LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Utili extracontabili: estraneità alla gestione sociale

Una socia al 50% di una S.r.l. a ristretta base è stata oggetto di un accertamento fiscale per utili extracontabili presuntivamente distribuiti. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16815/2025, ha stabilito un principio fondamentale: la prova dell’assoluta estraneità alla gestione sociale da parte del socio è sufficiente a vincere la presunzione di distribuzione degli utili. La Corte ha cassato la decisione precedente che riteneva irrilevante tale prova, affermando che se un socio dimostra di non avere alcun ruolo operativo, viene meno il fondamento logico della presunzione stessa.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 31 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Utili Extracontabili: l’Estraneità alla Gestione Sociale Salva il Socio

Nelle società di capitali a ristretta base, la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci rappresenta uno degli strumenti più efficaci per l’amministrazione finanziaria. Tuttavia, cosa accade se un socio è un mero detentore di quote, senza alcun potere decisionale o operativo? La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha chiarito che la prova rigorosa della propria estraneità alla gestione sociale costituisce una valida difesa per vincere tale presunzione, segnando un punto importante a favore del contribuente.

I Fatti di Causa: L’Accertamento Fiscale al Socio di Capitale

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a una contribuente, socia al 50% di una S.r.l. a base ristretta. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di una verifica fiscale sulla società che aveva portato all’accertamento di maggiori redditi per circa 190.000 euro (derivanti dal disconoscimento di costi per operazioni inesistenti), aveva presunto che tali utili non contabilizzati fossero stati distribuiti tra i soci. Di conseguenza, alla contribuente veniva richiesto il pagamento dell’IRPEF sulla sua quota presunta di utili, pari a oltre 95.000 euro per l’anno d’imposta 2011.

La socia ha impugnato l’atto, sostenendo di essere stata sempre completamente estranea alla gestione e alla vita della società, e che quindi la presunzione di distribuzione non poteva operare nei suoi confronti.

Il Percorso Giudiziario e l’Importanza dell’Estraneità alla Gestione Sociale

Il giudizio ha avuto esiti alterni nei primi due gradi. La Commissione tributaria provinciale aveva inizialmente dato ragione alla contribuente, riconoscendo la sua effettiva estraneità alla gestione. Successivamente, la Commissione tributaria regionale aveva riformato la decisione, aderendo a un orientamento più rigido secondo cui la mera non partecipazione alla gestione non fosse sufficiente a superare la presunzione, essendo necessaria la prova che gli utili fossero stati accantonati o reinvestiti dalla società. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della contribuente, concentrandosi sul quarto motivo, relativo alla violazione delle norme sulla prova e sulle presunzioni (artt. 2727, 2728, 2729 e 2697 c.c.). I giudici hanno ripercorso l’evoluzione della giurisprudenza in materia, evidenziando un consolidamento verso una tesi più favorevole al socio non operativo.

Il ragionamento della Corte si fonda su un presupposto logico: la presunzione di distribuzione degli utili in una società a ristretta base si giustifica sulla base di una massima di esperienza, secondo cui il numero esiguo di soci implica un elevato grado di compartecipazione e di controllo reciproco sugli affari sociali. Questo stretto legame rende plausibile che gli utili “in nero” vengano divisi.

Tuttavia, se un socio riesce a dimostrare, con prove precise e rigorose, la sua assoluta estraneità alla gestione sociale e alla vita stessa della società, questa massima di esperienza perde la sua base fattuale. In altre parole, viene meno proprio il presupposto logico su cui si fonda la presunzione. La Corte afferma che non si può più ritenere legittima la presunzione di distribuzione degli utili a favore di tutti i soci, quando uno di essi prova di essere stato un soggetto completamente passivo.

La Corte ha quindi cassato con rinvio la sentenza impugnata, specificando che la Commissione regionale aveva errato nel considerare irrilevante la prova dell’estraneità, che era stata peraltro data per acclarata.

Le conclusioni

Questa sentenza rappresenta un’importante affermazione di principio. Per i soci di società a ristretta base, specialmente quelli che sono semplici investitori di capitale o che detengono quote per ragioni familiari o fiduciarie senza avere un ruolo attivo, si apre una via di difesa concreta contro gli accertamenti fiscali basati sulla presunzione di distribuzione di utili extracontabili. Non è più indispensabile fornire la difficile prova della destinazione finale degli utili (accantonamento o reinvestimento), ma è sufficiente dimostrare in modo rigoroso la propria totale estraneità alla conduzione dell’impresa. Questo sposta l’onere della prova e richiede un’analisi più attenta della situazione di fatto, andando oltre l’automatismo presuntivo.

In una società a ristretta base, si presume sempre che gli utili non dichiarati siano distribuiti ai soci?
Sì, la giurisprudenza costante applica una presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci. Questa presunzione si basa sull’idea che il ridotto numero di soci comporti un controllo reciproco e una partecipazione diretta alla vita sociale, rendendo probabile la divisione dei profitti non contabilizzati.

Come può un socio difendersi da un accertamento fiscale basato su questa presunzione?
Secondo la sentenza, il socio può vincere la presunzione fornendo la prova contraria. Una via efficace è la dimostrazione, precisa e rigorosa, della propria assoluta estraneità alla gestione e alla conduzione societaria. Questa prova fa venir meno il fondamento logico della presunzione stessa.

È sufficiente per un socio dichiarare di non essere coinvolto nella gestione della società?
No, non è sufficiente una mera affermazione. La sentenza sottolinea che la prova dell’estraneità deve essere “precisa e rigorosa”. Ciò implica che il contribuente deve fornire elementi concreti e oggettivi che dimostrino la sua totale assenza di partecipazione alle attività decisionali e operative dell’azienda, superando la semplice titolarità formale delle quote.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati