Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9646 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9646 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
questa Corte disponeva la trattazione della causa in pubblica udienza, mandando, altresì, la cancelleria di acquisire il fascicolo di merito, per le ragioni che saranno di seguito rappresentate.
Il Sostituto ProRAGIONE_SOCIALEtore Generale ha depositato in data 31 ottobre 2023 motivate conclusioni con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONE_SOCIALE ha depositato, in data 10 novembre 2023, memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. prov. civ., la violazione e/o erronea applicazione degli artt. 12 e 59, comma 1, lett. b ), d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 82 cod. proc. civ., premettendo che solo all’udienza di trattazione del giudizio di appello la concessionaria si era munita di difensore ed assumendo che la stessa, non essendo un ufficio del RAGIONE_SOCIALE Finanze, né un ente locale, non poteva costituirsi in giudizio avvalendosi di un proprio funzionario, ma avrebbe dovuto necessariamente dotarsi di un difensore abilitato, ponendo in evidenza che le deroghe al principio generale dell’assistenza tecnica obbligatoria sono eccezionali e, quindi, di stretta interpretazione, ragion per cui, una volta rilevato tale vizio, la Commissione avrebbe dovuto dichiarare la nullità della sentenza e rimettere la causa dinanzi al primo Giudice.
Con la seconda censura l’istante ha dedotto, con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, cod. prov. civ., la violazione degli artt. 62 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e 14 del Regolamento TIA del Comune di Carmignano, oltre che, a mente degli artt. 112 cod. proc. civ. e 36 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, l’omessa pronuncia sulla richiesta di esclusione della tassa relativamente alle sale di lavorazione dell’immobile sito alla INDIRIZZO e cioè di quella porzione di superfice (di mq 1310 relativa alle sale di lavorazione) stabilmente occupata da macchinari ed impianti tecnologici facenti corpo con i locali medesimi e contraddistinti dall’esclusione di presenza umana.
Con la terza doglianza la società ha denunciato, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, cod. prov. civ., la violazione e l’erronea applicazione dell’art. 21 del Regolamento TIA del Comune di Carmignano, nonchè degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., ponendo in rilievo che la documentazione versata in atti dalla ricorrente comprovava la produzione e lo smaltimento, in via autonoma dei rifiuti speciali prodotti in INDIRIZZO e che la Commissione regionale aveva disatteso le allegazioni difensive avanzate dalla contribuente.
3.1. Con detta censura l’istante ha, altresì, segnalato che la circostanza che nel citato locale la produzione dei rifiuti speciali si assommava a quella dei rifiuti ordinari costituisce l’ipotesi tipica contemplata dall’ultimo comma dell’articolo 21 del regolamento comunale TIA, il quale, in presenza di situazioni produzione promiscua di rifiuti (ordinari e speciali) prevede la possibilità di ottenere una riduzione forfettaria dell’imposizione tributaria, che nel caso di specie non è stata invece applicata.
Con l’ultima ragione di impugnazione, la ricorrente ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, cod. prov. civ., la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 65 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, 238 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e 18 del regolamento comunale TIA, nonchè degli artt. 2697 cod. civ. e 115
cod. proc. civ., evidenziando che l’immobile sito alla INDIRIZZO era stato erroneamente ricondotto, ai fini tariffari, dalla concessionaria nella categoria delle «industrie con produzione », la quale prevede l’applicazione di tariffe più gravose, nonostante che il locale risultasse incontestabilmente e pacificamente adibito a magazzino, senza che nello stesso venissero svolte attività di carattere produttivo.
4.1. La ricorrente ha, quindi, rappresentato che tale destinazione era stata dimostrata sin dal primo grado di giudizio anche mediante un’asseverazione tecnica, assumendo sul punto che la decisione della Commissione regionale, applicando il criterio dell’unicità dell’attività della società e del collegamento funzionale dei locali, si era posta in contrasto con quanto stabilito dai citati artt. 65 e 238, secondo cui l’imposta per lo smaltimento dei rifiuti deve essere commisurata anche alla concreta tipologia d’uso cui i locali soggetti ad imposizione sono destinati, nonché con la previsione dell’art. 18 del regolamento TIA, il quale, nell’individuare i presupposti della classificazione tariffaria, prevede, ai fini dell’individuazione della categoria di appartenenza, di far riferimento all’attività di fatto effettivamente svolta.
Il ricorso va accolto solo nel suo quarto motivo per le ragioni che seguono.
Come segnalato dalla controricorrente, le questioni agitate con i primi tre motivi di ricorso sono già state esaminate da questa Corte con la sentenza del 13 agosto 2020, n. 16995, resa tra le stesse parti in analoga controversia, sicchè sui medesimi temi, in assenza di convincenti elementi contrari, va ribadito nella soluzione e con riferimento specifico al primo motivo, quanto già stabilito in detta pronuncia.
Il primo motivo di impugnazione è infondato.
7.1. Come chiarito, infatti, con la citata pronuncia, ai cui più ampi contenuti è sufficiente rinviare, che:
-« l’art. 12 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, deve essere interpretato “in una prospettiva costituzionalmente orientata, in linea con l’esigenza di assiRAGIONE_SOCIALEre l’effettività del diritto di difesa nel processo e l’adeguata tutela contro gli atti della P.A., evitando nel contempo irragionevoli sanzioni di inammissibilità, che si risolvano in danno per il soggetto che si intende tutelare »;
-« in base al sistema delineato dalla giurisprudenza di legittimità e dalla pronuncia della Corte Costituzionale del 13 giugno 2000, n. 189 l’assistenza di un difensore tecnico non è, nel processo tributario, condizione di ammissibilità degli atti processuali, ma è soltanto fonte di un dovere per il giudice adito di invitare le parti a munirsi di idonea assistenza, derivando l’inammissibilità solo dall’inottemperanza di detto ordine. (Cass., 28 febbraio 2008, n. 5255; Cass., 8 febbraio 2008, n. 3051)»;
-« nel processo tributario, nelle controversie di valore superiore a 2.582,28 euro, l’omissione da parte del giudice adito dell’ordine imposto alla parte privata, che ne sia priva, di munirsi di difensore ai sensi dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992, dà luogo ad una nullità che si riflette sulla sentenza, di natura non assoluta (non attenendo alla costituzione del contraddittorio) bensì relativa; detta nullità, pertanto, non essendo rilevabile d’ufficio, può eccepirsi, in sede di gravame, ex art. 157 cod. proc. civ., soltanto dalla parte di cui sia stato leso il diritto all’adeguata assistenza tecnica” (Cass. n. 11435 del 2018; n. 839 del 2014)»;
«Nella specie, la mancanza di assistenza tecnica della società concessionaria del servizio non ha leso alcun interesse giuridicamente tutelato della ricorrente, la quale dunque non era legittimata a prospettare la questione» (così Cass., Sez.T., 13 agosto 2020, n. 16995 e le altre ivi citate).
Anche il secondo motivo di ricorso non può essere accolto.
8.1. Come sopra esposto, il Giudice regionale ha negato l’operatività della causa di esenzione prevista dall’art. 62, comma 3,
d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 sul rilievo della mancata dimostrazione dello smaltimento dei rifiuti a spese del contribuente, aggiungendo l’esigenza, da un lato, di adempiere all’«obbligo della denuncia (D. Lgs. n. 507 del 1993, art. 70) e, dall’altro, l’onere di informazione finalizzato a ottenere l’esclusione di alcune aree della superficie tassabile, stante che una simile esclusione si configura come eccezione alla regola generale secondo cui il pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. 14156/13 che richiama Cass. 775/11, Cass. 17599/09 e Cass. 13086/06)» (così nella sentenza impugnata).
Osserva la Corte che nel predetto passaggio argomentativo non vi è effettivamente un esplicito e diretto riferimento alla diversa causa di esclusione della tassazione di cui all’art. 62, comma 2, del citato d.lgs. (che concerne -per quanto ora occupa – i locali e le aree che non possono produrre rifiuti per il particolare uso cui sono stabilmente destinati), cui si riferiva il richiamo alle sale di lavorazione.
Nondimeno, la motivazione della Commissione, nel suo complessivo tenore ed in particolare nella parte in cui si è riferita alla necessità dell’obbligo di denuncia, consente di ritenere ricompresa nella valutazione offerta anche la ragione per la quale l’esonero dal pagamento della tassa non è stato riconosciuto nemmeno per le sale da lavorazione, trattandosi di soluzione imposta proprio dalla previsione dell’art. 62, comma 2, del citato d.lgs., che lega l’esclusione dalla superfice tassabile al fatto che le relative circostanze esimenti siano « indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base di elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione».
Non vi è stata, quindi, un’omissione di pronuncia, ma una pronuncia implicita di rigetto della relativa domanda.
Pure il terzo motivo di ricorso va rigettato.
Con tale doglianza la contribuente ha lamentato, in relazione all’immobile di INDIRIZZO (ove venivano prodotti in modo promiscuo rifiuti ordinari e rifiuti speciali ed in relazione al quale era stata avanzata richiesta di una riduzione forfettaria della tariffa), che la Commissione regionale avesse totalmente disatteso le allegazioni e le prove difensive della ricorrente, le quali avrebbero dimostrato la produzione in via autonoma dei rifiuti speciali da parte della società.
9.1. Va osservato, sul piano dei principi, che la Corte, anche di recente, ha ribadito ed ulteriormente precisato che in tema di ricorso per cassazione, può essere dedotta la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., qualora il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti e, cioè, quando la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio o quando da una fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo, ipotesi questa diversa dall’errore nella valutazione dei mezzi di prova – non censurabile in sede di legittimità – che attiene, invece, alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo assunto (cfr., ex plurimis , Cass, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 12971; Cass., Sez. V, 7 novembre 2022, n. 32656, che richiama Cass., Sez. III, 21 gennaio 2020, n. 1163; Cass., Sez. I, 14 febbraio 2020, n. 3796; Cass., Sez. III, 21 gennaio 2020, n. 1163; Cass., Sez. I, 25 maggio 2015, n. 10749; Cass. Sez. U. n. 20867/2020; Cass. 24395 del 2020).
In tale direzione ed anche in relazione alla dedotta violazione dell’art. 2697 cod. civ., va ribadito che « In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. , occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o
implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. » (così Cass., Sez. III, 22 marzo 2022, n. 9225, che richiama Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598 e Cass., Sez. VI-II, 23 ottobre 2018, n. 26769 del 2018 e nello stesso senso Cass., Sez. II, 7 gennaio 2019, n. 1229 cit. ed anche Cass., Sez. VI/T, 25 gennaio 2022, n. 2242, che richiama pure Cass., Sez. 6^-5, 19 ottobre 2021, n. 28894; Cass., Sez. 6^-5, 28 ottobre 2021, n. 30535).
9.2. Ciò posto, nel caso in rassegna il Giudice regionale ha esplicitamente affermato che «la contribuente non ha fornito la prova dello smaltimento proprie spese di rifiuti speciali», rispetto alla cui valutazione in punto di fatto il motivo di impugnazione si pone in frontale contrasto, assumendo invece la sussistenza di tale prova, intercettando però, sotto tale profilo, il limite dell’inammissibile deduzione, nella sede che occupa, del dedotto errore valutativo da parte del Giudice regionale, spingendo la Corte ad un, altrettanto inammissibile, riesame di fatti attinenti al merito della controversia.
In tale valutazione è restato poi assorbito l’esame della richiesta di riduzione forfettaria della tariffa, implicitamente ritenuta dalla Commissione ancorata alla mancata dimostrazione dello smaltimento in proprio dei rifiuti speciali.
In relazione al quarto motivo di impugnazione va dato conto che, con la citata ordinanza interlocutoria, questa Corte ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza per le seguenti ragioni:
«Le ragioni del contendere meritano la trattazione della causa in pubblica udienza in relazione al profilo coinvolto con il quarto di motivo di impugnazione, che pone un tema inedito, su cui non si
registrano precedenti specifici di questa Corte (cfr., sul principio, tra le tante, Cass., Sez. VI/T, 26 ottobre 2022, n. 31679)»;
-«nello specifico, l’art. 18 del regolamento comunale per l’applicazione della TIA prevede, secondo quanto riportato dalla concessionaria, che «la tariffa applicabile per ogni utenza non domestica è unica anche se le superfici che servono per l’esercizio dell’attività stessa presentano diverse destinazioni d’uso e sono ubicate in luoghi diversi»;
«la normativa di riferimento (cfr. Cass., Sez. T., 5 agosto 2016, n. 16487) è quella di cui all’art. 49 d.lgs. 1997, n. 22, istitutiva della TIA e dell’art. 6 d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 (
e tale ultima disposizione prevede che «1. Per le comunità, per le attività commerciali, industriali, professionali e per le attività produttive in genere, la parte fissa della tariffa è attribuita alla singola utenza sulla base di un coefficiente relativo alla potenziale produzione di rifiuti connessa alla tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa e determinato dal comune nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.3 dell’allegato 1 al presente decreto. 2. Per l’attribuzione della parte variabile della tariffa gli enti locali organizzano e strutturano sistemi di misurazione delle quantità di rifiuti effettivamente conferiti dalle singole utenze»;
«L’art. 238 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani) riafferma, poi, il principio generale in materia, in forza del quale (comma 2) «La tariffa per la gestione dei rifiuti è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali»;
«in tale contesto normativo (primario e secondario) occorre esaminare la compatibilità della menzionata, chiara, prescrizione del
regolamento comunale, fondata sul criterio dell’unicità della tariffa anche in relazione alle diverse destinazioni d’uso delle superfici interessate, con quella primaria, che, in tema di tariffe, fa riferimento alla «tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa» (v. art. 6 cit.)»;
– «segnatamente, la questione giuridica da risolvere è:
a. se la tariffa prevista per le attività produttive possa essere applicata in modo unitario sull’intera superfice dello stabilimento industriale della contribuente e, quindi, anche in relazione a quelle superfici non direttamente ed immeditatamente destinate a tale attività, in ragione di un criterio di strumentalità e funzionalità di tali aree rispetto all’attività produttiva, natura quest’ultima che qualifica e caratterizza in modo principale e prevalente l’attività della contribuente (in tal senso, Cass., Sez. T, 2019, n. 2900, ma in tema di IUC e, dunque, in un diverso contesto normativo -art. 1, comma 682, legge 27 dicembre 2013, n. 147, 72, comma 5, e 74, commi 1 e 2, nonché regolamento comunale che espressamente prevedeva il criterio della prevalenza dell’attività effettivamente svolta);
b. se la tariffa debba, invece, essere applicata in relazione alla categoria di riferimento della singola unità superficiaria (nel caso che occupa costituita dall’immobile di INDIRIZZO) e quindi in ragione della tipologia della specifica attività ivi svolta, prescindendosi dal nesso strumentale e funzionale della stessa rispetto a quella, tipica, svolta della contribuente nelle altre aree occupate, che caratterizzano l’attività da essa esercitata, in tal modo frazionando e parcellizzando la tassazione in base alla puntale categoria di riferimento di ogni area».
10.1. Sul tema in oggetto la ProRAGIONE_SOCIALE Generale ha ritenuto che la predetta disposizione regolamentare non sia in contrasto con le citate norme primarie, osservando, in primo luogo, che la quota fissa della tariffa ha anche la funzione di coprire il costo generale del servizio di smaltimento dei rifiuti (di qualsiasi natura e provenienza e quindi anche di quelli giacenti sulle strade ed aree pubbliche) e
dunque le spese riguardanti un servizio indivisibile a favore della collettività, come tale non riconducibile ad un rapporto sinallagmatico con il singolo utente.
Tale premessa, per assumere che, «allorché il legislatore abbia previsto che la parte fissa sia ‘attribuita’ alla singola utenza sulla base di un coefficiente relativo alla potenziale produzione di rifiuti connessa alla tipologia di attività ‘per unità di superficie’ assoggettabile a tariffa, abbia avuto riguardo, non alla necessità imperativa di frazionare le singole unità immobiliari a seconda dell’attività effettivamente svolta, indipendentemente dal loro asservimento all’attività produttiva, quanto piuttosto alla necessità di correlare il coefficiente ‘all’unità di misura’ della superficie, nel senso che il coefficiente utilizzato debba determinare una somma maggiore o minore a seconda della maggiore o minore superficie asservita in vario modo all’attività produttiva, da cui origina il rapporto tributario, indipendentemente dalle circostanze di fatto che per porzioni dell’attività diversificate (ad. es. stoccaggio, magazzino) ne collocherebbero la produzione dei rifiuti in un’altra e diversa categoria».
In tale direzione ed in estrema sintesi – secondo la tesi della ProRAGIONE_SOCIALE Generale l’unità di superfice considerata dalle predette disposizioni legislative va intesa nel senso di «superfice asservita in vario modo all’attività produttiva» secondo un criterio, quindi, di natura funzionale del bene rispetto all’attività caratteristica svolta dal contribuente.
10.2. Dal suo canto, la difesa della concessionaria ha posto in evidenza che l’art. 6 d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, nello stabilire, in ordine alle tariffe di riferimento, che per le utenze non domestiche la «parte fissa della tariffa è attribuita alla singola utenza sulla base di un coefficiente relativo alla potenziale produzione di rifiuti connessa alla tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa» , ha previsto trenta diverse categorie di attività, per cui – a dire della controricorrente -il dato normativo nazionale opera uno
specifico riferimento all’attività esercitata dall’utente, considerando anche l’utilizzo di locali accessori da destinare ad attività collaterali (come la biglietteria all’interno di un museo, un refettorio all’interno di un casa di RAGIONE_SOCIALE, una reception all’interno di un albergo), ma negando che un singolo utente possa essere ricondotto contemporaneamente a diverse categorie.
10.3. La ricorrente anche nelle sue ultime difese ha, in estrema sintesi, ribadito che, in base alla normativa nazionale, la tariffa va commisurata alla tipologia di attività per unità di superfice, reputando per tale via, illegittimo l’art. 18 del citato regolamento comunale.
Tanto ricapitolato, va da dato conto che con la pronuncia del 30 dicembre 2020, n. 29911 (erroneamente menzionata nell’ordinanza interlocutoria con l’indicazione di «Cass. Sez. T, 2019/2900») questa Corte, in analoga fattispecie, in cui si discuteva della componente Tari (inserita nella Imposta Comunale Unica) di un’unita immobiliare destinata ad attività di lavorazione di prodotti ortofrutticoli, classificata, a termini di regolamento comunale, come “utenze non domestiche”, nella categoria delle “Attività industriali con capannoni di produzione”, ha così risolto « il thema litigandum incentrato sulla individuazione della tariffa applicabile alla superficie (mq. 1.667) destinata – nel più vasto ambito dello stabilimento industriale -ad «uffici, mensa, cucina, spogliatoi, laboratori ed altri servizi» ;
«Prescindendo dall’ubicazione in fabbricati distinti e separati, con autonoma identificazione sul piano catastale, l’ente impositore ha valutato che le attività svolte nel fabbricato destinato ad uffici amministrativi fossero meramente strumentali ed accessorie all’attività svolta nel fabbricato destinato alla conservazione ed alla manipolazione dei prodotti ortofrutticoli, per cui la tassazione doveva applicarsi in base alla tariffa prevista per “attività industriali con capannoni di produzione” (codice 20), anziché in base alla tariffa prevista per “uffici, agenzie, studi professionali”, in relazione alla
vocazione principale e prevalente dello stabilimento industriale nella sua interezza»;
«Il che, del resto, trova conferma nella classificazione catastale dell’immobile in questione nella categoria “D7”, la quale comprende i «fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni», per tali intendendosi anche i fabbricati strumentali ove non sia allocata l’attività industriale»;
-«Sotto tale aspetto, dunque, si può ritenere che il Comune abbia esercitato la potestà regolamentare in assoluta conformità ai criteri ed alle prescrizioni dell’art. 1, comma 682, della Legge 27 dicembre 2013 n. 147, dettando un’organica disciplina per l’applicazione della I.U.C., attraverso una articolata classificazione delle varie categorie di attività economiche con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti ed una dettagliata specificazione dei corrispondenti criteri di determinazione delle tariffe»;
-«In tale contesto, l’uniformazione della qualificazione ascrivibile alla superficie destinata alle attività accessorie e strumentali alla qualificazione della superficie destinata all’attività principale del medesimo complesso immobiliare è coerente con l’intento legislativo di diversificare il trattamento tributario soltanto in relazione alla eterogenea tipologia delle varie categorie di rifiuti» .
Senonchè, tale ordine di idee non persuade e non può essere applicato nella fattispecie in rassegna.
Intanto, va osservato che la suindicata tesi utilizza come argomento non secondario il dato catastale (vale a dire la classificazione dell’unità immobiliare in D/7), elemento questo che qui, in ogni caso, non risulta.
La suindicata soluzione fa leva sul criterio funzionale della destinazione del locale, considerando solo il nesso strumentale e servente dell’attività svolta nella struttura immobiliare adibita ad uffici, mensa, cucina, spogliatoi, laboratori ed altri servizi rispetto
alla attività di impresa, così valorizzando, in applicazione di un criterio di prevalenza ai fini dell’applicazione della tariffa, la categoria dell’attività imprenditoriale svolta dalla società.
13. Ebbene, la Corte ritiene che tale opzione interpretativa mal si concili con l’intento legislativo di diversificare il trattamento tributario in relazione all’eterogenea tipologia delle varie categorie di rifiuti prodotti nell’unità di superfice, profilo questo certamente rilevante nel caso in esame, poichè non par indubbio che nel distinto locale di INDIRIZZO (adibito ad uffici e magazzino) si formino rifiuti diversi da quelli che si producono nel capannone industriale.
In tale prospettiva una diversa e più convincente soluzione va ricercata muovendo dal menzionato quadro normativo, osservando che le suindicate norme nazionali operano tutte un chiaro riferimento al concetto di «tipologia di attività per unità di superfice», il che induce a ritenere -per quanto si avrà modo di chiarire – che il tema rilevante, ai fini che occupano, sia quello di intendersi sul concetto di ‘unità di superfice’.
Il comma 645 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 stabilisce che « la superficie delle unità immobiliari a destinazione ordinaria iscritte o iscrivibili nel catasto edilizio urbano assoggettabile alla TARI è costituita da quella calpestabile dei locali e delle aree suscettibili di produrre rifiuti urbani e assimilati».
Per il calcolo della porzione immobiliare soggetta a tassazione (ai fini TARI, ma in termini applicabili anche alla TIA, in quanto assoggettate a linea normativa di continuità, cfr., tra le tante, Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, nn. 8205 e 8222), quindi, deve essere utilizzata la superficie catastale, computata al netto delle aree scoperte , facendo quindi riferimento alla nozione di superfice catastale dell’unità immobiliare.
Risulta essenziale, ai fini che occupano e dunque per l’individuazione della tariffa applicabile, la definizione della nozione di «unità di superfice» perchè questo è il dato di riferimento
considerato sia dall’art. 6 d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, che dall’art. 238 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ponendolo altresì in connessione o in relazione alla tipologia di attività svolta su detta unità superficiaria.
In tale prospettiva, ritiene la Corte che per ‘unità di superfice’ debba intendersi quell’area dotata di completa autonomia fisica e strutturale, materialmente separata da quella principale cui eventualmente accede per l’esercizio di attività a quest’ultima strumentale e funzionale.
Deve, in altri termini, trattarsi di un’unità immobiliare distinta, a sé stante sul piano fisico/materiale, qualificata da una propria individualità strutturale e da una peculiare tipologia di attività, che per quanto servente rispetto all’attività principale cui accede, sia da essa diversa ed idonea, come tale, a scindere il nesso di prevalenza dell’attività principale svolta in altra unità del complesso immobiliare ed a derogare al principio di preminenza dell’attività caratteristica svolta nel compendio immobiliare considerato nel suo insieme e, quindi, con esso, al principio dell’unicità dell’utenza.
Sotto tale profilo, la sussistenza di un dato catastale distinto e proprio attribuito a tale unità può assumere rilevanza sul piano dell’interpretazione, ma non in termini vincolanti, contando, invece, l’autonomia strutturale, l’autonoma individualità dell’unità immobiliare, distinta e separata materialmente dalle altre unità immobiliari cui sono funzionali.
Qualora si sia in presenza di un’unità immobiliare a se è stante e quindi, per quanto sopra detto, si sia al cospetto di un’unità di superfice è a tale porzione immobiliare che va collegata la tipologia di attività ivi svolta al fine di individuare la tariffa applicabile, non potendo l’unitarietà della categoria tariffaria fondarsi sul mero dato soggettivo dell’intestazione dell’utenza, dovendo, invece, detta categoria individuarsi sulla relazione tra l’unità di superfice ed il tipo di attività e quindi sulla natura dei rifiuti ivi prodotti perché questa è
la correlazione imposta dagli artt. 6 d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 e 238 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Tale prospettiva risulta, sul versante dell’interpretazione letterale, più aderente al suindicato, ripetuto, dato testuale della normativa di riferimento e consente, sul piano dell’interpretazione funzionale, di applicare alla distinta unità di superfice una tariffa commisurata al diverso coefficiente di potenziale produttività di rifiuti previsto dalle varie categorie tariffarie ed alla specificità del rifiuto prodotto.
Non convince la tesi sostenuta dalla ProRAGIONE_SOCIALE Generale, articolata sul richiamo alla quota fissa, posto che detto riferimento attiene ad altro tema e cioè al come si compone la tariffa, ma non risolve il problema, qui rilevante, di quale tariffa applicare.
Non convince nemmeno la tesi della concessionaria perché l’argomento dell’unicità della categoria tariffaria per ciascun utente non fa i conti con le diverse unità di superfici che il contribuente può possedere, mentre il suggestivo argomento secondo il quale un museo paga la tariffa in base alla relativa categoria anche per l’area occupata dalla biglietteria all’interno dello stesso non può operare nel caso di specie (in cui l’unità di superfice tassabile non è posta all’interno di un unico -sul piano materiale -complesso immobiliare) e comunque può logicamente e giuridicamente ribaltarsi, osservando che al locale biglietteria ubicato in altro luogo rispetto al museo non può -di certo – applicarsi la tariffa prevista per il museo (e lo stesso vale per il refettorio della casa RAGIONE_SOCIALE, che, se situato in altro stabile, non può pagare la tariffa della casa di RAGIONE_SOCIALE), ostandovi l’insanabile e non giustificabile recisione del nesso che deve intercorrere tra la tipologia tariffaria ed il tipo di attività svolta nel locale tassato, a cui va, necessariamente, commisurato il profilo tariffario.
Alla stregua delle considerazioni che precedono e tornando al caso che occupa, va preso atto che la distinta e separata unità immobiliare sita in INDIRIZZO e dunque in altro luogo
rispetto al capannone industriale (ubicato in INDIRIZZO) risulta pacificamente destinata ad altra attività (stoccaggio merci ed uffici) rispetto a quella principale (di natura industriale nel settore manifatturiero), sia pur in termini strumentali e serventi rispetto ad essa, per cui -alla luce delle riflessioni sopra svolte – partecipa di tutte le suindicate caratteristiche che giustificano l’applicazione della tariffa prevista per i magazzini.
In tali termini deve, considerarsi illegittimo l’art. 18 del regolamento comunale del Comune di Carmignano nella parte in cui ha previsto l’unicità della tariffa anche se le superfici che servono per l’esercizio dell’attività stessa presentano diverse destinazioni d’uso e sono ubicate in luoghi diversi, con conseguente disapplicazione dello stesso.
In tale direzione, si formula il seguente principio di diritto: ‘ deve considerarsi illegittima la disposizione del regolamento comunale che in tema di TIA stabilisca che la tariffa applicabile per ogni utenza non domestica è unica, anche se le superfici che servono per l’esercizio dell’attività stessa presentano diverse destinazioni d’uso e siano ubicate in luoghi diversi, dovendo, invece, in tali casi applicarsi la tariffa prevista dal regolamento per la categoria di attività corrispondente alla tipologia di attività svolta nell’unità di superfice di riferimento, considerando tale l’unità immobiliare distinta, separata ed a sé stante sul piano fisico/materiale dal resto del complesso immobiliare in cui si svolge l’attività del contribuente, qualificata da una propria individualità strutturale e da una peculiare tipologia di attività, che, per quanto servente rispetto all’attività principale cui accede, sia da essa diversa ed idonea, come tale, a scindere il nesso di prevalenza dell’attività principale svolta nel complesso immobiliare ed a derogare al principio di preminenza dell’attività caratteristica in essa svolta e, quindi, con esso, al principio dell’unicità dell’utenza’ .
Per tali complessive ragioni, dunque, il quarto motivo di ricorso va accolto e la sentenza impugnata va pertanto cassata,
La causa, sulla base di quanto sopra detto, può anche essere decisa nel merito, considerando non controversa, sul piano fattuale, la preminente destinazione a magazzino dell’unità immobiliare di INDIRIZZO (per come desumibile anche dalla richiesta applicazione della relativa tariffa, non osteggiata, sotto tale specifico profilo, dalla difesa della controricorrente), disapplicando, come anticipato, l’art. 18 del regolamento TIA del Comune di Carmignano e stabilendo l’applicazione per l’unità immobiliare sita di INDIRIZZO della tariffa prevista dal regolamento per i magazzini nei termini (cat. 03) invocati dalla contribuente.
La diversa soluzione adottata sul tema sopra esaminato giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite dell’intero giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, disapplica l’art. 18 del regolamento TIA del Comune di Carmignano, stabilendo l’applicazione per l’unità immobiliare sita di INDIRIZZO della tariffa prevista dal regolamento per i magazzini.
Compensa integralmente tra le parti le spese di lite dell’intero giudizio.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 22 novembre