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Utili extracontabili e presunzione di distribuzione

Un socio unico di una S.r.l. è stato oggetto di accertamento per l’imposta sul reddito personale, basato sulla presunzione di distribuzione degli utili non dichiarati della società, derivanti da costi non deducibili per operazioni inesistenti. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del socio, confermando la legittimità della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili nelle società a ristretta base partecipativa. La Corte ha ribadito che spetta al socio l’onere di provare che tali profitti non sono stati distribuiti, ma sono stati trattenuti o reinvestiti dalla società. Il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 6 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Utili extracontabili: La Cassazione sulla presunzione di distribuzione ai soci

La gestione fiscale delle società a ristretta base partecipativa presenta delle peculiarità che soci e amministratori devono conoscere a fondo. Una di queste riguarda la gestione degli utili extracontabili, ovvero quei profitti non registrati ufficialmente che, secondo una presunzione consolidata in giurisprudenza, si considerano distribuiti ai soci. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, chiarendo i confini dell’onere della prova a carico del contribuente.

I fatti di causa: L’accertamento fiscale alla società e al socio

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a una società a responsabilità limitata, con cui l’Agenzia delle Entrate contestava la deduzione di costi per operazioni ritenute inesistenti, recuperando a tassazione un maggior reddito di quasi tre milioni di euro. Parallelamente, veniva notificato un accertamento al socio unico della società, imputandogli, ai fini dell’imposta sul reddito personale (IRPEF), la percezione di un dividendo corrispondente a una parte di quegli utili non dichiarati.

Il contribuente impugnava gli atti, ottenendo un parziale accoglimento in primo grado. La Commissione Tributaria Regionale, tuttavia, riformava la decisione, respingendo gran parte delle doglianze del socio. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’analisi del ricorso e la presunzione degli utili extracontabili

Il ricorso del contribuente si basava su diversi motivi, tra cui la presunta illegittimità della presunzione di distribuzione dei profitti. La Corte Suprema ha rigettato integralmente il ricorso, cogliendo l’occasione per riaffermare alcuni principi cardine in materia.

La Corte ha stabilito che, nel caso di società di capitali con una ristretta base sociale, è legittima la presunzione (semplice) che eventuali utili extracontabili accertati vengano attribuiti ai soci. Questo perché il numero esiguo di soci implica un elevato grado di compartecipazione e conoscenza degli affari sociali, inclusa l’esistenza di fondi neri.

Di conseguenza, l’onere di fornire la prova contraria ricade sul socio. Egli deve dimostrare in modo concreto che i maggiori ricavi non sono stati oggetto di distribuzione, ma sono stati, ad esempio, accantonati o reinvestiti nell’attività aziendale. Secondo la Corte, non è sufficiente a tal fine la mera deduzione che l’esercizio sociale si sia concluso ufficialmente con una perdita contabile.

Inammissibilità di nuove doglianze in appello

Un altro aspetto rilevante della decisione riguarda la procedura. La Corte ha confermato la decisione dei giudici d’appello di dichiarare inammissibili le contestazioni del contribuente relative alla specifica operazione societaria (l’acquisto di piastrelle), in quanto sollevate per la prima volta in secondo grado. Il socio, infatti, non può addurre a propria discolpa l’ignoranza dei fatti societari per giustificare l’introduzione di nuove questioni in appello, avendo il diritto e il dovere di informarsi sulla gestione della società di cui detiene le quote.

le motivazioni

La Corte di Cassazione, con questa sentenza, consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza. La motivazione alla base della presunzione di distribuzione risiede nella logica e nell’esperienza comune: in una società con pochi soci, spesso legati da vincoli di fiducia o familiari, è altamente probabile che le decisioni sulla destinazione di profitti non dichiarati siano condivise e che tali fondi finiscano nelle tasche dei soci stessi. Questa presunzione allevia l’onere probatorio dell’amministrazione finanziaria, che altrimenti si troverebbe di fronte alla difficile, se non impossibile, prova di tracciare flussi di denaro non contabilizzati. Spetta quindi al contribuente, che è nella posizione migliore per farlo, fornire la prova documentale del reale impiego di tali somme all’interno della società.

le conclusioni

La pronuncia in esame rappresenta un importante monito per i soci di società a responsabilità limitata e, in generale, di tutte le società a ristretta base partecipativa. La responsabilità per gli utili extracontabili accertati in capo alla società può facilmente traslarsi a livello personale, con conseguenze fiscali significative. È pertanto essenziale non solo mantenere una contabilità trasparente e corretta a livello aziendale, ma anche essere in grado di documentare in modo inequivocabile che ogni risorsa economica della società sia stata gestita nell’interesse della stessa e non per finalità di arricchimento personale non dichiarato.

Quando si presume che gli utili extracontabili di una società siano stati distribuiti ai soci?
La presunzione scatta per le società di capitali con una ristretta base partecipativa (pochi soci). La stretta relazione tra i soci fa presumere che siano a conoscenza e partecipi della gestione degli utili non dichiarati.

Chi deve provare che gli utili extracontabili non sono stati distribuiti?
L’onere della prova spetta al socio contribuente. Egli deve dimostrare concretamente che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma sono stati accantonati o reinvestiti dalla società.

È sufficiente che il bilancio ufficiale della società sia in perdita per vincere la presunzione?
No. La sentenza chiarisce che il solo fatto che l’esercizio sociale si sia concluso ufficialmente con una perdita contabile non è una prova sufficiente per superare la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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