Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32180 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32180 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11983/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. NOME (CMNNNL69L02F839G)
-ricorrente-
contro
COMUNE SALERNO
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.CAMPANIA n. 7720/2021 depositata il 02/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La società indicata in epigrafe impugnava l’avviso di accertamento n. 1977 relativo all’annualità di imposta 2014 per omesso/parziale versamento I.M.U.
Con l’atto Impugnato, l’ente comunale provvedeva a calcolare l’importo dell’IMU 2014, con l’applicazione dell’aliquota al 50% in considerazione della riconosciuta inagibilità del fabbricato di proprietà della Ricorrente, dichiarando di non poter considerare lo stesso ‘collabente in quanto detta categoria non risulta dalla visura catastale dell’Agenzia del Territorio, unico soggetto deputato al riconoscimento’.
A fondamento dell’impugnazione, la società affermava che il Fabbricato è stato accatastato con Docfa come ‘Unità collabente’, senza rendita, con decorrenza dal 28/12/2007, con le seguenti annotazioni ‘Foglio 51, Particella 157, Sub. 7, Categoria Unità collabenti, senza Rendita catastale’.
In particolare, l’Agenzia del Territorio, in data 12 febbraio 2020, ha accatastato, con decorrenza dal 28 dicembre 2007, nella categoria F/2, quale ‘Unità Collabente’, senza rendita catastale, il Fabbricato
di proprietà della RAGIONE_SOCIALE ubicato in Salerno.
La C.T.P rigettava il ricorso.
Sull’appello della contribuente, la C.T.R. della Campania, con sentenza 7720/2021 statuiva che .
Avverso la summenzionata decisione propone ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE svolgendo cinque motivi.
Il Comune di Salerno non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DI DIRITTO
1.La prima censura deduce . Si assume che i giudici di appello non hanno in alcun modo esaminato le deduzioni formulate dalla società RAGIONE_SOCIALE né tenuto conto dell’intervenuto e perfezionato riconoscimento, con decorrenza sin dal 28 dicembre 2007, da parte della competente Agenzia del Territorio del fabbricato in oggetto quale unità collabente, e come tale accatastato nel Catasto Fabbricato del Comune di Salerno, come comprovato dalla documentazione già agli atti del giudizio ( Visura Unità Collabente al 12/02/2020 e DOCFA, rispettivamente doc. sub. 3 e sub. 2 compiegati alla Memoria ex art. 32, 2 c., del d.lgs. n. 546/1992).
2.La seconda doglianza denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 49 del d.lgs. n, 546/1992 ed art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. con particolare riferimento alle norme vigenti in materia di IMU, di cui agli artt. 1-15 del d.lgs. n. 504/1992, agli artt. 8, 9 e 14 del d.lgs. n. 23/2011, all’art. 13 del d.l. 201/2011 ed all’art. 1 della legge n. 147/2013 , Si obietta di aver dedotto la non assoggettabilità ad IMU, anche per l’esercizio 2014, del fabbricato in oggetto, in quanto unità collabente, ma che il decidente avrebbe interpretato erroneamente la disciplina vigente in materia di imposizione IMU, in epigrafe richiamata, concludendo per il rigetto dell’Appello.
3.Il terzo motivo lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 49 del d.lgs.n, 546/1992 ed art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. con particolare riferimento all’omesso esame e considerazione di tutti motivi di doglianza articolati dall’odierna ricorrente per Cassazione. Si deduce che il focus della controversia risiede nella natura intrinseca ed oggettiva del fabbricato come ‘collabente’ e, di riflesso, nel suo non assoggettamento all’IMU pretesa dall’Ufficio per l’anno 2014, circostanza non considerata dal giudicante.
Aggiunge la società che, in ogni caso, aveva formulato ulteriori motivi di censura della prima sentenza in merito ai quali i giudici di appello hanno omesso di deliberare; in particolare si deduce di aver formulato ulteriori motivi con particolare riferimento al difetto di motivazione dell’atto impugnato; all’incomprensibile suddivisione della imposta in due periodi, con applicazione della medesima aliquota del 10,60 per mille: il primo periodo di dieci mesi (dal 1/1 al 31/10/2014) ed il secondo di due mesi (dal 1/11 al 31/12/2014); alla eccepita incomprensibilità del riferimento alla ‘Dichiarazione’ che sarebbe stata presentata in data 4/06/2019 e contraddistinta dal ‘Numero d’ordine: 1’ ; – alla mancata indicazione da parte dell’Ufficio nell’atto impugnato della condizione di assoluta inagibilità del Fabbricato e, quindi, alla sua riscontrata inidoneità a produrre alcun reddito; all’errore e/o incongruenze di calcolo, atteso che, applicando al valore assunto dall’Ufficio di € 6.643.045,50, l’aliquota indicata del ‘10,60’ si ottiene l’importo di € 70.416,28 non corrispondente all’imposta IMU pari a € 35.209,00; – infine alla inadeguata motivazione concernente le sanzioni applicate, in quanto assolutamente generica e stereotipata.
Ancora, tra le censure sollevate, la società rammenta di aver prospettato l’illegittimità dell’accertamento operato, per relationem rispetto ad una non meglio identificata ‘Dichiarazione’ (forse ai fini IMU) che sarebbe stata presentata in data 04/06/2019, di cui la società ignora l’esistenza.
4.Con il quarto mezzo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 49 del d.lgs. n. 546/1992 ed art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c. con particolare riferimento alle norme procedurali vigenti in materia di disponibilità delle prove, di cui all’art. 115 c.p.c.; per non avere i giudici di appello posto a fondamento della loro decisione le prove proposte, nonché i fatti non specificatamente contestati dall’Ufficio.
5.Con l’ultimo mezzo, si denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 49 del d.lgs. n. 546/1992 ed art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c. con particolare riferimento alle disposizioni di cui all’art. 6, commi 2 e 5 e all’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000 e, più in generale, del principio secondo cui l’avviso di accertamento non preceduto da reale ed effettivo contradditorio con il contribuente è nullo.
6.In via preliminare, va esaminato l’ultimo motivo relativo alla illegittimità dell’avviso Imu 2014, non preceduto dal preventivo contraddittorio con il contribuente.
6.1.Per quanto concerne l’obbligo di contraddittorio, questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente
per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. (Cass SU 24823/15;Cass. n.11560/18; Cass 27421/18; Cass. n. 9978/2021; Cass. n. 14357/2022; Cass. n.7966/2024). Nel caso di specie poiché il tributo IMU non risulta essere armonizzato a livello della UE, l’obbligo di contraddittorio non sussiste.
Ritornando all’ordine dei motivi prospettato, l a prima censura risulta inammissibile.
7.1.In primo luogo, non è riscontrabile nella decisione impugnata il vizio di cui al n. 5 di cui all’art. 360, primo comma, c.p.c., avendo i giudici di appello esaminato compiutamente le visure prodotte dalla società, escludendo che l’immobile sub 6), diversamente da quello sub 7), non oggetto dell’avviso, avesse ricevuto la classificazione di fabbricato collabente; pertanto il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, essendo stato il fatto storico valutato dal giudice, non supera il vaglio di ammissibilità.
7.2.Costituisce indirizzo interpretativo consolidato quello per cui il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di ‘fondamento’, dovendosi, altresì, indicare puntualmente le ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (cfr. Cass. (Cass.n.16583/24; Cass.n. 16812 del 2018;
Cass. n. 19150 del 2016; Cass. n. 25756 del 2014; Cass. n. 4980 del 2014; Cass. n. 5377 del 2011; Cass. n. 11457 del 2007).
7.3.Infine, va ricordato pure che sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente pur riproducendone il contenuto, non fornisca puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (cfr. Cass., SU, n. 34469 del 2019; Cass. n. 18695 del 2021).
7.4.Nel caso in esame, la società ricorrente non ha trascritto la parte della visura in cui sarebbe riportato l’accatastamento in unità collabente del cespite sub 6), a tacer del fatto che dalla lettura della visura allegata al ricorso odierno risulta come unità collabente esclusivamente l’unità sub 7), conformemente a quanto statuito dal collegio d’appello. In ogni caso, la dedotta iscrizione del fabbricato in Catasto come collabente assumerebbe decisività ai fini della fondatezza del ricorso solo alla stregua di una attestazione dell’Agenzia che attribuisca detta qualità con decorrenza retroattiva all’anno di imposizione in oggetto.
8.La seconda e la terza censura -che possono essere scrutinate congiuntamente, in quanto osmotiche -sono altrettanto inammissibili.
Nella specie, l’errore commesso dal giudice distrettuale, consisterebbe nel non avere considerato le allegazioni formulate dalla odierna ricorrente finalizzate ad ottenere il riconoscimento della qualità di collabente dell’unità immobiliare sub 6) con efficacia
retroattiva dal 2007 (ad avviso della contribuente inferibile dalla visura).
8.1.Vale osservare che l’esame delle allegazioni difensive, nonché la valutazione delle risultanze della prova, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., tra le tante, Cass. 12362/2006 e, più recentemente, Cass. 21.7.2010, n. 17097; Cass. nn 16986/2013; Sez. U. n. 24148 del 2013; Cass. n. 16056/2016; Cass. n. 19011/2017; Cass. n. 29404/2017 ).
9.Presenta ulteriori profili di inammissibilità la terza doglianza del ricorso.
9.1.L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio -risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., o del vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n.5, c.p.c., così come nella specie prospettato dalla società, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la
questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa; bensì attraverso la specifica deduzione del relativo ” error in procedendo” -ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n.4), c.p.c. – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello; pertanto, alla mancata deduzione del vizio nei termini indicati, che impedisce il riscontro “ex actis” dell’assunta omissione, consegue l’inammissibilità, anche sotto detto profilo, del motivo in rassegna (Cass. n. 29952/2022; Cass. n. 16899 del 13/06/2023; Cass. n. 21444 del 31/07/2024).
Il quarto motivo di ricorso è anch’esso inammissibile, in quanto formulato ai sensi del n. 5) dell’art. 360, primo comma, c.p.c., deducendo tuttavia la violazione dell’art. 115 c.p.c..
10.1.Il principio di cui all’art. 115 c.p.c., nell’imporre al giudice di porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti (oltre ai fatti non specificatamente contestati), rende censurabile non soltanto la sentenza nella quale il giudice ha posto a fondamento della sua decisione prove disposte di sua iniziativa (al di fuori dei poteri ufficiosi che gli sono riconosciuti) ma rende altresì censurabile in sede di legittimità la sentenza nella quale il giudice di merito abbia utilizzato informazioni probatorie che non esistevano nel processo e che tuttavia comunque sostengono illegittimamente la decisione che ha definito il giudizio di merito. Può essere qui utile ritornare su alcuni aspetti già trattati da questa Sezione nelle citate pronunce nn. 13918/2022 e 12971/2022.
10.2. D’altra parte, la società contribuente nell’affermare che il giudicante non avrebbe preso in considerazione le prove dalla stessa allegate – gli unici documenti richiamati ed allegati al ricorso sono la Docfa del 2007 e la visura catastale compiutamente esaminati dai giudici regionali -non si confronta con la ratio decidendi della sentenza dalla quale emerge invece la valutazione completa dei documenti prodotti. Il giudice di merito, nell’esprimere in sentenza il risultato della prova, è chiamato a selezionare da ogni elemento o mezzo di prova, ritualmente assunto, uno specifico contenuto informativo che, alla luce delle informazioni desunte dagli altri elementi e mezzi disponibili, utilizzerà nel comporre il ragionamento probatorio, in cui si articola la decisione. Orbene, è indubbio che l’attività di selezione di un dato informativo tra tutti i dati informativi astrattamente desumibili da un elemento o da un mezzo di prova, in quanto espressione del prudente apprezzamento del giudice di merito, è attività riconducibile in via esclusiva al sindacato del giudice di merito ed è estranea al sindacato della Corte di legittimità, con la conseguenza che non è denunciabile come vizio della decisione di merito. Parimenti indubbio è che la parte interessata non può più, una volta esaurito il corso dei giudizi di merito, ridiscutere in sede di legittimità le modalità attraverso le quali il giudice di merito ha valutato, dopo averlo selezionato, il materiale probatorio ai fini della ricostruzione dei fatti di causa.
10.3.Del resto, con la censura in rassegna, la società non denuncia il travisamento della prova da parte dei giudici regionali, bensì l’omessa valorizzazione della non contestazione da parte dell’ente comunale , nonchè l’omesso esame dei documenti prodotti, che risultano al contrario, come già in precedenza chiarito, oggetto di valutazione da parte del Collegio d’appello.
10.4. Sotto il primo profilo, l’orientamento consolidato della Suprema Corte prevede che ‘… il principio di non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, si applica anche nel processo tributario ma, attesa l’indisponibilità dei diritti controversi, esso riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e sempreché il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza’ (Cass., 18 maggio 2018, n. 12287; Cass., 6 febbraio 2015, n. 2196; Cassazione ordinanza n. 22694/2023).
10.5.Questa Corte si è pronunciata sul tema dell’applicabilità, anche al giudizio tributario del principio di non contestazione, costantemente ribadendo che ‘… Anche al processo tributario -caratterizzato, al pari di quello civile, dalla necessità della difesa tecnica e da un sistema di preclusioni, nonché dal rinvio alle norme del codice di procedura civile, in quanto compatibili -è applicabile il principio generale di non contestazione che informa il sistema processuale civile (con il relativo corollario del dovere del giudice di ritenere non abbisognevoli di prova i fatti non espressamente contestati), il quale trova fondamento non solo negli artt. 167 e 416 cod. proc. civ., ma anche nel carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena, nella generale organizzazione per preclusioni successive, che caratterizza in misura maggiore o minore ogni sistema processuale, nel dovere di lealtà e di probità previsto dall’art. 88 cod. proc. civ., il quale impone alle parti di collaborare fin dall’inizio a circoscrivere la materia effettivamente controversa, e nel generale principio di economia che deve sempre informare il processo, soprattutto alla luce del novellato art. 111 Cost. Né assumono alcun rilievo, in contrario, le peculiarità del processo tributario, quali il carattere eminentemente documentale dell’istruttoria e l’inapplicabilità della disciplina dell’equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo’
(Cass. 1540/2007). Ne deriva che in ogni processo vanno individuati ‘due distinti e non confondibili oggetti del giudizio, l’uno (processuale) concernente la sussistenza o meno del potere-dovere del giudice di risolvere il merito della causa e l’altro (sostanziale) relativo alla fondatezza o meno della domanda’ (Cass. 2002/ 6737). …’ (Cass. sentenza n. 6686/2023: Cass., sez. V ordinanza n. 15030 del 29 maggio 2023); inoltre, va altresì considerato che il principio di non contestazione, applicabile anche al processo tributario, trova qui in ogni caso un limite strutturale insito nel fatto che l’avviso di accertamento (o di rettifica) non è l’atto introduttivo del processo quanto piuttosto l’oggetto (immediato), per lo meno nei casi in cui venga in questione la pretesa fiscale in esso riportata, sicché la cognizione del giudice è limitata dai profili che siano stati contestati col ricorso, e anche laddove, in base all’art. 23 del d.lgs. n. 546/1992, l’attenzione sia rivolta alle difese dell’amministrazione pubblica resistente, e si intenda sottolineare che la parte resistente deve all’atto della costituzione in giudizio esporre ‘le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente’, indicando ‘le prove di cui intende valersi’ e proponendo ‘altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio’, non per questo può trascurarsi che l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quale i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da quanto dal contribuente ritenuto» …’ (Cass., sez. V, ordinanza n. 15030 del 2023).
11.In definitiva, nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di un atto affermativo della pretesa fiscale (similmente a quanto accade nel processo di opposizione all’esecuzione, rispetto all’espropriazione forzata, alla cui base del pari è posto un titolo a fondamento della pretesa creditoria), il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di
impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato (preteso) mediante l’atto impositivo, atto preesistente al processo nei quali i fatti costitutivi sono già stati allegati in modo difforme da quanto dal contribuente ritenuto in sede giudiziale. …’ ( Cassazione sentenza n. 16984/2023).
12.Tra l’altro, emerge dalle controdeduzioni in sede d’appello del Comune, allegate al ricorso per cassazione , che l’amministrazione locale ha insistito per il rigetto del ricorso e per la conferma della legittimità dell’avviso, con la conseguenza che non risulta violato il principio di non contestazione dedotto con il quarto strumento di ricorso.
Segue il rigetto del ricorso. Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, tenuto conto che il Comune è rimasto intimato.
A carico della ricorrente, stante la declaratoria di rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’udienza camerale della Sezione