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Transfer pricing domestico: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5859 del 2024, ha affrontato un caso di transfer pricing domestico. Una società madre vendeva prodotti a una sua controllata a un prezzo con un ricarico molto basso, consentendo alla controllata, che godeva di agevolazioni fiscali, di registrare maggiori utili. La Corte ha stabilito che il principio del “valore normale” (art. 9 TUIR) si applica anche alle transazioni nazionali come clausola generale antielusiva. Ha rigettato il ricorso della società, affermando che spetta al contribuente dimostrare la logica economica e la congruità di prezzi inferiori a quelli di mercato, non essendo sufficiente l’interesse del gruppo a giustificare operazioni antieconomiche per la singola entità senza adeguata compensazione.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Transfer Pricing Domestico: la Cassazione Ribadisce il Principio del Valore Normale

Con la recente sentenza n. 5859/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su una questione cruciale per i gruppi societari operanti in Italia: il transfer pricing domestico. La pronuncia chiarisce che il principio del “valore normale”, sancito dall’art. 9 del TUIR, agisce come una clausola generale antielusiva non solo per le transazioni internazionali, ma anche per quelle interne al territorio nazionale. Vediamo nel dettaglio il caso e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

Il Caso: Prezzi Infragruppo e Vantaggi Fiscali

La controversia nasce da un accertamento fiscale a carico di una società produttrice del nord Italia. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato la politica dei prezzi applicata dalla società nelle vendite a una sua consociata situata nel Mezzogiorno. In particolare, la società madre applicava un ricarico del 4% sui beni ceduti alla controllata, un valore ritenuto dall’amministrazione finanziaria insufficiente a coprire i costi e a generare un profitto congruo, stimato in un ricarico del 10%.

La strategia contestata, secondo l’Agenzia, aveva lo scopo di “gonfiare” gli utili della consociata meridionale, la quale beneficiava di un regime fiscale agevolato. In questo modo, il gruppo societario otteneva un risparmio fiscale complessivo, spostando artificialmente il reddito imponibile verso l’entità con la tassazione più bassa. I giudici di merito avevano inizialmente dato ragione alla contribuente, ma la Cassazione, in un precedente rinvio, aveva già stabilito l’applicabilità del principio del valore normale anche alle operazioni interne.

La Decisione della Corte sul Transfer Pricing Domestico

La società contribuente ha basato il suo ricorso principale su un argomento di natura normativa: una legge successiva (il D.Lgs. n. 147/2015) avrebbe interpretato autenticamente l’art. 110 del TUIR, escludendo l’applicazione della disciplina del transfer pricing internazionale alle operazioni domestiche. Secondo la ricorrente, questa nuova norma avrebbe dovuto invalidare il principio di diritto enunciato dalla stessa Cassazione nella sentenza di rinvio.

La Corte ha rigettato fermamente questa interpretazione. Ha chiarito che l’accertamento non si fondava sulla specifica disciplina del transfer pricing internazionale (art. 110 TUIR), ma sul principio generale del “valore normale” di cui all’art. 9 del TUIR. Quest’ultimo rappresenta una clausola generale immanente nell’ordinamento tributario, volta a contrastare l’elusione fiscale attraverso la valutazione della sostanza economica delle operazioni. Pertanto, la nuova norma interpretativa sull’art. 110 non incide sulla validità e applicabilità dell’art. 9 alle transazioni infragruppo nazionali.

Antieconomicità e Onere della Prova

Il cuore della decisione risiede nel concetto di antieconomicità della condotta. Un’operazione condotta a un prezzo palesemente inferiore a quello di mercato è considerata un’anomalia. Questa anomalia costituisce un valido presupposto per un accertamento fiscale basato su presunzioni, poiché si presume che qualsiasi imprenditore agisca per massimizzare i profitti.

La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale sull’onere della prova: spetta all’Amministrazione finanziaria provare l’esistenza di transazioni a un prezzo apparentemente inferiore a quello normale. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare che la transazione è avvenuta in conformità ai valori di mercato o, in alternativa, che la scelta antieconomica era giustificata da solide ragioni economiche, come un interesse strategico del gruppo. Tuttavia, l'”interesse del gruppo” non può essere una giustificazione generica: il pregiudizio economico per la singola società deve essere compensato da vantaggi specifici e dimostrabili per il gruppo nel suo complesso.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha respinto tutti e quattro i motivi di ricorso presentati dalla società.

1. Violazione di legge (artt. 9 e 110 TUIR): Come analizzato, la Corte ha distinto nettamente il campo di applicazione dell’art. 9 TUIR (valore normale, principio generale) da quello dell’art. 110 TUIR (transfer pricing internazionale). Il transfer pricing domestico viene valutato alla luce del principio generale di congruità economica e non delle specifiche norme internazionali.

2. Difetto di motivazione: La Corte ha giudicato inammissibile il motivo, ritenendo che la sentenza della Commissione Tributaria Regionale fosse adeguatamente motivata. I giudici di secondo grado avevano basato la loro decisione sull’analisi comparativa dei dati contabili delle società coinvolte negli anni, notando come, una volta cessati i benefici fiscali per la controllata, i valori economici si fossero invertiti, a riprova della natura puramente fiscale dell’operazione.

3. Omesso esame di fatti decisivi: Anche questo motivo è stato dichiarato inammissibile. La richiesta della ricorrente è stata interpretata come un tentativo di ottenere una nuova valutazione del merito della causa, attività preclusa al giudice di legittimità.

4. Errata applicazione delle sanzioni (lex mitior): La società si era limitata a invocare l’esistenza di una normativa successiva più favorevole in tema di sanzioni, senza però dedurre specificamente in che modo la nuova sanzione (con un minimo del 90% e un massimo del 180%) sarebbe stata concretamente inferiore a quella del 100% applicata. La mera affermazione di uno “ius superveniens” migliorativo non è sufficiente per ottenere l’annullamento della sanzione irrogata.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza per i gruppi societari italiani. Le imprese devono essere consapevoli che le politiche di prezzo infragruppo sono soggette al vaglio del Fisco anche se le transazioni avvengono interamente sul territorio nazionale. La logica del “valore normale” funge da presidio contro manovre elusive volte a spostare la base imponibile per sfruttare regimi fiscali di favore. Le aziende che adottano prezzi non di mercato nelle loro transazioni interne devono essere pronte a fornire una prova rigorosa della logica economica sottostante, dimostrando che tali operazioni non sono dettate da mere finalità di risparmio d’imposta ma da un concreto e compensativo interesse di gruppo.

La disciplina sul transfer pricing internazionale (art. 110 TUIR) si applica alle operazioni tra società italiane dello stesso gruppo?
No. La sentenza chiarisce che per il cosiddetto “transfer pricing domestico” non si applica la disciplina specifica dell’art. 110 TUIR (oggetto di una norma interpretativa che ne limita l’applicazione alle operazioni internazionali), bensì il principio generale del “valore normale” sancito dall’art. 9 del TUIR, che funge da clausola generale antielusiva.

Come può un’azienda giustificare l’applicazione di prezzi inferiori al “valore normale” in transazioni con una società collegata?
L’onere della prova è a carico del contribuente. Non è sufficiente invocare un generico “interesse del gruppo”. L’azienda deve dimostrare che il pregiudizio economico subito dalla singola società (che vende a un prezzo basso) è compensato da vantaggi concreti e dimostrabili per il gruppo nel suo insieme, e che l’operazione risponde a una solida logica economica e commerciale, non a un mero obiettivo di risparmio fiscale.

Basta affermare che è entrata in vigore una legge sanzionatoria più favorevole (lex mitior) per ottenerne l’applicazione?
No. Secondo la Corte, il contribuente non può limitarsi a dichiarare genericamente l’esistenza di uno “ius superveniens” migliorativo. È necessario fornire una deduzione specifica che dimostri, in concreto, come la nuova sanzione risulterebbe inferiore a quella comminata nel caso specifico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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