Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31932 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31932 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5224/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME per procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– resistente – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 1353/2015, depositata in data 10/09/2015, non notificata;
udita la relazione tenuta nell’adunanza camerale del 14 novembre 2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME e NOME COGNOME, soci della RAGIONE_SOCIALE, impugnarono gli avvisi di accertamento rispettivamente notificatigli con i quali, in relazione a ll’anno di imposta 2007, era stato loro contestato un maggior reddito imponibile (in conseguenza dell’accertamento di maggior reddito della società e sulla base della presunzione di distribuzione di utili extrabilancio, trattandosi di una società a ristretta base).
La Commissione tributaria provinciale di Padova (CTP), dopo averli riuniti, accolse i ricorsi, sul presupposto che la stessa CTP, per l’anno di imposta 2006 e 2007, aveva accolto analoghe impugnazioni.
L’Ufficio propose appello che la CTR accolse, richiamando l’analoga decisione degli stessi giudici d’appello, sentenza n. 126/2015, imputando loro il maggior imponibile sulla base del maggior imponibile accertato alla società, tenendo conto del valore degli immobili in base a ll’importo dei mutui erogati per il loro acquisto.
I contribuenti NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L ‘Agenzia delle Entrate ha depositato tardivo atto di costituzione al fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione .
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 14 novembre 2024.
Ragioni della decisione
Occorre premettere che NOME COGNOME ha depositato domanda di definizione agevolata, relativa all’avviso di accertamento opposto, ai sensi dell’art. 1, commi 186 e ss., della legge n. 197 del 202, unitamente alla prova del pagamento delle prime rate.
Si tratta di documentazione idonea alla pronuncia di estinzione, in relazione al detto avviso nei confronti di NOME COGNOME
Infatti, a i sensi dell’art. 1, commi 197 e 198, della predetta legge, come modificati dall’art. 20, comma 1, lett. c), d.l. n. 34/2023, il contribuente che intende aderire alla definizione agevolata delle controversie pendenti ha l’onere di depositare, entro il 10 o ttobre 2023, presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia, copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata e, in tal caso, il processo è dichiarato estinto con decreto del presidente della sezione o con ordinanza in camera di consiglio se è stata fissata la data della decisione. Le spese del processo restano a carico della parte che le ha anticipate .
Ai sensi dei commi 200 e 201 dell’art. 1 cit. «L’eventuale diniego della definizione agevolata deve essere notificato entro il 31 luglio 2024 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego è impugnabile entro sessanta giorni dalla notificazione del medesimo dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. Nel caso in cui la definizione della controversia è richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale può essere impugnata dal contribuente unitamente al diniego della definizione entro sessanta giorni dalla notifica di quest’ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine» (comma 200).
Ancora, per i processi dichiarati estinti ai sensi del comma 198, l’eventuale diniego della definizione è impugnabile dinanzi all’organo giurisdizionale che ha dichiarato l’estinzione. Il diniego della definizione è motivo di revocazione del provvedimento di estinzione pronunciato ai sensi del comma 198 e la revocazione è chiesta congiuntamente all’impugnazione del diniego. Il termine per impugnare il diniego della definizione e per chiedere la revocazione è di sessanta giorni dalla notificazione di cui al comma 200 (comma 201).
Infine, va evidenziato che la domanda e il pagamento trovano corrispondenza nell’elenco trasmesso dall’Agenzia delle entrate e di cui all’art. 40, comma 3, del d.l. 13 del 2023, conv. in l. n. 41 del 2023, che prevede che Al fine di conseguire gli obiettivi di riduzione del numero dei giudizi pendenti dinnanzi alla Corte di Cassazione di cui alla Riforma 1.7 “Giustizia tributaria” della Missione 1, Componente 1, Asse 2, del Piano nazionale di ripresa e resilienza mediante la riduzione dei tempi per la dichiarazione di estinzione dei giudizi di legittimità ai sensi dell’articolo 1, comma 198, della legge 29 dicembre 2022 n. 197 e dell’articolo 391 del codice di procedura civile, l’Agenzia delle entrate, fermi restando gli oneri posti a carico del contribuente, provvede a depositare entro il 31 ottobre 2023 presso la cancelleria della Corte di cassazione un elenco delle controversie per le quali è stata presentata domanda di definizione, con l’indicazione dei relativi versamenti previsti dal comma 197 del medesimo articolo 1 .
Il ricorso va invece esaminato in riferimento alla posizione di NOME COGNOME.
Con il primo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., questi deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 24, comma 4, lett. f), e comma 5, della l. n. 88/2009, per avere il giudice di merito adottato un parametro valutativo che non ha alcun riscontro oggettivo e che risulta vietato dall’abrogazione dell’art. 35, comma 23 -bis , d.l. n. 223/2006.
2.1. Il motivo non è fondato, come già evidenziato da Cass. 31/07/2023, n. 23307, relativa ad altro anno di imposta, richiamando i principi riassunti da Cass. 16/01/2023, n. 1155.
L’art. 54, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 (lo stesso principio valeva per l’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973), dopo il d.l. n. 223 del 2006, prevedeva che «per le cessioni aventi ad oggetto i beni
immobili e relative pertinenze, la prova di cui al precedente periodo s’intende integrata anche se l’esistenza delle operazioni imponibili o l’inesattezza delle indicazioni di cui al secondo comma sono desunte sulla base del valore normale dei predetti beni, determinato ai sensi dell’articolo 14 del presente decreto». Inoltre, l’art. 35, comma 23-bis, del d.l. n. 223 del 2006, convertito in l. n. 248 del 2006, prevedeva che «per i trasferimenti immobiliari soggetti ad IVA finanziati mediante mutui fondiari o finanziamenti bancari, ai fini delle disposizioni di cui all’articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1972, n. 633, terzo comma, ultimo periodo, il valore normale non può essere inferiore all’ammontare del mutuo o finanziamento erogato».
Sussisteva, quindi, una presunzione legale relativa di corrispondenza tra il valore normale dei beni immobili ceduti calcolato ai fini dell’imposta di registro e quello reale.
L’art. 1, comma 265, della l. n. 244 del 2007, in vigore dal 1° gennaio 2008, ha stabilito che le presunzioni legali relative, legate al valore normale, si applicavano soltanto per gli atti formati a decorrere dal 4 luglio 2006, mentre per gli atti formati anteriormente valevano, agli effetti tributari, come presunzioni semplici.
Successivamente l’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009 (legge comunitaria del 2008) ha modificato sia l’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 sia l’art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972, eliminando le disposizioni introdotte con l’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, con la conseguente previsione di una presunzione semplice, seppure corroborata dalla gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi’; con tale intervento è stato così ripristinato il quadro normativo anteriore al luglio 2006, con la soppressione della presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, sicché il giudice può desumere l’esistenza di attività non dichiarate anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti
(Cass. 12/04/2017, n. 9474, in cui si evidenzia l’effetto retroattivo della legge comunitaria).
Questa Corte, con pronunce cui si intende dare seguito, ha affermato, sul punto, che, in seguito alla sostituzione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera dell’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea, ha eliminato la presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta «anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti»), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti.
Tale mutato quadro normativo non impedisce al giudice tributario di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e di gravità, elemento che non può tuttavia, essere costituito dai soli valori OMI, che devono essere corroborati da ulteriori indizi, onde non incorrere nel divieto di presumptio de presumpto (così, Cass. 08/03/2022, n. 7445; Cass. 25/01/2019, n. 2155; sui valori OMI, cfr. Cass. 12/04/2017, n. 9474; Cass. 04/11/2020, n. 24550; Cass. 20/02/2020, n. 4410 per la retroattività scaturente da finalità di adeguamento al diritto comunitario; Cass. 21/12/2016, n. 26487).
Del resto, l’importo del mutuo erogato, superiore al prezzo dichiarato nell’atto, è idoneo a fondare l’accertamento (Cass.
27/10/2020, n. 23538; Cass. 10/10/2019, n. 25510; Cass. 24/08/2017, n. 20378; Cass. 21/12/2016, n. 26487).
I l primo motivo dev’essere, pertanto, rigettato, avendo la CTR fondato la propria decisione sulla condivisione delle ragioni esposte dalla stessa CTR nella sentenza n. 126/2015, e quindi non già esclusivamente in base alle mere risultanze dei valori OMI ma in base all’importo del mutuo erogato. Giova appena precisare che la sentenza n. 126/2015 della CTR, richiamata nella sentenza impugnata, è stata confermata da Cass. n. 23307/2023, sopra richiamata.
Con il secondo motivo di ricorso, relativo alla questione della distribuzione degli utili in favore dei soci, si deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2729 cod. civ. per avere la CTR fatto un errato uso del ragionamento presuntivo, al cospetto di una compagine sociale intercorrente tra soggetti non legati da alcuna parentela né da rapporto di complicità, in quanto nessuno di essi ha il controllo integrale sull’amministrazione e quindi (..) fruisce dei relativi vantaggi anche indebiti .
3.1. Il motivo non è fondato.
E’ consolidato orientamento di questa Corte quello per cui, in caso di società a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati in capo alla società, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati, ovvero reinvestiti (tra le tante Cass. 04/04/2022, n. 10679; Cass. 22/02/2023, n. 5567).
Il fondamento logico della costruzione giurisprudenziale si rinviene nella «complicità» che normalmente avvince un gruppo societario composto da poche persone, sicché vi è la presunzione che gli utiliextracontabili siano stati distribuiti ai soci, nel corso dello stesso
esercizio annuale, salva la prova contraria a carico del contribuente (Cass. 26/05/2008, n. 13485; Cass. 22/02/2023, n. 5567).
Il fatto noto, che sorregge la distribuzione degli utili extracontabili, non è costituito dalla sussistenza di questi ultimi, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass. 19/03/2015, n. 5581).
Si è chiarito, pertanto, che non è configurabile nel sistema processuale un divieto di presunzioni di secondo grado, non essendo lo stesso riconducibile agli artt. 2729 e 2697 cod. civ. né ad altre norme; è ben possibile che il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituisca la premessa di un’ulteriore presunzione, ferma restando la necessità di valutare in concreto l’attendibilità del risultato, in termini di gravità, precisione e concordanza idonee a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. 29/10/2020, n 23860; Cass. 21/12/2022, n. 37361; Cass. 22/04/2009, n. 9519).
Infine, è legittima l’applicazione, alle società di capitali a ristretta base partecipativa, della presunzione di distribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili anche in assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica di per sè un elevato grado di compartecipazione dei soci, la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di utili extrabilancio (Cass. 18/11/2014, n. 24572).
Pertanto, in mancanza di prova specifica sulla mancata distribuzione degli utili, correttamente il giudice di appello ha confermato la legittimità degli avvisi emessi nei confronti dei soci.
Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 47 d. P.R. n. 917 del 1986, per avere escluso l’applicazione, agli utili della cui distribuzione si tratta, del regime di tassazione ivi previsto.
4.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha affermato che, quando viene contestata, in caso di società a ristretta base partecipativa, la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, non è applicabile il disposto di cui al citato art. 47, attenen do quest’ultimo alla tassazione degli utili distribuiti ai soci con delibere formali dell’assemblea e non essendo, pertanto, estensibile ai redditi extracontabili, non menzionati nella contabilità societaria; si è precisato, sul punto, che l’art. 47, laddove dispone che, «salvi i casi di cui all’art. 3, comma 3, lett. a), gli utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione dalle società , anche in occasione della liquidazione, concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo limitatamente al 40 per cento del loro ammontare», riguarda la modifica attuata con il d.lgs. n. 344 del 2003, sicché il sistema impositivo degli utili da partecipazione è stato caratterizzato dall’abrogazione del metodo del credito d’imposta sui dividendi e del sistema di imputazione e dall’adozione di un sistema di parziale esclusione della tassazione degli utili, al fine di mitigare gli effetti della doppia imposizione economica, in quanto gli utili distribuiti sono stati già tassati in capo alla società che li ha prodotti. Al contrario, nel caso in esame, trattandosi di utili c.d. «in nero», mai pervenuti nella contabilità societaria, non vi è alcun obbligo di mitigare una doppia imposizione che non v’è mai stata, non avendo la società mai dichiarato i medesimi (Cass. 19/11/2020, n. 26317; Cass. 23/12/2019, n. 34282 nonché, da ultimo, Cass. 22/02/2023, n. 5567)
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. si deduce l ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia, sul presupposto della condivisione delle ragioni esposte da CTR n. 126/2015 e che non può ritenersi soddisfatto l’obbligo motivazionale laddove la motivazione si ritiene assolta con io rimando
a norme abrogate o ‹‹ rimando ad una tavola sinottica (..) che riproduce valori inutilizzabili ›› .
Il motivo è inammissibile, atteso che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. 03/03/2022, n. 7090; si veda anche Cass. 01/03/2022, n. 6758, alla cui stregua ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture).
Nel caso di specie, inoltre, la motivazione non si limita a richiamare l ‘ ulteriore decisione della CTR relativa alla società ma ne riporta anche sinteticamente le ragioni.
Pertanto, dichiarato estinto il giudizio in relazione al ricorso di NOME COGNOME (le cui spese rimangono a carico di chi le ha
anticipate), va invece respinto il ricorso di NOME COGNOME (senza pronuncia sulle spese alla luce del mancato svolgimento di attività difensiva dell’Agenzia delle entrate).
P.Q.M.
dichiara estinto il giudizio nei confronti di NOME COGNOME rigetta il ricorso di NOME COGNOME
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.p.r. n. 115/2002 (inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente soccombente NOME COGNOME, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma in data 14 novembre 2024.