Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32595 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32595 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/12/2024
Oggetto:
Tributi
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 29753/2022 R.G. proposto da Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
Contro
U’COGNOME di NOME RAGIONE_SOCIALE, NOME in proprio, Associazione Ferrari e COGNOME Pietro in proprio
-intimati – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 10244/15/2021, depositata il 17.11.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’8 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Ragusa rigettava i ricorsi riuniti proposti dalla U’COGNOME di NOME RAGIONE_SOCIALE, in persona della legale rappresentante NOME COGNOME e da quest’ultima anche in proprio, nonché dall’RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante
COGNOME NOME, anche in proprio, avverso l’ avviso di accertamento, per imposte dirette e IVA , in relazione all’anno 1998, con il quale l’Agenzia delle entrate ha accertato ricavi non contabilizzati, ritenendo che l’Associazione RAGIONE_SOCIALE -i cui componenti avevano costituito la società RAGIONE_SOCIALE alla quale erano stati conferiti i beni dell’associazione – avesse svolto esclusivamente attività commerciale;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Sicilia accoglieva l’appello proposto dalla U’COGNOME di NOME RAGIONE_SOCIALE e da NOME Rosetta in proprio, rigettando quello proposto dalla Associazione Ferrari e da COGNOME Pietro in proprio;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
nel merito la pretesa fiscale era fondata, avendo l’Associazione RAGIONE_SOCIALE svolto esclusivamente attività commerciale nell’anno in contestazione;
-con riferimento alla responsabilità della società RAGIONE_SOCIALE l’RAGIONE_SOCIALE aveva conferito i propri beni alla predetta società in data 5.11.2002 e contestualmente era cessata;
-l’Amministrazione non poteva avanzare alcuna pretesa, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n 472 del 1997, nei confronti della cessionaria società RAGIONE_SOCIALE e del suo legale rappresentante NOME COGNOME in quanto il debito della cedente risaliva al 1998 e non risultava dagli atti dell’Amministrazione finanziaria alla data del conferimento, essendo stato accertato solo nell’anno 2005;
l ‘Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
i contribuenti rimanevano intimati.
CONSIDERATO CHE
– Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel ritenere che nel caso di specie vi fosse stata una cessione, mentre si era verificata una trasformazione dell’ente dalla forma associativa a quella di società di persone , avendo l’Associazione Ferrari solo cambiato denominazione, essendo rimasti immutati sia la compagine sociale sia la sede; rileva, di conseguenza, che non poteva ricorrere un’ipotesi di solidarietà tra cedente e cessionario, peraltro mai contestata dall’Ufficio, essendo il soggetto giuridico rimasto, nella sostanza, lo stesso;
con il secondo motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., eccependo l’esistenza del giudicato esterno con riferimento alle sentenze della CTR della Sicilia n. 2645/15/2021 e n. 2515/06/2021, entrambe depositate in data 16.03.2021 e divenute irrevocabili in mancanza di impugnazione, con le quali è stata definitivamente affermata la responsabilità solidale della società RAGIONE_SOCIALE, in relazione agli anni di imposta 1997 e 1999; – il secondo motivo, che va esaminato per primo per ragioni di priorità logica, è innanzitutto inammissibile per difetto di specificità;
come è stato più volte evidenziato da questa Corte, infatti, « il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso; pertanto, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione » (Cass. 23 giugno
2017, n. 15737), occorrendo, in particolare, il « richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo » (Cass. 8 marzo 2018, n. 5508);
-l’interpretazione del giudicato esterno, quindi, può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione e rispetti il principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione (Cass. 27.02.2024, n. 5126), onere che nel caso in esame non è stato assolto atteso il mancato richiamo, nel ricorso per cassazione, del testo integrale del giudicato del quale si assume la mancata interpretazione da parte del giudice d’appello e si chiede a questa Corte di accertare la portata;
il motivo è in ogni caso infondato, posto che, secondo il principio enunciato sul punto dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13916 del 16.06.2006, ‘ Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di
durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta’;
-l’effetto preclusivo del giudicato relativo ad un singolo periodo di imposta, dunque, non opera indistintamente e in via generale per altri periodi d’imposta, essendo limitato non solo alle ipotesi di concreta sussistenza del ‘ medesimo rapporto giuridico’, ma anche alla ‘ soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune’, aventi natura di ‘ premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza’ ;
detto effetto preclusivo può riguardare, poi, esclusivamente gli ‘ elementi costitutivi della fattispecie’ estensibili nel tempo e quindi insensibili al ‘periodo d’imposta’, individuati, in via esemplificativa, nella ‘ qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria’;
alla luce di questi condivisibili canoni giuridici è da escludere l’operatività in questo giudizio del giudicato esterno riguardante altre annualità, giacché né l’unicità della verifica fiscale e né i rilievi mossi per i diversi periodi d’imposta rappresentano un fatto a carattere stabile ovvero permanente destinato a reiterarsi per le diverse annualità;
in ultimo, è utile precisare che il giudicato non può riguardare comunque l’attività interpretativa delle norme di diritto, in quanto « l’attività interpretativa delle norme giuridiche compiuta dal Giudice, consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro Giudice, dovendosi richiamare a tale proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dall’efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 cod. civ. rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello stare decisis (cioè, del precedente giurisprudenziale vincolante) che non trova riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale (cfr. Cass, 15 luglio 2016, n. 14509, Cass., 21 ottobre 2013, n. 23723) », con la conseguenza che « l’interpretazione ed individuazione della norma giuridica posta a fondamento della pronuncia -salvo che su tale pronuncia si sia formato il giudicato interno -non limitano il Giudice dell’impugnazione nel potere di individuare ed interpretare la norma applicabile al caso concreto e non sono, quindi, suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione meramente strumentale
rispetto alla decisione (cfr. Cass. 20 ottobre 2010, n. 216561, Cass. 23 dicembre 2003, n. 19679) » (cfr. Cass., 5 marzo 2024, n. 5822, in motivazione);
il primo motivo è fondato;
come risulta da alcuni stralci dell’accertamento, riportati nel testo del ricorso per cassazione e nella sentenza impugnata, nonché dal contenuto dello stesso ricorso introduttivo (riportato a p. 11 del ricorso per cassazione) , i componenti dell’Associazione RAGIONE_SOCIALE avevano costituito in data 5.10.2002 la società RAGIONE_SOCIALE conferendo alla stessa i beni dell’associazione che, contestualmente, era cessata; la neocostituita società operava nella stessa sede dell’originaria associazione, mantenendo lo stesso codice fiscale ed esercitando la stessa attività; anche i soci erano gli stessi componenti dell’associazione;
la CTR ha errato per sussunzione nel ritenere che nel caso di specie fosse stata contestata una cessione ex art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, senza verificare se la ripresa riguardasse, invece, l’ipotesi di una trasformazione dello stesso ente da associazione a società di persone, con conseguente inapplicabilità del regime limitativo, previsto dall’art. 14 del d.P.R. n. 633 del 1972;
i giudici di appello hanno applicato le disposizioni di cui all’art. 14 cit., senza considerare gli elementi emersi nel corso dell’accertamento, fra cui quelli indicati dagli stessi contribuenti, dai quali si poteva evincere che il soggetto giuridico era rimasto, nella sostanza, lo stesso;
la nozione di cessione presuppone la sussistenza di una pluralità di soggetti, mentre nel caso di trasformazione vi è un unico soggetto che modifica la propria forma giuridica, ma i beni rimangono sempre in capo allo stesso soggetto, che non si estingue, ma continua la propria attività sotto un’altra veste;
– in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’8 ottobre 2024