Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2251 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2251 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
AVV_NOTAIO: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 28018-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale estesa in calce al ricorso
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende assieme
agli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale estesa a margine del controricorso
-controricorrente –
e
COMUNE DI AVELLINO, in persona del Sindaco pro tempore
-intimato – avverso la sentenza n. 3635/04/2021 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 30/4/2021; non partecipata del 16/1/2024 dal AVV_NOTAIO
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio COGNOME‘COGNOME
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso, affidato a sei motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Campania aveva respinto l’appello della concessionaria del Comune RAGIONE_SOCIALE Avellino avverso la sentenza n. 210/2019, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Avellino in accoglimento del ricorso di RAGIONE_SOCIALE avverso avvisi di accertamento RAGIONE_SOCIALE NUMERO_DOCUMENTO;
la società contribuente resiste con controricorso ed ha da ultimo depositato memoria difensiva, il Comune di Avellino è rimasto intimato
CONSIDERATO CHE
1.1. con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., «violazione del principio di rispondenza tra chiesto e pronunciato ex artt. 112 cpc per omessa pronuncia in ordine alla applicazione degli artt. 38 e 39 d.lgs. 507/93» e lamenta che nella sentenza impugnata sia stata omessa l’analisi delle disposizioni normative dianzi indicate, su cui era stato fondato l’atto di gravame, e la relativa pronuncia al riguardo;
1.2. con il secondo motivo la ricorrente denuncia « nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 in relazione all’art. 132 n. 4 cpc per omessa od apparente
motivazione» in ordine alla «non applicazione dei presupposti impositivi di cui dagli artt. 38, 39» cit.;
1.3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., «violazione … per disapplicazione dell’art. 38 d.lgs . 507/93 in ordine al presupposto impositivo e dell’art. 39 in ordine al presupposto soggettivo» e lamenta che, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione tributaria regionale, «andavano ritenuti sussistenti sia il presupposto impositivo oggettivo, in ragione della pacifica circostanza del cavalcavia autostradale sovrastante la strada comunale, costruzione strutturale avente tutte le caratteristiche di funzionalità ed organizzative, sia il presupposto soggettivo, in ragione della occupazione di fatto, non autorizzata dal Comune, da parte del titolare di concessione amministrativa statale»;
1.4. con il quarto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., nullità della sentenza «per omessa/apparente motivazione in ordine alla applicazione dell’art. 49 d.lgs. 507/93»;
1.5. con il quinto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., «violazione …dell’art. 49 D Lgs. 507/93 e dei principi di esenzione» e lamenta che nel caso in esame «la esenzione è stata ritenuta in … violazione di legge, vertendosi, quanto al profilo soggettivo, in occupazione effettuata da una società RAGIONE_SOCIALE e non da un Ente pubblico, e quanto al requisito oggettivo dallo svolgimento di attività non rientrante in quelle indicate dalla legge di specifica valenza socioculturale, bensì in una tipica attività d’impresa cui è connesso il fine lucrativo»;
1.6. con il sesto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., «contraddittorietà insanabile nel richiamo alla sentenza delle SS.UU. … n. 8628/2020» in quanto la citata pronuncia «era volta a risolvere la ben diversa questione di una graduazione della “soggettività passiva RAGIONE_SOCIALE tra soggetto che ha richiesto all’Ente locale l’autorizzazione/concessione ad occupare il suolo pubblico e
l’occupante di fatto’ e, proprio a tale fine, conteneva la riaffermazione dell”obbligazione tributaria’»;
2.1. il primo, secondo e quarto motivo, da esaminare preliminarmente, per ragioni di ordine logico -giuridico, vanno disattesi;
2.2. in tema di motivazione meramente apparente della sentenza, questa Corte ha più volte affermato che il vizio ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata ;
2.3. l’obbligo del giudice «di specificare le ragioni del suo convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale» è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle Sezioni Unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che «l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità» e che «le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti» (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata);
2.4. alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una
motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. Un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata);
2.5. deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 14927 del 2017);
2.6. in tale grave forma di vizio non incorre, dunque, la sentenza impugnata laddove i giudici di appello, statuendo sui motivi di appello incentrati sulla fondatezza della pretesa fiscale, hanno affermato che non ricorreva « una ipotesi in cui sorge l’obbligo del concessionario RAGIONE_SOCIALE di corrispondere la RAGIONE_SOCIALE per le occupazioni effettuate» non ricorrendo né il presupposto oggettivo (« effettiva occupazione di suolo pubblico effettuata (i) in seguito al rilascio di apposita concessione da parte dell’Ente locale; ovvero (ii) de facto o (iii) abusiva; (iii) sottrazione del bene pubblico ad uso privato») né il presupposto soggettivo («è tenuto al pagamento della Tassa il titolare dell’autorizzazione ovvero l’occupante di fatto/abusivo a condizione che la fattispecie non rientri fra quelle per cui è prevista l’esenzione di cui all’art. 49 del d.lgs. 507/1993, lett. a): ‘ le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, province, comuni e loro
consorzi, da enti religiosi per l’esercizio di culti ammessi nello Stato, da enti pubblici di cui all’art. 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per finalità specifiche di assistenza, previdenza, sanità, educazione, cultura e ricerca scientifica»), rilevando inoltre «che non esiste(va)… nessuna sottrazione di uno spazio pubblico a favore di un soggetto privato … (ed) … in via interpretativa, ammettere la debenza della RAGIONE_SOCIALE (e la sottrazione di un suolo pubblico a favore di un soggetto privato) su ponti e viadotti equivale(va)… a dire che lo Stato, in un primo momento, espropria i privati per pubblica utilità, per realizzare un’infrastruttura pubblica, per poi assegnarla ad un privato per sfruttarla a suo piacimento», con ulteriore applicazione della «esenzione di cui all’art. 49, lett. a) del d.lgs. n. 507/1993 per carenza del requisito della piena autonomia» da parte della Società occupante;
2.7. non sussiste, del pari, alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che ricorre quando il giudice trascuri di esaminare una domanda od una eccezione, o quando sostituisca d’ufficio un’azione ad un’altra, a causa del travisamento dell’effettivo contenuto della domanda (cfr. Cass. n. 19214 del 06/07/2023);
2.8. tale vizio riguarda, dunque, soltanto la decisione della controversia e non anche le ragioni di fatto e di diritto che vengono assunte a sostegno della decisione, ed è escluso quindi che ricorra laddove, come nel caso in esame, la pronuncia giudiziale sia rimasta nell’ambito della res in iudicium deducta , ovvero della fattispecie prospettata dalle parti in causa, rimanendo irrilevante, in relazione alla violazione del suddetto principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ogni censura circa la pretesa erroneità del ragionamento decisorio logico -giuridico;
3.1. il terzo ed il quinto motivo, da esaminare, del pari, congiuntamente, in quanto strettamente connessi, sono fondati;
3.2. richiamando i principi di diritto affermati da questa Corte in fattispecie del tutto sovrapponibile alla presente (cfr. Cass. n. 385 del 10/01/2022), il Collegio osserva che in sede di legittimità (cfr. Cass. nn 20974/2020, 18385/2019, 19693/2018, 11886/2017, 11689/2017) è già
stato statuito che il presupposto impositivo della RAGIONE_SOCIALE è costituito – ai sensi degli artt. 38 e 39 del d.lgs. n. 507 del 1993 – dall’occupazione, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti o sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei Comuni o delle Province (circostanza riconosciuta dalla stessa ricorrente, alla pag. 1 del ricorso in cassazione, laddove fa riferimento al «cavalcavia autostradale soprastante la Strada Comunale sita in INDIRIZZO in Avellino»), che comporti un’effettiva sottrazione della superficie all’uso pubblico;
3.3. pertanto, ai fini della RAGIONE_SOCIALE, rileva il fatto in sé della predetta occupazione, indipendentemente dall’esistenza o meno di una concessione od autorizzazione (cfr. Cass. nn. 11553/2003, 2555/2002), salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione previste dall’art. 49 d.lgs. 507/1993;
3.4. nel caso in esame vi è la sottrazione o la limitazione dell’uso del suolo pubblico da parte della società RAGIONE_SOCIALE a mezzo del viadotto autostradale sopraelevato in assenza della concessione od autorizzazione comunale prevista dall’art. 39 d.lgs. 507/1993 e si è realizzata, perciò, un’occupazione di fatto che è comunque tassabile, salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione;
3.5. va rilevato, invero, che non può esservi dubbio alcuno sul fatto che il viadotto impedisce l’utilizzazione edificatoria del fondo sottostante, né sulla scorta di quanto precede assume rilievo la sua eventuale appartenenza al Demanio statale, come invece argomentato nella recente giurisprudenza amministrativa, citata dalla ricorrente nella memoria difensiva;
3.6. inoltre, va considerato che l’art. 38, comma 2, del d. lgs. n. 507/93 prevede che «sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico, di cui al comma 1, con esclusione dei balconi, verande, bow-windows e simili infissi di carattere stabile, nonché le occupazioni sottostanti il suolo medesimo, comprese quelle poste in essere con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa»;
3.7. detta norma non può che essere interpretata nel senso che l’occupazione a mezzo di impianti di servizi pubblici è soggetta alla tassa sia che si tratti di spazi sottostanti che sovrastanti lo spazio pubblico, ben
potendo esistere impianti che si sviluppano sopra il suolo per i quali non si giustificherebbe un diverso trattamento normativa;
3.8. infine, non può revocarsi in dubbio che il viadotto autostradale costituisca un impianto ai fini della norma di che trattasi in quanto esso è costituito da una costruzione completata da strutture, quali gli impianti segnaletici e di illuminazione, che ne aumentano l’utilità;
3.9. con riguardo poi all’eventuale esenzione per l’occupazione effettuata dall’impresa che ha provveduto, in forza di concessione conferita dallo Stato, all’esecuzione del lavoro pubblico costituito dalla rete autostradale di cui fa parte il viadotto in questione, questa Corte ritiene che l’occupazione medesima debba considerarsi propria dell’ente concessionario e vada, dunque, assoggettata alla tassa ai sensi dell’art. 38, comma 2, del d.lgs. n.507 del 1993, in quanto la società concessionaria è l’esecutrice della progettazione e della realizzazione dell’opera pubblica (art. 143, comma 1, del Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163) a fronte del corrispettivo costituito dal diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati (art. 143, comma 2) per la durata, di regola, non superiore a trenta anni (art. 143, comma 6) ed a nulla rileva il fatto che il viadotto sia di proprietà del demanio e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all’esercizio di un servizio di pubblica utilità, è gestito in regime di concessione da un ente che agisce in piena autonomia e non quale mero sostituto dello Stato nello sfruttamento dei beni;
3.10. ne deriva che l’esenzione prevista dall’art. 49, lett. a, del citato decreto non spetta in quanto non si configura l’occupazione da parte dello Stato;
3.11. infine, come già evidenziato da questa Corte (cfr. Cass. n. 10351 del 18/4/2023 in motiv. relativamente alla COSAP, ma sulla base di principi applicabili anche all’odierna fattispecie) inconferente è anche il riferimento all’asserita appartenenza dell’autostrada al demanio statale ex art. 822 c.c. (come invece argomentato dalla ricorrente mediante richiamo anche a recente giurisprudenza amministrativa) ed è altresì marginale e priva di
decisività l’indagine sulla effettiva proprietà dell’infrastruttura autostradale e del pontone che occupa, per proiezione, la strada provinciale sottostante, atteso che la dedotta proprietà statale dell’autostrada e così del viadotto non interferisce con la circostanza -integrativa del presupposto di applicazione del RAGIONE_SOCIALE da parte del Comune di Avellino – secondo cui, nel periodo di durata della concessione, la società disponeva del viadotto, per la relativa gestione quale concessionaria, ed in tal modo essa realizzava la condotta di «occupazione» del sottostante suolo provinciale;
sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va, dunque, accolto limitatamente al terzo ed quinto motivo, assorbito il sesto motivo, e l’impugnata sentenza cassata;
inoltre, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., e il ricorso originario della contribuente va rigettato;
le spese di lite dei gradi di merito sono compensate tra le parti in ragione del progressivo consolidarsi dei principi giurisprudenziali nella fattispecie applicati, mentre le spese di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo ed il quinto motivo di ricorso, assorbito il sesto motivo e respinti i rimanenti motivi; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; compensa tra le parti le spese processuali dei gradi di merito; condanna la controricorrente al pagamento delle spese di legittimità in favore della ricorrente, liquidate in misura pari ad Euro 5.600,00 per compensi, oltre ad Euro 200 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, se dovuti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da