Ancora si è sostenuto (Cass. 10/10/2024, n. 26473) che, in tema di imposte sui redditi, la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili, fondata sulla ristretta base partecipativa della società di capitali sottoposta ad accertamento, è superata dalla dimostrazione, a carico del socio, anche solo della sua estraneità assoluta alla gestione ed alla vita societaria, che non appare in contrasto con la ragione dell’operatività della presunzione, basata su una massima di comune esperienza per la quale dalla ristrettezza della base sociale deriva un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra gli stessi; ne consegue che, assolto detto onere probatorio da parte del socio, la suddetta massima di esperienza perde il suo rilievo probatorio e non consente più di ritenere legittima la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in favore di tutti i soci.
3.3. Nella fattispecie in esame, la C.t.r., con una motivazione conforme ai principi testè declinati e con una argomentazione della quale è agevole scorgere l’iter logico seguito, ha spiegato che la società aveva realizzato degli utili non riportati nelle scritture contabili, gli utili non erano evidenziati nello stato patrimoniale né lo avevano modificato e la destinazione dei maggiori utili erano stati ‘assegnati’ ai soci, in mancanza di deduzione di fatti diversi.
Del resto, nemmeno nel corpo del ricorso vengono offerte prove afferenti all’estraneità alla gestione societaria ovvero al fatto che i
maggiori redditi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti; anzi, addirittura, a pg. 40, la ricorrente afferma che la pronuncia sia viziata per violazione della regola del riparto dell’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ. asserendo che l’onere della prova sulla reale distribuzione degli utili grava sull’Ufficio, disattendendo la granitica giurisprudenza di legittimità.
4. Il terzo motivo è fondato.
Con un recente arresto (Cass. 23/02/2024, n. 4861), si è affermato che ‘La presunzione di riparto degli utili extrabilancio tra i soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa non è neutralizzata dallo schermo della personalità giuridica, ma estende la sua efficacia a tutti i gradi di organizzazione societaria per i quali si riscontri la ristrettezza della compagine sociale, operando il principio generale del divieto dell’abuso del diritto, che trova fondamento nei principi costituzionali di capacità contributiva e di eguaglianza, nonché nella tendenza all’oggettivazione del diritto commerciale ed all’attribuzione di rilevanza giuridica all’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica assunta dal suo titolare. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, secondo cui l’imputazione presuntiva di utili extrabilancio al socio di maggioranza di un s.r.l. estinta per cancellazione – e, a sua volta, socia della RAGIONE_SOCIALE sottoposta a verifica fiscale – presupponeva il previo accertamento a carico della società partecipante)’
4.1. Nella fattispecie in esame, la C.t.r., da un lato, ha opinato come irrilevante l’operatività o meno della RAGIONE_SOCIALE e, dall’altro ha ritenuto quest’ultima quale interposta per cui ha utilizzato una motivazione contraddittoria o comunque perplessa allorquando non è dato comprendere se ritiene la predetta società soggetto effettivo ad imposizione autonoma ovvero meramente interposto che, in quanto tale, non sarebbe stato soggetto a
tassazione sul reddito o, meglio, ne avrebbe potuto chiedere eventualmente il rimborso.
4.2. La traslazione del reddito da un contribuente a un altro giustifica infatti che, nel rispetto del principio di capacità contributiva, il soggetto interposto, che provi di aver pagato imposte in relazione a redditi successivamente imputati al terzo interponente, possa richiedere all’Amministrazione il rimborso delle imposte pagate dopo la definitività dell’accertamento nei confronti dell’interponente e in misura non superiore all’imposta effettivamente percepita a seguito di tale accertamento, neutralizzando in termini economici lo spostamento del reddito complessivo dal titolare formale al titolare effettivo (Cass. 10/02/2022, n. 5276; v. l’art. 37, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973, che riconosce alla società la facoltà di richiedere il rimborso delle imposte già pagate in relazione a redditi successivamente imputati ad altro contribuente da parte dell’Agenzia delle Entrate).
4.3. Indubbiamente, quella utilizzata dalla C.t.r. concreta una motivazione apparente, secondo l’accezione più volte illustrata da questa Corte (ex plurimis, Cass. 17/03/2023, n. 7908; Cass. 28/02/2023, n. 6037; Cass. 19/01/2023, n. 1618; Cass. 23/12/2022, n. 37770, che richiama Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Sez. U. 31/12/2018, n. 33679) che ha sottolineato che «nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella
motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione». Pertanto, «a motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost.» (Cass. 30/06/2020, n. 13248 del 30/06/2020).
In conclusione, vanno rigettati il primo ed il secondo motivo di ricorso mentre va accolto il terzo motivo, la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato innanzi al giudice a quo, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e, rigettati il primo ed il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata con rinvio del giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 9 maggio 2025.