Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25509 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25509 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29801/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentat a e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. EMILIA-ROMAGNA n. 518/2021, depositata il 19/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/09/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE era oggetto di verifica fiscale generale nel 2012, con riguardo ai periodi di imposta 2007, 2008 e 2009.
Nel particolare, per quanto riguarda l’anno 2007, veniva rilevato un metodo di pagamento teso ad aggirare la tracciabilità dei pagamenti, tramite emissione di assegni da parte dell’associazione sportiva intestati a sé stessa ed incassati per pagare in contate gli atleti e collaboratori. Altresì, essendo rilevato per il 2007 il conseguimento di ricavi per €.298.500,00, superiore al limite annuale stabilito a favore delle associazioni sportive dilettantistiche, fissato in €.250.000,00, ne conseguiva anche per il 2008 la decadenza dai benefici previsti per i sodalizi sportivi dilettantistici, di cui alla l. n. 398/1991, con conseguente recupero a tassazione.
I gradi di merito erano sfavorevoli alla parte contribuente, che ricorre per cassazione, agitando sei strumenti di impugnazione, poi illustrati altresì con memoria, mentre l’Agenzia delle entrate, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, spiega tempestivo controricorso.
In prossimità dell’adunanza, il Pubblico Ministero, in persona del sost. Procuratore generale, dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria in foma di memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
CONSDIERATO
Vengono proposti sei motivi di doglianza.
1.1. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. in riferimento agli artt. 2726 c.c., 2721 c.c., 2697 c.c., 116 c.p.c. e art. 7, comma quarto, d.lgs. 546/1991.
Nella sostanza, parificando le quietanze di pagamento rilasciate dai collaboratori dell’ ASD a “mere trasposizioni di prove testimoniali” (p. 2, righe da 8 a 10 della sentenza impugnata), la CTR sarebbe incorsa: nella violazione dell’art. 2726 c.c., che estende le norme del c.c. stabilite per la prova testimoniale dei contratti al pagamento, dunque alla prova del pagamento; nella violazione dell’art. 2721 c.c., che non ammette la prova testimoniale quando il valore del contratto (quindi, anche delle quietan ze) eccede l’importo di € 2,58.
1.2. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio – Art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c., relativamente al punto in cui la CTR Emilia-Romagna “condivide quanto stabilito nella sentenza della CTP ove è stato stabilito non presente in atti documentazione comprovante i compensi rilasciati ai collaboratori” (p. 2, righe 25-27 motivazione sentenza di appello) la sentenza appare viziata dall’omesso esame di un fatto che il ricorso in appello rappresentava come decisivo per addivenire a statuizione contraria, cioè che tali documenti fossero in possesso dell’Agenzia ed incrociabili con le risultanze del mod. 770.
1.3. Violazione di norme di diritto – art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3 in riferimento agli artt. 2702 c.c., 1199 c.c., art. 246 c.p.c. e art. 116 c.p.c., per cui la sentenza della CTR Emilia Romagna avrebbe escluso la credibilità e l’attendibilità delle quietanze rilasciate dai collaboratori della ASD con l’argomento che “non vi è alcun contrasto tra chi rilascia la dichiarazione e l’Associazione stessa che intende utilizzare la dichiarazione a proprio favore, anzi si ravvisa un interesse comune” (p. 3, righe da 5 a 8, motivazione sentenza impugnata).
1.4. Violazione e falsa applicazione di norma di diritto – art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3 in riferimento all’art. 25, secondo comma, L. 133/1999.
Nello specifico, il ricorso censurava (pp. 7 e 13 ricorso) la sentenza di primo grado nel capo e nei punti relativi al mancato scomputo, dai
ricavi accertati per l’anno 2007 in €.298.500,00, di quelli per € 49.000,00 derivanti dall’evento Memorial NOME COGNOME; ricavi che la contribuente si doleva dovessero invece ritenersi esclusi ex art. 25, 2° comma L. 133/1999, nel testo novellato dall’art. 37, 2° co. L. 342/2000. Evidenziava le condizioni per l’applicabilità di quest’ultima norma, rilevando, fra l’altro, che: il Trofeo Memorial NOME COGNOME era manifestazione consistente in una serie di partite di calcio organizzate dalla stessa ASD quale Ente affiliato alla FIGC e non da quest’ultimo Ente affiliante, in quanto estranea all’attività agonistica da calendario federale e all’ordinaria stagione sportiva, a campionato concluso.
1.5. Violazione e falsa applicazione di norma di diritto – art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 25, comma quinto, l. 133/1999.
In altri termini, secondo la sentenza impugnata, le circostanze che l’associazione emise, indicando sé stessa come beneficiaria, gli assegui riepilogati nell’avviso di accertamento per importi superiori a € 516,46, li “cambiò” in contanti ed utilizzò i con tanti per effettuare pagamenti a terzi – che la contribuente sostiene documentati per importi tutti inferiori a € 516,46 integra una violazione sanzionata a norma dell’art. 25, comma quinto, l. 133/1999, perché tesa a far perdere la tracciabilità del denaro. Tale affermazione viene censurata perché la norma non fa riferimento ad assegni tratti su sé stessa associazione, ma solo su pagamenti in contanti superiori ad €.516,46.
1.6. Violazione e falsa applicazione di norma ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per violazione dell’art. 25, comma quinto, della l. n. 133/1999, vigente ratione temporis e dell’art. 112 c.p.c ..
In altri termini, la CTR, dopo aver premesso che “l’Associazione ha utilizzato, nel periodo oggetto di verifica, modalità operative tali da non consentire all’A.F. la possibilità di effettuare adeguati controlli in ordine alla tracciabilità dei pagamenti”, ha respinto le richieste del
contribuente, così motivando: “… l’associazione ha emesso numerosi assegni che poi venivano incassati in contanti e poi utilizzati per effettuare in contanti pagamenti nei confronti dei terzi. È evidente che la conseguenza di tale modalità operativa è finalizzata, alla perdita di tracciabilità del denaro fuoriuscito dal conto bancario dell’associazione e non vi è la minima prova che i pagamenti effettuati nei confronti dei terzi fossero inferiori a 516,46 euro” (cfr. pagg. 3-4 della sentenza di CTR di Bologna). La sentenza avrebbe violato e falsamente applicato l’art. 25, comma quinto, della l. n. 133/1999, nonché l’art. 112 c.p.c., poiché tali comportamenti non sono normativamente previsti come tesi a comportare la decadenza dei benefici.
I motivi da 1 a 4 sono inammissibili ove sollecitando una rivalutazione del merito della vicenda, in ordine all’apprezzamento del compendio probatorio svolto dal collegio di merito, richiedono attività inibita a questa Suprema Corte di legittimità.
2.1. Il primo motivo riguarda la valutazione del carattere di quietanza o meno delle ricevute rilasciate dai collaboratori.
2.2. Il secondo motivo attiene al raggiungimento della prova del pagamento ai collaboratori.
2.3. Il terzo motivo si riferisce all’apprezzamento di attendibilità e credibilità di documentazione contabile.
2.4. Il quarto motivo rileva il carattere eccezionale o meno del Memorial NOME COGNOME al fine di calcolare o meno il relativo introito nei ricavi associativi.
2.5. Trattasi all’evidenza di valutazioni che attengono al giudizio di merito, ove vengono poste in comparazione i diversi apporti probatori, dando prevalenza all’uno o all’altro.
È orientamento consolidato che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al
suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., IV, n. 8718/2005, n. 4842/2006, Cass. V, n. 5583/2011).
In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. III, n. 23940/2017).
2.6. Peraltro, è appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
2.7. Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal
confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
3. I motivi 5 e 6 possono essere trattati congiuntamente, attenendo alla decadenza dei benefici di cui alla l. n. 133/1999, per aver utilizzato strumenti atti a far perdere la tracciabilità dei pagamenti. I motivi contestano l’esplicita sanzione della deca denza per l’emissione di assegni verso sé stessi. Il testo dell’art. 25, comma quinto, l. n. 133/1999, considerato nella sentenza impugnata, è volutamente ampio, colpendo ogni azione tesa ad impedire la tracciabilità del pagamento. L’emissione di assegni v erso sé stessi, con incasso e pagamento ai collaboratori in contanti ha lo scopo di far uscire il denaro dal circuito bancario e di farlo circolare direttamente fra privati, inibendone la tracciabilità che è garantita dall’intermediario finanziario.
3.1. Sul punto questa Corte è già intervenuta, affermando che in tema di accertamento tributario, in caso di pagamenti attraverso conti correnti bancari a favore di società, enti o associazioni sportive dilettantistiche, che godono del regime di agevolazioni di cui alla legge n. 398 del 1991, è onere del Fisco quello di dimostrare che, a seguito della mancata indicazione nelle movimentazioni bancarie del percipiente, dell’erogante e della causale, non è stato possibile espletare un’efficace attività di controllo, atteso che l’art. 25, comma 5, della l. n. 133 del 1999, come riformulato dall’art. 37, comma 2, lett.s), della l. n. 342 del 2000, applicabile “ratione temporis”, impone che i pagamenti a favore di tali soggetti, se di importo superiore a un milione di lire, debbano essere effettuati tramite conti correnti bancari o postali o comunque con modalità idonee a
consentire lo svolgimento di efficaci controlli, senza, tuttavia, null’altro aggiunge ai fini della loro tracciabilità (cfr. Cass. V, n. 16751/2016). Con apprezzamento di merito insuscettibile di sindacato avanti a questa Corte, il giudice d’appello ha rit enuto il trasferimento di denaro contante all’esito di cambio assegni tratti su sé stessa- una forma di pagamento non idonea alla tracciabilità.
3.2. Peraltro, la decadenza da un’agevolazione fiscale per l’inadempimento dell’onere di tracciamento dei versamenti, comportando il riespandersi del regime fiscale ordinario nei confronti del regime fiscale speciale, non costituisce una sanzione, nemmeno impropria, con la conseguenza che l’abolizione di tale onere quale elemento costitutivo dell’agevolazione non configura una norma sanzionatoria più favorevole, ai sensi dell’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, tale da sottrarre il contribuente alla decadenza già verificatasi prima della sua entrata in vigore. (Nella fattispecie, in tema di associazione senza scopo di lucro soggetta al regime agevolativo di cui alla legge n. 398 del 1991, la S.C. ha stabilito che l’abolizione, da parte dell’art. 19 della legge n. 158 del 2015, della causa di decadenza dall’agevolazione rappresentata dall’inadempimento dell’onere di tracciamento dei versamenti, non abrogando una norma sanzionatoria, non si applica retroattivamente alle fattispecie decadenziali verificatesi prima della sua entrata in vigore) (cfr. Cass. T., n. 13970/2024).
3.3. In limine non ha fondamento l’eccezione sviluppata da parte contribuente in memoria (pag. 3 e 4), laddove afferma che sulla tracciabilità si sarebbe formato giudicato interno per mancata impugnazione di capo di sentenza sfavorevole alla pate pubblica. Si tratta di ipotesi meramente dubitativa ed incompatibile con la posizione di parte integralmente vittoriosa assunta dall’Agenzia delle entrate che sul punto non deve (e non può, ex art. 100 c.p.c.) presentare impugnazione incidentale, nemmeno condizionata. Ed infatti, è stato affermato che l’interesse all’impugnazione,
manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire -sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla relativa contraddizione alla stessa, dall’art. 100 cod. proc. civ. -va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’accoglimento del gravame, e si collega alla soccombenza, anche parziale, nel precedente giudizio, mancando la quale l’impugnazione è inammissibile. Conseguentemente deve escludersi l’interesse della parte integralmente vittoriosa ad impugnare la sentenza al solo fine di ottenere una modificazione della motivazione, salvo il caso che da quest’ultima possa dedursi un’implicita statuizione contraria all’interesse della parte medesima, nel senso che a questa possa derivare pregiudizio da motivi che, quale premessa necessaria della decisione, siano suscettibili di formare giudicato (Cass. L. n. 26921/2008; Cass. II, n. 722/2018). 4. In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese in favore della parte controricorrente che liquida in €.cinquemilaseicento/00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 09/09/2025.
Il Presidente NOME COGNOME