Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25691 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 25691 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16271/2017 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso per procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME del foro di Caserta
-ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-controricorrente – avverso la sentenza n. 252/15/2017 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata in data 16.1.2017, non notificata;
udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 3.6.2025 dal Cons. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del secondo e quarto motivo, rigettati gli altri; in udito per l’Agenzia delle Entrate l’Avvocatura dello Stato, persona dell’avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
IRPEF reddito di capitale Distribuzione utili extracontabilisocietà di capitali a stretta base sociale.
1. COGNOME NOME impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate di Caserta per l’anno di imposta 2008, a seguito di indagini bancarie sui conti correnti di tre società di capitali, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, sui quali il contribuente aveva operato quale delegato, con il quale veniva accertato un reddito di capitale non dichiarato, da assoggettare a tassazione Irpef, nella misura di legge del 49,72%, con conseguente recupero delle maggiori imposte a titolo di Irpef, addizionale Irpef comunale ed addizionale Irpef regionale, oltre sanzioni ed interessi.
2.La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, nella resistenza dell’Agenzia delle Entrate, accoglieva il ricorso, ritenendo che non era stata documentata la qualità di socio delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, per cui, in assenza di prova della sua qualità di socio occulto, la ricostruzione delle movimentazioni bancarie andava fatta separatamente per ciascuna società, con attribuzione parziale al COGNOME del solo imponibile determinato nei riguardi della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
3. La Commissione Tributaria Regionale della Campania (d’ora in poi C.T.R.), adita dall’Ufficio, accoglieva il gravame dell’Agenzia delle Entrate, rigettando l’originario ricorso.
4.Avverso la precitata sentenza COGNOME Angelo ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
6.La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo -rubricato « nullità della sentenza ex artt. 36 del decreto legislativo n. 546/92, 132 c.p.c. e 118 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. », il ricorrente censura la pronuncia impugnata per motivazione apparente, assumendo che la C.T.R., al di là delle citazioni giurisprudenziali, non aveva palesato il ragionamento logico giuridico in base al quale era
pervenuta alla decisione adottata attraverso l’esame delle risultanze di causa.
Il motivo è infondato.
1.1.Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, ove il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Sez. 1 30 giugno 2020 n. 13248; Sez. 1, 18 giugno 2018 n. 16057; n. 27112 del 2018; n. 22022 del 2017; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097 e n. 9105; Sez. U 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).
1.2. La C.T.R., previa ricognizione delle disposizioni in tema di inutilizzabilità nel processo della documentazione non esibita in sede amministrativa e dei pertinenti orientamenti giurisprudenziali, ha ritenuto non utilizzabile la documentazione prodotta dal contribuente in allegato al ricorso introduttivo. Ha poi ripercorso gli
orientamenti giurisprudenziali in tema di riparto dell’onere della prova in materia di accertamenti scaturenti da indagini bancarie e di ammissibilità di accertamenti nei confronti di soggetti terzi ed in tema di presunzione di ripartizione degli utili extracontabili nelle società di capitali a ristretta base sociale, per poi passare all’esame dell’operato dell’A.F. nella fattispecie sottoposta al suo esame. Sul punto, rilevato che nell’avviso di accertamento non era stata espressamente attribuita all’appellato la qualità di socio occulto delle due società cui era formalmente estraneo e di socio unico della società partecipata al 50%, ha richiamato l’orientamento di legittimità sul potere del giudice tributario, ove non ravvisi l’illegittimità dell’atto impositivo per motivi formali, di esaminare il merito della pretesa anche pervenendo ad una rideterminazione di essa, nei limiti del petitum . In applicazione dei richiamati principi, ha dunque ritenuto sufficientemente provato che COGNOME NOME avesse assunto il ruolo di direzione unica e coordinata delle tre compagini societarie e che, di fatto, fosse l’unico titolare di un’impresa unica, occultata dietro lo schermo delle tre società, basando tale convincimento sui seguenti elementi: potere di firma o delega ad operare contemporaneamente su conti bancari delle tre società, ristretta base sociale, stretti legami familiari con i soci formali, omogeneità dell’oggetto sociale delle tre società, movimentazioni bancarie sui conti correnti delle tre società nel medesimo arco temporale.
1.3. La C.T.R. ha pertanto compiutamente analizzato le risultanze di causa, con motivazione che si appalesa analitica ed esauriente.
Con il secondo motivo l’Ufficio deduce, subordinatamente, « Violazione e falsa applicazione degli articoli 2, 44, 45 D.P.R. 917/1986, nonché art. 38 d.p.r. 600/73 e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, .p.c.», assumendo
che il giudizio sulla fondatezza della pretesa fiscale era stato del tutto pretermesso, avendo la C.T.R. solo astrattamente affermato l’operatività della presunzione nei confronti del ricorrente, relativamente agli utili extra contabili complessivamente conseguiti dalle tre società, senza considerare, come insistentemente dedotto in primo e secondo grado, che l’operatività di tale presunzione presupponeva la prova dell’esistenza di validi accertamenti nei confronti delle tre società e la prova della qualità di socio occulto. La motivazione era del tutto sprovvista di logica motivazione in ordine al profilo concernente l’esatta individuazione delle compagini societarie, essendo stato documentato in giudizio, attraverso la produzione delle certificazioni camerali, che il ricorrente non era socio della RAGIONE_SOCIALE né della RAGIONE_SOCIALE, mentre era socio al 50% della sola RAGIONE_SOCIALE per cui, ove fosse stata data prova dei maggiori imponibili accertati a carico delle tre società, solo quota parte degli utili extracontabili della società di cui era socio avrebbero potuto essergli attribuiti e nei limiti della quota sociale del 50%.
3. Con il terzo motivo, rubricato « Violazione dell’art. 112 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.», il ricorrente assume che il giudice del secondo grado avrebbe pronunciato oltre la domanda, modificando la causa petendi della pretesa tributaria, atteso che nell’avviso di accertamento non vi era alcun cenno alla sua qualità di socio occulto al 100% delle tre società.
4.Con il quarto motivo, rubricato « Violazione e falsa applicazione degli articoli 37 bis e 38 d.p.r. 600/73, nonché degli articoli 2697 e 2727 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, .p.c.», il ricorrente deduce che la decisione è giuridicamente errata, in quanto doveva essere rigorosamente dimostrata, oltre che affermata, l’ipotesi di socio occulto, titolare di fatto del 100% delle
quote societarie, unitamente a quella di impresa unica occulta, al fine di attribuire ad un solo soggetto l’intero reddito delle tre società derivante dalle movimentazioni bancarie non giustificate: in primo luogo la qualità di delegato ad operare sui conti correnti non risultava documentata agli atti, ma neppure chiaramente definita, posto che nell’avviso di accertamento era stato affermato ‘tutto ed il contrario di tutto’, come risultava dall’atto impositivo trascritto integralmente. La motivazione dell’atto impositivo era da ritenersi abnorme, perché da un lato l’Ufficio affermava che i conti correnti erano nella disponibilità effettiva dell’odierno ricorrente ( righe 11 e 12 dell’avviso di accertamento) e, dall’altro, al contrario, rilevava la loro formale intestazione a quest’ultimo ( righe 18 e 19 dell’avviso di accertamento). L’abnormità della motivazione dell’avviso di accertamento si appalesava ancor più, a fronte del parallelo avviso di accertamento a carico di COGNOME NOME, prodotto sin dal primo grado del giudizio, al quale i conti correnti in questione, sulla base dei medesimi elementi, venivano pure ricondotti. La contraddittorietà della motivazione dell’atto impugnato, sotto il profilo esposto, era stata dedotta nel ricorso di primo grado e riproposta sostanzialmente negli stessi termini in grado di appello. L’Agenzia delle Entrate avrebbe pertanto dovuto fornire prova dell’esistenza del mandato, al fine di verificarne la validità e i requisiti essenziali, nonché l’esatta individuazione del soggetto legittimato ad agire sui conti correnti, in assenza della quale non è prospettabile l’onere della prova a carico del contribuente. Facendo una corretta applicazione dei principi affermati dalla Suprema Corte nella sentenza n. 3597/2016, il giudice d’appello avrebbe dovuto escludere che agli atti di causa fossero stati individuati elementi di collegamento concreto tra i conti intestati alla società e il soggetto interessato all’accertamento. Mancava agli atti una dettagliata ricostruzione delle movimentazioni con riguardo ai conti relativi alle tre distinte
società, mancavano le dichiarazioni dei redditi delle tre società e dei soci effettivi, né vi era prova che i legali rappresentanti delle tre società fossero stati invitati a fornire chiarimenti. Del tutto ingiustificata era dunque la catena di presunzioni, perché mancava la prova di un accertamento di maggior reddito nei confronti delle società o comunque di un’unica società occulta. Il solo rilascio della delega ad operare sui conti e il legame parentale non integravano presunzioni gravi, precise e concordanti per ricondurre i redditi delle tre società a due soggetti considerati contestualmente titolari effettivi dei conti. Di conseguenza, la statuizione della C.T.R. era da ritenersi illegittima.
5.Il secondo e quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente, sono fondati nei limiti che seguono.
5.1.La C.T.R. ha effettivamente ignorato il fatto storico costituito dalla circostanza che anche COGNOME NOME, socio della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, era titolare di delega ad operare sui conti correnti di tutte e tre le società e che allo stesso era stato notificato un autonomo avviso di accertamento, con il quale veniva imputato anche a quest’ultimo di aver operato quale delegato sui medesimi conti correnti intestati alle tre società (compresa la RAGIONE_SOCIALE di cui COGNOME NOME non era socio), addebitandogli l’intero reddito complessivo accertato quale presunto socio al 100% di tutte le società. Tale fatto storico, ove esaminato, avrebbe condotto ad escludere, già sotto il profilo logico, che entrambi i contribuenti potessero essere al contempo soci occulti al 100% delle tre società o che l’odierno ricorrente fosse l’unico titolare di un’unica impresa occultata sotto lo schermo di tre diverse società ed ha pertanto rilievo decisivo, nei limiti che seguono.
5.2. Costituiscono dati pacifici l’esistenza di tre società (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE), la qualità, in capo al ricorrente, di socio al 50% della RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE e l’esistenza di una delega ad operare sui conti correnti di tutte e tre le società.
Questa Corte ha precisato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, legittimamente l’amministrazione finanziaria, nel procedere alla ricostruzione del reddito del contribuente, utilizza dati derivanti da movimenti bancari relativi a conti intestati a terzi (senza necessità di contestare tali dati al contribuente o al terzo), purché fornisca in giudizio la prova, anche presuntiva, che detti movimenti bancari, formalmente intestati al terzo, siano in realtà attribuibili al contribuente. (Cass. n. 4423/2003). Anche in tema di Iva, questa Corte ha chiarito che l’art. 51, secondo comma, nn. 2 e 7 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – che accorda all’ufficio il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione – non trova applicazione con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, ancorché legate al contribuente da vincoli familiari o commerciali, salvo che l’ufficio opponga e poi provi in sede giudiziale che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque è superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti.( Cass. n. 8826/2001, Cass. n. 11145/2011).
5.3.Pertanto, in caso di conti correnti formalmente intestati a terzi ( RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, il compimento di operazioni in virtù di una delega ad operare sugli stessi, non fa presumere di per sè la qualità di intestatario reale dei conti correnti, non essendo a tal fine sufficiente l’esistenza di una delega/potere di firma unitamente al rapporto di parentela con i soci delle (altre due) società, in difetto di ulteriori indizi da cui dedurre la concreta
disponibilità del conto e degli importi movimentati (Cass. n. 3597/2016) e, per il caso che ci occupa, di una concreta partecipazione alla gestione delle altre due società mediante l’esercizio di poteri decisionali e di controllo, a maggior ragione in considerazione della circostanza, emersa nel giudizio di merito, dell’emissione di analogo avviso di accertamento nei confronti di COGNOME NOME, socio della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, pure in possesso di delega per operare sui medesimi conti correnti.
5.4 Tuttavia, questa Corte ha anche più volte statuito che il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio e, pertanto, il giudice tributario, quando ritiene invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale, e non meramente formali, è tenuto a esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (Cass. n.31827/2024). Il processo tributario, infatti, è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia, eventualmente, dell’avviso di accertamento o di rettifica dell’ufficio, sicché il giudice, ove ritenga in tutto o in parte invalido l’atto per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad accertare genericamente la debenza dell’imposta demandandone la sua successiva quantificazione ad una parte del giudizio, sia pure sulla base di alcuni criteri, atteso che l’art. 35, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, come interpretato alla luce degli artt. 111 Cost., 6 CEDU e 47 CDFUE, esclude la pronuncia di condanna indeterminata, rendendo necessario l’esame nel merito della pretesa, entro i limiti posti dalle domande di parte ( Cass. n.
34723/2022). E’ stato altresì precisato che il giudice tributario, nell’ambito di un processo a cognizione piena, diretto ad una decisione sostitutiva tendente all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, quando ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’Amministrazione, non deve, né può, limitarsi ad annullare “in toto” l’atto impositivo, ma deve accertare e quantificare entro i limiti posti dal “petitum” delle parti l’entità della pretesa fiscale, dandone un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dai contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c., in tal modo determinando l’ammontare effettivo delle imposte e delle sanzioni dovute dal contribuente, senza che ciò violi il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del “quantum” della pretesa tributaria ( Cass. n. 3080/2021).
5.5. Ne consegue che ha errato il giudice del gravame a non procedere alla rideterminazione del reddito di partecipazione, nei limiti della quota del 50%, con riferimento alle movimentazioni sul conto della società RAGIONE_SOCIALE, applicando i criteri di riparto dell’onere della prova scaturenti dall’art. 32 del d.p.r. 600/73, tenuto conto del consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui la presunzione di cui all’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 dettata in materia di imposte sui redditi (secondo la quale i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito di rapporti bancari, in difetto di indicazione del soggetto beneficiario o in mancanza di annotazione nelle scritture contabili, sono considerati ricavi o compensi posti a base delle rettifiche operate ai sensi degli artt. 38-41 dello stesso decreto, ove il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi
ovvero che tali somme rimangono escluse dalla formazione dell’imponibile), omologa a quella stabilita dall’art. 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di IVA, consente» di riferire a redditi (e, nel secondo caso, a ricavi) imponibili, conseguiti nell’attività economica svolta dal contribuente, tutti i movimenti bancari rilevati dal conto, qualificando gli “accrediti” (e, per le sole attività imprenditoriali, anche gli “addebiti”) come ricavi; trattasi di presunzione legale “juris tantum” che consente prova contraria da parte del contribuente ( cfr. Cass. n. 8718/2021).
5.6. Inoltre, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, va richiamato il consolidato orientamento di legittimità secondo cui è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti o che di essi se ne sia appropriato altro soggetto, non essendo tuttavia a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (cfr. Cass. V n. 5076/2011; n. 17928/2012; n. 27778/2017; n. 30069/2018; 27049/2019, nonché Cass. VI -5 n. 24820/2021). In particolare, si è chiarito che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass. 22 aprile 2009, n. 9519). E’ stato altresì precisato che, salvo prova contraria a carico del socio, si presume che la distribuzione sia avvenuta in misura proporzionata alla quota di partecipazione e nell’anno in cui sono stati conseguiti dalla società maggiori ricavi, stante che, in mancanza -trattandosi di utili occulti -di una deliberazione
ufficiale di approvazione del bilancio (soltanto dopo la quale può essere effettuata la distribuzione degli utili dichiarati), la distribuzione ai soci degli utili extracontabili si presume avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli utili sono stati conseguiti dalla società (ex multis, cfr. Cass. 18/12/2015, n. 25468; Cass. 26/03/2007, n. 7260; Cass. 15/05/2003, n. 7564).
La C.T.R. è pertanto incorsa nel vizio di extrapetizione laddove ha ritenuto che COGNOME NOME fosse l’unico titolare di un’unica impresa occulta, non essendosi con ciò meramente limitato a rideterminare l’entità della pretesa fiscale, dovendo piuttosto, in assenza di prova della qualità di socio unico della RAGIONE_SOCIALE e di socio occulto al 100% delle altre due società, procedere alla rideterminazione del reddito di partecipazione con riferimento alle operazioni compiute da COGNOME NOME sui conti correnti della RAGIONE_SOCIALE nei limiti della quota di partecipazione.
7.Il terzo motivo rimane assorbito.
8.Il ricorso va conclusivamente accolto per quanto di ragione, la sentenza cassata e rinviata alla Corte di giustizia di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per un nuovo e motivato esame, che tenga conto dei principi sopra illustrati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e quarto motivo di ricorso, rigettato il primo ed assorbito il terzo;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia per un nuovo esame alla C.G.T.2 della Campania, in diversa composizione, oltre che per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 3.6.2025.
Il consigliere estensore
Il Presidente
(NOME COGNOME
(NOME COGNOME)