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Transfer pricing domestico: quando si applica

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8582/2025, ha confermato che la disciplina del transfer pricing domestico si applica alle transazioni tra società residenti collegate anche in assenza di un intento elusivo. La controversia riguardava la vendita di immobili a un prezzo inferiore a quello di mercato tra due società con la stessa compagine sociale. La Corte ha stabilito che il principio del ‘valore normale’ è un criterio generale di valutazione e che spetta al contribuente dimostrare la congruità del prezzo praticato, non all’Amministrazione finanziaria provare il vantaggio fiscale o l’elusione.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Transfer Pricing Domestico: la Cassazione Fa Chiarezza sulle Operazioni Infragruppo

La disciplina del transfer pricing domestico rappresenta un tema cruciale per i gruppi societari che operano interamente sul territorio nazionale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 8582 del 2025, è intervenuta per ribadire principi fondamentali in materia, chiarendo l’ambito di applicazione delle norme sui prezzi di trasferimento tra società residenti collegate. La sentenza sottolinea come il criterio del ‘valore normale’ sia un principio generale, la cui applicazione non è subordinata alla prova di un intento elusivo da parte del contribuente.

I Fatti del Caso: Cessione Immobiliare a Prezzo Scontato

Il caso esaminato dalla Suprema Corte nasce da un avviso di accertamento notificato a una società a responsabilità limitata. L’Agenzia delle Entrate contestava alla società la violazione dell’art. 110 del TUIR per aver venduto tre appartamenti a un’altra s.r.l. a un prezzo notevolmente inferiore al loro valore di mercato.
Le due società, cedente e cessionaria, erano strettamente collegate: entrambe erano partecipate per il 50% dallo stesso socio e per l’altra metà da una terza società, e avevano il medesimo amministratore unico. La società contribuente aveva giustificato il prezzo ridotto con la necessità di trasferire gli immobili prima di cedere a terzi una parte delle proprie quote, sostenendo che non vi fosse alcun interesse a stabilire un prezzo in linea con il mercato. Mentre la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso della società, la Commissione Tributaria Regionale aveva riformato la decisione, dando ragione all’Amministrazione Finanziaria.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la legittimità dell’accertamento fiscale. I giudici hanno chiarito che le regole sui prezzi di trasferimento si applicano anche alle operazioni interne (domestiche) e che il riferimento al ‘valore normale’ previsto dall’art. 9 del TUIR ha portata generale.

Applicazione del Transfer Pricing Domestico e Valore Normale

Il cuore della pronuncia riguarda l’applicabilità del principio del valore normale al transfer pricing domestico. La Corte afferma che la valutazione a fini fiscali delle manovre sui prezzi di trasferimento interni deve seguire il principio generale del valore di mercato. Questo criterio non è solo una norma contabile, ma un principio valutativo che si fonda sul concetto di libera concorrenza.
Anche se una transazione tra società collegate residenti a un prezzo diverso da quello di mercato non è di per sé indice di elusione, essa costituisce un elemento che legittima l’Amministrazione Finanziaria a rettificare il reddito imponibile. La finalità della norma non è primariamente antielusiva, ma mira a garantire che le transazioni infragruppo avvengano alle stesse condizioni che sarebbero state pattuite tra soggetti indipendenti.

L’Onere della Prova nel Transfer Pricing Domestico

Un altro punto fondamentale chiarito dalla Corte riguarda la ripartizione dell’onere della prova. L’Amministrazione Finanziaria ha il compito di dimostrare l’esistenza di una transazione tra imprese collegate avvenuta a un prezzo apparentemente non conforme al valore normale. Una volta fornita questa prova, spetta al contribuente dimostrare che la transazione è avvenuta in conformità ai valori di mercato o che esistono ragioni economiche valide che giustificano il prezzo pattuito. Nel caso specifico, la stessa società ricorrente aveva ammesso che il prezzo non era stato determinato in base a logiche di mercato, ma per altre finalità interne al gruppo, rendendo così legittima la rettifica operata dal Fisco.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che il principio di libera concorrenza, sotteso all’art. 9 del TUIR, impone di valutare la ‘sostanza economica’ dell’operazione. Questa va confrontata con operazioni analoghe stipulate tra soggetti indipendenti. La condotta di un’impresa che vende beni a un prezzo inferiore a quello di mercato è considerata ‘antieconomica’ sulla base di una praesumptio hominis, secondo cui ogni attività economica dovrebbe mirare alla massimizzazione dei profitti. Le giustificazioni addotte dalla società, come la preparazione a una futura cessione di quote, sono state ritenute irrilevanti, in quanto estranee alla logica di mercato che deve governare le transazioni commerciali, anche all’interno di un gruppo.

Le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza n. 8582/2025 rafforza un orientamento consolidato: la disciplina del transfer pricing domestico si fonda sul principio del valore normale come criterio oggettivo di determinazione del reddito. Non è necessario che l’Agenzia delle Entrate provi un disegno elusivo o un concreto vantaggio fiscale per il gruppo. È sufficiente la discrepanza tra il prezzo pattuito e il valore di mercato per legittimare la rettifica. Le imprese appartenenti a gruppi nazionali devono quindi prestare la massima attenzione nel prezzare le transazioni infragruppo, documentando adeguatamente le ragioni economiche sottostanti per poter superare la presunzione di antieconomicità e dimostrare la conformità al principio di libera concorrenza.

Le regole sul transfer pricing si applicano anche tra società residenti in Italia (transfer pricing domestico)?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che il principio del ‘valore normale’, stabilito dall’art. 9 del D.P.R. n. 917/1986, ha valore generale e si applica anche per la valutazione delle transazioni sui prezzi di trasferimento tra società collegate residenti nel territorio nazionale.

Per contestare un’operazione di transfer pricing domestico, l’Agenzia delle Entrate deve provare l’intento elusivo?
No, la finalità della norma non è primariamente antielusiva. L’Amministrazione finanziaria non ha l’onere di dimostrare l’intento elusivo o il concreto vantaggio fiscale conseguito. È sufficiente provare l’esistenza di una transazione tra imprese collegate a un prezzo apparentemente inferiore a quello normale.

Su chi ricade l’onere di provare che il prezzo di una transazione infragruppo è conforme al valore di mercato?
L’onere della prova ricade sul contribuente. Una volta che l’Amministrazione finanziaria ha provato l’esistenza della transazione a un prezzo non conforme al valore normale, spetta al contribuente dimostrare che la transazione è avvenuta in conformità ai valori di mercato o che esistono valide ragioni economiche che giustificano tale prezzo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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