Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19220 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19220 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16322/2023 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura allegata al ricorso, p.e.c.EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende, ope legis ;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA CAMPANIA n. 877/2023 depositata il 27/01/2023, non notificata;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria provinciale di Napoli (CTP) rigettava il ricorso proposto da NOME COGNOME contro l ‘avviso di accertamento relativo a Irpef dell’anno di imposta 2015 con cui era chiesto il pagamento dei redditi di capitale derivanti dalla partecipazione al 50 per cento nella società RAGIONE_SOCIALE
La Commissione tributaria regionale della Campania (CTR) rigettava l’appello della contribuente; in particolare, riteneva non compiutamente provato che la quota societaria fosse stata oggetto di sequestro giudiziario da parte del Tribunale di Napoli, poichè mancava il riscontro tra quanto indicato nel l’avviso di accertamento , che citava quale società la RAGIONE_SOCIALE, e gli atti giudiziari depositati dalla ricorrente che facevano riferimento a società diverse; inoltre evidenziava che nelle sentenze non si faceva mai riferimento a COGNOME NOME e che non tutte le quote erano state cedute fittiziamente.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione la contribuente con due motivi, cui resiste l ‘Agenzia delle entrate con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 21/05/2025 , per la quale la contribuente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, si deduce «violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2909 c.c., 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nullità e illegittimità della sentenza della Corte di giustizia tributaria di II grado per error in procedendo con riferimento alla violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.: il giudicato riflesso come accertamento storico; mancata acquisizione di tutto quanto emerso oggettivamente dai documenti prodotti e depositati; erronea percezione del tenore obiettivo della prova». La ricorrente si duole
dell’errata percezione del contenuto dei documenti prodotti da i quali si evincerebbe che la quota di società sequestrata era esattamente quella da essa detenuta nella RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, in particolare emergendo dalla visura camerale la donazione delle quote di COGNOME COGNOME e COGNOME NOME in suo favore, nel 2014, e poi che la società aveva modificato denominazione sociale (da «RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME» in «RAGIONE_SOCIALE c. snc di NOME COGNOME»); in sintesi pertanto i riferimenti contenuti nella sentenza penale, aventi causa nella situazione societaria esistente all’epoca dell’inizio del procedimento penale, devono essere letti unitamente alle risultanze della visura camerale.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Infatti, premessa la irrilevanza delle richiamate disposizioni sul giudicato civile, sul punto occorre rammentare che questa Corte (Cass. Sez. U., n. 20867/2020) ha statuito che in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio); è invece inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, o che abbia solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, in quanto la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
Di recente poi questa Corte, a Sezioni Unite, ha affermato il principio di diritto per il quale «il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il
fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’ar ticolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale» (Cass. Sez. U. n. 5/03/2024, n. 5792). Occorre peraltro evidenziare che le Sezioni Unite erano chiamate a dirimere il conflitto insorto nella giurisprudenza di questa Corte se potesse dedursi in sede di legittimità, per il tramite del n. 4 dell’art . 360 c.p.c., la violazione dell’art . 115 c.p.c. determinata dall’essere il giudice di merito incorso nel c.d. «trav isamento della prova».
Ciò premesso, laddove la ricorrente si duole dell’errata lettura delle sentenze penali, il motivo non solo è evidentemente inammissibile in quanto sollecita un diverso apprezzamento del materiale istruttorio ma anche altrettanto infondato poiché dallo stesso motivo emerge la correttezza dell’apprezzamento in fatto dei giudici di appello secondo cui negli atti processuali non vi è mai il riferimento a NOME COGNOME nè alla RAGIONE_SOCIALE, apprezzamento corroborato dalla considerazione che non tutte le quote della società fossero oggetto di cessione fittizia; in realtà la censura attiene alla circostanza che tali dati dovrebbero essere letti unitamente alla visura camerale da cui emergerebbe che, sostanzialmente nel corso del procedimento penale, le quote in questione della società furono donate dagli originari titolari COGNOME NOME e COGNOME NOME alla figlia, odierna ricorrente, e che la società ebbe a modificare la propria denominazione.
Appare evidente quindi che la censura esula del tutto dai parametri normativi cui fa riferimento il motivo.
Ostano, peraltro, ad un’eventuale riqualificazione della doglianza come omesso esame di un fatto decisivo ai fini della decisione della controversia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., le circostanze che l’appello è stato depositato il 7 ot tobre 2022 e si è in presenza di una doppia decisione conforme di merito, per cui trova applicazione l’art. 348 -ter c.p.c., il quale inibisce la possibilità di proporre ricorso per cassazione per vizio di motivazione.
Tale norma si applica per gli appelli depositati a decorrere dall’11 settembre 2012 e trova quindi applicazione anche nella controversia in esame, in cui sia il giudice di prime cure, sia il giudice d’appello, sono giunti alla medesima decisione, rigettand o la tesi della contribuente, senza che questa evidenziasse i profili di differenza tra le due decisioni conformi.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., si deduce «violazione e falsa applicazione de ll’art. 5, comma 1, d.P.R. n. 917 del 1986, dell’art. 50, comma 2, e dell’art. 51, comma 1 e comma 2, d.lgs. n. 159/2011 e dell’art. 1253 c.c.».
2.1. Il motivo è inammissibile poiché formula una censura in diritto a fronte di una decisione che, pur riconoscendo l’astratta applicabilità della disposizione invocata, è relativa alla mancanza di prova dell’elemento costitutivo dell’esonero da imposizione, cioè il sequestro della quota sociale di NOME COGNOME nella società cui si riferisce l’imposizione.
Concludendo, il ricorso deve essere respinto.
Alla soccombenza segue condanna al pagamento delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 4.400,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21/05/2025.