Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8726 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8726 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7446/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA PUGLIA n. 336/2017 depositata il 03/02/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il 30 maggio 2013, l’Agenzia notificava ad RAGIONE_SOCIALE esercente l’attività di commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi un processo verbale di constatazione, contenente una serie di rilievi relativi ad imposte sui redditi e a Iva; in data 26 luglio 2013, la società formulava le proprie osservazioni in merito ai rilievi sollevati dall’Ufficio. Quest’ultimo notificava un avviso di accertamento con il quale contestava la mancanza del requisito dell’inerenza ex art. 109, co. 5, TUIR in relazione a spese varie sostenute dall’ente; evidenziava, inoltre, maggiori ricavi non contabilizzati in ragione di differenze di merce non annotate nelle rimanenze finali, non riconducibili a merce distrutta e che, nella prospettazione erariale, costituivano merce ceduta in evasione d’imposta; stigmatizzava, ancora, ricavi omessi in ragione dell’emissione di fatture all’esportazione con l’indicazione di corrispettivi inferiori a quelli effettivi; infine, rilevava la riconducibilità ad una ‘triangolazione comunitaria nazionale’ non imponibile ai sensi dell’art 58 D.L. n. 331 del 1993 degli acquisti della società effettuati dai propri fornitori nazionali, viceversa assoggettati a tributi in quanto operazioni ‘interne’, disconoscendo la detrazione dell’Iva per un importo di euro 312.256,37. La CTP di Bari accoglieva il ricorso della contribuente. Per converso, la CTR della Puglia ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate. La contribuente affida il proprio ricorso per cassazione a cinque motivi, illustrati con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si contesta l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia UE e dalla Corte di Cassazione in relazione al diritto del contribuente al contraddittorio preventivo nel procedimento amministrativo tributario.
Il primo motivo è infondato.
Nella specie, è incontroverso che la verifica fiscale si è conclusa con la notifica di un processo verbale di constatazione cui è seguita la formulazione di osservazioni sulla pretesa fiscale da parte della contribuente, cui ha ulteriormente fatto seguito, decorsi più di sessanta giorni dalla notifica del processo verbale, la notifica dell’avviso di accertamento.
Giova, allora, richiamare l’indirizzo condivisibilmente espresso da questa Corte alla luce del quale ‘ In tema di accertamento tributario, ove sia stato redatto un processo verbale di costatazione, il contraddittorio preventivo è garantito dall’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, il quale prevede uno “spatium deliberandi” tra la regolare notifica del p.v.c. e la notificazione dell’avviso di accertamento, durante il quale il contribuente può far valere le proprie ragioni esercitando il diritto di esser sentito; la previsione generalizzata che sia l’Ufficio a dover invitare con atto formale il soggetto verificato a contraddire sui rilievi, è stata introdotta solo dall’art. 4 octies del d.l. n. 34 del 2019, come conv. in l. n. 58 del 2019, che ha aggiunto l’art. 5 ter al d.lgs. n. 218 del 1997, disposizione con la quale si è previsto che l’ufficio, prima di emettere un avviso di accertamento, notifica al contribuente l’invito a comparire di cui all’articolo 5, ma sempre con esclusione dei casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo ‘ (Cass. n. 9076 del 2021).
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 58 del D.L. n. 331 del 1993 nonché dell’art. 6, comma 6, D.Lgs. n. 471 del 1997, come modificato dall’art. 1, comma 935, L. 27 dicembre 2017, n. 205 (cd. ‘Legge di Bilancio 2018), per avere la CTR erroneamente ritenuto, con riguardo al rilievo n. 7 la sussistenza di una ‘triangolazione comunitaria nazionale’, ancorché difettasse la condizione del trasporto o spedizione in territorio di altro Stato dell’UE, essendo la consegna avvenuta in territorio italiano.
Il secondo motivo è infondato.
Questa Corte ha evidenziato che ‘ In tema di IVA, al fine di considerare un’operazione triangolare come cessione intracomunitaria non imponibile, l’espressione letterale “a cura” del cedente, contenuta nell’art. 8, comma 1, lett. a) del d.P.R. n. 633 del 1972, o quella corrispondente “per suo conto”, contenuta nell’art. 15, comma 1, della direttiva 77/388/CEE (sesta direttiva), vanno interpretate in relazione allo scopo della norma, che è quello di evitare operazioni fraudolente, le quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse autonomamente – e cioè al di fuori di un preventivo regolamento contrattuale con il cedente – decidere di esportare i beni in un altro “Stato membro” e, quindi, non nel senso che la spedizione o il trasporto devono avvenire in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente o in rappresentanza di quest’ultimo, ma nel senso che è essenziale che vi sia la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta, nella comune volontà degli originari contraenti, come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all’estero’ (Cass. n. 4008 del 2018) . Già in precedenza questa Corte aveva osservato che ‘ In tema di IVA, al fine di considerare un’operazione triangolare come cessione
intracomunitaria non imponibile, l’espressione letterale “a cura” del cedente, contenuta nell’art. 8, comma 1, lett. a) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, o quella corrispondente “per suo conto”, contenuta nell’art. 15, comma 1, della direttiva 77/388/CEE (sesta direttiva), vanno interpretate in relazione allo scopo della norma, che è quello di evitare operazioni fraudolente, le quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse autonomamente – e cioè al di fuori di un preventivo regolamento contrattuale con il cedente – decidere di esportare i beni in un altro “Stato membro” e, quindi, non nel senso che la spedizione o il trasporto devono avvenire in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente o in rappresentanza di quest’ultimo, ma nel senso che è essenziale che vi sia la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta, nella comune volontà degli originari contraenti, come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all’estero ‘ (Cass. n. 13951 del 2011). Questa Corte ha anche efficacemente osservato che ‘ Nel caso di operazioni triangolari interne – che si verificano quando vi sono due cessioni successive con tre operatori, di cui almeno uno sito al di fuori del territorio nazionale – l’operazione di trasporto intracomunitario va considerata come unitaria, se la merce viene trasportata dall’acquirente nel territorio dello Stato del cessionario, ma non è da questi utilizzata, bensì vincolata alla consegna a un terzo soggetto passivo, che la immette in consumo; il vincolo di destinazione sulla merce da trasportare esclude una signoria dominicale sui beni acquistati e, pertanto, impedisce di qualificare il trasferimento come cessione di beni ai fini IVA ‘ (Cass. n. 14853 del 2023).
In buona sostanza, non appare necessario -come viceversa perorato dalla ricorrente -che dei beni venduti sia provato il trasporto nel territorio dello Stato membro del cessionario
comunitario ‘ a cura del cedente/fornitore italiano, anche su incarico del proprio cessionario ( promotore )’. Quel che rileva ai fini della configurazione di un’operazione triangolare interna è la sussistenza di due cessioni successive con tre operatori, di cui almeno uno sito al di fuori del territorio nazionale; l’unitarietà dell’operazione di trasporto intracomunitario consta ogni qualvolta il primo acquirente non utilizzi la merce, essendo quest’ultima vincolata alla consegna a un terzo soggetto passivo, avente sede in un diverso Stato membro. Quel che conta è il vincolo di destinazione sulla merce da trasportare, che esclude una signoria dominicale sui beni acquistati e, pertanto, impedisce di qualificare il trasferimento come cessione di beni ai fini IVA.
Con il terzo motivo si censura la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per omessa valutazione delle prove prodotte in giudizio dalle parti (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.).
Con il quarto motivo si lamenta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per omessa valutazione dei documenti prodotti in giudizio, con riferimento alla contestata ‘ differenza di merce ‘.
Il terzo motivo e il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente e sono entrambi inammissibili.
Vi è un accertamento di fatto operato dal giudice regionale. La dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. tende ad ottenere una rivisitazione del merito della controversia, invero preclusa in questa sede.
D’altronde, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti,
abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. n. 26769 del 2018).
Peraltro, come chiarito ancora di recente da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 6774 del 2022; Cass. n. 1229 del 2019).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno anche osservato che in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020).
Mette in conto rilevare che in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa
applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n 2572 del 2021). Tra l’altro la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche al solo fine di rilevare entro i limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., dovrebbe emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 24434 del 2016).
Va, in ultimo, richiamato il principio di diritto statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui « Il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio -trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale » (Cass., Sez. U., 5 marzo 2024, n. 5792).
Con il quinto motivo di ricorso si deduce l” acquiescenza dell’Ufficio ex art. 56 del d.lgs. n. 546/1992 sul rilievo concernente le cessioni all’esportazione con presunti corrispettivi inferiori a quelli effettivi ‘. Il motivo non coglie nel segno e va disatteso.
Il ricorso alla commissione tributaria di secondo grado ha, al pari dell’appello, effetto devolutivo, con la conseguenza che il giudice del gravame risulta investito, sia pure nell’ambito del capo di decisione oggetto di censura, del riesame di tutte le questioni da
questo stesso capo implicate e, quindi, della rinnovazione del relativo giudizio. Pertanto, qualora il ricorrente lamenti l’erroneità di una determinata statuizione con esclusivo riguardo ad uno degli argomenti svolti dal primo giudice, la mancata formulazione di critiche in ordine ad ulteriori argomenti, nonostante l’autonoma idoneità di questi ultimi a sorreggere detta statuizione, non implica inammissibilità del gravame, a differenza di quanto si verifica con riguardo ai mezzi di impugnazione limitata, come il ricorso per Cassazione, ma o è del tutto irrilevante – se concernente ragioni giuridiche – o è liberamente apprezzabile dal giudice, ai sensi dell’art. 116 c. p. c. – ove si tratti di ragioni di fatto -, in occasione del rinnovato giudizio che gli si richiede (Cass. n. 25608 del 2021; già Cass. n. 5388 del 1991).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento in favore dell ‘Agenzia controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/01/2025.