Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2395 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2395 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 25427-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio degli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono assieme dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO,
rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO giusta procura speciale estesa a margine del controricorso
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 444/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della RAGIONE_SOCIALE, depositata il 29/6/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/1/2024 dal Consigliere Relatore AVV_NOTAIO NOME COGNOME
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della RAGIONE_SOCIALE aveva respinto l’appello della contribuente avverso la sentenza n. 87/2018, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara in rigetto del ricorso avverso avviso di accertamento TOSAP 2017, emesso da RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE);
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso ed ha da ultimo depositato memoria difensiva corredata di nota spese
CONSIDERATO CHE
1.1. con il primo motivo RAGIONE_SOCIALE denuncia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., nullità della sentenza impugnata per avere la Commissione tributaria regionale «dichiarato inammissibile quanto protestato dalla RAGIONE_SOCIALE in ordine al l’ assenza di presupposto impositivo in quanto argomento proposto per la prima volta in appello»;
1.2. con il secondo motivo RAGIONE_SOCIALE denuncia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione dell’art. 2909 cod. civ. per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente accolto l’eccezione di giudicato esterno sollevata da controparte » in relazione all’ordinanza n. 18385/2019, emessa da questa Corte, e favorevole all’appellata, in relazione ad annualità d’imposta precedente (2008);
1.3. con il terzo motivo RAGIONE_SOCIALE denuncia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione dell’art. 2697, primo comma, cod. civ. per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente dichiarato
«l ‘insussistenza dell’onere probatorio in capo all’Ente impositore in ordine alla dimostrazione dell’effettiva sottrazione dello spazio comunale, trattandosi di prova negativa»;
1.4. con il quarto motivo COGNOME denuncia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione «degli artt. 38, secondo comma, 39, e 49, primo comma, lett. a), d.lgs. n. 507 del 1993, e dell’art. 3, l. 21 maggio 1955, n. 463» per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto: a) la sussistenza di « un’occupazione giuridicamente rilevante ai fini TOSAP, e ciò in quanto i cavalcavia sarebbero da qualificare come “impianti” ai sensi dell’art. 38, secondo comma, d.lgs. n. 507, a mezzo dei quali viene così sottratto lo spazio comunale all’uso generalizzato da parte della collettività »; b) irrilevante che «l’occupazione avvenga a mezzo di un bene demaniale, costruito non per volontà della RAGIONE_SOCIALE, ma dello Stato che ha escluso dall’uso generalizzato/specifico determinati spazi ed aree al fine di destinarli alla realizzazione del servizio pubblico autostradale, cioè ad un uso pubblico specifico»; c) irrilevante che la RAGIONE_SOCIALE occupi lo spazio «in forza di un titolo rilasciatole dallo Stato, il quale, essendo l’effettivo titolare del bene demaniale ‘autostrada’, è il soggetto che effettivamente realizza l’occupazione»;
1.5. in subordine, la ricorrente ha sollevato questione di legittimità costituzionale «degli artt. 38, secondo comma, 39, e 49, primo comma, lett. a), d.lgs. n. 507 del 1993, per violazione degli artt. 3 e 53, Cost.» lamentando che un’interpretazione delle norme in questione in base alla quale, «risp
come già affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 32390 del 03/11/2022, Cass. n. 13742 del 03/07/2015), n la statuizione in rito adottata dalla Commissione tributaria regionale in ordine alla novità del motivo di gravame in esame, in merito all’altezza dei cavalcavia che avrebbe escluso la sottrazione all’uso pubblico delle strade comunali sottostanti i viadotti in oggetto, ed all’insussistenza di occupazione di suolo pubblico con riguardo ai piloni di sostegno ubicati su area di proprietà della stessa RAGIONE_SOCIALE, tenuto conto che la stessa ricorrente di aver proposto tali censure solo con la memoria depositata in appello a seguito della costituzione in giudizio dell’appellata;
3.1. vanno disattese anche le censure formulate con il secondo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente connesse;
3.2. come è noto, la preclusione del giudicato opera anche nel caso di giudizi identici – per identità di soggetti, causa petendi e petitum , per la cui valutazione occorre tenere conto dell’effettiva portata della domanda giudiziale e della decisione – ma nei soli limiti dell’accertamento della questione di fatto e non anche in relazione alle conseguenze giuridiche (cfr. Cass. n. 12763 del 06/06/2014);
3.3. nella specie, la Commissione tributaria regionale ha correttamente ritenuto che il giudicato, formatosi in ordine a un’annualità di imposta precedente, potesse avere efficacia preclusiva, nel giudizio relativo al medesimo tributo per l’annualità in questione , limitatamente agli elementi fattuali rilevanti necessariamente comuni ai distinti periodi d’imposta, atteso che l’accertamento di fatto su tali elementi (e solo l’accertamento di fatto) deve fare stato nel giudizio relativo alle obbligazioni sorte in un periodo d’imposta diverso;
3.4. è stato in particolare affermato che risultava «evidente la permanenza e la immodificabilità nel tempo del viadotto autostradale con medesimo presupposto di fatto modificabile unicamente in presenza di eventi eccezionali (abbattimento, trasferimento altrove o aumento o diminuzione di estensione), con conseguente applicabilità nella specie, della TOSAP»;
3.5. nella specie, quindi, solo l’accertamento di fatto sull’occupazione di spazi soprastanti il suolo pubblico, in relazione ai viadotti per la realizzazione del cavalcavia dell’autostrada A12 LivornoSestri Levante, poteva fare stato nel giudizio relativo alle obbligazioni sorte in un periodo d’imposta diverso, avendo poi la Commissione tributaria regionale, sulla base di tali elementi di fatto, fornito soluzione alla relativa questione giuridica circa la tassazione dell’occupazione nei confronti dell’odierna ricorrente;
3.6. avendo dunque la Commissione tributaria regionale ritenuto l’effetto preclusivo del giudicato in ordine alla sussistenza del presupposto impositivo con riguardo all’effettiva occupazione dei suoli da parte della RAGIONE_SOCIALE, rimane assorbita la censura relativa all’onere della prova in merito alla «effettiva sottrazione all’uso pubblico delle strade comunali sovrastate dai viadotti autostradali in giudizio»;
3.7. l’affermazione di cui trattasi della Commissione tributaria regionale («Né deve l’ente impositore provare, contrariamente alle deduzioni formulate dalla parte appellante … quanto avrebbe potuto essere realizzato nello spazio occupato dal cavalcavia autostradale atteso che ciò costituirebbe una prova negativa»), invero, non è che un’alternativa, autonoma ratio della decisione di disattendere il gravame relativo all’assenza del presupposto impositivo derivante dall’«occupazione di aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile del Comune o in ogni caso su aree private sulle quali si sia costituita servitù di pubblico passaggio»; cfr. pag. 4 sentenza impugnata), decisione basata in primo luogo, come si è riferito sopra in narrativa, sul rilievo dell’effetto preclusivo del giudicato in relazione alla citata ordinanza di questa Corte n. 18385/2019;
3.8. essendo stato disatteso il motivo di ricorso riguardante tale ratio decidendi , non rileva quindi darsi carico delle censure avverso la ratio alternativa censurata con il terzo motivo, dato che la decisione resta comunque giustificata dalla prima ratio decidendi ;
4.1. è parimenti infondato il quarto motivo di ricorso;
4.2. richiamando i principi di diritto affermati da questa Corte in fattispecie del tutto sovrapponibile alla presente (cfr. Cass. n. 385 del 10/01/2022), il Collegio osserva che in sede di legittimità (cfr. Cass. nn 20974/2020, 18385/2019, 19693/2018, 11886/2017, 11689/2017) è già stato statuito che il presupposto impositivo della TOSAP è costituito – ai sensi degli artt. 38 e 39 del d.lgs. n. 507 del 1993 – dall’occupazione, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti o sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni o delle province, che comporti un’effettiva sottrazione della superficie all’uso pubblico;
4.3. pertanto, ai fini della RAGIONE_SOCIALE, rileva il fatto in sé della predetta occupazione, indipendentemente dall’esistenza o meno di una concessione od autorizzazione (cfr. Cass. nn. 11553/2003, 2555/2002), salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione previste dall’art. 49 d.lvo 507/1993;
4.4. nel caso in esame vi è la sottrazione o la limitazione dell’uso del suolo pubblico da parte della società RAGIONE_SOCIALE a mezzo del viadotto autostradale sopraelevato in assenza della concessione od autorizzazione comunale prevista dall’art. 39 d.lvo 507/1993 e si è realizzata, perciò, una occupazione di fatto che è comunque tassabile, salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione;
4.5. va rilevato, invero, che non può esservi dubbio alcuno sul fatto che il viadotto impedisce l’utilizzazione edificatoria del fondo sottostante;
4.6. inoltre, va considerato che l’art. 38, comma 2, del d. lgs. n. 507/93 prevede che «sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico, di cui al comma l, con esclusione dei balconi, verande, bow-windows e simili infissi di carattere stabile, nonché le occupazioni sottostanti il suolo medesimo, comprese quelle poste in essere
con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa»;
4.7. detta norma non può che essere interpretata nel senso che l’occupazione a mezzo di impianti di servizi pubblici è soggetta alla tassa sia che si tratti di spazi sottostanti che sovrastanti lo spazio pubblico, ben potendo esistere impianti che si sviluppano sopra il suolo per i quali non si giustificherebbe un diverso trattamento normativa;
4.8. infine, non può revocarsi in dubbio che il viadotto autostradale costituisca un impianto ai fini della norma di che trattasi in quanto esso è costituito da una costruzione completata da strutture, quali gli impianti segnaletici e di illuminazione, che ne aumentano l’utilità;
4.9. con riguardo poi all’eventuale esenzione per l’occupazione effettuata dall’impresa che ha provveduto, in forza di concessione conferita dallo Stato, all’esecuzione del lavoro pubblico costituito dalla rete autostradale di cui fa parte il viadotto in questione, questa Corte ritiene che l’occupazione medesima debba considerarsi propria dell’ente concessionario e vada, dunque, assoggettata alla tassa ai sensi dell’art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 507 del 1993, in quanto la società concessionaria è l’esecutrice della progettazione e della realizzazione dell’opera pubblica (art. 143, comma l, del Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163) a fronte del corrispettivo costituito dal diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati (art. 143, comma 2) per la durata, di regola, non superiore a trenta anni (art. 143,comma 6 ) ed a nulla rileva il fatto che il viadotto sia di proprietà del demanio e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all’esercizio di un servizio di pubblica utilità, è gestito in regime di concessione da un ente che agisce in piena autonomia e non quale mero sostituto dello Stato nello sfruttamento dei beni;
4.10. ne deriva che l’esenzione prevista dall’art. 49, lett. a, del citato decreto non spetta in quanto non si configura l’occupazione da parte dello Stato;
5.1. rimane da esaminare la questione di legittimità costituzionale degli artt. 38, secondo comma, 39, e 49, primo comma, lett. a), d.lgs. n. 507 del 1993, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost.;
5.2. la prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 39 del 2009 appare manifestamente infondata;
5.3. va premesso che
infatti, sebbene il legislatore goda, in astratto, di ampia discrezionalità, pur con il limite della non arbitrarietà, nell’identificare gli indici di capacità contributiva, questa discrezionalità si riduce laddove sul piano comparativo vengano in evidenza, in concreto, altre situazioni in cui lo stesso legislatore, in difetto di coerenza nell’esercizio della stessa, ha effettuato scelte impositive differenziate a parità di presupposti;
5.6. in questi casi, quindi , viene in causa il principio dell’eguaglianza tributaria, desumibile dal combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost., che nella giurisprudenza della Corte Costituzionale è declinato, in materia tributaria, nel principio secondo cui ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione (cfr. sentenze nn. 104 del 1985 e 42 del 1980);
5.7. ciò consente, dunque, di ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale in esame per violazione del principio di uguaglianza, potendo in relazione a detto parametro, come noto, la
discrezionalità del legislatore venir censurata solo nel caso in cui la disposizione oggetto di censura di legittimità costituzionale sia arbitraria o manifestamente irragionevole, mentre nel caso in esame non sussiste identità delle due situazioni messe a confronto dalla ricorrente;
5.8 . l’esenzione prevista per lo Stato e gli altri enti dall’art. 49, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 507 del 1993, si giustifica, invero, considerando che l’occupazione, oggetto di tassazione, è posta in essere direttamente dallo Stato, mentre nel caso di occupazione da parte di una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica (come nella specie), nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all’esercizio di un servizio di pubblica utilità, è gestito in regime di concessione da un ente che agisce in piena autonomia e non quale mero sostituto dello Stato nello sfruttamento dei beni;
sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente respinto;
le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 5.813,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, se dovuti.
Ai sensi dell’art.13, comma 1quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da