Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15101 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15101 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/06/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRES 2008-2009.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16109/2017 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante protempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME COGNOME in virtù di procura speciale conferita con scrittura privata del 20 luglio 2017, autenticata dal notaio NOME COGNOME di Ginevra,
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 3495/28/2017, depositata il 12 aprile 2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 febbraio 2025 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME ha concluso chiedendo la declaratoria di estinzione del ricorso, con riferimento all’avviso di accertamento per IRES 2008, e l’accoglimento del primo motivo di ricorso, e la declaratoria di inammissibilità del secondo motivo, con riferimento all’avviso di accertamento per l’ann o 2009;
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica fiscale dalla Guardia di Finanza di Napoli nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di costruzione di aeromobili, l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale I di Napoli emetteva, nei confronti della suddetta società, avviso di accertamento n. TF3030204818/2013, relativo all’anno 2008, ed avviso di accertamento n. TF3030501004/2014 , relativo all’anno 2009, con il quale contestava alla predetta società l’omessa contabilizzazione di ricavi determinati, in applicazione della normativa antielusiva in materia di transfer pricing (art. 110, comma 7, d.P.R. 22 di cembre 1986, n. 917), in € 2.495.865,88 per l’anno d’imposta 2008, ed in € 1.528.463,00 per l’anno d’imposta 2009.
In particolare l’Ufficio, tenuto conto delle risultanze ispettive che indicavano per la società l’esistenza di un controllo di fatto della RAGIONE_SOCIALE, società di diritto elvetico residente in Svizzera (paese, all’epoca, a fiscalità privilegiata), titolare di un contratto di commercializzazione in tutto il mondo (esclusa l’Italia) per la commercializzazione degli aeromobili costruiti dalla RAGIONE_SOCIALE, riteneva che le transazioni tra le due
imprese citate non fossero improntate a politiche indipendenti, ma influenzate da una vera e propria soggezione sinallagmatica dell’impresa italiana nei confronti di quella svizzera, con applicazione, quindi, di prezzi di vendita degli aeromobili ritenuti non normali.
La società RAGIONE_SOCIALE proponeva due distinti ricorsi, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, avverso gli avvisi di accertamento in questione, contestando la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l’applicazione dell’art. 110, comma 7, d.P.R. n. 917/1986, nonché la metodologia seguita per determinare il valore degli aeromobili con il metodo Cost Plus . La C.T.P. adìta, con sentenza n. 6439/13/2016, previa riunione dei ricorsi li accoglieva, annullando gli avvisi di accertamenti suddetti.
Interposto gravame dall’Ufficio, ed appello incidentale da parte della contribuente in punto di regolamentazione delle spese di lite, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 3495/28/2017, pronunciata il 13 marzo 2017 e depositata in segreteria il 12 aprile 2017, rigettava l’appello principale, ed accoglieva l’appello incidentale, condannando l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite per entrambi i gradi di giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di due motivi (ricorso notificato il 22 giugno 2017).
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
Con decreto del 20 novembre 2024 è stata fissata per la discussione del ricorso l’udienza pubblica del 6 febbraio 2025.
All’udienza suddetta è intervenuto il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME che ha concluso per la declaratoria di estinzione del giudizio, con riferimento all’avviso di accertamento per l’anno 2008, e per l’accoglimento del primo motivo di ricorso e la declaratoria di inammissibilità del secondo motivo, con riferimento all’avviso di accertamento per l’anno 2009.
E’ comparso per l’Agenzia delle Entrate l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME che ha concluso come da verbale in atti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Deduce, in particolare, la ricorrente che la sentenza impugnata era da considerare nulla, in quanto priva di effettiva motivazione sul punto principale della controversia, e cioè la scelta del metodo di calcolo del ‘valore normale’ dei beni ceduti .
1.2. Con il secondo motivo la ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Rileva, in particolare, che la C.T.R., una volta affermata l’applicabilità, nel caso di specie, del metodo del ‘confronto del prezzo’, avrebbe dovuto procedere ad una rideterminazione della pretesa tributaria, e non limitarsi a confermare gli avvisi di accertamento impugnati.
Preliminarmente, deve essere dichiarata l’estinzione parziale della controversia, con riferimento all’avviso di accertamento n. TF3030204818/2013), riguardante l’anno d’imposta 2008.
Per tale avviso di accertamento, infatti, la società contribuente ha presentato istanza di definizione agevolata della controversia ex art. 1, commi 186 ss., l. 29 dicembre 2022, n. 197, depositando la relativa documentazione, con il versamento della prima rata ex art. 1, comma 197, l. cit.
In mancanza di un provvedimento di diniego da parte dell’Ufficio, la controversia deve pertanto ritenersi estinta, ex art. 1, comma 198, l. cit.
La contribuente ha anche presentato istanza di definizione agevolata con riferimento all’avviso di accertamento n. TF3030 501004/2014 per l’anno 2009, ma per tale anno l’Agenzia delle Entrate, in data 3 luglio 2024, ha notificato provvedimento di diniego della definizione agevolata; tale diniego non è stato impugnato dalla contribuente.
Deve quindi procedersi all’esame del merito del ricorso, per la parte riguardante l’avviso di accertamento n. TF3030501004/2014 per l’anno 2009 .
Delineati i motivi di ricorso ut supra , la Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo è infondato.
Secondo l’Ufficio ricorrente, la sentenza impugnata, oltre a non essere motivata in relazione alla scelta del metodo con il quale determinare il ‘valore normale’ delle transazioni intervenute tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, non avrebbe nemmeno
indicate le ragioni per le quali si era esclusa l’applicazione del metodo del cost plus .
Il motivo è totalmente infondato.
La Corte regionale , nel determinare il ‘valore normale’ ex art. 110, comma 7, d.P.R. n. 917/1986, ha applicato il metodo CUP ( Comparable Uncontrolled Price ) , che è comunque uno dei metodi previsti dalle Linee guida dell’OCSE in materia di transfer pricing.
Ai sensi dell’art. 110, comma 7, d.P.R. n. 917/1986 nel testo vigente ratione temporis , «i componenti di reddito derivanti da operazioni con soggetti non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva un aumento del reddito; la stessa disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli accordi conclusi con e autorità competenti degli stati esteri a seguito delle speciali procedure amichevoli previste per le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi. La presente disposizione si applica anche per i beni ceduti e i servizi prestati da società non residenti nel territorio dello Stato per conto delle quali l’impresa esplica attività di vendita e collocamento di materie prime o merci o di fabbricazione o lavorazione di prodotti».
A norma del richiamato comma 2 dell’art. 110, il valore normale si determina come previsto dall’art. 9 dello stesso d.P.R. n. 917/1986, che stabilisce (comma 3) che per valore
normale si intende il prezzo o il corrispettivo mediamente applicato per i beni e servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati.
Nel caso di specie non è in discussione la sussistenza del presupposto soggettivo di applicazione della normativa richiamata, in quanto la contribuente RAGIONE_SOCIALE fa parte dello stesso gruppo della RAGIONE_SOCIALE
Per quel che riguarda, invece, il presupposto oggettivo, consistente nell’anormalità del corrispettivo stabilito in una transazione tra soggetti collegati e incidente sulla libera concorrenza così da legittimare la rettifica dei prezzi praticati, con soli effetti fiscali, deve ribadirsi, in via generale, che l’onere della prova gravante sull’Amministrazione riguarda non il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l’esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, mentre incombe sul contribuente, giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c., ed in materia di deduzioni fiscali, l’onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua di quanto specificamente previsto dall’art. 9, comma 3, d.P.R. n. 917/1986 (tra le altre, Cass. 19 aprile 2018, n. 9673; Cass. 15 novembre 2017, n. 27018; Cass. 15 aprile 2016, n. 7493; Cass. 18 settembre 2015, n. 18392).
Più in particolare, è stato affermato che «in tema di transfer pricing , l’art. 110, comma 7, del d.P.R. n. 917 del 1986, non integrando una disciplina antielusiva in senso proprio, ma
avendo lo scopo di reprimere i fenomeni di spostamento artificioso dei profitti in un’altra giurisdizione, pone a carico dell’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che le transazioni infragruppo siano avvenute ad un prezzo inferiore al valore di mercato normale, da valutarsi, ai sensi dell’art. 9, comma 3, del cit. d.P.R., facendo riferimento sia ai listini o alle tariffe del fornitore dei beni, sia alle linee guida OCSE, adottando il metodo più appropriato al caso concreto, senza alcun criterio gerarchico, e potendo il contribuente, a sua volta, fornire la prova del contrario, evidenziando altresì i costi eventualmente aggiunti, gli sconti riconosciuti e le complessive condizioni economiche praticate» (Cass. 16 luglio 2024, n. 19512; v. anche Cass. 20 maggio 2021, n. 13850).
Orbene, la ratio della normativa va rinvenuta nel principio di libera concorrenza enunciato nell’art. 9 del Modello di Convenzione OCSE, il quale prevede la possibilità di sottoporre a tassazione gli utili derivanti da operazioni infragruppo che siano state regolate da condizioni diverse da quelle che sarebbero state convenute fra imprese indipendenti in transazioni comparabili effettuate sul libero mercato; si tratta, quindi, di verificare la sostanza economica dell’operazione intervenuta e di metterla a confronto con analoghe operazioni realizzate, in circostanze comparabili, in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti e di valutarne la conformità a queste.
Tra i metodi previsti dalle Linee Guida OCSE, la C.T.R. ha ritenuto utilizzabile quello tradizionale del confronto del prezzo (CUP). Sulla individuazione della metodologia da applicazione, è pur vero che questa Corte ha ritenuto utilizzabile anche altri
criteri, ed in particolare quello utilizzato dall’Ufficio nell’accertamento in esame, e cioè il c.d. cost plus (che si ottiene aggiungendo al costo di produzione del bene un margine di utile lordo), a condizione che sia selezionato il periodo di indagine, siano identificate le società comparabili, siano apportate le appropriate rettifiche contabili al bilancio della parte testata, siano tenute in debito conto le differenze tra la parte testata e le società comparabili in termini di rischi assunti o di funzioni svolte e sia assunto un indicatore affidabile del livello di profitto di redditività (cfr. Cass. 31 gennaio 2024, n. 2853).
Peraltro, l’originaria impostazione delle linee guida OCSE (1995), che prevedeva l’applicazione del metodo CUP come preferenziale, e solo in caso di impossibilità di utilizzo di questo approvava il ricorso ad altri metodi, è stato superato nelle Linee guida del 2010, eliminandosi qualsiasi precedenza o gerarchia per cercare di individuare il metodo migliore in relazione al caso concreto.
Deve tuttavia ritenersi che sia rimasta una preferenza implicita per il metodo CUP, che comporta un onere di specifica motivazione delle ragioni per cui si preferiscono altri metodi (Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate 29 settembre 2010, pag. 6). Successivamente, il D.M. 14 maggio 2018 (recante ‘L inee guida per l’applicazione delle disposizioni di cui all ‘art. 110, comma 7, del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di prezzi di trasferimento ‘ ), all’art.4, comma 3, ha previsto espressamente
una preferenza per i metodi tradizionali e in particolare per il metodo di confronto del prezzo, ove praticabile.
Nella fattispecie in esame, la C.T.R. ha dato conto di ritenere applicabile, in via preferenziale, il metodo CUP, e di ritenere quindi valido il criterio utilizzato dai consulenti tecnici nominati in primo grado, per la determinazione del prezzo normale.
La sentenza impugnata appare, sul punto, più che adeguatamente motivata, e peraltro conforme ai principi in materia di transfer pricing , che attribuiscono maggiore rilevanza proprio al metodo CUP.
3.2. Anche il secondo motivo è infondato.
Sostiene l’Ufficio ricorrente che la C.T.R., una volta affermata l’applicabilità del metodo del confronto del prezzo, in sostituzione del cost plus , avrebbe dovuto procedere alla rideterminazione dell’imposta , senza annullare integralmente gli atti impositivi.
La C.T.R., tuttavia, nell’indicare, ha assunto la propria decisione aderendo alle conclusioni dei consulenti tecnici nominati in primo grado, i quali affermano, tra l’altro, che il valore degli aeromobili prodotti dalla RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE negli anni 2008 e 2009 è quello indicato nei loro listini di vendita.
In sostanza, la Corte regionale ha ritenuto che il valore normale fosse proprio quello indicato nelle fatture di vendite dei velivoli per gli anni 2008 e 2009, e quindi ciò non poteva che determinare l’annullamento integrale degli avvisi di accertamento.
4. Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza della ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere Amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura dello Stato, non si applica il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1quater .
P. Q. M.
La Corte dichiara l’estinzione del giudizio, per la parte riguardante l’avviso di accertamento n. TF3030204818/2013, relativo al l’anno d’imposta 2008.
Rigetta nel resto il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione, in favore della RAGIONE_SOCIALE, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 15.000,00 per compensi, oltre 15% per rimborso spese generali, C.A.P. ed I.V.A.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2025.