Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17736 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17736 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
Oggetto: IRPEF 2011 – Socio di società di capitali a ristretta base – Distribuzione utili extracontabili – Accertamento nei confronti di società estinta -Riflessi sull’accertamento personale del socio.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18928/2021 R.G. proposto da: COGNOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato ed allegato al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente-
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 240/01/2021, depositata in data 12 gennaio 2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 marzo 2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. TF7030404658/2016, con il quale accertava , per l’anno 2011, un reddito di impresa pari
ad Euro 1.399.942,00, in relazione a ricavi non dichiarati per oltre 11 milioni di euro e costi per oltre 9 milioni di euro.
L’ Ufficio emetteva, quindi, l’avviso di accertamento n. TF7010400027-2017, con il quale veniva imputato alla ricorrente, nella in quanto socio della detta società nella misura del 33%, e, quindi, recuperato a tassazione, ai fini IRPEF per l’anno 20 11, il maggior reddito (pari ad € 2 29.696,00) derivante dagli utili extra bilancio contestati alla società.
La socia proponeva ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta (d’ora in poi, per brevità, CTP) , deducendo: a) l’inesistenza dell’atto presupposto, ovvero dell’avviso relativo alla società, in quanto notificatole in data successiva alla cancellazione della società dal registro delle imprese; b) la mancata distribuzione degli utili ai soci, come emergente dal bilancio finale di liquidazione; c) l’inapplicabilità dell’art. 28 d.lgs. n. 175/2014.
L’Agenzia si costituiva evidenziando la definitività dell’avviso di accertamento nei confronti della società, in quanto non impugnato.
La CTP rigettava il ricorso sulla scorta della definitività dell’accertamento societario.
La contribuente interponeva gravame alla Commissione tributaria regionale della Campania (d’ora in poi , per brevità, CTR) chiedendone l’integrale riforma ; in particolare, ribadiva l’invalidità dell’accertamento societario, in quanto notificato dopo l’estinzione dell’ente e la mancata prova della distribuzione degli utili ai soci.
La CTR confermava la sentenza di primo grado; riguardo all’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, rilevava l’invalidità dello stesso, non potendo applicarsi il differimento quinquennale dell’estinzione della società ex art. 28, comma 4, d.lgs. n. 175/2014, in quanto nella specie la società era stata cancellata nel 2012 e l’avviso era stato notificato al liquidatore nel 2016. Esaminava, quindi, la questione dell’accertamento nei confronti dei soci e, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte circa i presupposti della responsabilità del socio di una società
estinta ex art. 2945 cod. civ. e 36 d.P.R. n. 600/1973, riteneva sussistenti nella specie i presupposti e le condizioni della responsabilità della contribuente, atteso che:
-alla stessa era stato notificato non solo l’avviso di accertamento societario , ma anche l’avviso personale contenente l’indicazione dei presupposti della sua responsabilità ex art. 36 cit. ;
-la socia non aveva contestato il merito dell’accertamento societario;
-nell’avviso di accertamento personale l’Ufficio aveva dato conto degli elementi da cui dedurre la distribuzione degli utili occulti ai soci, richiamando il principio della presunzione della distribuzione nelle società con ristretta partecipazione (nella specie composta da due soci, legati da vincoli familiari).
Sulla base della presunzione di distribuzione degli utili occulti della società ai soci la CTR respingeva, quindi, il gravame della contribuente.
Per la cassazione della citata sentenza la contribuente ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. L ‘Ufficio resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale condizionato, affidandosi ad un motivo.
Il ricorso è stato, quindi, fissato per l’adunanza camerale del 21/03/2025.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la «violazione dell’art. 36 DPR 602/1973 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cpc). Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cpc) », per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’avviso di accertamento impugnato contenesse la contestazione della responsabilità del socio ex art. 36 cit.; di contro, nel detto avviso erano imputati alla ricorrente, in proporzione della sua quota di partecipazione, esclusivamente gli utili extra bilancio
non dichiarati dalla società, sulla base della presunzione di distribuzione degli stessi stante la ristretta base societaria.
Il motivo è infondato.
È opportuno premettere in punto di fatto che:
l’avviso di accertamento impugnato (allegato al ricorso per cassazione) si fonda non già sulla responsabilità del socio ex art. 36 d.P.R. n. 602/1973, bensì sul principio di distribuzione degli utili extracontabili, nelle società di capitali a ristretta base, ai soci;
b) la sentenza della CTR si fonda su una duplice motivazione, ovvero sia sull’art. 36 cit. (tramite il richiamo all’art. 28 d.lgs. n. 175/2014, al fine di escluderne l’applicazione nella fattispecie, ed ai presupposti della responsabilità del socio di società estinta) sia sulla distribuzione degli utili extracontabili ai soci (tramite il richiamo all’avviso di accertamento, nel quale sono indicati ‘plurimi elementi gravi, precisi e concordanti da cui si ricava che il maggior reddito’ societario è stato distribuito ai soci, ed alla presunzione in materia).
Il decisum della sentenza gravata, ovvero il rigetto del gravame della contribuente, deve essere confermato, previa correzione della motivazione della sentenza, in particolare, mediante l’esclusione, da essa, di qualsiasi riferimento, nella specie, all’art. 36 cit. (norma che esula dall’accertamento impugnato) .
La motivazione della sentenza gravata va, pertanto, corretta da questa Corte nei suddetti termini, cui segue il rigetto della doglianza in scrutinio.
Con il secondo motivo la contribuente lamenta la «violazione degli artt. 2495, secondo comma, c.c. e 38 dpr 600/1973 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cpc)» per avere la CTR considerato legittimo l’accertamento nei confronti del socio sulla scorta di un accertamento emesso nei confronti di una società già estinta, perciò giuridicamente inesistente ed improduttivo di effetti nei confronti dei soci.
Afferma, quindi, ‘la nullità dell’accertamento emesso per trasparenza sul socio, derivante da un provvedimento nei confronti di società estinta’ (pag. 11 del ricorso).
Il motivo è infondato.
2.1. È senz’altro vero che l’accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati costituisce il presupposto necessario per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi giacché, in mancanza, non sussiste la prova dello stesso fatto costitutivo della pretesa tributaria, con l’effetto che deve essere dichiarato illegittimo l’avviso di accertamento che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari in capo al socio, quando non sia stata preventivamente accertata la posizione della società di capitali, evidenziando in capo alla stessa un maggior reddito non dichiarato (Cass. 20/12/2021 n. 40844).
Tuttavia, la suddetta pronuncia ha anche precisato che l’annullamento per motivi attinenti al merito della pretesa tributaria dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società sancito con sentenza passata in giudicato, avendo carattere pregiudicante, spiega i suoi effetti a favore di tutti i soci e quindi anche nel connesso giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamento notificato al singolo socio e relativo al suo reddito da partecipazione scaturente a seguito di rettifica operato nei confronti della società, in quanto detto accertamento negativo rimuove il presupposto da cui dipende il maggior utile da partecipazione conseguito dal soci.
Diverso è il caso in cui l’accertamento operato nei confronti della società sia stato annullato per motivi di rito (ad esempio, come nel caso affrontato da Cass. 22/04/2021 n. 10723, per l’estinzione della società in data antecedente alla notifica dell’avv iso di accertamento nei suoi confronti), poiché in questo caso non viene compiuta alcuna verifica circa l’inesistenza dell’imponibile da essa non dichiarato, sicché tale pronuncia non può fare stato nei confronti dei soci, dovendosi ritenere che proprio la mancanza di un
accertamento irrefutabile sull’inesistenza nel merito della pretesa correlata ai ricavi non contabilizzati, impregiudicata la sorte dell’accertamento notificato alla società, possa essere posto a base della pretesa nei confronti del socio e costituire, se dimostrato dall’Ufficio, condizione legittimante della richiesta fiscale correlata al maggior reddito di partecipazione a carico del socio (nello stesso senso, già Cass. 07/06/2016, n. 11680).
Per la giurisprudenza di questa Corte, in altre parole, l’invalidità, per motivi di rito, dell’accertamento emesso nei confronti di una società a ristretta base, non determina necessariamente l’illegittimità degli atti impositivi nei confronti dei suoi soc i per i redditi costituiti dagli utili extra-bilancio percepiti pro quota , neppure se la formale illegittimità dell’accertamento societario sia stata dichiarata con un precedente ed irrevocabile annullamento giurisdizionale (così, ancora, Cass. n. 10723/2021 cit.).
2.2. I medesimi principi sono stati affermati anche nel caso in cui il socio di una società di capitali a ristretta base, destinatario di un avviso di accertamento fondato sulla presunzione di distribuzione in suo favore di utili non dichiarati dalla società, lamenti (anche) l’illegittimità dell’atto che costituisce il presupposto da cui dipende il maggior utile da partecipazione a lui contestato, ossia dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, in quanto notificato a quest’ultima dopo la sua estinzione.
Si è detto, infatti, che solo l’annullamento dell’avviso emesso nei confronti della società, con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, riveste carattere pregiudicante e determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento, notificato al singolo socio, che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari. Tale carattere pregiudicante non si rinviene, invece, nelle ipotesi di annullamento per vizi del procedimento (nella specie per inesistenza della notifica), le quali danno luogo ad un giudicato formale, e non sostanziale, difettando una pronuncia che revochi in
dubbio l’accertamento sulla pretesa erariale (Cass. 19/01/2021, n. 752).
2.3. In conclusione, se è vero che l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società a ristretta base e non notificato a quest’ultima non è opponibile al socio, e quindi non riveste rilievo ‘pregiudicante’ rispetto alla sussistenza dell’obbligazione t ributaria della società (e, di conseguenza, rispetto al presupposto dell’operatività della presunzione semplice di distribuzione degli utili non dichiarati in favore dei soci), è altrettanto vero che ciò si traduce soltanto nella possibilità, per il socio stesso, di contestare la sussistenza di tutti i fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria (così sostanzialmente, già Cass. 07/03/2019, n. 6626) ed evidenziati nell’atto di accertamento emesso nei confronti della società. E ciò anche al di là di quanto normalmente consentito dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale il socio può unicamente eccepire che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società, nonché dimostrare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria ( ex multis , Cass. 07/06/2024, n. 15991; Cass. 04/03/2022, n. 7170; Cass. 15/09/2021, n. 24870; Cass. 01/12/2020, n. 27445; Cass. 24/07/2020, n. 15895; Cass. 09/07/2018, n. 18042; Cass. 14/07/2017, n. 17461).
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la «violazione degli artt. 2697 c.c. e 2495, comma 2, c.c. e 38 dpr 600/1973 (in relazione all’art. 360, comma 1, n° 3 cpc)»; ribadisce che la presunzione della distribuzione degli utili extra contabili ai soci presuppone un valido accertamento nei confronti della società (che cristallizzi l’effettivo conseguimento di utili occulti da parte dell’ente), nella specie non sussistente. Inoltre, l’accertamento degli utili in capo alla società non potrebbe fondarsi su una presunzione, diversamente si introdurrebbe nell’ordinamento una ipotesi di doppia presunzione (della produzione degli utili e della loro distribuzione ai soci).
Il motivo è infondato, per le stesse argomentazioni esposte in sede di esame del secondo motivo, poiché, nonostante la mancanza
di un (valido) accertamento nei confronti della società estinta, può procedersi all’accertamento nei confronti dei soci.
3.1. Circa la lamentata ‘doppia presunzione’ è opportuno riportare i principi costantemente affermati da questa Corte al riguardo: in tema di accertamento delle imposte sui redditi nel caso di società di capitali che presenti una ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione (semplice) di attribuzione ai soci partecipanti alla società degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili ( ex multis , Cass. 22/11/2017, n. 27778; da ultimo, Cass. 06/06/2024, n. 15895/2024). Ciò vale anche nelle ipotesi di assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica di per sé un elevato grado di compartecipazione dei soci, e dunque la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di utile extrabilancio, consentendo di riconoscere sussistenti, ai fini della prova presuntiva, i requisiti richiesti dall’art. 2729 cod. civ..
Tale meccanismo probatorio non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell ‘assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (Cass. 24/01/2019, n. 1947).
La detta presunzione, in altri termini, non va corroborata da altri elementi indiziari; in particolare non occorre che l’accertamento emesso nei confronti dei soci risulti fondato anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l’analisi delle loro
movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore, non giustificabili sulla base dei redditi dichiarati (Cass. 11/08/2020, n. 16913).
Più recentemente si è negata l’esistenza di un divieto in materia di doppia presunzione: «nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea -in quanto a sua volta adeguata -a fondare l’accertamento del fatto ignoto» (Cass. 01/08/2019, n. 20748); «nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma, ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea – in quanto a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto; ne consegue che, qualora si giunga a stabilire, anche a mezzo di presunzioni semplici, che un fatto secondario è vero, ciò può costituire la premessa di un’ulteriore inferenza presuntiva, volta a confermare l’ipotesi che riguarda un fatto principale o la verità di un altro fatto secondario» (Cass. 27/05/2024, n. 14788).
Con il quarto (ed ultimo) motivo la ricorrente denuncia la «violazione degli artt. 2697 c.c., 2727 c.c., 38 dpr 600/1973 e 44 dpr 917/1986 (in relazione all’art. 360, comma 1, n° 3 cpc) . Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cpc». Erroneamente la CTR avrebbe ritenuto sussistenti elementi gravi, precisi e concordanti della distribuzione degli utili ai soci, specificamente contestata dalla contribuente. Opina, di contro, che nella specie la presunzione di distribuzione degli utili sarebbe illegittima, non essendo sufficiente la ristretta base societaria; contesta, infine, sia la quantificazione degli utili distribuiti, secondo le quote di partecipazione, ‘per la semplice ragione che la ripartizione
potrebbe essere avvenuta anche sulla base di un diverso parametro’ (pag. 18), sia l’imputazione del reddito dei soci nel medesimo anno in cui gli utili sarebbero stati acquisiti dalla società.
Anche questo motivo non ha pregio.
Come già evidenziato in sede di esame del terzo motivo, nel caso di società di capitali che presenti una ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione (semplice) di attribuzione ai soci partecipanti alla società degli eventuali utili extracontabili accertati; nella specie, a fronte della ristretta base partecipativa della società RAGIONE_SOCIALE (composta da due soci legati da vincoli di parentela), spettava alla socia l’onere di fornire la prova contraria (eventualmente, anche di una diversa, ed inferiore rispetto alla quota posseduta, partecipazione alla distribuzione degli utili). In difetto di detta prova, corretta è la decisione della CTR di ritenere legittimo l’avviso di accertamento impugnato.
Il ricorso principale va, pertanto, integralmente rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato, con il quale l’Agenzia aveva dedotto la «nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 21 D.Lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360, 1^ comma n. 4 c.p.c. -error in procedendo ».
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore della Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 5.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 marzo 2025.