Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8582 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8582 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , sedente in Firenze, con avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ; – controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della RAGIONE_SOCIALE, n. 2246/15 depositata il 16 dicembre 2015.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 gennaio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
L’RAGIONE_SOCIALE notificava alla società ricorrente avviso di accertamento fondato sulla violazione dell’art. 110 TUIR, per aver essa proceduto all’alienazione a un valore ben inferiore a quello di mercato di tre appartamenti in favore della società RAGIONE_SOCIALE, non ritenendo idonea la giustificazione secondo cui l’operazione era determinata dalla volontà di trasferire alla stessa società tali beni prima di cedere parte delle quote di partecipazione nella stessa a terzi, premettendosi che entrambe le società
Transfer pricing ‘domestico’.
(cedente e cessionaria) erano partecipate per il 50 % da NOME COGNOME (l’altra metà delle quote era invece detenuto, per entrambe le società, da RAGIONE_SOCIALE), mentre era amministratore unico di ambedue le società NOME COGNOME (controric., p. 2). Tale identità, a parere della società, dimostrava che la stessa non aveva alcun interesse a determinare il prezzo di vendita in base all’andamento di mercato.
La CTP accoglieva il ricorso, mentre la CTR adìta in sede d’appello dall’RAGIONE_SOCIALE, accoglieva il gravame riformando la sentenza di primo grado.
La contribuente propone allora ricorso in cassazione affidato a tre motivi, mentre l’RAGIONE_SOCIALE resiste a mezzo di controricorso.
La società da ultimo ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
Col primo motivo si deduce violazione dell’art. 110 TUIR, in quanto la sostituzione del prezzo dichiarato col valore normale avvenne tra società residenti, senza alcun occultamento di corrispettivo né asimmetria di regime fiscale.
1.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha già affermato che ‘Per la valutazione a fini fiscali delle manovre sui prezzi di trasferimento interni, costituenti il c.d. transfer pricing domestico, va applicato il principio, avente valore generale, stabilito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, che non ha soltanto valore contabile e che impone, quale criterio valutativo, il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi, presi in considerazione dal contribuente”.
Il suddetto art. 9 dispone che “per valore normale…si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti… Per la determinazione del
valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere RAGIONE_SOCIALE commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso”.
In particolare è stato affermato che le transazioni tra società infragruppo residenti nel territorio nazionale effettuate ad un prezzo diverso dal “valore normale” indicato dall’art. 9 del d.P.R. n. 917 del 1986 non sono indice, di per sé, di una condotta elusiva, in quanto l’alterazione rispetto al prezzo di mercato rappresenta solo un elemento aggiuntivo, di eventuale conferma, della valutazione di elusività dell’operazione, posto che appunto non può applicarsi l’automatismo discendente dal disposto di cui all’art. 110 TUIR, per effetto della suddetta disposizione d’interpretazione autentica intervenuta e vincolante.
Anzi va sottolineato che anche sotto il profilo dello stesso art. 110, TUIR, la finalità non è quella antielusiva, ma il parametro è (anche qui) quello della libera concorrenza (Cass. n. 16948/2019).
Di ciò la stessa CTR ha reso succinto conto nella sua motivazione.
1.2. Appunto perché non si tratta di una disciplina antielusiva in senso proprio, l’Amministrazione finanziaria ha, sì, l’onere di provare l’esistenza di transazioni economiche, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, ma non anche quello di dimostrare la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, mentre spetta al contribuente provare che la transazione è avvenuta in conformità ai valori di mercato normali (Cass., sez. 5, 16 gennaio 2019, n. 898; Cass., sez. 5, 15 aprile 2016, n. 7493; Cass., sez. 5, 30 giugno 2016, n. 13387; Cass., sez. 5, 15 novembre 2017, n. 27018; Cass., sez. 5, 14 novembre 2018, n. 29306; Cass., sez. 5, 24 luglio 2015, n. 15642).
A tali condizioni resta dunque valido il riferimento alla verifica delle ‘manovre sui prezzi’ per le conseguenti verifiche fiscali anche con riferimento ai rapporti fra società collegate tutte residenti nel territorio nazionale.
Avendo quindi riguardo al principio di libera concorrenza, sotteso indubbiamente anche al disposto dell’art. 9 TUIR, non coinvolto dalla normativa di interpretazione di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 147 del 2015 (inerente al solo art. 110 TUIR), la valutazione del valore normale -indispensabile per la verifica della rispondenza dell’operazione alle logiche concorrenziali e alla sua rispondenza o meno alla manovra sui prezzi – attiene alla “sostanza economica” dell’operazione che va posta a confronto con analoghe operazioni stipulate in condizioni di libero mercato tra soggetti “indipendenti” (Cass. 27/04/2021, n. 11053).
In tale prospettiva va dunque valorizzata per il caso del ‘ transfer pricing interno’, la valutazione della “antieconomicità” della condotta, che costituisce valido presupposto di accertamento analitico-induttivo ai sensi dell’art. 39, comma 1, lettera d, d.P.R. 600/1973, in quanto basato sulla praesumptio hominis per cui chiunque svolga un’attività economica dovrebbe indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti (in tal senso Cass. n. 11093/2021 e altresì Cass. 10422/2023).
1.3. Calando i suesposti principi nella concreta fattispecie che ne occupa, intanto non è fondato l’argomento secondo cui, fermi restando i principi suesposti che la stessa ricorrente mostra di conoscere, dovrebbe ritenersi l’insussistenza dello scostamento dal valore di mercato in quanto la ripresa sarebbe esclusivamente basata sulla non conformità del prezzo pattuito coi valori OMI.
Infatti, come osservato dagli stessi giudici d’appello, è la ricorrente ad aver chiarito che ‘il trasferimento della titolarità dei beni in questione è stato dettato non dalla volontà lucrativa di
realizzare il massimo prezzo consentito dal mercato, come avviene quando la cessione effettuata a terzi estranei, bensì della necessità di estromettere quei beni dalla società per farli confluire nella società RAGIONE_SOCIALE. In tale situazione, non essendovi alcun interesse dei soggetti coinvolti di determinare i corrispettivi sulla base di valori confacenti o meno con quelli di mercato, piuttosto che sulla base dei valori compatibili con la fattibilità dell’operazione medesima…’.
Va altresì dato atto che la ripresa era comunque basata anche sui dati RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE.
Né può sostenersi che il trasferimento immobiliare da una società all’altra possa essere equiparato ad un’operazione di scissione parziale, esso sostanziandosi aldilà d’ogni dubbio in una compravendita immobiliare.
Risulta poi del tutto irrilevante e priva di riscontro la volontà di creare le premesse per la produzione di un futuro maggior ricavo tassabile, così come non può certo rilevare tra le finalità dell’impresa quella di operare una vendita sottocosto per reperire un acquirente (peraltro non dell’azienda ma delle quote sociali).
Si tratta insomma di una situazione del tutto conforme alle finalità perseguite dalle norme invocate in presenza della quale deve operarsi la sostituzione del prezzo dichiarato con quello normale, in assenza della prova della rispondenza dello stesso a quello di mercato (anzi nella specie nell’ammissione della sua non rispondenza ai valori di mercato).
Col secondo motivo si denuncia nullità della sentenza per motivazione parvente.
2.1. Anche tale motivo è infondato. Si ha motivazione parvente allorché dalla pronuncia non può ricavarsi l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla sua decisione.
Nella specie invece, a fronte della legislazione in materia, come sopra illustrata, in base alla quale a fronte di cessioni a prezzo
differente da quello normale deve sostituirsi a fini fiscali quello pattuito o dichiarato appunto col primo, la CTR ha chiarito le ragioni per cui doveva ritenersi provato lo scostamento del prezzo dichiarato da quello di mercato (cfr. quanto già riportato al paragrafo 1.2.), individuando l’estraneità all’esercizio dell’impresa proprio nel non essere rivolta l’operazione al mercato stesso.
Col terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 85 TUIR, in quanto i giudici d’appello, sulla sola discordanza dei valori OMI da quelli indicati nel prezzo di cessione, hanno ritenuto l’estraneità dell’operazione dall’esercizio dell’impresa.
3.1. Le osservazioni svolte a proposito del primo motivo determinano l’assorbimento del motivo in commento. E in proposito è proprio la prospettazione della ricorrente circa le finalità perseguite con l’operazione in oggetto che ha indotto la CTR, come si ricava dal riferimento alle stesse che si legge in motivazione, a ritenere la estraneità dell’operazione all’attività d’impresa.
Il ricorso merita dunque integrale rigetto, con aggravio di spese in capo alla ricorrente soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 5600,00, oltre spese prenotate a debito.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2025
Il Presidente
(NOME COGNOME)