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Utili extra-bilancio: la prova a carico del socio

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2464/2025, ha ribadito che in una società a ristretta base sociale, gli utili extra-bilancio accertati si presumono distribuiti ai soci. L’onere della prova per superare tale presunzione ricade sul socio, il quale deve dimostrare in modo specifico che gli utili sono stati accantonati, reinvestiti o che egli era completamente estraneo alla gestione sociale. Nel caso di specie, la Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza di merito che aveva erroneamente ritenuto sufficienti prove generiche fornite dal contribuente. La posizione di un socio è stata invece archiviata per adesione alla definizione agevolata.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Utili extra-bilancio: La Cassazione chiarisce l’onere della prova per il socio

La gestione fiscale delle società a responsabilità limitata a ristretta base sociale presenta da sempre complessità notevoli, specialmente in tema di accertamento di utili extra-bilancio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 2464 del 2025, torna su un principio consolidato: la presunzione di distribuzione ai soci dei profitti non dichiarati dalla società. La pronuncia è fondamentale perché chiarisce in modo netto i confini dell’onere della prova che grava sul socio per vincere tale presunzione.

Il caso: dagli accertamenti alla società alla presunzione sui soci

La vicenda trae origine da una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza nei confronti di una S.r.l. operante nel settore delle costruzioni. All’esito del controllo, venivano accertati maggiori ricavi non contabilizzati per un intero quadriennio. La società sceglieva di non impugnare gli avvisi di accertamento, che divenivano così definitivi.

Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate notificava ai due soci, titolari ciascuno del 50% delle quote, altrettanti avvisi di accertamento. L’amministrazione finanziaria, basandosi sul principio della ristretta base azionaria, presumeva che i maggiori ricavi accertati in capo alla società (e mai dichiarati) fossero stati distribuiti ai soci come utili extra-bilancio.

I soci impugnavano gli atti, sostenendo la violazione del divieto di doppia presunzione. Mentre la Commissione Tributaria Provinciale respingeva i ricorsi, la Commissione Tributaria Regionale riformava la decisione, accogliendo le tesi dei contribuenti. Secondo il giudice d’appello, l’amministrazione non aveva fornito una prova sufficiente della distribuzione, ritenendo inidonea la sola circostanza della ristretta compagine sociale.

La presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio

La questione centrale ruota attorno a una presunzione giurisprudenziale di lunga data. Nelle società di capitali con pochi soci, dove esiste un forte legame fiduciario e un controllo reciproco sulla gestione, si presume che eventuali utili extra-bilancio non restino nelle casse sociali, ma vengano distribuiti tra i soci stessi.

Questa non è una “doppia presunzione” vietata, in quanto il fatto noto non è l’accertamento sul reddito della società, ma la ristrettezza dell’assetto societario. Da questa caratteristica strutturale si inferisce la probabile conoscenza e partecipazione dei soci alla distribuzione dei profitti occulti. Una volta che tale presunzione opera, l’onere di dimostrare il contrario si sposta sul socio-contribuente.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha cassato la sentenza della CTR, riaffermando con forza il proprio orientamento maggioritario. I giudici di legittimità hanno chiarito che il giudice di merito ha errato nel ritenere insufficiente la presunzione basata sulla ristretta base sociale e nel considerare adeguate le prove contrarie fornite dal socio.

La Corte ha specificato che per superare la presunzione, il contribuente deve fornire una prova specifica e puntuale. Non è sufficiente, come nel caso di specie, addurre prove generiche come:

* L’assenza di incrementi finanziari sui conti correnti personali.
* La mancanza di nuovi acquisti patrimoniali.
* La presenza di pignoramenti o sofferenze economiche della società.

Questi elementi non dimostrano in modo diretto e inconfutabile dove siano finiti gli utili extra-bilancio accertati.

La prova contraria: cosa deve dimostrare il socio?

La Cassazione ha delineato con precisione il perimetro della prova liberatoria. Il socio ha due strade principali per vincere la presunzione:

1. Dimostrare che gli utili sono stati accantonati o reinvestiti dalla società: È necessario provare che i fondi non sono usciti dal patrimonio sociale, ma sono stati destinati a riserve o impiegati per nuovi investimenti aziendali.
2. Dimostrare la propria totale estraneità alla gestione sociale: Il socio può provare di aver avuto un ruolo puramente formale, come semplice intestatario di quote, senza aver mai partecipato concretamente alla conduzione dell’impresa. Questa prova deve essere rigorosa e precisa, dimostrando di non aver avuto alcun potere di controllo o influenza sulle decisioni aziendali.

Nel caso esaminato, il socio non aveva fornito prove in nessuna di queste due direzioni, limitandosi a contestazioni generiche che la Corte ha ritenuto inefficaci.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per i soci di S.r.l.

Questa ordinanza consolida un principio di fondamentale importanza per i soci di S.r.l. a base ristretta. La definitività di un accertamento per maggiori ricavi in capo alla società crea un presupposto quasi automatico per la tassazione dei dividendi in capo ai soci. Essere socio, anche di minoranza, in una piccola S.r.l. comporta un elevato rischio fiscale in caso di evasione perpetrata dalla società. Per tutelarsi, il socio che non partecipa alla gestione deve essere in grado di dimostrare, con prove concrete e documentali, la sua assoluta estraneità alle dinamiche aziendali. In assenza di tale prova rigorosa, la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio rimane pienamente operativa, con tutte le conseguenze fiscali che ne derivano.

In una società a ristretta base sociale, i maggiori ricavi accertati si presumono distribuiti ai soci?
Sì, la Corte di Cassazione conferma il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, nelle società di capitali con una compagine sociale ristretta, vige la presunzione che gli utili extra-bilancio accertati in capo alla società siano stati distribuiti ai soci.

Quale prova deve fornire il socio per vincere questa presunzione?
Il socio deve fornire una prova contraria specifica e rigorosa. Deve dimostrare che i maggiori utili non sono stati distribuiti ma sono stati accantonati o reinvestiti nel patrimonio della società, oppure deve provare la sua assoluta estraneità alla gestione e alla conduzione societaria, rivestendo un ruolo meramente formale.

È sufficiente dimostrare che non ci sono stati arricchimenti personali per superare la presunzione?
No. Secondo la Corte, prove generiche come l’assenza di incrementi sui conti correnti personali, l’assenza di nuovi acquisti patrimoniali o la presenza di difficoltà economiche della società non sono sufficienti a vincere la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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