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Transfer pricing: onere della prova e valore normale

Una società italiana concede un prestito a tasso agevolato alla sua controllante estera. La Cassazione interviene sul tema del transfer pricing, confermando l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate. La sentenza chiarisce che spetta al contribuente l’onere di provare la congruità del prezzo pattuito rispetto al ‘valore normale’ di mercato, respingendo le giustificazioni basate sul costo nullo dei fondi o su benchmark finanziari non comparabili.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Transfer Pricing e Prestiti Infragruppo: La Cassazione definisce l’Onere della Prova

La disciplina del transfer pricing rappresenta uno dei nodi cruciali del diritto tributario internazionale, essenziale per garantire una corretta ripartizione del carico fiscale tra le diverse giurisdizioni in cui opera un gruppo multinazionale. Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un caso emblematico, relativo a un finanziamento infragruppo a un tasso di interesse ritenuto non congruo dall’Amministrazione Finanziaria. La decisione offre chiarimenti fondamentali sul concetto di ‘valore normale’ e, soprattutto, sull’onere della prova che grava sul contribuente.

Il Caso: Prestito a Tasso Agevolato tra Controllata e Controllante

I fatti al centro della controversia riguardano una società italiana, controllata da una holding con sede in Lussemburgo, che aveva concesso a quest’ultima un cospicuo prestito pluriennale, per un valore fino a 70 milioni di euro, applicando un tasso di interesse annuo del 2%. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di verifiche, ha contestato la congruità di tale tasso, ritenendolo inferiore al ‘valore normale’ previsto dall’art. 110, comma 7, del TUIR, che recepisce il principio di libera concorrenza (arm’s length principle).

Di conseguenza, l’Ufficio ha emesso avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2006 e 2007, recuperando a tassazione la differenza tra gli interessi attivi contabilizzati dalla società e quelli ricalcolati sulla base di un tasso di mercato del 4,3%. La società ha impugnato gli atti, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno confermato la legittimità dell’operato dell’Amministrazione Finanziaria, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

Le Argomentazioni del Contribuente e la Decisione della Cassazione sul transfer pricing

La società ricorrente ha basato il proprio ricorso in Cassazione su tre motivi principali, tutti respinti dalla Corte Suprema.

La Presunta Mancanza di Motivazione

In primo luogo, il contribuente lamentava la nullità della sentenza d’appello per essere ‘priva di motivazione’. La Corte ha rigettato questa censura, ritenendo la decisione dei giudici di merito non solo presente, ma anche chiara ed esaustiva nell’esporre l’oggetto del giudizio, le tesi contrapposte delle parti e le ragioni per cui la valutazione dell’Ufficio era da considerarsi attendibile.

La Violazione delle Norme sul Valore Normale e l’Onere della Prova

Il cuore del ricorso riguardava la presunta violazione delle regole sul transfer pricing. La società sosteneva che i giudici avessero commesso un errore metodologico, basando la decisione su un mero confronto numerico tra il tasso del 2% e quello del 4,3%, senza considerare le specificità del caso. In particolare, la ricorrente evidenziava che le somme mutuate provenivano dalla vendita di un immobile ed erano state acquisite ‘a costo zero’. Inoltre, proponeva come benchmark di riferimento il rendimento dei BOT annuali (2,211%) e il tasso EURIBOR a dodici mesi (2,03%), sostenendo che il tasso del 2% fosse assolutamente compatibile con il mercato.

Le Motivazioni della Corte: Come si determina il valore normale nel transfer pricing

La Corte di Cassazione, analizzando congiuntamente il secondo e il terzo motivo di ricorso, ha smontato le argomentazioni della società, confermando la correttezza della decisione impugnata e dei principi applicati. I giudici hanno sottolineato che l’Amministrazione Finanziaria non si era limitata a un confronto semplicistico. La sua valutazione si fondava su una pluralità di elementi, tra cui:

1. La percentuale media applicata dagli istituti di credito per operazioni di finanziamento societario, ufficializzata dalla Banca d’Italia.
2. Un dato ritenuto decisivo: il tasso praticato per analoghe operazioni di finanziamento all’interno dello stesso gruppo societario, che oscillava tra il 4% e il 5%.

La Corte ha ritenuto che la società non avesse adeguatamente contestato questo secondo, cruciale, elemento di comparazione. Inoltre, ha giudicato del tutto improprio il paragone con strumenti finanziari a breve termine come BOT ed EURIBOR, data la natura pluriennale (fino a dieci anni) del finanziamento in questione, che comporta un profilo di rischio e rendimento differente.

È stato altresì chiarito che l’argomento dei fondi ottenuti ‘a costo zero’ è privo di fondamento economico e giuridico ai fini del transfer pricing. La normativa impone di valutare le transazioni infragruppo al loro valore normale, cioè al prezzo che sarebbe stato pattuito tra parti indipendenti, a prescindere dal costo storico di acquisizione dei beni o delle somme trasferite.

Infine, la sentenza ribadisce un principio cardine: in materia di transfer pricing, l’onere probatorio grava sul contribuente. È la società che deve dimostrare, con elementi concreti e pertinenti, la coerenza della propria politica di prezzi di trasferimento con il principio di libera concorrenza. L’Amministrazione Finanziaria, dal canto suo, deve fornire elementi presuntivi idonei a fondare la pretesa tributaria, come avvenuto nel caso di specie.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

La pronuncia della Corte di Cassazione conferma un orientamento consolidato e offre importanti indicazioni operative per le imprese che operano in contesti multinazionali. La gestione dei prezzi di trasferimento richiede un approccio rigoroso e ben documentato. Non è sufficiente addurre giustificazioni generiche o basate su benchmark non appropriati. È fondamentale condurre un’analisi di comparabilità accurata, considerando la natura e la durata delle transazioni, e predisporre una documentazione solida in grado di sostenere le scelte operate di fronte a un’eventuale verifica fiscale. La sentenza ribadisce che, in ultima analisi, è l’impresa a dover provare la conformità dei propri prezzi al valore di mercato, un onere da non sottovalutare per evitare contestazioni e pesanti recuperi d’imposta.

A chi spetta l’onere di provare che il prezzo in un’operazione infragruppo è corretto secondo le regole del transfer pricing?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta al contribuente. È la società che deve dimostrare con prove adeguate che il prezzo applicato nella transazione con una parte correlata è conforme al ‘valore normale’, ovvero a quello che sarebbe stato concordato tra soggetti indipendenti in condizioni di libera concorrenza.

È possibile giustificare un tasso di interesse basso su un prestito infragruppo sostenendo che i fondi sono stati ottenuti ‘a costo zero’?
No. La Corte ha stabilito che tale argomento è privo di fondamento sia economico che giuridico. La normativa sul transfer pricing impone che le transazioni siano valutate al loro valore normale di mercato, indipendentemente da come la società abbia acquisito le risorse finanziarie o i beni, anche se a titolo gratuito.

Quali parametri sono validi per determinare il ‘valore normale’ di un tasso di interesse su un finanziamento a lungo termine?
La sentenza chiarisce che il confronto con strumenti finanziari a breve termine, come i rendimenti dei BOT annuali o i tassi EURIBOR a 12 mesi, non è appropriato per un finanziamento pluriennale. Parametri di confronto più pertinenti e validi sono i tassi medi applicati da istituti di credito per operazioni di finanziamento societario simili e, soprattutto, i tassi applicati in operazioni di finanziamento analoghe all’interno dello stesso gruppo di imprese.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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