Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16812 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16812 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
Oggetto: Costi non deducibili Recupero a tassazione di maggior reddito di società – Presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16336/2019 R.G. proposto da COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME con il quale elettivamente domicilia in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente-
ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, Sezione Staccata di Brescia, n. 618/25/2019, depositata il 7 febbraio 2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
Udito per la ricorrente principale l’Avv. NOME COGNOME .
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento n. T9H03B105291/2016, con il quale l’Agenzia delle entrate accertava, per l’anno di imposta 2011, maggior reddito per complessivi Euro 2.757.144,00, derivante dalla contestazione di passività non deducibili in quanto attinenti ad operazioni inesistenti. In particolare, un primo rilievo riguardava l’inesistenza della fattura 3/2011 (di Euro 1.860.000,00), emessa dalla società RAGIONE_SOCIALE e relativa all’acquisto di piastrelle; un secondo rilievo atte neva all’inesistenza di costi pari ad Euro 1.361.465,00, di cui alle fatture emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE considerata soggetto non operante.
NOME COGNOME impugnava l’avviso di accertamento n. T9H01B105524/2016, con il quale veniva imputato al ricorrente, nella sua veste di socio al 100% delle quote della società RAGIONE_SOCIALE, a ristretta base, e, quindi, recuperato a tassazione, ai fini IRPEF per l’anno 20 11, il reddito pari ad Euro 1.370.852,00. Il contribuente eccepiva: a) il difetto di motivazione dell’avviso; b) la mancata dimostrazione della distribuzione degli utili.
La Commissione tributaria provinciale di Brescia, riuniti i ricorsi, li accoglieva in parte, annullando l’avviso di accertamento societario, in relazione al secondo rilievo (operazione RAGIONE_SOCIALE) e rideterminando, per l’effetto, il reddito del socio. Condannava, poi, i ricorrenti alla refusione delle spese di lite sostenute dall’Ufficio.
Il contribuente proponeva appello innanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, Sezione Staccata di Brescia,
ribadendo la doglianza relativa al difetto di motivazione degli avvisi di accertamento e deducendo la regolarità dell’acquisto delle piastrelle, in quanto il materiale era stato rivenduto nel corso dello stesso anno. Contestava, infine, la condanna alle spese disposta dalla CTP.
L’Ufficio si costituiva proponendo appello incidentale volto alla riforma della sentenza di primo grado nella parte a sé sfavorevole, ovvero al riconoscimento della falsità oggettiva dell’operazione RAGIONE_SOCIALE
La CTR ordinava l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE nelle more fallita; sebbene ritualmente evocata in giudizio, la curatela rimaneva contumace.
La CTR, preso atto dell’acquiescenza della società alla sentenza nella parte a sé sfavorevole, per effetto della mancata impugnazione, accoglieva solo in parte il gravame del contribuente, ovvero limitatamente alla statuizione sulle spese del primo grado, di cui disponeva la compensazione integrale.
Nel merito, rigettava nel resto l’appello principale ritenendo: a) congruamente motivato l’avviso di accertamento; b) inammissibile ex art. 57 d.lgs. n. 546/1992 e, comunque, infondata la doglianza, svolta per la prima volta in sede di gravame, relativa al recupero per la fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE; c) inammissibile ex art. 57 d.lgs. n. 546/1992 e, comunque, infondata la domanda, avanzata per la prima volta in sede di gravame, di storno dei ricavi derivanti dalla vendita a terzi del materiale di cui alla detta fattura; d) legittima, in quanto non superata dalla prova contraria, la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio al socio.
La CTR rigettava, altresì, l’appello incidentale dell’Ufficio, ritenendo validamente documentata l’effettività dell’acquisto immobiliare fatturato da RAGIONE_SOCIALE
Avverso la sentenza della CTR propone ricorso il contribuente, affidandosi a cinque motivi; replica con tempestivo
contro
ricorso, contenente ricorso incidentale, affidato a due motivi, il patrono erariale.
Fissata l’udienza pubblica per il 06/05/2025, il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dr. NOME COGNOME ha depositato memoria scritta con cui ha chiesto rigettarsi o dichiararsi inammissibili entrambi i ricorsi.
Il contribuente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Alla pubblica udienza del 06/05/2025 il Sostituto Procuratore Generale ha concluso riportandosi alla memoria; l’avvocato NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte, preliminarmente, rileva che il ricorso principale, così come quello incidentale, non risultano notificati alla curatela della RAGIONE_SOCIALE, rimasta contumace in appello (a seguito di ordine di integrazione del contraddittorio, emesso dalla CTR).
Ciò non osta alla definizione del presente giudizio.
Invero, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, «il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione “prima facie” infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o
inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti» (Cass. 21/05/2018, n. 12515; conf. Cass. 15/05/2020, n. 8980).
Nella specie, la società non impugnava il capo della sentenza della CTP a sé sfavorevole, ossia quello relativo all’acquisto delle piastrelle, capo sul quale si è formato il giudicato interno (come già precisato dalla CTR).
Come infra si vedrà, il ricorso incidentale dell’Ufficio (relativo all’altra ripresa) è manifestamente inammissibile, per cui non è necessario integrare il contraddittorio nei confronti della curatela della società.
Ciò posto, con il primo motivo di ricorso principale il contribuente lamenta la «violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 3 l. 241/1990 in riferimento all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.» per avere la CTR erroneamente ritenuto congrua la motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, che faceva riferimento ad altro avviso (emesso nei confronti della società) in corso di notifica.
Il motivo è inammissibile, oltre che infondato.
2.1. L’inammissibilità deriva da plurime ragioni, ciascuna idonea a fondare ex se la relativa declaratoria.
2.1.1. Sotto un primo profilo, il motivo sovrappone inestricabilmente nell’esposizione la violazione di legge e l’omesso esame di un fatto decisivo; integra, in altri termini, un motivo cd. coacervato, senza possibilità di distinguere (salvo quanto a breve si dirà infra ) i vari vizi sostanzialmente denunciati, anche in contrato logico tra loro, che danno luogo ad una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, con l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze
relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass, 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793) o a pretesi vizi processuali.
2.1.2. In secondo luogo, nel motivo non viene riportato, nemmeno per stralci, l’avviso impugnato. Tale carenza comporta l’inadempimento dell’onere di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., di specifica indicazione, a pena di inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (in generale, Cass. 29/7/2021, n. 21831; con specifico riferimento al processo tributario, Cass. 15/1/2019, n. 777 e Cass. 18/11/2015, n. 23575).
Detto onere -tra l’altro ribadito ed aggravato dalla riforma Cartabia mediante l’inserimento della necessaria illustrazione del contenuto rilevante degli atti processuali e dei documenti (ex art. 3, comma 27, d.lgs. n. 149/2022, applicabile tuttavia ai giudizi introdotti con ricorso notificato a partire dal 1° gennaio 2023) -interpretato anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU, sez. I, 28 ottobre 2021, r.g. n. 55064/11, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso non indichi specificamente i documenti o gli atti processuali sui quali si fondi, non ne riassuma il contenuto o ne trascriva i passaggi essenziali, o comunque non fornisca un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui essi siano stati prodotti o formati (Cass. Sez. U., 18/03/2022, n. 8950; Cass. 14/04/2022, n. 12259; Cass. 19/04/2022, n. 12481; Cass. 02/05/2023, n. 11325).
2.1.3. Infine, la doglianza è inammissibile nella misura in cui ha ad oggetto l’omessa ‘esame di un tema positivamente discusso e decisivo’ (pag. 4 del ricorso) ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ..
L’art. 360, comma primo, cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dal legislatore nel 2012 (d.l. 83/2012) ed applicabile ratione temporis , prevede, per quanto qui rilevi, che le sentenze emesse in grado di appello possono essere impugnate con ricorso per cassazione:
…5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Nonostante la ratio della riforma fosse chiara, ovvero, da un lato, evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, dall’altro, limitare il sindacato sul fatto in Cassazione, la formulazione della norma, molto criticata in dottrina, ha generato numerose questioni interpretative e questa Corte è stata chiamata a delimitare l’ambito di applicazione del motivo de quo .
In termini generali, si è affermato che è denunciabile, ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., solo l’anomalia motivazione che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», n el «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U. 7/4/2014 n. 8053, Cass. Sez. U. 21/12/2022 n. 37406, Cass. n. 12111/2019).
Al di fuori di queste ipotesi, quindi, è censurabile ai sensi del n. 5) soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso, che sia stato oggetto di discussione e che sia decisivo; di contro, non è più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti e ritenuti dal giudice di
merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. n. 2474/2017).
Per fatto decisivo deve intendersi innanzitutto un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o secondario, che sia processualmente esistente, in quanto allegato in sede di merito dalle parti ed oggetto di discussione tra le parti, che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e se preso in considerazione avrebbe determinato una decisione diversa (Cass. 13/04/2017, n. 9637, secondo cui non integra un fatto la supposta erroneità giuridica della pronunzia di tardività di un’eccezione ).
Pertanto, non costituiscono ‘fatti’ suscettibili di fondare il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., le argomentazioni o deduzioni difensive, il cui omesso esame non è dunque censurabile in Cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 (Cass. n. 9637/2021), né costituiscono ‘fatti storici’ le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass. 31/03/2022, n. 10525).
Nella specie, in presenza di una cd. doppia conforme (in relazione alla ripresa relativa alla fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE) era onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (ex multis , Cass. n. 8515/2020). A tale onere non ha adempiuto il ricorrente, per cui il motivo è inammissibile.
2.2. Il motivo è, in ogni caso, infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, invero, in materia di accertamento tributario di un maggior reddito nei confronti di una società di capitali, organizzata nella forma della
società a responsabilità limitata ed avente ristretta base partecipativa, e di accertamento conseguenziale nei confronti dei soci, l’obbligo di motivazione degli atti impositivi notificati ai soci è soddisfatto anche mediante rinvio “per relationem” alla motivazione dell’avviso di accertamento riguardante i maggiori redditi percepiti dalla società, ancorché solo a quest’ultima notificato, giacché il socio, ex art. 2476 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi ( ex multis , Cass. 20/01/2023, n. 1727).
Con il secondo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la «violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 57 d.lgs. 546/1992», per avere la CTR ritenuto inammissibile la doglianza, sollevata dal contribuente per la prima volta in appello, relativa alla ripresa di cui alla fattura di acquisto delle piastrelle.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., l’«omesso esame di fatti decisivi (ricavi inesistenti)» per avere la CTR omesso di esaminare i ‘rilievi sottoposti alla cognizione della Corte territoriale con l’atto di appello’ (pag. 7 del ricorso), in particolare l’allegazione in atti per cui tutte le operazioni intervenute fra la RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE erano state annullate dal punto di vista contabile e contabile, previo storno delle fatture; pertanto, la RAGIONE_SOCIALE aveva contabilizzato la fattura n. 3/2011, solo apparentemente rappresentativa di un ricavo.
I motivi, da esaminare congiuntamente in quanto giuridicamente e logicamente connessi, sono infondati.
5.1. Va, preliminarmente, evidenziato che il secondo motivo attinge la pronuncia in rito ( sub specie di inammissibilità) ed il terzo il rigetto nel merito della medesima doglianza svolta in sede di gravame circa l’illegittimità del recupero di imposta per la fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE
Ora, in tale ipotesi, secondo la giurisprudenza concorde di questa Corte (a partire da Sez. U. 20/02/2007, n. 3840 e fino alle più recenti Cass. n. 11675/2020, Sez. U. n. 2155/2021, Cass. n. 32092/2024) deve ritenersi che la decisione non sia sorretta da due autonome rationes decidendi (una in rito, una nel merito), bensì che vi sia stata consumazione della potestas decidendi del giudicante sulla questione di rito, ciò determinando la carenza d’interesse ad impugnare la statuizione nel merito (che deve ritenersi tamquam non esset ).
5.2. Ciò posto, il secondo motivo di ricorso deve ritenersi ammissibile, ma infondato; correttamente è stata ritenuta dalla CTR l’inammissibilità della doglianza svolta dal socio solo in sede di appello, atteso che, per le stesse osservazioni svolte in sede di rigetto nel merito del primo motivo, il socio non può addurre a giustificazione della proposizione solo in sede di appello di doglianze relative alla posizione della società la propria ignoranza circa i fatti societari (e l’avviso di accertamento spiccato nei confronti dell’ente); pertanto, correttamente è stata ritenuta nuova e perciò inammissibile la doglianza de qua .
5.3. Il terzo motivo va, invece, dichiarato inammissibile sia per quanto supra esposto sub § 5.1 sia perché in presenza di una cd. doppia conforme era onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (ex multis , Cass. n. 8515/2020); a tale onere non ha adempiuto il ricorrente.
Con il quarto motivo il contribuente denuncia, in relazione all’articolo 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16/2012» , ai sensi del quale non concorrono alla formazione della base imponibile i componenti positivi afferenti a costi per beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati; pertanto, l’Ufficio era tenuto
a ridurre i ricavi a fronte del disconoscimento dei costi relativi ad operazioni oggettivamente inesistenti.
Il motivo avendo ad oggetto la decisione nel merito di una doglianza dichiarata inammissibile dalla CTR – che in tal modo, così come supra evidenziato, ha consumato la sua potestas iudicandi -segue le medesime sorti, in punto di inammissibilità, del terzo, per quanto sopra esposto sub § 5.1.
Con il quinto (ed ultimo) motivo il ricorrente principale lamenta, in relazione all’articolo 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., l’«omesso esame di fatti decisivi» per avere la CTR omesso di considerare che la RAGIONE_SOCIALE non aveva conseguito alcun vantaggio fiscale dall’operazione contestata nell’avviso di accertamento; pertanto, alcun dividendo era stato percepito dal ricorrente nell’anno interessato dall’avviso di accertamento.
Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
7.1. Precisamente, è inammissibile in quanto viene denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo in presenza di una cd. doppia conforme ed il ricorrente non ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (ex multis , Cass. n. 8515/2020).
7.2. Il motivo, ove ricondotto (stante il suo contenuto sostanziale) alla violazione di legge ex art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., è infondato, atteso che la CTR si è attenuta ai principi costantemente affermati da questa Corte in materia: in tema di accertamento delle imposte sui redditi nel caso di società di capitali che presenti una ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione (semplice) di attribuzione ai soci partecipanti alla società degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio
sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili ( ex multis , Cass. 22/11/2017, n. 27778; da ultimo, Cass. 06/06/2024, n. 15895/2024). Ciò vale anche nelle ipotesi di assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica di per sé un elevato grado di compartecipazione dei soci, e dunque la conoscenza degli affari sociali e la co nsapevolezza dell’esistenza di utile extrabilancio, consentendo di riconoscere sussistenti, ai fini della prova presuntiva, i requisiti richiesti dall’art. 2729 cod. civ..
Nel caso di società di capitali che presenti una ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione (semplice) di attribuzione ai soci partecipanti alla società degli eventuali utili extracontabili accertati; nella specie, a fronte della ristretta base partecipativa della società RAGIONE_SOCIALE, spettava al soci o l’onere di fornire la prova contraria. In difetto di detta prova, corretta è la decisione della CTR di ritenere legittimo l’avviso di accertamento impugnato.
In definitiva il ricorso principale va integralmente rigettato.
8. Con il primo motivo di ricorso incidentale l’Ufficio denuncia, con riferimento alla ripresa RAGIONE_SOCIALE, in relazione all’articolo 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «falsa applicazione dell’art. 2729 Cod. Civ. e dell’art. 54 del d.P.R. n. 63311972» per non avere la CTR considerato ‘gli elem enti forniti dall’Ufficio nel senso dell’inesistenza oggettiva delle operazioni come presunzioni gravi, precisi e concordanti’ (pag. 15 del controricorso).
In particolare, dalle indagini era emersa l’oggettiva inesistenza della RAGIONE_SOCIALE, avente sede legale presso uno studio professionale in Napoli; la società era sempre stata priva di lavoratori dipendenti ed aveva dichiarato di svolgere attività di ‘noleggio mezzi di trasporto marittimo e fluviale’. Di qui la contestazione della inesistenza dell’operazione di compravendita del complesso residenziale.
Il motivo, con il quale viene censurato il ragionamento presuntivo svolto dalla CTR, è inammissibile, come congruamente argomentato dal Sostituto Procuratore Generale.
8.1. È noto che la selezione, tra gli indizi offerti dall’Amministrazione a dimostrazione delle pretese fiscali, di quelli reputati rilevanti rientra a pieno titolo nel meccanismo di operatività dell’art. 2729 cod. civ., il quale, nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza del giudice” (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell’art. 116 cod. proc. civ. a proposito della valutazione delle prove dirette), si articola nei due momenti valutativi della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, volta a scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e a conservare viceversa quelli che, presi singolarmente, rivestono i caratteri della precisione e gravità, e della successiva valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, oltreché dell’accertamento della loro idoneità alla prova presuntiva se considerati in combinazione tra loro (c.d. convergenza del molteplice), essendo erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (Cass., 21/03/2022, n. 9054; Cass. 05/04/2023, n. 9336; v. anche Cass., 09/03/2012 n. 3703).
8.2. Pertanto, come affermato da questa Corte, intanto può denunciarsi la violazione o falsa applicazione del ridetto art. 2729 cod. civ., in quanto il giudice di merito ne abbia contraddetto il disposto, affermando che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni ( rectius : fatti), che non siano gravi, precisi e concordanti, ovvero abbia fondato la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e abbia dunque sussunto erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non siano, invece, rispondenti a quei caratteri, competendo soltanto in tal caso alla Corte di cassazione controllare se la norma in esame sia stata applicata a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta o il giudice non sia incorso in errore nel considerare grave
una presunzione che non lo sia sotto il profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi, al pari di quanto può accadere con riguardo al controllo della precisione e della concordanza (in questi termini, v. ex multis Cass., 21/03/2022, n. 9054).
8.3. Se questo è il presupposto della violazione o errata applicazione dell’art. 2729 cod. civ., la deduzione del vizio, come già sostenuto da questa Corte, non può che estrinsecarsi nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione dei motivi per i quali il ragionamento del giudice di merito sia irrispettoso dei paradigmi della gravità, precisione e concordanza, risolvendosi altrimenti la critica al ragionamento presuntivo svolto, che si sostanzi nell’enunciazione di una diversa modalità della sua ricostruzione, nel suggerimento di un diverso apprezzamento della questio facti che si pone al di là della fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., atteso che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., 02/08/2016, n. 16056), e che la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass., 04/08/2017, n. 19547;
Cass., 04/11/2013, n. 24679; Cass., 16/12/2011, n. 27197; Cass., 07/02/2004 n. 2357).
L’apprezzamento del giudice di merito circa l’idoneità di elementi presuntivi a consentire le illazioni che ne discendono è sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici ( ex multis , Cass. 16/05/2017, n. 12002).
8.4. Nella specie la CTR ha ritenuto, sulla base di un ragionamento plausibile ed argomentato, la convergenza di molteplici elementi, ovvero: a) l’esistenza di un atto pubblico; b) il pagamento del prezzo; c) la rivendita successiva del bene; il ragionamento così condotto, contrariamente a quanto sostenuto dall’Agenzia, non è affatto illogico, essendo fondato su inferenze logiche che muovono dai detti indizi ( factum probans ) in direzione del fatto ignoto ( factum probandum ) (cfr. pag. 8 della memoria del Sostituto Procuratore Generale).
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale denuncia, in relazione all’articolo 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia, ovvero delle circostanze dalle quali emergeva l’inoperatività della RAGIONE_SOCIALE
Anche questo motivo è inammissibile; l’Agenzia denuncia, infatti, l’omesso esame di fatti decisivi in presenza di una cd. doppia conforme, ma non ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (ex multis , Cass. n. 8515/2020).
In definitiva, il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.
Stante la soccombenza reciproca, le spese del presente giudizio vanno integralmente compensate tra le parti.
Sussistono i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Rilevato che risulta soccombente anche l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 228 del 2012 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale; compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 maggio 2025.