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Utili extracontabili: la presunzione per soci di srl

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25691/2025, chiarisce i limiti della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in società a ristretta base sociale. Il caso riguardava un contribuente, socio al 50% di una sola di tre società collegate, a cui il Fisco aveva attribuito l’intero reddito non dichiarato delle tre entità, basandosi su una delega ad operare sui conti correnti. La Corte ha accolto parzialmente il ricorso, affermando che il giudice tributario non può attribuire l’intero importo ma deve rideterminare il reddito nei limiti della quota di partecipazione effettiva, fornendo un’analisi dettagliata sull’onere della prova e sul ruolo del giudice nel processo tributario.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Utili extracontabili: la Cassazione sui limiti della presunzione per soci di S.r.l.

La gestione degli utili extracontabili nelle società a ristretta base sociale è una delle questioni più delicate nel contenzioso tributario. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 25691 del 19 settembre 2025, offre importanti chiarimenti sui poteri di accertamento del Fisco e sui limiti della presunzione di distribuzione dei profitti non dichiarati ai soci. L’analisi della Corte si concentra sull’onere della prova e sul corretto operato del giudice tributario, stabilendo principi fondamentali per la tutela dei diritti del contribuente.

I Fatti del Caso: Indagini Bancarie e Accertamento Fiscale

Il caso ha origine da un avviso di accertamento emesso dall’Amministrazione Finanziaria nei confronti di un contribuente. A seguito di indagini bancarie sui conti correnti di tre diverse società di capitali, il Fisco aveva accertato un reddito di capitale non dichiarato, imputandolo interamente al contribuente. La particolarità della vicenda risiedeva nel fatto che il soggetto accertato era formalmente socio solo di una delle tre società (con una quota del 50%), mentre per le altre due operava in virtù di una delega sui conti correnti. L’accertamento si basava sulla presunzione che il contribuente fosse il dominus di un’unica impresa occulta, mascherata dietro le tre distinte entità societarie.

La Commissione Tributaria Provinciale aveva inizialmente accolto il ricorso del contribuente, ma la decisione era stata ribaltata in appello dalla Commissione Tributaria Regionale, che aveva dato ragione all’Amministrazione Finanziaria, confermando l’accertamento. Contro questa sentenza, il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione.

La questione degli utili extracontabili e i motivi di ricorso

Il ricorrente ha contestato la decisione dei giudici di appello su diversi fronti. In particolare, ha lamentato che l’attribuzione del 100% degli utili non contabilizzati delle tre società fosse ingiustificata, dato che la sua partecipazione era documentata solo per il 50% di una di esse. Inoltre, ha evidenziato una contraddizione fondamentale: l’Amministrazione Finanziaria aveva notificato un avviso di accertamento analogo anche a un altro soggetto, anch’esso delegato ad operare sui medesimi conti, attribuendogli parimenti la titolarità del 100% degli utili. Logicamente, entrambi non potevano essere contemporaneamente soci occulti totalitari. Si contestava, quindi, una carenza probatoria da parte del Fisco sulla presunta esistenza di un’unica impresa occulta e sulla qualità di socio occulto del ricorrente nelle altre due società.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il secondo e il quarto motivo del ricorso, ritenendoli fondati, e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata. Gli Ermellini hanno stabilito che i giudici di merito hanno errato nel non considerare un fatto storico decisivo: la notifica di un accertamento identico a un altro soggetto. Questo elemento, da solo, era sufficiente a minare la logicità della tesi dell’Ufficio, secondo cui il ricorrente fosse l’unico titolare di un’impresa occulta.

Le Motivazioni della Suprema Corte di Cassazione

La Corte ha ribadito alcuni principi cardine del diritto tributario in materia di accertamenti basati su movimentazioni bancarie e di presunzioni.

Onere della prova e conti intestati a terzi

In primo luogo, i giudici hanno ricordato che l’Amministrazione Finanziaria può utilizzare dati bancari relativi a conti intestati a terzi, ma ha l’onere di provare, anche in via presuntiva, che tali movimenti siano in realtà attribuibili al contribuente. La sola esistenza di una delega ad operare, unita a un rapporto di parentela con i soci formali, non è sufficiente a presumere la titolarità effettiva dei conti. Servono ulteriori indizi gravi, precisi e concordanti che dimostrino una concreta partecipazione alla gestione e il possesso di poteri decisionali.

La presunzione di distribuzione degli utili extracontabili e i suoi limiti

Nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, vige una presunzione legale (juris tantum) secondo cui gli utili extracontabili accertati si considerano distribuiti ai soci in proporzione alle rispettive quote di partecipazione. Tuttavia, questa presunzione opera solo per i soci effettivi e nei limiti delle loro quote. Nel caso di specie, era pacifico che il ricorrente fosse socio al 50% solo di una delle tre società. Pertanto, la pretesa fiscale non poteva estendersi al 100% dei redditi delle altre due società in assenza di una prova rigorosa della sua qualità di socio occulto totalitario.

Il ruolo del giudice tributario: non solo annullamento, ma rideterminazione

Un punto cruciale della sentenza riguarda la natura del processo tributario, definito di “impugnazione-merito”. La Corte ha specificato che, quando il giudice rileva un’invalidità sostanziale (e non meramente formale) dell’atto impositivo, non deve limitarsi ad annullarlo “in toto”. Al contrario, è tenuto a esaminare nel merito la pretesa fiscale e a rideterminarne il corretto ammontare, entro i limiti delle domande delle parti. Nel caso in esame, il giudice d’appello avrebbe dovuto procedere a una rideterminazione del reddito di partecipazione del contribuente, limitatamente alle movimentazioni sul conto della società di cui era effettivamente socio e nella misura della sua quota del 50%.

Conclusioni: Principi Chiave e Implicazioni Pratiche

La sentenza rappresenta un importante baluardo a tutela del contribuente contro accertamenti fiscali basati su presunzioni non adeguatamente provate. Le conclusioni che possiamo trarre sono le seguenti:
1. La delega non fa il socio: Una semplice delega a operare su conti societari non trasforma automaticamente il delegato in un socio occulto o nel titolare effettivo dei fondi.
2. Onere probatorio a carico del Fisco: Spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, con elementi concreti, l’esistenza di un’impresa occulta o la qualità di socio di fatto.
3. Presunzioni proporzionali: La presunzione di distribuzione degli utili extracontabili si applica in proporzione alle quote di partecipazione accertate, non può essere estesa arbitrariamente.
4. Il giudice deve rideterminare: Il giudice tributario ha il dovere di quantificare la pretesa fiscale corretta, non potendo semplicemente annullare l’atto se lo ritiene solo parzialmente infondato.

Questa decisione rafforza il principio secondo cui le presunzioni tributarie devono essere ancorate a fatti certi e non possono basarsi su congetture, garantendo un giusto equilibrio tra le esigenze erariali e i diritti del contribuente.

In una società a ristretta base sociale, gli utili non dichiarati si presumono distribuiti ai soci?
Sì, secondo un orientamento consolidato, esiste una presunzione legale secondo cui gli utili extracontabili accertati a carico di una società di capitali a ristretta base sociale si considerano distribuiti ai soci in proporzione alle loro quote di partecipazione. Spetta poi al socio fornire la prova contraria, dimostrando ad esempio che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti dalla società.

La sola delega a operare su un conto corrente societario è sufficiente per attribuire i redditi della società al delegato?
No. La sentenza chiarisce che la sola delega a operare su un conto, anche se unita a legami familiari con i soci, non è sufficiente a presumere che il delegato sia il titolare effettivo dei fondi o un socio occulto. L’Amministrazione Finanziaria deve fornire ulteriori prove concrete, come la partecipazione attiva alla gestione o l’esercizio di poteri decisionali.

Se un avviso di accertamento è parzialmente errato, il giudice deve annullarlo completamente?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che il processo tributario è un giudizio sul merito della pretesa. Pertanto, se il giudice ritiene l’atto parzialmente infondato per motivi sostanziali, non deve limitarsi ad annullarlo. Ha il potere e il dovere di rideterminare l’effettivo ammontare dell’imposta dovuta, entro i limiti delle richieste formulate dalle parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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