Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27798 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27798 Anno 2025
Presidente: LA COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8691/2018 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO n. 573/2018 depositata il 02/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/09/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE ( hinc: CTR), con la sentenza n. 573/2018 depositata in data 02/02/2018, ha accolto l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 816/2015, con la quale la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE provinciale di RAGIONE_SOCIALE aveva accolto il ricorso proposto da COGNOME NOME ( hinc: il contribuente) contro l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2009, con il quale erano stati imputati al contribuente redditi da partecipazione, in quanto socio al 100% della società RAGIONE_SOCIALE
Ai fini del presente giudizio merita evidenziare che la CTR ha ritenuto, in primo luogo, infondata l’eccezione di carenza di legittimazione attiva del funzionario che ha sottoscritto l’atto. Il giudice di seconde cure -richiamato il contenuto dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 (secondo il quale l’atto deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato) ed evidenziato che tra i funzionari della carriera direttiva rientrano quelli della terza area di cui al comparto per le agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005 -ha ritenuto che non è rilevante che i funzionari (deleganti e delegati) rivestano la qualifica dirigenziale. Di conseguenza, la sorte degli atti impositivi formati anteriormente a C. cost. n. 37 del 2015, sottoscritti da soggetti che rivestivano funzioni di capo dell’ufficio o da funzionari della carriera direttiva appositamente delegati -e dunque da soggetti idonei a esprimere la volontà dell’amministrazione ex a rt. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 nei rapporti esterni -non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita per effetto della disposizione di cui all’art. 8, comma 24, d.l. n. 16 del 2012.
2.1. In secondo luogo, la CTR ha evidenziato che, in tema di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, in caso di società di capitali a ristretta base sociale è legittima la presunzione di distribuzione ai
soci degli eventuali utili extracontabili accertati, impregiudicata la prova che gli utili extracontabili non siano stati distribuiti per essere stati accantonati o reinvestiti dalla società. Nella specie non era stata fornita la prova da parte del contribuente.
2.2. La CTR ha precisato, infine, che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili non viola il cd. divieto di doppia presunzione, in quanto il reddito della società, una volta accertato, diviene non una presunzione, ma un dato certo, su cui si innesca la diversa presunzione che riguarda non la società, ma gli altri soggetti.
Contro la sentenza della CTR il contribuente ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 42, commi 1 e 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 17, comma 1 -bis, d.lgs. n. 165 del 2001, con riferimento all’eccepita illegittimità della delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento.
1.1. Il ricorrente rileva di aver eccepito, sin dal primo grado di giudizio, la nullità dell’avviso di accertamento impugnato, perché sottoscritto non dal Direttore RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE (NOME COGNOME), ma da un altro nominativo (NOME COGNOME). Con la disposizione di servizio n. 37/2013 depositata dall’ufficio in primo grado il Direttore RAGIONE_SOCIALE si è, tuttavia, limitato a delegare la firma degli accertamenti dal Capo Ufficio, Capo Area, Capo Team, senza indicazione del nominativo e RAGIONE_SOCIALE ragioni della delega, nonché della sua efficacia temporale. Riporta, quindi, a pag. 3 ss. le eccezioni sollevate sul punto nei precedenti gradi di giudizio.
1.2. Il ricorrente rileva che non è pertinente il richiamo alla questione dei falsi dirigenti senza concorso decisa da C. cost. n. 37 del 2015, trattandosi di questione mai sollevata dal contribuente. In ogni caso non può essere dato nessun rilievo alla documentazione dalla quale risulta che il AVV_NOTAIO NOME COGNOME, delegato, appartenesse alla terza area e che sia stato nominato Capo Ufficio Controlli. Tale documentazione non può, infatti, integrare e/o supplire alla successiva disposizione di servizio n. 27/2013, quanto meno perché non è richiamata all’interno della stessa. Rileva, poi, che la delega, secondo quanto previsto dalle norme poste a fondamento del motivo di ricorso, non può essere generica, ma deve essere nominativa e motivata con riferimento alle specifiche e comprovate ragioni di servizio e deve essere temporalmente limitata. Richiama, a sostegno RAGIONE_SOCIALE sue argomentazioni Cass., 09/11/2015, n. 22803; Cass., 11/12/2015, n. 25017; Cass., 23/05/2017, n. 12960; Cass., 23/06/2017, n. 15781; Cass., 12/07/2017, n. 17196 e Cass., 01/08/2017, n. 19130.
1.3. Il ricorrente rileva, poi, che la disposizione di servizio, motivata dalla necessità di « ottimizzare l’azione amministrativa in termini di efficienza, efficacia e trasparenza» è anche carente di motivazione, non essendo evidenziata nessuna RAGIONE_SOCIALE motivazioni indicate nella giurisprudenza di legittimità (carenza di personale, assenza, vacanza, malattia), integrando un’ipotesi di motivazione apparente. Tanto è vero che la stessa motivazione viene usata per tutte le disposizioni di servizio emesse dallo stesso ufficio di RAGIONE_SOCIALE.
1.4. Il motivo di ricorso è infondato. Come risulta anche dalla sintesi finale (pag. 9 ricorso in cassazione), viene contestata la mancanza di indicazione nominativa del delegato, di riferimenti temporali e dell’indicazione RAGIONE_SOCIALE ragioni della delega. Nessuno di tali elementi, secondo la più recente giurisprudenza, è necessario ai fini
della validità della delega e, conseguentemente, dell’atto impositivo sottoscritto dal funzionario delegato. La delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita, ai sensi dell’art. 42, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973, dal dirigente a un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente, avendo natura di delega di firma e non di funzioni, realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna con l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che non è applicabile la disciplina dettata per la delega di funzioni di cui all’art. 17, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 (Cass., 02/08/2024, n. 21839). Il conferimento della delega non richiede né l’indicazione del nominativo del soggetto delegato, né del termine di validità, poiché tali elementi possono essere individuati anche mediante ordini di servizio, idonei a consentire ex post la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto (Cass., 05/08/2024, n. NUMERO_DOCUMENTO).
Con il secondo motivo è stata denunciata , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 5 e 44 d.P.R. n. 917 del 1986, nonché degli artt. 2727-2729 e 2909 cod. civ., in merito alla presunta distribuzione al socio di maggiori ricavi accertati dalla società.
2.1. Con tale motivo di ricorso -richiamando le eccezioni già sollevate nei precedenti gradi di giudizio (v. pag. 10 ss. del ricorso in cassazione) -il ricorrente rileva che, nelle società a ristretta base sociale, la presunzione di attribuzione degli utili extracontabili ai soci viola l’art. 5 t.u.i.r., che riferisce, ai soli soci della società di persone, la presunzione di percezione degli utili, ancorché non distribuiti. Con riferimento alle società di persone il reddito conseguito dalla società (e anche il maggior reddito accertato) va, quindi, imputato ai soci, anche se gli utili non vengono distribuiti. Diversamente, nelle società
di capitali, l’art. 44 t.u.i.r. non prevede alcuna presunzione di distribuzione degli utili fra i soci, dal momento che gli utili concorrono alla formazione dell’imponibile solo se effettivamente percepiti. Ad avviso di parte ricorrente ammettere che anche il maggior reddito accertato in capo alle società di capitali possa essere attribuito in proporzione ai soci indipendentemente dall’aver fornito la prova dell’effettiva percezione, significherebbe estendere la portata applicativa dell’art. 5 t.u.i.r., in modo da equiparare in modo inammissibile la posizione dei soci RAGIONE_SOCIALE società di persone a quella dei soci RAGIONE_SOCIALE società di capitali. Inoltre, il regime di trasparenza previsto per le società di capitali dal d.lgs. 12/12/2003, n. 344 (con decorrenza dal 01/01/2004) rappresenta un meccanismo impositivo attivabile solo su opzione e in presenza di specifiche condizioni.
2.2. Il ricorrente rileva, poi, che gli elementi posti a fondamento della presunzione relativa alla distribuzione degli utili extracontabili ai soci in caso di società a ristretta base sociale, lungi dal corrispondere al paradigma delineato dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., poggia su elementi assolutamente inidonei ad acclarare ciò che con tale presunzione si intenderebbe provare. La ristretta base societaria costituisce, infatti, un mero indizio, su cui è anche possibile fondare il ragionamento presuntivo che giunge al fatto ignoto dell’effettiva distribuzione degli utili, ma detto ragionamento può essere ritenuto corretto solo in quanto tenga conto di tutti gli elementi della fattispecie esaminata.
2.3. La ristretta base sociale, del resto, costituisce un dato di fatto che non consente «di per se stesso» di trarre «univoca» o comunque «più probabile» la conclusione che gli utili societari non dichiarati siano stati effettivamente distribuiti ai soci. Sono infatti, ipotizzabili, con diverso grado di probabilità, altre conclusioni, come la creazione di riserve occulte, la destinazione RAGIONE_SOCIALE disponibilità ad
altri usi, la possibilità di appropriazione degli utili da parte di chi amministra, non socio, né legato a rapporti di parentela e, infine, la destinazione degli utili alla creazione di fondi neri.
2.4. Infine, il ricorrente evidenzia che la presunzione di distribuzione degli utili occulti dovrebbe essere sorretta da un’altra e ulteriore presunzione, cioè quella di imputazione del reddito ai soci in un periodo d’imposta piuttosto che in un altro. Se infat ti è possibile che il reddito sia imputato ai soci nello stesso anno d’imposta in cui sono stati accertati maggiori utili extracontabili nei confronti della società, è altrettanto possibile -e anzi più probabile -che i reddito sia imputato all’anno succe ssivo, considerato che i bilanci della società sono chiusi al 31 dicembre e solo successivamente all’approvazione di tali bilanci è possibile la distribuzione degli eventuali utili extracontabili.
2.5. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
In via preliminare occorre rilevare che, secondo questa Corte, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (Cass., 24/01/2019, n. 1947).
2.6. Ciò premesso, in primo luogo, occorre rilevare che il ricorrente sovrappone, impropriamente, fattispecie distinte, come quella che, in base all’art. 5 t.u.i.r., disciplina l’imputazione di reddit i (dichiarati) RAGIONE_SOCIALE società di persone direttamente ai soci secondo il
principio di trasparenza con la presunzione di ripartizione degli utili nelle società a ristretta base sociale. Come condivisibilmente rilevato, la disposizione dell’art. 5 t.u.i.r. (« i redditi RAGIONE_SOCIALE società semplici, in nome collettivo ed in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili» ) implica che le società di persone non presenti no un’autonoma soggettività RAGIONE_SOCIALE ai fini dell’IRPEF, ma siano considerate uno strumento di produzione di un reddito di pertinenza dei soci. Tale modello non integra, quindi, una distribuzione presuntiva degli utili, ma realizza, piuttosto, una vera e propria immedesimazione tra società e soci, con la prima che assurge a mero centro di riferimento per la determinazione del reddito imputato ai secondi.
Il meccanismo descritto dall’art. 5 t.u.i.r. è funzionale all’individuazione del soggetto passivo dell’imposta in caso di redditi prodotti attraverso le società di persone. Tale situazione non può essere impropriamente sovrapposta all’ipotesi di accertamento della percezione di utili extracontabili da parte dei soci di una società di capitali (Cass., 23/02/2024, n. 4861). La stessa ricorrente nella prima pagina del ricorso evidenzia che, dapprima, è stato emesso un avviso di accertamento nei confronti della società relativo all’anno d’imposta 2009, con il quale è stato rideterminato il reddito con metodo induttivo ex art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973. Successivamente, e in forza di tale accertamento, è stato notificato al sig. COGNOME NOME un accertamento con il quale gli venivano imputati gli utili extacontabili.
La questione relativa alla percezione di utili extracontabili da parte dei soci di società di capitali a ristretta base sociale (o come nel caso di specie con un unico socio) non riguarda l’imputazione
diretta del reddito prodotto dalla società (che presenta, sotto tale profilo, una soggettività formale distinta da quella dei soci), ma la percezione da parte dei soci di utili extracontabili . Quest’ultima integra, quindi, il presupposto oggettivo per il sorgere dell’obbligazione RAGIONE_SOCIALE, conseguenziale e allo stesso tempo distinto dalla produzione di ricavi (direttamente imputati e) non dichiarati da parte della società a ristretta base sociale.
Non è neppure corretto il richiamo al regime di trasparenza introdotto dal d.lgs. 12/12/2003, n. 344, in quanto il problema, in caso di ripresa a tassazione degli utili extracontabili, non è riconducibile al tipo di regime fiscale prescelto dal contribuente, quanto al fatto che gli utili extracontabili non sono stati dichiarati e sono stati sottratti a imposizione. Di conseguenza, la presunzione -in caso di società a ristretta base sociale -è volta a dare la prova di chi li abbia percepiti , realizzando il presupposto per l’applicazione dell’imposta a cui si è indebitamente sottratto.
2.7. In secondo luogo, anche il ragionamento prospettato dalla ricorrente a pag. 14 del ricorso in cassazione (« la ristretta base societaria costituisce infatti un mero ‘indizio’ su cui è anche possibile fondare il ragionamento presuntivo che giunge al fatto ignoto dell’effettiva distribuzione degli utili, ma detto ragionamento può essere ritenuto corretto solo in quanto tenga conto di tutti gli elementi della fattispecie esaminata …» ) non tiene conto del fatto che nel caso di specie il ricorrente è l’unico socio della società a responsabilità limitata dalla cui attività sono scaturiti gli utili extracontabili. Tale elemento rafforza addirittura la presunzione che scaturisce dalla ristretta base sociale della società, avallando, da un lato, la conclusione che l’unico soggetto che può avere percepito gli utili extracontabili sia il socio unico e ponendo a suo carico, dall’altro lato, la prova contraria circa la diversa destinazione degli stessi, in
relazione alle stesse evenienze ipotizzate a pag. 16 del ricorso (creazione di riserve occulte, destinazione RAGIONE_SOCIALE disponibilità ad altri usi, possibilità di appropriazione degli utili da parte di chi amministra), una volta che l’amministrazione finanziaria abbia assolto ai propri oneri probatori in ordine all’esistenza di utili extracontabili, avvalendosi della presunzione della cd. ristretta base sociale (Cass., 29/07/2024, n. 21158).
2.8. Non è, poi, condivisibile neppure quanto eccepito dal ricorrente a pag. 17 del ricorso in cassazione, con riferimento all’imputazione del reddito ai soci in un periodo d’imposta piuttosto che in un altro. Il ricorrente rileva, in particolare, che è possibile che tale imputazione sia possibile nello stesso anno in cui sono accertati i maggiori redditi nei confronti della società, ma che è altrettanto possibile che il reddito sia imputato nell’anno successivo, consid erato che i bilanci RAGIONE_SOCIALE società, solitamente, sono chiusi il 31 dicembre. Gli utili extracontabili non sono, infatti, inseriti né in contabilità, né in bilancio e -trattandosi di proventi non dichiarati e non contabilizzati -è evidente che la loro distribuzione non sia condizionata alle formalità che connotano gli utili regolarmente contabilizzati e risultanti dal bilancio approvato. Ne consegue ch e, una volta dimostrata dall’amministrazione finanziaria, anche attraverso il ricorso alla prova presuntiva, la distribuzione di utili extracontabili tra i soci di società a ristretta base sociale, la loro materiale percezione in un periodo di imposta diverso rispetto a quello in cui sono stati prodotti deve essere provata dai soci e non dall’amministrazione finanziaria.
2.9. Infine, con riferimento a quanto rilevato dal ricorrente nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. in ordine all’art. 7, comma 5 -bis, d.lgs. n. 546 del 1992, occorre dare continuità al recentemente orientamento di questa Corte, secondo il quale tale disposizione,
introdotta dall’art. 6 della l. n. 130 del 2022, essendo una norma di natura sostanziale e non processuale, si applica ai giudizi introdotti successivamente al 16 settembre 2022, data di entrata in vigore della legge predetta (Cass., 25/07/2024, n. 20816).
Con il terzo motivo di ricorso il contribuente, senza evocare un vizio ex art. 360, primo comma, cod. proc. civ., richiama il d.lgs. n. 158 del 2015, evidenziando che, in virtù del principio del favor rei, le sanzioni vanno diminuite, rilevando che si tratta di questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (compreso quello di legittimità), a condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia diventato definitivo.
3.1. Il motivo di ricorso -anche ove inteso a sollecitare il rilievo ex officio della questione sulla successione di leggi nel tempo -è inammissibile , dovendosi dare continuità all’orientamento di questa Corte secondo il quale in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015 non operano in maniera generalizzata in ‘favor rei’, rendendo la sanzione irrogata illegale, sicché deve escludersi che la mera deduzione, in sede di legittimità, di uno ‘ius superveniens’ più favorevole, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto, imponga la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, non solo in ragione della necessaria specificità dei motivi di ricorso ma, soprattutto, per il principio costituzionale di ragionevole durata del processo (Cass., 12/04/2017, n. 9505).
Nel caso di specie la parte ricorrente non ha fatto alcuna allegazione con riferimento alle circostanze del caso concreto, limitandosi a evocare la normativa di cui al d.lgs. n. 158 del 2015 e l’applicazione del cd. favor rei.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore del controricorrente
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.900,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 25/09/2025.
Il Presidente NOME COGNOME