Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12106 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12106 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 07/05/2025
Tarsu Tia Tares Riscossione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11114/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE C. (P_IVA), in liquidazione, in persona del suo liquidatore legale rappresentante p.t. , rappresentata e difes a dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; avv.EMAIL);
-ricorrente –
contro
Comune di Rende, in persona del suo Sindaco p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE EMAIL;
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE
-intimata –
avverso la sentenza n. 2954/16, depositata il 14 novembre 2016, della Commissione tributaria regionale della Calabria; udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 27
marzo 2025, dal Consigliere dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con sentenza n. 2954/16, depositata il 14 novembre 2016, la Commissione tributaria regionale della Calabria ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE, di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, così confermando la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di una cartella di pagamento emessa dietro iscrizione a ruolo della TARSU dovuta dalla contribuente per l’anno 2010.
1.1 – Il giudice del gravame ha ritenuto che:
così come già rilevato dal primo giudice, il tributo aveva trovato applicazione -ai sensi del regolamento comunale, art. 11, comma 6, sulle superfici destinate ad Uffici nonché «ad attività artigianale di produzione di beni specifici, applicando, su quest’ultima superficie, una riduzione della tassa del 50%»;
detta disposizione regolamentare doveva ritenersi legittima in quanto di diretta attuazione del dettato normativo alla cui stregua -in relazione alle superfici di produzione di rifiuti speciali tossici o nocivi -l’Ente poteva individuare categorie di attività produttive «alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto alla intera superficie su cui l’attività viene svolta» (d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3);
la circostanza che la contribuente avesse provveduto, con oneri a proprio carico, allo smaltimento di rifiuti speciali non escludeva, pertanto, la legittimità dell’imposizione nella misura oggetto di riduzione tariffaria;
il motivo di appello che recava denuncia di omessa valutazione di «questioni decisive» doveva ritenersi aspecifico per omessa indicazione di dette questioni;
-diversamente da quanto dedotto dall’appellante, e così come già rilevato dal primo giudice, la TARSU doveva ritenersi legittimamente applicata (anche) per il periodo di imposizione in contestazione (cd. «ultrattività della TARSU»).
-La RAGIONE_SOCIALE, di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di sei motivi, ed ha depositato memoria.
Il Comune di Rende resiste con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col quinto motivo di ricorso -il cui esame, in quanto logicamente pregiudiziale, va anteposto -la ricorrente, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., denuncia «Difetto di motivazione per genericità» della gravata sentenza assumendo, in sintesi, che il decisum risultava fondato su di una motivazione resa per relationem ed in difetto di una «valutazione prudente e circostanziata dei fatti e delle numerose eccezioni sollevate … alcune delle quali sono rimaste senza alcuna risposta».
-Il motivo è destituito di fondamento.
2.1 – Come le Sezioni unite della Corte hanno statuito, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012 n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione
di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
Si è, quindi, ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; v., altresì, Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599).
2.2 -La Corte ha altresì statuito che la sentenza pronunziata in sede di gravame è legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purchè il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il
contro
llo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass., 5 agosto 2019, n. 20883; Cass., 5 novembre 2018, n. 28139; Cass., 25 ottobre 2018, n. 27112; Cass., 21 settembre 2017, n. 22022; Cass. Sez. U., 20 marzo 2017, n. 7074; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232).
2.3 -Nella fattispecie, la gravata sentenza, -come reso esplicito dai relativi contenuti, sopra ripercorsi, – reca compiuta enunciazione del criterio regolatore della tassazione -nello specifico rinvenuto nell’esercizio del potere regolamentare sotteso alla disposizione di cui al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3, – così che, sia pur sintetim , risulta pianamente espressa la ratio decidendi che è stata posta a fondamento del riscontro di legittimità della tassazione.
– Col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., la ricorrente -che pur solleva questione di legittimità costituzionale della disciplina transitoria per difetto di base legislativa dell’imposizione (art. 23 Cost.) denuncia «Violazione e/o falsa applicazione di legge, nonché difetto di motivazione per illogicità, lacunosità e contraddittorietà della stessa su elementi decisivi per il giudizio» assumendo, in sintesi, che, relativamente agli anni 2010 e 2011, il prelievo tributario della Tarsu non aveva fondamento normativo in quanto il suo regime transitorio (di proroga) doveva ritenersi cessato al 1° gennaio 2010.
– Il motivo è manifestamente destituito di fondamento.
4.1 -La ricognizione normativa della fattispecie evidenzia, sul punto, innanzitutto che il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 istituiva (art.
49) la tariffa integrata ambientale (cd. TIA 1) che, nel disegno del legislatore, avrebbe dovuto sostituire la TARSU.
Per quel che qui interessa, il d.lgs. n. 22 del 1997, art. 49, cit., disponeva la soppressione della TARSU (istituita dal d.lgs. n. 507 del 993, artt. 58 e ss.) «a decorrere dai termini previsti dal regime transitorio, disciplinato dal regolamento di cui al comma 5» (art. 49, comma 1); e prevedeva, al citato comma 5, che il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato (sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano) avrebbe dovuto elaborare «un metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento, prevedendo disposizioni transitorie per garantire la graduale applicazione del metodo normalizzato e della tariffa ed il graduale raggiungimento dell’integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani da parte dei comuni.».
L ‘atto regolamentare in questione è stato, quindi, adottato col d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, il cui art. 11 ha previsto un regime transitorio (anche per effetto di successive modifiche normative) così articolato: «Gli enti locali sono tenuti a raggiungere la piena copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa entro la fine della fase di transizione della durata massima cosi articolata: a) sette anni per i comuni che abbiano raggiunto nell’anno 1999 un grado di copertura dei costi superiore all’85%; b) sette anni per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi tra il 55 e 1’85%; c) otto anni per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi inferiore al 55%; d) otto anni per i comuni che abbiano un numero di abitanti fino a 5000, qualunque sia il grado di copertura dei costi raggiunto nel 1999.».
La soppressione della TARSU, quindi, non ha comportato l’immediata abrogazione della relativa disciplina istitutiva ma secondo il cennato regime transitorio -detta imposta rimaneva in vigore (con la conseguente disciplina regolamentare adottata dai Comuni; d.lgs. n. 507 del 1993, cit., art. 68) almeno sino al 19 giugno 2006 (il d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale n. 129 del 4 giugno 1999 e, come appena sopra ricordato, il termine più breve istituito dal regime transitorio prevedeva una durata di almeno 7 anni).
Detto regime transitorio, peraltro, non verrà a compimento in quanto col d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (pubblicato in Gazz. Uff. il 14 aprile 2006) il legislatore interveniva nuovamente sulla materia disponendo la soppressione della TIA 1 istituita col d. lgs. n. 22 del 1997.
Ha previsto, in particolare, il d.lgs. n. 152 del 2006, che:
«La tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11.» (art. 238, comma 1);
«Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti» (art. 238, comma 11);
è abrogato «il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del citato decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto» .
Orbene, il d.lgs. n. 152 del 2006 (istitutivo della cd. TIA 2) è stato adottato in un momento in cui, come sopra rilevato, non si era ancora perfezionata la scadenza del regime transitorio previsto dal d.P.R. n. 158 del 1999 (adottato in esecuzione del d.lgs. n. 22 del 1997, art. 49, commi 1 e 5): il che equivale a dire che a detto momento non poteva ritenersi (già) prodotto l’effetto abrogativo che l’art. 49, c omma 1, d.lgs. n. 22 del 1997, cit., aveva previsto con riferimento alla disciplina (anche regolamentare) della TARSU.
Laddove, allora, il legislatore del 2006 (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, comma 11) ha previsto la salvaguardia delle «discipline regolamentari vigenti» (sino all’emanazione di un regolamento previsto dall’art. 238, c omma 6) e, con quelle, dei «provvedimenti attuativi del citato decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22» («sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto») ha, da un lato, conservato tutte le discipline regolamentari (e normative) a quel momento vigenti -stante il mancato perfezionamento del regime transitorio di cui sopra si è detto -e, dall’altro, ha esso stesso prorogato il regime transitorio previsto dal d.lgs. n. 22 del 1997, art. 49 (e dal d.P.R. attuativo n. 158 del 1999, art. 11, cit.) onde evitare ogni soluzione di continuità «nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta» del d.lgs. n. 152 del 2006 .
Va, in particolare, rimarcato che il d.P.R. n. 158 del 1999, costituiva (anche nella disciplina transitoria introdotta col suo art. 11 cit.) provvedimento attuativo del d.lgs. n. 22 del 1997 e che la conservazione di efficacia delle «discipline regolamentari vigenti» non poteva che comprendere (anche) i regolamenti comunali sulla TARSU (la cui disciplina legislativa non era stata ancora abrogata in ragione del sopra ricordato regime transitorio).
La complessiva soluzione legislativa in discorso è stata, quindi, mantenuta in vigore sino all’adozione (col d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 14, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214) di un nuovo tributo comunale (sui rifiuti e sui servizi, cd. TARES) secondo la cui disciplina (solo) a decorrere dal 1° gennaio 2013 «sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l’addizionale per l’integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza» (art. 14, comma 46; v. peraltro, altresì, il d.l. n. 102 del 2013, art. 5, comma 4quater , conv. in l. n. 124 del 2013).
E ciò è tanto vero che:
-l’art. 5, c omma 2quater , del d.l. 30 dicembre 2008 n. 208, conv. in l. 27 febbraio 2009, n. 13 (qual modificato dapprima dall’articolo 23, comma 21, del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, convertito in l. 3 agosto 2009, n. 102, di poi dall’articolo 8, comma 3, del d.l.30 dicembre 2009, n. 194 convertito in l. 26 febbraio 2010, n. 25) – nel disporre che «Ove il regolamento di cui al comma 6 dell’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sia adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare entro il 30 giugno 2010, i comuni che intendano adottare la tariffa integrata ambientale (TIA) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti.» -espressamente riconosceva c he l’effetto abrogativo conseguente all’emanazione del d.lgs. n. 152 del 2006 a quella data (30 giugno 2010) non si era ancora (senz’altro) prodotto ;
-l’art. 14, c omma 7, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 disponeva che «Sino alla revisione della disciplina relativa ai prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti
solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale. Resta ferma la possibilità per i comuni di adottare la tariffa integrata ambientale.».
4.2 -In conclusione, la sequenza normativa sopra ripercorsa dà pienamente conto dell’insussistenza del vuoto normativo di cui v’è prospettazione nel motivo di ricorso, così risultando manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 14, comma 7, in relazione all’art. 23 Cost. (v., ex plurimis , Cass., 26 luglio 2023, n. 22694; Cass., 10 ottobre 2019, n. 25523; Cass., 6 agosto 2019, n. 20972; Cass., 27 febbraio 2013, n. 4893).
-Con i successivi motivi, dal secondo al quarto, la ricorrente denuncia:
-ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 195, comma 2, lett. e ), e art. 218, al d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 7, comma 3, al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, commi 3 e 5, assumendo, in sintesi, che -consistendo, nella fattispecie, i rifiuti speciali prodotti in imballaggi secondari e terziari -in difetto di istituzione di una raccolta differenziata, e di una predeterminazione statuale dei criteri di assimilazione, al Comune rimaneva preclusa ogni assimilazione con i rifiuti urbani (secondo motivo);
-ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, ult. comma, sull’assunto che, nel contesto dato, il giudice del gravame avrebbe dovuto disapplicare la disposizione di regolamento sulla cui base era stata (inversamente) giustificata l’imposizione, regolamento che non recava specifica indicazione dei «criteri di determinazione della tariffa sulla base della qualità e della quantità dei rifiuti» (terzo motivo);
-violazione del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 18, comma 2, lett. d ), come recepito dalla l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 184, deducendo che:
-l’assimilazione dei rifiuti speciali avrebbe potuto operarsi (solo) dietro predeterminazione dei relativi criteri (qualitativi e quantitativi);
la tariffa sui rifiuti implicava la sua correlazione ai costi del servizio ed alla quantità dei rifiuti prodotti, in specie, dunque, la predeterminazione in una quota fissa ed una variabile;
il Comune di Rende non aveva fornito «i criteri esplicativi di determinazione della categorie e delle tariffe» (quarto motivo).
-I motivi in questione sono inammissibili.
6.1 -Come anticipato, la ratio decidendi che connota la gravata sentenza si identifica con l’esercizio del potere regolamentare che, consentito ai Comuni, è espressamente previsto dal d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3, secondo il cui disposto «Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti. Ai fini della determinazione della predetta superficie non tassabile il comune può individuare nel regolamento categorie di attività produttive di rifiuti speciali tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto alla intera superficie su cui l’attività viene svolta.».
La prima parte di detta disposizione -che ha riguardo alla nozione di superficie «ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi» secondo un consolidato orientamento della Corte, è stata interpretata nel senso che l’esclusione dalla tassa riguarda la sola «parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti
speciali» (Cass., 10 gennaio 2022, n. 368; Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 4 aprile 2012, n. 5377; v., altresì, Cass., 24 luglio 2014, n. 16858).
Laddove la potestà regolamentare dell’Ente locale qual implicata dalla seconda parte della disposizione di cui all’art. 62, comma 3, cit. , -presuppone che una superficie -ancorché produttiva («per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione») di rifiuti speciali, tossici o nocivi (cioè di quei “rifiuti… allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti”) – possa essere «ridotta in “percentuale” allorchè utilizzata per lo svolgimento di una delle “categorie di attività” (pur “produttive di rifiuti speciali tossici o nocivi”), individuate nel regolamento comunale siccome, razionalmente e tecnicamente, in quelle attività la produzione di “rifiuti speciali, tossico nocivi” non può ritenersi esclusiva ed unica per l’intera superficie» (così Cass. Sez. U., 30 marzo 2009, n. 7581).
6.2 -Orbene, i motivi di ricorso in esame -per di più in completa anomia di riferimenti al contenuto regolativo delle disposizioni regolamentari suscettibili di applicazione nella fattispecie (ivi inclusa la disposizione che il giudice del gravame ha posto a fondamento della decisione) -non colgono la cennata ratio decidendi siccome si risolvono nell’evocazione di limiti, e condizioni, all’esercizio del potere di assimilazione quando, come appena rilevato, non è dubbia la produzione di rifiuti speciali non assimilati e (solo) viene in rilievo la produzione (promiscua) di rifiuti urbani.
Per di più -e sempre senz’alcuna indicazione dei corrispondenti referenti regolamentari -si prospettano violazioni di legge, sui criteri di predeterminazione della tariffa TARSU, che o risultano del tutto indeterminati -così risolvendosi in un’anonima riproposizione di tesi difensive -o non afferiscono affatto alla disciplina del tributo in applicazione (cui non è mai stata prevista un’automatica estensione del
metodo cd. normalizzato di cui al d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158), diversamente recepito ex lege nella disciplina della TARES (d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 art. 14, commi 11 e 12, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214).
-Col sesto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia «Illogicità e contraddittorietà della motivazione … per mancato annullamento delle sanzioni tributarie applicate» deducendo che «visto lo stato di incertezza sul piano applicativo, il Giudice tributario avrebbe dovuto annullare le sanzioni tout court applicate».
– Nemmeno questo motivo può trovare accoglimento.
In disparte che della sollecitata disapplicazione delle sanzioni la stessa parte ricorrente non dà alcun conto -né, per vero, la relativa trattazione emerge dalla gravata sentenza -come si è rilevato, secondo un consolidato principio di diritto, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, «l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza del giudice di merito, ma una
questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito.» (così Cass., 28 novembre 2007, n. 24670 cui adde, ex plurimis , Cass., 1 febbraio 2019, n. 3108; Cass., 23 novembre 2016, n. 23845; Cass., 2 dicembre 2015, n. 24588; Cass., 24 febbraio 2014, n. 4394; Cass., 22 febbraio 2013, n. 4522; Cass., 27 luglio 2012, n. 13457; Cass., 16 febbraio 2012, n. 2192).
E si è, in particolare, rimarcato che -costituendo l’incertezza normativa oggettiva una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole che trova il suo fondamento, piuttosto che nell’ignoranza giustificata, nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria -l’essenza del fenomeno «si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente» (v.
Cass., 28 novembre 2007, n. 24670 cui adde , ex plurimis , Cass., 12 aprile 2019, n. 10313; Cass., 13 giugno 2018, n. 15452; Cass., 17 maggio 2017, n. 12301; con riferimento alla ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, nella giurisprudenza di legittimità e anche di merito, cfr. Cass., 23 novembre 2016, n. 23845, cit.; Cass., 2 dicembre 2015, n. 24588, cit.; per la considerazione di una pluralità di disposizioni «il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso, per l’equivocità del loro contenuto», v. Cass., 24 febbraio 2014, n. 4394, cit.; Cass., 22 febbraio 2013, n. 4522, cit.).
8.1 -Nella fattispecie, in conclusione, deve escludersi ogni incertezza normativa oggettiva con riferimento ai contenuti, ed alle conseguenti implicazioni impositive, della disposizione di cui al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3, cit., che -come sopra si è rilevato -ha formato oggetto di plurime, e consonanti, ricostruzioni interpretative nella giurisprudenza della Corte (v. in particolare, tra le tante, Cass. Sez. U., 30 marzo 2009, n. 7581, cit.; Cass. 28 luglio 2005, n. 15857).
-Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali che liquida in € 2.410,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri
accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il proposto ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 marzo 2025.