Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25510 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25510 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29797/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentat a e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. EMILIA ROMAGNA n. 517/2021, depositata il 19/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/09/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE era oggetto di verifica fiscale generale nel 2012, con riguardo ai periodi di imposta 2007, 2008 e 2009.
Nel particolare, per quanto riguarda l’anno 2009, veniva rilevato un metodo di pagamento teso ad aggirare la tracciabilità dei pagamenti, tramite emissione di assegni da parte dell’associazione sportiva intestati a sé stessa ed incassati per pagare in contate gli atleti e collaboratori.
Altresì, veniva rilevata l’irregolare tenuta dei libri associativi, carenti delle firme dei soci e le modalità di loro individuazione, facendo propendere per la carenza dell’attività associativa.
Inoltre, era contestata la mancata documentazione contabile giustificativa dei costi sostenuti dall’associazione per gli importi corrispondenti ai prelievi in contante sopra la soglia di €.516,46, così da consentire l’individuazione dei beneficiari delle s omme prelevate.
Ne conseguiva la decadenza dai benefici previsti per i sodalizi sportivi dilettantistici, di cui alla l. n. 398/1991, con conseguente recupero a tassazione.
I gradi di merito erano sfavorevoli alla parte contribuente, che ricorre per cassazione, agitando sette strumenti di impugnazione, poi illustrati altresì con memoria, mentre l’Agenzia delle entrate, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, spie ga tempestivo controricorso.
In prossimità dell’adunanza, il Pubblico Ministero, in persona del sost. Procuratore generale, dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria in foma di memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
CONSDIERATO
Vengono proposti sette motivi di doglianza.
1.1. Nullità della sentenza per carenza assoluta della motivazione art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132 c.p.c ., poiché il testo della sentenza qui impugnata (afferente il periodo di imposta 2009) costituisce una mera riproduzione di quelli delle sentenze sugli appelli presentati dalla stessa parte, contro la stessa Agenzia delle entrate, riguardanti la stessa questione sostanziale (decadenza dal regime fiscale ex L. 133/1998) ed afferenti però i diversi periodi di imposta 2007 e 2008; sentenze emesse dallo stesso Collegio giudicante ad esito della trattazione nella medesima udienza (sentenze CTR Emilia Romagna n. 516/2021 e 518/2021 depositate in data 19/4/2021 e che vengono prodotte contestualmente al presente ricorso) ed un tanto si evince dal loro semplice confronto. 1.2. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. in riferimento agli artt. 2726 c.c., 2721 c.c., 2697 c.c., 116 c.p.c. e art. 7, comma quarto, d.lgs. 546/1991. Nella sostanza, parificando le quietanze di pagamento rilasciate dai collaboratori dell’ ASD a “mere trasposizioni di prove testimoniali” (p. 2, righe da 8 a 10 della sentenza impugnata), la CTR sarebbe incorsa: nella violazione dell’art. 2726 c.c., che estende le norme del c.c. stabilite per la prova testimoniale dei contratti al pagamento, dunque alla prova del pagamento; nella violazione dell’art. 2721 c.c., che non ammette la prova testimoniale quando il valore del contratto (quindi, anche delle quietan ze) eccede l’importo di € 2,58.
1.3. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio – Art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c., relativamente al punto in cui la CTR Emilia-Romagna “condivide quanto stabilito nella sentenza della CTP ove è stato stabilito non presente in atti documentazione comprovante i compensi rilasciati ai collaboratori” (p. 2, righe 25-27 motivazione sentenza di appello) la sentenza appare viziata dall’omesso esame di un fatto che il ricorso in appello rappresentava come decisivo per addivenire a statuizione
contraria, cioè che tali documenti fossero in possesso dell’Agenzia ed incrociabili con le risultanze del mod. 770.
1.4. Violazione di norme di diritto – art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3 in riferimento agli artt. 2702 c.c., 1199 c.c., art. 246 c.p.c. e art. 116 c.p.c., per cui la sentenza della CTR Emilia Romagna avrebbe escluso la credibilità e l’attendibilità delle quietanze rilasciate dai collaboratori della ASD con l’argomento che “non vi è alcun contrasto tra chi rilascia la dichiarazione e l’Associazione stessa che intende utilizzare la dichiarazione a proprio favore, anzi si ravvisa un interesse comune” (p. 3, righe da 5 a 8, motivazione sentenza impugnata).
1.5. Violazione e falsa applicazione di norma di diritto – art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 25, comma quinto, l. 133/1999.
In altri termini, secondo la sentenza impugnata, le circostanze che l’associazione emise, indicando sé stessa come beneficiaria, gli assegui riepilogati nell’avviso di accertamento per importi superiori a € 516,46, li “cambiò” in contanti ed utilizzò i con tanti per effettuare pagamenti a terzi – che la contribuente sostiene documentati per importi tutti inferiori a € 516,46 integra una violazione sanzionata a norma dell’art. 25, comma quinto, l. 133/1999, perché tesa a far perdere la tracciabilità del denaro. Tale affermazione viene censurata perché la norma non fa riferimento ad assegni tratti su sé stessa associazione, ma solo su pagamenti in contanti superiori ad €.516,46.
1.6. Violazione e falsa applicazione di norma ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per violazione dell’art. 25, comma quinto, della l. n. 133/1999, vigente ratione temporis e dell’art. 112 c.p.c ..
In altri termini, la CTR, dopo aver premesso che “l’Associazione ha utilizzato, nel periodo oggetto di verifica, modalità operative tali da non consentire all’A.F. la possibilità di effettuare adeguati controlli in ordine alla tracciabilità dei pagamenti”, ha respinto le richieste del
contribuente, così motivando: “… l’associazione ha emesso numerosi assegni che poi venivano incassati in contanti e poi utilizzati per effettuare in contanti pagamenti nei confronti dei terzi. È evidente che la conseguenza di tale modalità operativa è finalizzata, alla perdita di tracciabilità del denaro fuoriuscito dal conto bancario dell’associazione e non vi è la minima prova che i pagamenti effettuati nei confronti dei terzi fossero inferiori a 516,46 euro” (cfr. pagg. 3-4 della sentenza di CTR di Bologna). La sentenza avrebbe violato e falsamente applicato l’art. 25, comma quinto, della l. n. 133/1999, nonché l’art. 112 c.p.c., poiché tali comportamenti non sono normativamente previsti come tesi a comportare la decadenza dei benefici.
1.7. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio -art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c ., poiché la motivazione offerta dalla CTR sul punto ha omesso l’esame di fatti storici. Nel ricorso in appello censurava la sentenza di prime cure laddove: – aveva ritenuto inverosimile il valore complessivo dei pagamenti effettuati dall’ASD a propri atleti e collaboratori laddove i costi erano confacenti al numero di percipienti (30), all’attività istituzionale praticata (agonismo di livello nazionale) , ed entro i limiti posti dalla FIGC (p. 11 ricorso in appello) perché effettuati “a presenza” in forza dell’opzione consentita dall’art. 94 Norme Organizzative Interne Federazione (p. 9, ultime tre righe e p. 10, righe 1-15; p. 10, ultime 3 righe e p. 11, righe da 1 a 11); – aveva ritenuto i pagamenti sotto la soglia di € 516,46 “frazionati” (ivi).
Il primo motivo è infondato. Se è pur vero che la sentenza in scrutinio contiene delle parti motive eccentriche alla fattispecie (pag. 4, secondo capoverso), non di meno l’impianto argomentativo risponde ai capi di domanda svolti in appello e si colloca ben al di sopra del limite minimo richiesta per la congruità della motivazione della sentenza.
2.1. Ed infatti, deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr. Cass V, n. 24313/2018). 2.2. Sotto altro profilo è stato ribadito essere inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 34476/2019. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
I motivi 2, 3 e 4 sono inammissibili perché tendono a sollecitare una rivalutazione del merito, inibita a questa Suprema Corte di legittimità
3.1. In particolare, il secondo motivo attiene alla prova dei pagamenti ed all’esistenza delle quietanze relative, ritenendo non raggiunta la prova necessaria da fornirsi dalla parte contribuente. Il terzo motivo afferma come omesso l’esame sulle prove rel ative alla sussistenza dei predetti pagamenti. Il quarto motivo riguarda ancora l’attendibilità e la credibilità delle citate quietanze.
3.2. Trattasi all’evidenza di valutazioni che attengono al giudizio di merito, ove vengono poste in comparazione i diversi apporti probatori, dando prevalenza all’uno o all’altro.
È orientamento consolidato che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., IV, n. 8718/2005, n. 4842/2006, Cass. V, n. 5583/2011).
In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito,
insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. III, n. 23940/2017).
3.3. Peraltro, è appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4
aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
3.4. Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
4. I motivi quinto e sesto possono essere trattati congiuntamente, attenendo alla decadenza dei benefici di cui alla l. n. 133/1999, per aver utilizzato strumenti atti a far perdere la tracciabilità dei pagamenti. I motivi contestano l’esplicita sanzione d ella decadenza per l’emissione di assegni verso sé stessi. Il testo dell’art. 25, comma quinto, l. n. 133/1999, considerato nella sentenza impugnata, è
volutamente ampio, colpendo ogni azione tesa ad impedire la tracciabilità del pagamento. L’emissione di assegni verso sé stessi, con incasso e pagamento ai collaboratori in contanti ha lo scopo di far uscire il denaro dal circuito bancario e di farlo circolare direttamente fra privati, inibendone la tracciabilità che è garantita dall’intermediario finanziario.
4.1. Sul punto questa Corte è già intervenuta, affermando che in tema di accertamento tributario, in caso di pagamenti attraverso conti correnti bancari a favore di società, enti o associazioni sportive dilettantistiche, che godono del regime di agevolazioni di cui alla legge n. 398 del 1991, è onere del Fisco quello di dimostrare che, a seguito della mancata indicazione nelle movimentazioni bancarie del percipiente, dell’erogante e della causale, non è stato possibile espletare un’efficace attività di controllo, atteso che l’art. 25, comma 5, della l. n. 133 del 1999, come riformulato dall’art. 37, comma 2, lett.s), della l. n. 342 del 2000, applicabile “ratione temporis”, impone che i pagamenti a favore di tali soggetti, se di importo superiore a un milione di lire, debbano essere effettuati tramite conti correnti bancari o postali o comunque con modalità idonee a consentire lo svolgimento di efficaci controlli, senza, tuttavia, null’altro aggiunge ai fini della loro tracciabilità (cfr. Cass. V, n. 16751/2016). Con apprezzamento di merito insuscettibile di sindacato avanti a questa Corte, il giudice d’appello ha ritenuto il trasferimento di denaro contate all’esito di cambio assegni tratti su sé stessa- una forma pagamento non idonea alla tracciabilità.
4.2. Peraltro, la decadenza da un’agevolazione fiscale per l’inadempimento dell’onere di tracciamento dei versamenti, comportando il riespandersi del regime fiscale ordinario nei confronti del regime fiscale speciale, non costituisce una sanzione, nemmeno impropria, con la conseguenza che l’abolizione di tale onere quale elemento costitutivo dell’agevolazione non configura una norma sanzionatoria più favorevole, ai sensi dell’art. 3, comma 3, del d.lgs.
n. 472 del 1997, tale da sottrarre il contribuente alla decadenza già verificatasi prima della sua entrata in vigore. (Nella fattispecie, in tema di associazione senza scopo di lucro soggetta al regime agevolativo di cui alla legge n. 398 del 1991, la S.C. ha stabilito che l’abolizione, da parte dell’art. 19 della legge n. 158 del 2015, della causa di decadenza dall’agevolazione rappresentata dall’inadempimento dell’onere di tracciamento dei versamenti, non abrogando una norma sanzionatoria, non si applica retroattivamente alle fattispecie decadenziali verificatesi prima della sua entrata in vigore) (cfr. Cass. T., n. 13970/2024).
4.3. In limine non ha fondamento l’eccezione sviluppata da parte contribuente in memoria (pag. 3 e 4), laddove afferma che sulla tracciabilità si sarebbe formato giudicato interno per mancata impugnazione di capo di sentenza sfavorevole alla pate pubblica. Si tratta di ipotesi meramente dubitativa ed incompatibile con la posizione di parte integralmente vittoriosa assunta dall’Agenzia delle entrate che sul punto non deve (e non può, ex art. 100 c.p.c.) presentare impugnazione incidentale, nemmeno condizionata. Ed infatti, è stato affermato che l’interesse all’impugnazione, manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire -sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla relativa contraddizione alla stessa, dall’art. 100 cod. proc. civ. -va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’accoglimento del gravame, e si collega alla soccombenza, anche parziale, nel precedente giudizio, mancando la quale l’impugnazione è inammissibile. Conseguentemente deve escludersi l’interesse della parte integralmente vittoriosa ad impugnare la sentenza al solo fine di ottenere una modificazione della motivazione, salvo il caso che da quest’ultima possa dedursi un’implicita statuizione contraria all’interesse della parte medesima, nel senso che a questa possa derivare pregiudizio da motivi che,
quale premessa necessaria della decisione, siano suscettibili di formare giudicato (Cass. L. n. 26921/2008; Cass. II, n. 722/2018). 5. L’ultimo motivo è inammissibile, poiché -sotto la censura di messo esame di fatto storico- critica la valutazione del giudice di merito sul compendio probatorio offerto dalle parti.
5.1. Non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n.2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n.1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, n. 5583/2011). 6. In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese in favore della parte controricorrente che liquida in €.cinquemilaseicento/00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 09/09/2025.
Il Presidente NOME COGNOME