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Trust fittizio: Cassazione conferma l’accertamento

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un contribuente contro un avviso di accertamento per redditi non dichiarati. L’Amministrazione Finanziaria aveva contestato l’uso di un trust estero, ritenuto un trust fittizio creato al solo scopo di schermare beni e redditi. La Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, sottolineando che la valutazione sulla natura simulata del trust è un accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità e che, ai fini fiscali, rileva il possesso effettivo dei redditi a prescindere dalla titolarità formale.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Trust Fittizio: la Cassazione Conferma la Prevalenza della Sostanza sulla Forma

L’utilizzo di strutture societarie e trust internazionali è una pratica comune nella pianificazione patrimoniale, ma quando queste strutture diventano un mero schermo per eludere il fisco, le conseguenze possono essere severe. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per l’Amministrazione Finanziaria conta la sostanza economica e il controllo effettivo, non la forma giuridica. Il caso analizzato riguarda un trust fittizio, considerato tale perché il disponente non si era mai spogliato del reale controllo sui beni.

I Fatti di Causa: Un Trust Estero nel Mirino del Fisco

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un contribuente per l’anno d’imposta 2008. L’atto imponeva il pagamento di quasi un milione di euro per imposte e sanzioni su redditi da capitale non dichiarati.
Secondo la ricostruzione del Fisco, basata su una segnalazione dell’Ufficio Centrale Antifrode, il contribuente aveva sottratto al fisco italiano ingenti redditi. In particolare, le partecipazioni di un gruppo societario a lui riconducibile erano confluite in un trust di diritto inglese. L’Agenzia delle Entrate, sulla base di documentazione acquisita e delle dichiarazioni del precedente legale del contribuente, ha concluso che il trust fosse meramente strumentale, un trust fittizio finalizzato a un’interposizione nel possesso dei beni e dei redditi per ottenere illeciti risparmi d’imposta.

Il Percorso Giudiziario e la Decisione della Cassazione sul trust fittizio

Il contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno respinto le sue ragioni, confermando la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate. I giudici di merito hanno ritenuto provata la natura simulata del trust e la conseguente riferibilità dei redditi direttamente in capo al contribuente.
Giunto dinanzi alla Corte di Cassazione, il ricorso del contribuente è stato dichiarato inammissibile per una serie di motivi, sia procedurali che di merito.

Inammissibilità per Vizi Formali

In primo luogo, la Suprema Corte ha bacchettato la redazione del ricorso, definendolo una “inestricabile e confusa sequela e commistione di elementi di fatto e di diritto”. Il ricorso non articolava motivi di censura specifici contro la sentenza impugnata, ma si limitava a una descrizione delle vicende societarie e a critiche generiche verso l’Amministrazione Finanziaria. Mancava, secondo i giudici, la necessaria specificità richiesta dall’art. 366 c.p.c., che impone di indicare chiaramente le norme violate e le ragioni della presunta erroneità della decisione.

La Natura Fittizia del Trust è un Giudizio di Fatto

Anche volendo superare i vizi formali, la censura principale del contribuente, incentrata sulla presunta natura reale ed effettiva del trust, è stata giudicata inammissibile. La Corte ha ribadito che la valutazione sulla natura simulata di un trust, basata sull’interpretazione delle clausole dell’atto costitutivo e sull’analisi di prove documentali e testimoniali (come le direttive impartite dal disponente al trustee), costituisce un accertamento di fatto. Tale accertamento è di esclusiva competenza dei giudici di merito e non può essere riesaminato in sede di legittimità.

Il Principio del Possesso Effettivo ai Fini Fiscali

La Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio cardine del diritto tributario: ai fini dell’imputazione dei redditi, ciò che rileva è il possesso effettivo, non la titolarità formale. La norma sull’interposizione (art. 37, comma 3, d.P.R. 600/1973) permette al Fisco di imputare i redditi al soggetto che ne risulta essere l’effettivo possessore, a prescindere che l’interposizione sia fittizia (simulata) o reale (effettiva, come nel caso di un mandato fiduciario). Pertanto, la distinzione su cui insisteva il ricorrente era, in ultima analisi, irrilevante.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano su due pilastri. Il primo è di natura processuale: un ricorso per cassazione deve essere redatto secondo canoni di chiarezza e specificità, non può essere un generico riesame dei fatti o una critica all’operato dell’amministrazione. La mancata osservanza di questi principi conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.
Il secondo pilastro è sostanziale e riafferma la preminenza del principio della sostanza sulla forma. Il Fisco ha il potere e il dovere di guardare oltre lo schermo formale di un trust per identificare chi detiene il controllo e il possesso effettivo dei beni. La valutazione se un trust sia un trust fittizio è un’indagine fattuale, basata su elementi presuntivi (clausole dell’atto, direttive del disponente, ecc.), il cui risultato, se logicamente motivato dai giudici di merito, non è sindacabile in Cassazione. La decisione impugnata era coerente con l’orientamento consolidato che valorizza il possesso come situazione di fatto idonea a individuare il titolare effettivo del reddito.

Le Conclusioni

La sentenza in commento offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, evidenzia l’importanza cruciale della corretta redazione degli atti processuali, specialmente nel giudizio di cassazione. In secondo luogo, e più significativamente, conferma che l’utilizzo di un trust fittizio non fornisce alcuna protezione contro le pretese del fisco italiano. Le autorità fiscali sono legittimate a riqualificare tali strutture come mere interposizioni, attribuendo i redditi direttamente al soggetto che, pur non apparendo formalmente, ha mantenuto il controllo e la disponibilità economica del patrimonio. Per i contribuenti e i professionisti, ciò significa che qualsiasi operazione di pianificazione patrimoniale deve essere genuina e comportare un reale spossessamento dei beni da parte del disponente, pena la sua totale inefficacia ai fini fiscali.

Quando un trust viene considerato fittizio dall’Agenzia delle Entrate?
Un trust è considerato fittizio quando, sulla base di elementi concreti come le clausole dell’atto costitutivo o le direttive impartite dal disponente al trustee, emerge che il disponente non si è realmente spogliato del controllo e della disponibilità dei beni conferiti, mantenendone di fatto il possesso effettivo.

È possibile contestare la natura fittizia di un trust in Cassazione?
No. La valutazione sulla natura fittizia o simulata di un trust è un accertamento di fatto, basato sull’analisi di prove e documenti. Tale valutazione è di competenza esclusiva dei giudici di merito (primo e secondo grado) e, se adeguatamente motivata, non può essere riesaminata dalla Corte di Cassazione, che si occupa solo di questioni di diritto.

Ai fini fiscali, conta di più la titolarità formale o il possesso effettivo del reddito?
Secondo la sentenza, per il diritto tributario il possesso effettivo del reddito prevale sulla titolarità formale. La legge consente di imputare i redditi a chi ne è l’effettivo possessore ‘per interposta persona’, indipendentemente dal fatto che l’intestazione a un altro soggetto sia frutto di una simulazione (interposizione fittizia) o di un accordo reale (interposizione reale).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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