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Transfer pricing: onere della prova e metodi OCSE

Una società italiana vendeva un prodotto a una consociata estera a un prezzo notevolmente inferiore a quello finale di rivendita, praticato da un’altra società del gruppo a un acquirente terzo dopo pochi giorni. L’Amministrazione Finanziaria ha contestato l’operazione, ritenendola un caso di transfer pricing volto a spostare i profitti all’estero. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia, stabilendo che l’onere della prova spetta all’Amministrazione, ma questa può utilizzare metodi alternativi (come il prezzo di rivendita) per dimostrare la discrepanza con il valore normale, specialmente a fronte di un rapido e ingente aumento di prezzo all’interno del gruppo per la stessa merce non lavorata.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Transfer Pricing: la Cassazione detta le regole sull’onere della prova

La disciplina del transfer pricing rappresenta uno dei terreni più complessi e delicati del diritto tributario internazionale. La recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: l’onere della prova e i metodi che l’Amministrazione Finanziaria può utilizzare per contestare i prezzi di trasferimento infragruppo. La decisione offre importanti spunti di riflessione per le imprese che operano in un contesto multinazionale.

I Fatti di Causa

Il caso riguardava una società italiana, produttrice di estratti di frutta in polvere, che nel 2008 aveva venduto una significativa quantità di merce a una sua consociata austriaca per un importo di circa 1 milione di euro. La vicenda assumeva contorni fiscalmente rilevanti a causa della catena di rivendite successive, avvenute in un arco di tempo brevissimo all’interno dello stesso gruppo societario.

Nello specifico:
1. La consociata austriaca rivendeva la stessa merce a un’altra società del gruppo, sempre in Austria, per circa 1,5 milioni di euro.
2. Quest’ultima, a sua volta, cedeva il prodotto a una società svizzera del gruppo, con un minimo ricarico.
3. Infine, la società svizzera vendeva la medesima merce, senza che avesse subito alcuna trasformazione, a una società stabilita nel Liechtenstein per un prezzo di quasi 3 milioni di euro, quasi il triplo del prezzo iniziale.

L’Amministrazione Finanziaria, rilevando questa anomala e rapida lievitazione del prezzo all’interno del gruppo, ha ritenuto che il prezzo di cessione iniziale fosse artificiosamente basso e non corrispondente al ‘valore normale’, contestando alla società italiana un’ipotesi di transfer pricing finalizzata a spostare utili imponibili in giurisdizioni a fiscalità più favorevole.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, cassando la sentenza della Commissione Tributaria Regionale e rinviando la causa a un nuovo giudizio. I giudici di legittimità hanno ritenuto che la corte di merito avesse erroneamente applicato i principi che regolano l’onere della prova in materia di transfer pricing.

La sentenza impugnata aveva infatti addossato interamente all’Ufficio l’onere di provare non solo la discrepanza del prezzo, ma anche che i prodotti venduti dalla società contribuente a terzi indipendenti non fossero comparabili con quelli oggetto della transazione infragruppo. Questo, secondo la Cassazione, costituisce un’inversione errata del ragionamento probatorio.

Le Motivazioni: la prova del transfer pricing tra metodi OCSE e presunzioni

La Corte ha ribadito alcuni principi fondamentali in materia. In primo luogo, la disciplina del transfer pricing (art. 110, comma 7, TUIR) non è una norma antielusiva in senso stretto, ma mira a reprimere lo spostamento artificiale dei profitti. L’onere della prova spetta all’Amministrazione Finanziaria, che deve dimostrare che la transazione infragruppo è avvenuta a un prezzo inferiore al valore normale di mercato.

Tuttavia, la Corte ha chiarito che per assolvere a tale onere, l’Amministrazione non è vincolata a un unico metodo, ma può avvalersi di diversi approcci, inclusi quelli suggeriti dalle linee guida OCSE. Nel caso specifico, l’Ufficio aveva di fatto utilizzato il ‘metodo del prezzo di rivendita’ (Resale Price Method). Questo metodo è particolarmente indicato quando, come in questo caso, il prodotto viene rivenduto a un acquirente indipendente senza subire trasformazioni significative. L’enorme e rapido ricarico di prezzo realizzato dalla società svizzera del gruppo nella vendita finale alla società del Liechtenstein costituiva un forte indizio che il prezzo iniziale praticato dalla società italiana fosse anomalo.

La Cassazione ha sottolineato che, di fronte a un quadro indiziario così grave, preciso e concordante, la corte di merito avrebbe dovuto considerare provata la tesi dell’Amministrazione. Non è corretto addossare all’Ufficio l’ulteriore onere di dimostrare la non comparabilità di altre transazioni: una volta che l’Amministrazione ha fornito una solida base presuntiva, spetta al contribuente fornire la prova contraria, giustificando le ragioni economiche e commerciali che hanno determinato un prezzo così basso.

Conclusioni

La sentenza rafforza gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare i fenomeni di transfer pricing. Viene confermato che, in assenza di transazioni perfettamente comparabili, è legittimo ricorrere a metodi alternativi e complementari, come quello del prezzo di rivendita, aggregando le operazioni infragruppo per valutare la congruità del prezzo iniziale. Un rapido e significativo aumento del prezzo della stessa merce all’interno di una catena di società controllate costituisce una presunzione forte di profit shifting, che sposta l’onere della prova sul contribuente, il quale dovrà fornire una valida giustificazione economica per il prezzo praticato.

In un caso di transfer pricing, su chi ricade l’onere della prova?
L’onere di provare che una transazione infragruppo è avvenuta a un prezzo inferiore al valore di mercato normale ricade sull’Amministrazione Finanziaria. Tuttavia, una volta che l’Amministrazione fornisce elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti (come un’anomala e rapida rivendita a prezzo triplicato all’interno del gruppo), spetta al contribuente fornire la prova contraria per giustificare il prezzo applicato.

Quali metodi può usare l’Amministrazione Finanziaria per determinare il ‘valore normale’ di una transazione infragruppo?
L’Amministrazione Finanziaria non è vincolata a un unico metodo gerarchicamente ordinato. Può utilizzare l’approccio più appropriato al caso concreto, facendo riferimento sia ai listini e alle tariffe del fornitore, sia alle linee guida OCSE. Può quindi usare metodi alternativi e complementari, come il metodo del confronto di prezzo o, come nel caso di specie, il metodo del prezzo di rivendita.

Cosa succede se il prodotto venduto a una consociata non è perfettamente comparabile con quello venduto a terzi indipendenti?
Quando non è possibile applicare il metodo del confronto di prezzo diretto perché il prodotto non è comparabile con altri venduti a soggetti terzi, l’Amministrazione Finanziaria può e deve ricorrere ad altri metodi alternativi, come il metodo del prezzo di rivendita. In questo approccio, si analizza la catena delle transazioni successive per determinare se il prezzo iniziale fosse congruo rispetto al prezzo finale di vendita a un soggetto indipendente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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