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Utili extracontabili: la presunzione per le S.r.l.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15895/2024, ha confermato la legittimità della presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati in capo a una società di capitali a ristretta base partecipativa. L’organo giurisdizionale ha chiarito che spetta al socio contribuente fornire la prova contraria, dimostrando che tali maggiori ricavi siano stati reinvestiti o accantonati dalla società, senza che l’amministrazione finanziaria debba effettuare specifiche indagini sulla movimentazione bancaria del socio.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Utili extracontabili: la Cassazione conferma la presunzione di distribuzione ai soci

La gestione fiscale delle società a ristretta base partecipativa presenta delle peculiarità significative, specialmente quando emergono utili extracontabili. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 15895/2024) ha ribadito un principio fondamentale in materia: la presunzione di distribuzione di tali profitti non dichiarati ai soci. Questa decisione chiarisce l’ambito di applicazione di tale presunzione e le modalità con cui il contribuente può difendersi, delineando con precisione la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e socio.

I Fatti del Caso: l’accertamento fiscale al socio

Una contribuente, socia al 26% di una società a responsabilità limitata, si è vista notificare due avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2006 e 2007. L’Agenzia delle Entrate le imputava la percezione di redditi non dichiarati, derivanti da utili non contabilizzati dalla società. L’accertamento si fondava interamente sulla presunzione che, in una società con pochi soci, i profitti “in nero” vengano automaticamente distribuiti tra loro in proporzione alle quote di partecipazione.
La contribuente ha impugnato gli avvisi, sostenendo che l’Agenzia non avesse svolto alcuna indagine specifica per dimostrare l’effettiva percezione di tali somme da parte sua. In primo grado, la Commissione tributaria provinciale le ha dato ragione, ma la Commissione tributaria regionale ha ribaltato la decisione, ritenendo legittima la presunzione e invertendo l’onere della prova a carico della socia. Di qui il ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte: legittimità della presunzione sugli utili extracontabili

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della contribuente, consolidando l’orientamento giurisprudenziale in materia. I giudici hanno stabilito che la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati è pienamente legittima anche per le società di capitali, a condizione che abbiano una base partecipativa ristretta o familiare.

L’Onere della Prova a Carico del Socio

Il punto cruciale della decisione risiede nell’inversione dell’onere della prova. Una volta che l’amministrazione finanziaria ha accertato l’esistenza di maggiori ricavi non contabilizzati in capo alla società, non è tenuta a dimostrare anche l’effettiva dazione del denaro ai singoli soci. È la ristrettezza dell’assetto societario stesso il ‘fatto noto’ da cui scaturisce la presunzione. Questo assetto, caratterizzato da un elevato grado di compartecipazione e da un vincolo di solidarietà e reciproco controllo, rende altamente probabile che i soci siano a conoscenza e partecipi della distribuzione degli utili occulti. Spetta quindi al socio dimostrare il contrario.

Come Superare la Presunzione

Per vincere la presunzione, il socio deve fornire una prova concreta che gli utili non sono stati distribuiti. Non è sufficiente una mera allegazione o la semplice constatazione che l’esercizio sociale si sia ufficialmente chiuso in perdita. Il contribuente deve dimostrare, ad esempio, che i maggiori ricavi sono stati accantonati in ‘fondi neri’ oppure reinvestiti nell’attività aziendale, rimanendo nel patrimonio della società.

Le Motivazioni

La Corte ha specificato che questo meccanismo probatorio non costituisce una ‘presunzione di secondo grado’, vietata dalla legge. Il fatto noto non è l’accertamento induttivo del reddito della società, ma la struttura stessa della compagine sociale. La ristrettezza della base partecipativa implica una conoscenza approfondita degli affari sociali e una consapevolezza dell’esistenza di profitti non dichiarati, elementi che giustificano la presunzione di distribuzione. Inoltre, la Corte ha chiarito che non è necessario che l’Agenzia delle Entrate fondi l’accertamento su ulteriori elementi, come l’analisi dei conti correnti del socio o la verifica di acquisti di beni di lusso non giustificati dal reddito dichiarato. La presunzione, da sola, è sufficiente a sorreggere l’atto impositivo, salva la prova contraria offerta dal contribuente.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per i soci di società a responsabilità limitata a base ristretta. La trasparenza contabile e fiscale della società è la prima forma di tutela per il socio. In caso di accertamento di utili extracontabili, la posizione del socio diventa particolarmente delicata. La decisione della Cassazione conferma che la presunzione di distribuzione è un’arma efficace a disposizione del Fisco e che l’onere di dimostrare un diverso utilizzo di tali somme ricade interamente sul contribuente, il quale dovrà fornire prove concrete e circostanziate per evitare la tassazione dei redditi presuntivamente percepiti.

In una società di capitali a base ristretta, gli utili extracontabili si presumono distribuiti ai soci?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, è legittima la presunzione semplice secondo cui gli utili extracontabili accertati in capo a una società di capitali a ristretta base partecipativa sono attribuiti ai soci in proporzione alle rispettive quote.

Su chi ricade l’onere di provare che gli utili non sono stati distribuiti?
L’onere della prova ricade interamente sul socio contribuente. Una volta che l’Agenzia delle Entrate ha accertato l’esistenza dei maggiori ricavi per la società, spetta al socio dimostrare che tali somme non sono state distribuite, ma, ad esempio, accantonate o reinvestite nell’azienda.

L’Agenzia delle Entrate deve provare l’effettiva percezione del denaro da parte del socio, ad esempio tramite indagini bancarie?
No. La Corte ha chiarito che non è necessario che l’accertamento nei confronti del socio sia fondato su ulteriori elementi di riscontro, come l’analisi delle movimentazioni bancarie o l’acquisto di beni di valore. La presunzione che nasce dalla ristrettezza della base societaria è di per sé sufficiente a fondare l’accertamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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