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Trust estero: Cassazione su interposizione e oneri

Un contribuente ha impugnato un avviso di accertamento per redditi non dichiarati, derivanti da partecipazioni societarie confluite in un trust estero. Le corti di merito hanno ritenuto il trust una mera interposizione fittizia, dato che il contribuente ne manteneva il controllo effettivo. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per gravi vizi procedurali, confermando nel merito che, ai fini fiscali, rileva il possesso effettivo del reddito, a prescindere dalla titolarità formale, rendendo il contribuente il titolare effettivo soggetto a imposizione.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Trust Estero: Inammissibile il Ricorso se non Rispetta i Requisiti di Legge

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito due principi fondamentali in materia tributaria: la prevalenza della sostanza sulla forma nella valutazione di un trust estero e l’importanza del rigore formale nella redazione dei ricorsi. La Corte ha dichiarato inammissibile l’impugnazione di un contribuente contro un avviso di accertamento milionario, non solo per vizi procedurali, ma confermando anche l’orientamento secondo cui ciò che conta ai fini fiscali è il controllo effettivo dei beni, non la loro intestazione formale.

I Fatti di Causa: La Creazione di un Trust Sotto la Lente del Fisco

Il caso ha origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento IRPEF per l’anno 2007, con cui l’Agenzia delle Entrate contestava a un contribuente redditi da capitale non dichiarati per oltre 1,5 milioni di euro. Secondo l’Amministrazione finanziaria, le partecipazioni di un gruppo di società riconducibili al contribuente erano state trasferite in un trust estero di diritto inglese attraverso una società svizzera. Questa operazione era stata considerata un artificio, una mera interposizione fittizia, finalizzata a ottenere un illecito risparmio d’imposta.

L’Agenzia basava le sue conclusioni su diversi elementi, tra cui la permanenza in capo al contribuente (disponente del trust) dei poteri di gestione e controllo sui beni. Nonostante le difese del contribuente, che sosteneva la finalità del trust fosse quella di salvaguardare le imprese dal fallimento e assicurare il passaggio generazionale, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano confermato la natura fittizia dell’operazione, attribuendo i redditi direttamente al disponente.

L’Analisi della Corte: Inammissibilità e la Natura del Trust Estero

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha innanzitutto dichiarato il ricorso del contribuente inammissibile per una serie di motivi procedurali. La Corte ha sottolineato come l’atto di impugnazione mancasse completamente di una chiara e specifica articolazione dei motivi di censura, in violazione dell’art. 366 del codice di procedura civile.

Il ricorso si presentava come una confusa commistione di elementi di fatto e di diritto, senza rubricare i motivi di ricorso e senza indicare le specifiche norme di legge che si assumevano violate. Invece di criticare puntualmente la sentenza di secondo grado, il ricorrente si era limitato a una generica descrizione delle vicende societarie e a una critica all’operato dell’Amministrazione finanziaria. Tale modalità di redazione, secondo la giurisprudenza costante, rende il ricorso inammissibile perché non consente alla Corte di comprendere le censure mosse alla decisione impugnata.

Trust Estero Fittizio: Quando il Disponente Mantiene il Controllo

Pur basando la decisione sull’inammissibilità, la Cassazione ha colto l’occasione per ribadire i principi sostanziali applicabili al trust estero. La Corte ha confermato che la tesi di fondo del contribuente, secondo cui il trust era reale e non fittizio, era irrilevante. Ai fini fiscali, la norma sull’interposizione (art. 37, d.P.R. 600/1973) non distingue tra interposizione fittizia e reale.

Ciò che conta è individuare l’effettivo possessore del reddito, ovvero il ‘titolare effettivo’. Nel caso di specie, le corti di merito avevano correttamente desunto la natura simulata del trust da vari elementi: la coincidenza tra disponente e beneficiario finale, la possibilità per il disponente di modificare i beneficiari, la continuità del controllo sui beni conferiti e l’esistenza di clausole che obbligavano il trustee a tener conto dei ‘desiderata’ del disponente. Tali elementi dimostravano che il disponente non si era mai realmente spogliato del controllo sui beni, rendendolo il soggetto a cui imputare i relativi redditi.

Le motivazioni

La decisione della Suprema Corte si fonda su due pilastri. Il primo, di natura processuale, è l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di specificità e chiarezza. Il ricorrente non ha formulato una critica puntuale e argomentata della sentenza impugnata, limitandosi a una narrazione dei fatti e a critiche generiche, rendendo impossibile per la Corte svolgere il proprio ruolo di giudice di legittimità. Il secondo pilastro, di carattere sostanziale, è la conferma che, in materia tributaria, la qualificazione di un trust estero dipende dal controllo effettivo sui beni. Se il disponente mantiene poteri gestionali e di disposizione, il trust è considerato un mero schermo e i redditi vengono imputati direttamente a lui, in quanto titolare effettivo. La Corte ha specificato che la prova di tale possesso effettivo può essere fornita anche tramite presunzioni, come quelle utilizzate nel caso di specie.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per contribuenti e professionisti. In primo luogo, evidenzia che la costituzione di un trust estero non è di per sé sufficiente a garantire una separazione patrimoniale fiscalmente opponibile se il disponente non si spoglia effettivamente e irrevocabilmente del controllo sui beni conferiti. L’Amministrazione finanziaria è legittimata a guardare oltre lo schermo formale per individuare il reale percettore del reddito. In secondo luogo, la pronuncia sottolinea l’assoluta necessità di rispettare i requisiti formali e sostanziali previsti dalla legge per la redazione dei ricorsi per cassazione. Un atto non conforme ai canoni di specificità e chiarezza sarà inevitabilmente dichiarato inammissibile, precludendo ogni possibilità di esame nel merito.

Perché il ricorso del contribuente è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non rispettava i requisiti procedurali previsti dall’art. 366 c.p.c. In particolare, mancava di una chiara articolazione dei motivi di censura, non indicava le norme di diritto violate e presentava una confusa commistione di elementi di fatto e di diritto, impedendo alla Corte di comprendere le critiche mosse alla sentenza impugnata.

Quando un trust può essere considerato ‘fittizio’ o ‘simulato’ ai fini fiscali?
Un trust è considerato simulato quando, nonostante la sua costituzione formale, il disponente (chi ha creato il trust) non si spoglia realmente del controllo e della disponibilità dei beni conferiti. Elementi indicativi sono la permanenza di ampi poteri gestionali in capo al disponente, la possibilità di modificare i beneficiari a proprio piacimento e la coincidenza tra disponente e beneficiario finale.

Ai fini fiscali, è rilevante la distinzione tra interposizione fittizia e interposizione reale?
No, secondo la sentenza e la giurisprudenza costante, la distinzione non è rilevante. Ciò che conta per l’imputazione dei redditi è individuare chi sia l’ ‘effettivo possessore’, ovvero il titolare effettivo, a prescindere dall’intestazione formale. La prova di tale possesso effettivo può essere fornita anche attraverso presunzioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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