Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5859 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 5859 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10296/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, sedente in Ospiate di Bollate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, presso quest’ultimo domiciliato in Milano, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 4528/2015, depositata il 20 ottobre 2015.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6 febbraio 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Dato atto che il AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore della contribuente, AVV_NOTAIO, ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
L’Avvocatura Generale dello Stato ha chiesto a sua volta il rigetto del ricorso.
Rilevato che:
L’RAGIONE_SOCIALE, rilevato (per quanto qui ancora interessa) che per le cessioni ad una società del gruppo (RAGIONE_SOCIALE) la contribuente (allora RAGIONE_SOCIALE) applicava un prezzo con un ricarico del 4 %, inidoneo a remunerare i costi, il che infatti avrebbe richiesto un ricarico del 10 %, accertava maggior IRPEF e IRAP relativamente all’anno d’imposta 1999 sul presupposto di un ‘gonfiamento’ degli utili della consorella meridionale, assoggettata a regime fiscale agevolato. La CTP accoglieva il ricorso della contribuente osservando che l’amministrazione non aveva dimostrato quanto asserito, e la CTR confermava la pronuncia, osservando che il ricarico minimo era giustificato come strumento di incremento anche occupazionale e sociale oltreché aziendale.
L’RAGIONE_SOCIALE proponeva così ricorso in cassazione, e questa Corte, con sentenza n. 17995 del 2013 lo accoglieva, rinviando alla CTR, sull’osservazione per cui l’art. 9 TUIR costituisse una clausola generale antielusiva, immanente non solo al diritto tributario internazionale, e dunque con riferimento al c.d. ‘transfer pricing’ tra società nazionali e consorelle estere, ma anche nazionale, tra società che risiedono tutte in territorio nazionale.
Si osservava che, pur non potendosi escludere che considerazioni di strategia generale inducessero le imprese a compiere operazioni in sé antieconomiche, occorreva dunque che tali operazioni rispondessero comunque a criteri di logica economica, con la conseguenza che anche per tali operazioni tra società ‘interne’ dovesse trovare applicazione la normativa anti-abusiva che fa riferimento al ‘valore normale’ delle prestazioni (art. 9, TUIR).
Riassunto il giudizio davanti alla CTR, quest’ultima, con la sentenza oggi impugnata, accoglieva il ricorso in appello dell’RAGIONE_SOCIALE, osservando che -tenuto conto dell’andamento economico delle
società coinvolte negli anni immediatamente successivi (2000 e 2001), in cui la controllata non aveva più goduto degli anzidetti benefici fiscali – i dati contabili registravano una contrazione dei valori a fronte invece dell’aumento di quelli della controllata settentrionale. Da tanto riteneva antieconomica la percentuale di ricarico operata nelle transazioni avvenute nel 1999 e in particolare non giustificata al fine di far decollare il mercato nella zona svantaggiata, in quanto la società avrebbe potuto operare direttamente, unicamente senza godere dei benefici fiscali (ed osservando ulteriormente che, infatti, nel 2002 la controllata meridionale veniva incorporata).
Ricorre quindi in cassazione questa volta la contribuente, affidandosi a quattro motivi, mentre l’RAGIONE_SOCIALE resiste a mezzo di controricorso. Infine, la contribuente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che:
1.Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 9 e 110, TUIR, 5, d.lgs. 15 settembre 2015, n. 147, per avere la disposizione da ultimo citata effetto retroattivo in quanto di natura interpretativa dell’art. 110 TUIR, interpretazione autentica difforme da quella recata dalla sentenza di rinvio e poi dalla decisione impugnata, pur anteriori alla norma citata.
1.1. Il motivo è infondato.
Va anzitutto chiarito che questa Corte nella sentenza n. 17995 del 2013, di rinvio della presente controversia, ha affermato il principio secondo cui ‘Per la valutazione a fini fiscali delle manovre sui prezzi di trasferimento interni, costituenti il c.d. transfer pricing domestico, va applicato il principio, avente valore generale, stabilito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, che non ha soltanto valore contabile e che impone, quale criterio valutativo, il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi, presi in considerazione dal contribuente”.
Il suddetto art. 9 dispone che “per valore normale…si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti… Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle RAGIONE_SOCIALE e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso”.
Va certo considerato che l’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 147 del 2015 ha dettato una norma di interpretazione autentica, in base alla quale “la disposizione di cui all’art. 110, comma 7, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si interpreta nel senso che la disciplina ivi prevista non si applica per le operazioni tra imprese residenti o localizzate nel territorio dello Stato”.
E’ altrettanto indiscutibile che lo jus superveniens viene ad incidere anche sul giudizio di rinvio in quanto ‘a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi anche se nel frattempo siano intervenuti mutamenti in seno alla giurisprudenza di legittimità. Ugualmente la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunciata dal giudice di merito, deve giudicare muovendo dal medesimo principio di diritto precedentemente enunciato e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo neppure sulla base di un nuovo orientamento della stessa Corte (in tal senso, Cass., n. 12701 del 1999), salvo che la norma da applicare in relazione al già enunciato principio di diritto risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di jus superveniens , comprensivo sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica sia della
dichiarazione di illegittimità costituzionale’ (Cass. 31/07/2006, n.17442).
Tuttavia, nella specie lo jus superveniens invocato dalla parte ricorrente non incide sulla concreta fattispecie.
Invero, intanto, la norma invocata interviene sull’interpretazione autentica dell’art.110, TUIR e non sull’art. 9 di tale disposto normativo, cui fa riferimento il principio di diritto e che era denunziata nel motivo preso in esame dalla Corte regolatrice che ha disposto poi il rinvio.
D’altronde il concetto stesso di transfer pricing domestico, come emergente dalla stessa sentenza di rinvio, si riferisce ad un concetto giuridico / economico logicamente più complesso e ontologicamente differente rispetto al ‘transfer pricing internazionale’ di cui all’art.1 10 TUIR, oggetto della citata norma interpretativa . L’ arbitraggio elusivo sui prezzi intern i rientra infatti nel disposto dell’art. 9 TUIR.
Va in proposito osservato che per la giurisprudenza di questa Corte le transazioni tra società infragruppo residenti nel territorio nazionale effettuate ad un prezzo diverso dal “valore normale” indicato dall’art. 9 del d.P.R. n. 917 del 1986 non sono indice, di per sé, di una condotta elusiva, in quanto l’alterazione rispetto al prezzo di mercato rappresenta solo un elemento aggiuntivo, di eventuale conferma, della valutazione di elusività dell’operazione, posto che appunto non può applicarsi l’automatismo discendente dal disposto di cui all’art. 110, TUIR, per effetto della suddetta disposizione d’interpretazione autentica intervenuta e vincolante.
Anzi va sottolineato che anche sotto il profilo dello stesso art. 110, TUIR, la finalità non è quella antielusiva, ma il parametro è (anche qui) quello della libera concorrenza (Cass. n. 16948/2019).
Proprio perché non si tratta di una disciplina antielusiva in senso proprio, l’Amministrazione finanziaria ha, dunque, l’onere di provare l’esistenza di transazioni economiche, tra imprese
collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, ma non anche quello di dimostrare la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, mentre spetta al contribuente provare che la transazione è avvenuta in conformità ai valori di mercato normali (Cass., sez. 5, 16 gennaio 2019, n. 898; Cass., sez. 5, 15 aprile 2016, n. 7493; Cass., sez. 5, 30 giugno 2016, n. 13387; Cass., sez. 5, 15 novembre 2017, n. 27018; Cass., sez. 5, 14 novembre 2018, n. 29306; Cass., sez. 5, 24 luglio 2015, n. 15642).
A tali condizioni resta dunque valido il riferimento alla verifica delle ‘manovre sui prezzi’ per le conseguenti verifiche fiscali anche con riferimento ai rapporti fra società collegate tutte residenti nel territorio nazionale.
Avendo quindi riguardo al principio di libera concorrenza, sotteso indubbiamente anche al disposto dell’art. 9 TUIR, come detto, non coinvolto dalla normativa di interpretazione sopravvenuta ed oggetto del principio di diritto, la valutazione del valore normale -indispensabile per la verifica della rispondenza dell’operazione alle logiche concorrenziali e alla sua rispondenza o meno alla manovra sui prezzi – attiene alla “sostanza economica” dell’operazione che va posta a confronto con analoghe operazioni stipulate in condizioni di libero mercato tra soggetti “indipendenti” (Cass. 27/04/2021, n. 11053).
In tale prospettiva va dunque valorizzata per il caso del ‘ transfer pricing interno’, la valutazione della “antieconomicità” della condotta, che costituisce valido presupposto di accertamento analitico-induttivo ai sensi dell’art. 39, comma 1, lettera d, d.P.R. 600/1973, in quanto basato sulla praesumptio hominis per cui chiunque svolga un’attività economica dovrebbe indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti (in tal senso la già citata Cass. n. 11093/2021 e altresì Cass. 10422/2023).
Sotto tal profilo, viene altresì in rilievo la valutazione del c.d. ‘interesse del gruppo’, il quale non può prescindere dalla salvaguardia della redditività e del valore delle singole società che ne fanno parte (in tal senso ancora Cass. n.11093/2021).
Sviluppando quanto già anticipato, sebbene l’interesse delle singole società del gruppo possa essere sacrificato per perseguire l’interesse collettivo del gruppo, ciò presuppone l’attribuzione alle controllate dei vantaggi compensativi di cui agli art. 2497 c.c. e 2634 comma 3, cod.civ. Dunque, ove l’atto sia pregiudizievole per la singola società del gruppo, spetta a chi invoca l’interesse di gruppo a giustificazione della condotta di tale società, dimostrare che tale pregiudizio è compensato dall’interesse unitario del gruppo stesso (Cass., sez. un., 18 marzo 2010, n. 6538).
Ne consegue che l’operazione che si pone al di fuori dei prezzi di mercato, peraltro nell’ambito di una situazione di controllo societario -che non è quella di cui all’art. 2359 c.c., ma consiste nella capacità di una società di influenzare le strategie commerciali di un’altra costituisce in via ordinaria un’anomalia, che giustifica l’accertamento fiscale, con conseguente onere in capo al contribuente di dimostrare che essa non sussiste.
1.2. Calando i suesposti principi alla fattispecie che ne occupa, emerge come il principio di diritto enunciato da questa Corte, nei termini indicati, resta valido e che la CTR vi si sia conformata, nel momento in cui la stessa ha incentrato il suo giudizio sulla natura antieconomica delle cessioni intervenute infragruppo, sulla base di un accertamento di fatto basato sugli elementi già riportati retro, per dedurne infine siffatta antieconomicità e quindi giungere all’accoglimento dell’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo si deduce difetto di motivazione della sentenza, in quanto questa, benché abbia preso in considerazione l’andamento degli utili della controllata, non ha considerato gli ulteriori elementi forniti dalla contribuente.
2.1. Il motivo è inammissibile, posto che la pronuncia è certamente fornita di motivazione, basata in particolare sul raffronto fra l’andamento degli utili (non solo della controllata ma) delle società del gruppo interessate (controllata e controllante), in rapporto poi alla circostanza oggettiva del venir meno del beneficio fiscale e dalla decisione poi di incorporare la controllata da parte della controllante. Il vizio denunciato dunque si riduce, al più, in un’insufficiente motivazione, vizio motivazionale non più oggetto di motivo di ricorso al giudice della legittimità.
Col terzo mezzo di denuncia omesso esame di un fatto decisivo, consistente in alcuni documenti prodotti, ed in particolare il contratto di somministrazione, il promemoria dei rapporti commerciali, il bilancio e la dichiarazione dei redditi 1998, il prospetto dell’andamento dei dati negli anni 1998 -2001, da cui si sarebbero potuti dedurre secondo la contribuente le logiche economiche, la composizione della percentuale di ricarico (che avrebbe tenuto conto anche di servizi offerti alla controllata), la presenza di errori nei conteggi, il fatto che i risultati di bilancio erano influenzati anche da eventi non considerati.
3.1. Il motivo è inammissibile, poiché dalla stessa sentenza emerge che non solo la CTR abbia esaminato i dati contabili, anche con riferimento all’anno 1998 come ivi attestato, ma che abbia anche preso in specifico esame non solo i risultati d’esercizio e il reddito imponibile, ed altresì l’andamento stesso dei ricavi, per cui la censura mossa dalla ricorrente si riduce ad una richiesta di revisione degli accertamenti in fatto, non sottoponibili allo scrutinio di questo Supremo Collegio.
Col quarto mezzo si deduce violazione degli artt. 1, 5 e 6, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, come modificato dal d.lgs 24 settembre 2015, n. 158, in riferimento al principio di legalità di cui all’art. 3, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, avendo la CTR omesso di applicare la lex mitior intervenuta in tema di sanzioni.
4.1. Anche tale motivo è infondato.
In proposito può farsi applicazione del principio espresso da questa Corte (Cass.16/09/2020, n.19286) in base al quale ‘In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dall’art. 15 del d.lgs. n. 158 del 2015 al d.lgs. n. 471 del 1997 non operano in modo generalizzato in senso favorevole al reo, con la conseguenza che la mera affermazione di uno “ius superveniens” migliorativo non rende automaticamente la sanzione irrogata illegale, in mancanza della specifica deduzione dell’applicabilità – in concreto – di una sanzione tributaria inferiore a quella comminata.
Nella specie la contribuente si limita a dichiarare che le sanzioni vennero applicate nella misura del 100 % della maggior imposta, laddove appunto la modifica normativa ha determinato una modifica del minimo edittale dal 100 % al 90 % e del massimo dal 200 % al 180 %.
Al postutto il ricorso merita dunque rigetto, con aggravio di spese in capo alla ricorrente soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in € 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2024
Il Giudice estensore (NOME COGNOME)
Il Presidente
(NOME COGNOME)