Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19357 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 19357 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/07/2024
Oggetto: società a ristretta base utili extra bilancio partecipativa
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22015/2018 R.G. proposto da: COGNOME, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (PEC: EMAIL) e dall’AVV_NOTAIOto NOME COGNOME (PEC: EMAIL), e domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Roma, in persona del Direttore RAGIONE_SOCIALE pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, nei cui uffici domicilia in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, con sede in RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore
-intimata -avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, depositata il 16 gennaio 2018, n. 79/18; Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21 giugno 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito per il ricorrente l’ AVV_NOTAIO, munito di delega, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; COGNOME, che ha concluso per il udito per la controricorrente l’AVV_NOTAIO rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
Risulta dalla sentenza impugnata che, a seguito di una verifica fiscale della Guardia di Finanza nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per l’anno d’imposta 2006, emetteva a carico della società e dei soci una serie di avvisi di accertamento riguardanti sia l’Iva che le imposte dirette.
Gli avvisi erano cagionati dal disconoscimento di costi portati da una serie di fatture, considerate generiche oppure relative a operazioni oggettivamente inesistenti, oltre che prive di inerenza rispetto all’attività di RAGIONE_SOCIALE esercitata .
Con gli atti impositivi, l’RAGIONE_SOCIALE recuperava quindi a tassazione utili non dichiarati dalla società, sia nei confronti di quest’ultima sia nei confronti dei soci.
Contro questi avvisi di accertamento proponevano ricorso sia la società che il socio e la CTP, rilevata la sopravvenuta cancellazione della società dal registro RAGIONE_SOCIALE imprese, dichiarava improcedibile il ricorso di quest’ultima e, in parziale accoglimento del ricorso del socio, confermava la ripresa fiscale nella misura del 40 per cento.
La sentenza veniva appellata, contestando la decisione di improcedibilità del ricorso proposto dalla società nelle more
cancellata dal registro RAGIONE_SOCIALE imprese, e la CTR dichiarava la nullità della sentenza impugnata, con rinvio al giudice di primo grado.
Quest’ultimo dichiarava interrotto il processo, per l’intervenuta cancellazione della società, e il giudizio veniva riassunto sia da COGNOME NOME, quale ultimo socio (unico) successore processuale della società ai sensi dell’art. 110 c.p.c. , sia dal l’ex socio NOME COGNOME.
La CTP, quindi, respingeva il ricorso proposto dal successore processuale della società e accoglieva parzialmente quello del l’ex socio, limitando la pretesa fiscale al 40 per cento dei maggiori utili accertati.
Contro questa decisione proponevano appello sia la COGNOME, nella suddetta qualità, che il COGNOME, riproponendo le doglianze avanzate in primo grado, alle quali resisteva l’RAGIONE_SOCIALE.
La CTR accoglieva solo parzialmente l’appello e, in riforma dell’impugnata sentenza, confermava gli avvisi di accertamento per tutte le riprese effettuate, salvo per quella relativa alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE.
7.1. La CTR, in particolare, in risposta a tutte le doglianze avanzate dal successore processuale della società, escludeva sia la lamentata violazione dell’articolo 12 RAGIONE_SOCIALE statuto del contribuente sia la prospettata carenza motivazionale dell’avviso di accertamento. Confutava altresì l’eccezione secondo cui il disconoscimento dei costi non avrebbe dato luogo a maggiori ricavi e dunque a utili tassabili. Confermava quanto statuito dalla CTP in ordine all’oggettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni portate dalle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE e dall’RAGIONE_SOCIALE nonché in ordine alla non inerenza all’attività di RAGIONE_SOCIALE dei costi relativi ad un immobile, che non era mai stato dichiarato sede operativa della società. Confermava la legittimità RAGIONE_SOCIALE sanzioni irrogate.
7.2. Con riferimento all’avviso di accertamento notificato al socio COGNOME NOME, preso atto della ristretta base societaria, riteneva legittima la presunzione di attribuzione pro quota degli utili non
contabilizzati accertati nei confronti della società, non avendo il socio prodotto prova contraria.
7.3. Per le sole fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, accoglieva l’appello, in quanto la genericità della descrizione RAGIONE_SOCIALE operazioni indicate nei documenti fiscali, a suo giudizio, avrebbe potuto essere giustificata dagli importi mensili di valore estremamente modesto, peraltro compatibili con i servizi di pulizia indicati come motivazione dell’emissione RAGIONE_SOCIALE fatture, sicché rimetteva all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il ricalcolo del dovuto e RAGIONE_SOCIALE relative sanzioni anche nei riguardi del l’ex socio NOME COGNOME.
Contro questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione affidato a sei motivi.
Resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
L’ufficio di Procura RAGIONE_SOCIALE ha depositato conclusioni scritte , anticipando quelle poi ribadite in udienza.
NOME COGNOME ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si denuncia ‘la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, l. n. 212/2000 in tema di motivi di innesco e di effettive esigenze di indagine in relazione alla nullità degli avvisi relativi all’anno 2006’. Per il ricorrente, non sarebbero sussistite effettive esigenze di indagine, che in ogni caso non sarebbero neppure state comunicate alla parte per consentire l’esercizio del diritto di difesa, con conseguente nullità dell’intero procedimento.
Con il secondo motivo, del pari proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 41 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ‘in relazione alla mancanza di elementi certi circa l’esistenza di un maggior reddito’. Per il ricorrente non sussistevano gli elementi certi e precisi richiesti dalla norma per stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, dal
momento che l’ufficio, con le riprese effettuate, avrebbe semplicemente disconosciuto alcuni costi, senza accertare un maggior reddito della società.
Con il terzo motivo, sempre rubricato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 90 e 109 del TUIR, in relazione all’art. 2967 c. c.
Per il ricorrente sarebbe stato onere dell’Ufficio dimostrare la fondatezza della pretesa impositiva, in ordine alle singole fatture oggetto di contestazione, in quanto ritenute emesse per operazioni oggettivamente inesistenti.
Con il quarto motivo, introdotto ancora ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si lamenta violazione e falsa applicazione degli art. 41bis del d.P.R. n. 600 del 1973, 2697 e 2729 c.c., ‘in relazione all’avviso di accertamento emesso nei confronti del sig. COGNOME, quale socio della RAGIONE_SOCIALE‘, in quanto la sentenza impugnata non avrebbe evidenziato elementi di fatto idonei a fondare la presunzione di distribuzione al socio degli utili extracontabili asseritamente accertati in capo a lla società, ‘facendo esclusivamente riferimento agli orientamenti giurisprudenziali, anche di legittimità, circa la presunzione operante sulle c.d. società a ristretta base societaria’. Inoltre, per il ricorrente, la CTR non avrebbe potuto dare per scontata la sussistenza di utili extra contabili, mancando un atto impositivo definitivo nei confronti della società o una sentenza passata in giudicato nei confronti di quest’ultima, dal momento che questi atti sarebbero proprio sub iudice in sede di legittimit à per effetto della proposizione dell’odierno ricorso.
Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., si lamenta la nullità del capo della sentenza relativo all’avviso di accertamento emesso nei confronti del signor COGNOME, quale socio della RAGIONE_SOCIALE, ‘derivante da lla omessa
motivazione, requisito di validità del provvedimento giurisdizionale ai sensi dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546/1992′.
Per il ricorrente, la CTR non avrebbe tenuto conto dell’eccezione concernente la mancanza di definitività dell’atto presupposto, ossia dell’accertamento eseguito in capo alla società, ancora sub iudice : se avesse esaminato questo fatto, la decisione della CTR, a parere del ricorrente, sarebbe stata senz’altro diversa, in quanto il giudice del merito avrebbe dovuto separare il procedimento relativo all’avviso di accertamento inviato al socio COGNOME e disp orre la sospensione di tale giudizio in attesa del passaggio in giudicato della sentenza nei confronti della società, costituente indispensabile antecedente logico giuridico dell’accertamento nei confronti del socio.
Con il sesto e ultimo motivo, presentato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 16 e 17 del d.lgs. n. 472 del 1997 in relazione alla mancata motivazione nella irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni.
Per il ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe violato l’obbligo di motivare in ordine all’irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni, sulla base dei criteri previsti dall’articolo 7 del d.lgs. n. 492 citato, quali la personalità dell’autore, la pericolosità e gravità del comportamento, la gravità RAGIONE_SOCIALE violazioni e del danno prodotto, ecc.
I primi tre motivi di ricorso possono essere trattati insieme, per la loro connessione, dal momento che, attraverso la loro articolazione, il COGNOME avanza doglianze contro l’accertamento operato nei confronti della società.
I motivi sono inammissibili.
Il socio di società a ristretta base partecipativa può contestare la sussistenza dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria per come accertati in capo alla società, ma nel solo caso in cui il relativo avviso di accertamento non venga regolarmente n otificato a quest’ultima. Solo in tal caso, infatti, l’avviso è inopponibile al socio, che può contestare la sussistenza dei fatti posti a base di quell’accertamento
(Sez. 5, Ordinanza n. 18200 del 24/06/2021, rv. 661786-01), anche al di là di quanto normalmente consentito dalla giurisprudenza di questa Corte.
Nel caso di specie, invece, gli avvisi di accertamento furono regolarmente notificati alla società e da quest’ultima tempestivamente impugnati, con motivi sostanzialmente coincidenti con quelli qui riproposti dal socio, rigettati sia in primo che in secondo grado, con una statuizione che non risulta essere stata impugnata con ricorso per cassazione, sicché deve ritenersi che l’avviso di accertamento notificato alla società sia divenuto definitivo.
Non può impedire questo effetto di inoppugnabilità, infatti, il ricorso per cassazione proposto dal solo socio contro la sentenza che, riuniti i giudizi -in questo caso, quello intentato dal successore processuale della società e quello instaurato dal l’ex socio – abbia deciso sul merito di entrambi, dal momento che il COGNOME, pacificamente, ha proposto il gravame in proprio e non anche nell’interesse della società.
10. Questa circostanza è dirimente, ma può ulteriormente osservarsi che non risulta corretta l’affermazione contenuta nella memoria illustrativa secondo cui il COGNOME, in qualità di ‘ex rappresentante’ anteriormente al subentro della COGNOME quale socio unico -della società possa comunque impugnare l’atto impositivo notificato alla società.
Non gli si può infatti riconoscere la qualità di successore ex lege della società, presupposta dalle pronunce richiamate in memoria.
Si applica pertanto la regola per la quale il socio di una società di capitali a ristretta base partecipativa, al quale siano imputati i maggiori utili sociali extrabilancio, non può dolersi dell’accertamento effettuato nei confronti della società riproponendo doglianze ad esso riferibili (Cass. n. 3980 del 18/02/2020), ma può unicamente eccepire che i maggiori ricavi non siano stati distribuiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società, nonché dimostrare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria ( ex multis , Cass. n. 18042 del 09/07/2018).
Passando ai motivi articolati con riferimento alle statuizioni relative all’avviso di accertamento notificato al socio in proprio, il quarto motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
In primo luogo, come già osservato in relazione ai primi tre motivi di ricorso, l’atto impositivo emesso nei confronti della società non è affatto ancora sub iudice , essendo divenuti definitivi i capi della sentenza qui impugnata che si riferiscono proprio alla legittimità dell’accertamento compiuto nei confronti della società.
Ciò premesso, con riferimento alla distribuzione degli utili extracontabili, la sentenza impugnata non ha affatto attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione RAGIONE_SOCIALE fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (unica ipotesi in cui sarebbe rilevabile la violazione dell’art. 2967 c.c.: Sez. 3, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018, rv. 649038-01), ma ha ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sull’Ufficio att raverso un meccanismo presuntivo che ha passato indenne il vaglio della giurisprudenza di legittimità.
Questa Corte ha infatti già affermato che, in tema di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi nel caso di società di capitali che presenti una ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci partecipanti alla società degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente -che nella specie non risulta essersene avvalso -di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati distribuiti, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (Cass., Sez. 5 , sentenza n. 27778 del 22/11/2017, rv. 646282-01). Ciò vale anche nelle ipotesi di assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica di per sé un elevato grado di compartecipazione dei soci, e dunque la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di
utile extrabilancio, consentendo di riconoscere sussistenti, ai fini della prova presuntiva, i requisiti richiesti dall’art. 2729 c.c.
Tale meccanismo probatorio non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell ‘assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (Cass., Sez. 6-5, ordinanza n. 1947 del 24/01/2019, rv. 652391-01), che i maggiori ricavi attribuiti alla società anzidetta non fossero stati distribuiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società. Tale argomentazione non è stata mai allegata né, tantomeno, provata.
13.1. Nella memoria illustrativa il ricorrente sostiene che la modifica dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, operata dalla legge n. 130 del 2022, avrebbe posto «un limite applicativo alle presunzioni generalizzate di fonte giurisprudenziale».
A tale riguardo, questa Corte ha recentemente affermato che «In tema di onere probatorio gravante in giudizio sull’amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente, per le quali non vi siano presunzioni legali che comportino l’inversione dell’onere probatorio, l’art. 7, comma 5 bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’art. 6 della l. n. 130 del 2022, non stabilisce un onere probatorio diverso, o più gravoso, rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale» (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 31878 del 27/10/2022; in senso conforme, tra le ultime, Cass. sez. 5, 8/5/2024, n. 12575) Nel caso di specie, la CTR ha evocato l’orientamento giurisprudenziale più innanzi richiamato, che, come detto, mantiene intatta la sua valenza anche all’esito della riforma dettata dalla legge n. 130 del 2022, la quale si è limitata a registrare una ricorrente
modalità di valutazione, in applicazione dei principi generali, degli elementi presuntivi che devono essere comunque esistenti nel caso di specie.
13.2. Risulta invece inammissibile la censura circa la ritenuta non corrispondenza della presunzione ai requisiti richiesti dall’art. 2729 c.c., dal momento che il ricorrente ha sostanzialmente contestato l’operatività della presunzione di utili extrabilancio, come detto ammessa da consolidata giurisprudenza di legittimità.
Come ribadito, da ultimo, da Cass. sez. 5, 8/5/2024, n. 12466 (in motivazione), la deduzione del vizio non può che estrinsecarsi nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione dei motivi per i quali il ragionamento del giudice di merito sia irrispettoso dei paradigmi della gravità, precisione e concordanza, risolvendosi altrimenti la critica al ragionamento presuntivo svolto, che si sostanzi nell’enunciazione di una diversa modalità della sua ricostruzione, nel suggerimento di un diverso apprezzamento della questio facti che si pone al di là della fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., atteso che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata, e che la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.
Il quinto motivo è inammissibile.
L’omesso esame rilevante deve riferirsi ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’ o a ‘deduzioni difensive’, le quali, pertanto, risultano irrilevanti (Cass., Sez. 6-1, ordinanza n. 2268 del 26/01/2022, rv. 663758-01).
Nel rigoroso rispetto RAGIONE_SOCIALE previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., infatti, il ricorrente deve specificamente indicare il ‘fatto storico’, il cui esame sia stato omesso, il ‘dato’, testuale o extratestuale, da c ui esso risulti esistente, il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua ‘decisività’, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così, da ultimo, Cass. sez. I, 16/4/2024, n. 10160 e Sez. 5, ordinanza n. 10657 del 2024, sulla scia di Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Nel caso di specie, il ricorrente ha prospettato l’omesso esame (non di un fatto storico-naturalistico, ma) di una questione giuridica concernente l’asserita mancanza di definitività dell’accertamento compiuto contro la società e la prospettata necessità di sospendere il giudizio nei confronti del socio, in attesa del passaggio in giudicato della decisione sul merito del primo.
Senza contare che entrambe le argomentazioni, oltre a non integrare la nozione di ‘ fatto ‘ presa in considerazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., sono entrambe errate. La prima, per i motivi già esposti, la seconda perché risulta corretta la decisione della CTR di non sospendere il giudizio, come richiesto dal COGNOME, in quanto, in tema di redditi da partecipazione in società di capitali a base ristretta, solo se vi sia pendenza separata dei giudizi relativi all’accertamento del maggior reddito contestato alla società di capitali e di quello di
partecipazione conseguentemente contestato al singolo socio si impone la sospensione ex art. 295 c.p.c. – applicabile al giudizio tributario in forza dell’art. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992 – in attesa del passaggio in giudicato della sentenza emessa nei confronti della società, costituente l’antecedente logico -giuridico (Sez. 5, Ordinanza n. 1574 del 26/01/2021, rv. 660244-01). Nel caso di specie, invece, i due giudizi sono stati trattati innanzi allo stesso giudice, e da quest’ultimo decisi, sia in primo c he in secondo grado, dopo essere stati regolarmente riuniti, sicché, pur mantenendo i due procedimenti la loro autonomia, non si imponeva alcuna sospensione del giudizio instaurato dal socio.
16. Il sesto e ultimo motivo, attinente alla prospettata violazione di un obbligo di motivare in ordine all’irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni , è innanzitutto inammissibile.
Non si comprende, infatti, se il ricorrente contesti l’omessa motivazione imputabile all’avviso di accertamento (nel qual caso, avrebbe dovuto riprodurre quantomeno il testo dell’atto impositivo in relazione al punto contestato) oppure la decisione della CTR che ha ritenuto non nec essaria un’ulteriore motivazione oltre quella contenuta nell’avviso.
In quest’ultimo caso, la motivazione della CTR, che supera il ‘minimo costituzionale’, sarebbe comunque corretta: il giudice può considerare erronea o insufficiente la motivazione contenuta nell’avviso di accertamento, ma non ha certo l’obbligo di aggiungerne una propria in punto di sanzioni, in applicazione del principio espresso da Sez. 5, Ordinanza n. 11610 del 04/05/2021 (rv. 661340-01, richiamata anche dal l’Ufficio di Procura nelle sue conclusioni), secondo cui ‘l’obbligo di motivazione dell’atto di co ntestazione della sanzione collegata al tributo, imposto dall’art. 16, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, opera soltanto quando essa sia irrogata con atto separato e non contestualmente e unitamente all’atto di accertamento o di rettifica, in quanto, in ques t’ultimo caso,
viene assolto per relationem se la pretesa fiscale è definita nei suoi elementi essenziali’.
La sentenza qui impugnata, nel confermare la legittimità dell’avviso di accertamento, ha implicitamente confermato le sanzioni irrogate in relazione alle violazioni contestate con l’atto di accertamento, così ritenendo (implicitamente) che la loro motivazione trovava fondamento nell’accertamento RAGIONE_SOCIALE violazioni finanziarie.
Il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. 19. Ai sensi dell’art. 13 , comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna NOME COGNOME al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, che si liquidano in euro 8.000 oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, il 21 giugno 2024.