Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3321 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 3321 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
patrimonio indisponibile del Comune di Bertinoro, omette di corrispondere quanto è invece dovuto in ragione di quanto previsto dall’articolo 38, comma 2, d.lgs. 15.11.1993, n.507, secondo quanto correttamente riconducibile alla giurisprudenza di legittimità che ha ricondotto al concessionario autostradale unicamente la gestione economica dell’opera pubblica, escludendo la titolarità in capo al medesimo di un interesse funzionale assimilabile a quello dell’Ente pubblico, cosicché il presupposto applicativo dell’imposta appare pienamente sussistente» (così nella sentenza impugnata).
RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione avverso detta pronuncia con atto notificato in data 6 luglio 2023, formulando due motivi di impugnazione, successivamente depositando, in data 11 ottobre 2024, memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso depositato il 20 luglio 2023, successivamente depositando, in data 11 ottobre 2024, memoria ex art. 378 c.p.c.
il Comune di Bertinoro è restato intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 463/1995 («Provvedimenti per la costruzione di autostrade e strade»), 1, 2, 6, 7, 8 e 12 della legge n. 729/1961 («Piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali»), nonché della legge n. 385/1968 («Modifiche ed integrazioni la legge 24 luglio 1961 n. 729, concernente il piano di nuove costruzioni stradali e autostradali»), oltre che degli artt. 38 e 39 d.lgs. 507/1993.
1.1. L’istante ha, nello specifico, sostenuto che lo spazio sovrastante la strada comunale non appartiene (più) al demanio del comune, in quanto gli spazi e le aree occupate dalla struttura autostradale sono stati, d’autorità ed in via definitiva, sottratti all’uso generalizzato della comunità locale al fine di essere destinati alla realizzazione della rete autostradale ed allo scopo di offrire un servizio a favore della collettività di riferimento nazionale sulla base delle prescrizioni normative degli artt. 2 della legge n. 463/1995 e 28 della legge n. 729/1961.
1.2. In tale direzione, la difesa della ricorrente ha sostenuto che le autostrade sono parte del demanio statale ed in ragione di tale attrazione al demanio pubblico l’ente locale ha perso la disponibilità di ogni potere o disponibilità sulle aree e sui volumi attraversati dalle opere autostradali, con la conseguenza che, trattandosi di spazi sottratti per legge alla titolarità ed alla disponibilità del comune, difetta in radice il presupposto applicativo oggettivo della tassa.
1.3. La ricorrente ha posto in evidenza che non si tratta né di un’occupazione di fatto, né tantomeno di una detenzione abusiva, trattandosi, piuttosto, di un’occupazione che trova titolo giuridico nella convenzione stipulata tra l’allora concedente ANAS
e la concessionaria, a sua volta, fondata nelle disposizioni delle menzionate leggi, avendo lo Stato stabilito con leggi speciali il tracciato autostradale, così acquisendo il suolo, il sottosuolo ed il soprassuolo interessati dal tracciato autostradale e, quindi, precluso all’ente locale ogni diversa possibilità di utilizzazione di aree e volumetrie, il tutto, come confermato dalla Nota prot. 15776 del 21 giugno 2023 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
1.4. Ancora, la contribuente ha posto in rilievo che la normativa citata e la disciplina Tosap hanno ambiti applicativi diversi, avendo la prima ad oggetto le aree sottratte, per volontà di legge, alla disponibilità dell’ente locale, mentre l’art. 38 d.lgs. 507/1993 ha previsto l’assoggettamento alla Tosap delle aree «’residue’» (v. pagina n. 11 del ricorso), appartenenti al Comune.
1.5. Infine, la società ricorrente ha, da un lato, sottolineato l’individuazione da parte della legge statale delle aree di transito della rete autostradale rende tale fattispecie diversa da quelle delle occupazioni tramite impianti adibiti a pubblici servizi in regime di concessione amministrativa, di cui all’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 507/1993, mentre, su altro versante, non ha condiviso l’argomento espresso da questa Corte nella parte ha affermato che il viadotto impedisce l’utilizzazione edificatoria dal fondo sottostante, opponendo a tale rilievo che è la legge, nello stabilire il tracciato stradale, ad aver precluso all’ente locale ogni diversa possibilità di utilizzazione dei volumi esistenti nel territorio comunale e destinati alla realizzazione dell’infrastruttura autostradale, limitandone l’uso nell’ambito delle cd. fasce di rispetto, costituite dalle porzioni di terreno contigue all’autostrada stessa.
Con la seconda censura, articolata in via subordinata, la contribuente ha eccepito, in relazione al paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 49, comma 1, lett. a ), d.lgs. 507/1993, 822 c.c. e 1 d.lgs. n. 461/1999, contestando la valutazione della Commissione regionale in ordine all’inapplicabilità dell’esenzione dal pagamento della tassa prevista dal citato art. 49, ribadendo che il tracciato stradale è stato pianificato e realizzato con legge dello Stato e che l’autostrada rientra pacificamente tra i beni demaniali ai sensi dell’articolo 822 c.c., con conseguente esonero dalla tassa, essendo stata l’occupazione effettuata dallo Stato ed avendo la società concessionaria agito come esecutrice della volontà dello stesso, aggiungendo sul punto che è irrilevante che essa ricorrente sia una società di diritto privato , dal momento che è lo Stato ad aver assunto la decisione di realizzare l’autostrada, senza tacere che, rispetto al rapporto concessorio, è ininfluente che il concessionario sia un soggetto pubblico o privato, giacchè il regime proprietario non può tradursi in un fattore di discriminazione.
2.1. La ricorrente ha poi posto in rilievo come l’autonomia della concessionaria nella gestione dell’infrastruttura sia, di fatto, insussistente, stante i penetranti limiti e controlli cui è sottoposta in ragione degli obblighi stabiliti dalla legge e dai poteri di direzione, di vigilanza e sanzionatori esercitati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, a cominciare dalla componente tariffaria (pedaggio), che non è liberamente definita dal concessionario, ma approvata dallo Stato, che ha esclusiva competenza in merito.
2.2. Da ultimo, l’istante ha sollecitato la Corte, nell’ipotesi in cui ritenesse di non condividere le suesposte tesi, di sottoporre
alla Corte di giustizia Ue, ai sensi dell’art. 267 TFUE, la questione di compatibilità comunitaria volta a stabilire se gli articoli 49, 56, 63 e 345 TFUE ed in ogni caso il diritto dell’Unione europea consenta nei confronti dei concessionari di infrastrutture pubbliche l’applicazione di un trattamento differenziato e discriminatorio rispetto ai rapporti con gli enti locali interessati, in funzione della proprietà pubblica o privata del concessionario stesso.3. I due motivi di ricorso (il secondo formulato in via subordinata) vanno trattati congiuntamente, in ragione della loro connessione oggettiva.
Come ben noto alle parti, i temi coinvolti nel presente contenzioso hanno costituito oggetto di numerose pronunce di questa Corte in controversie concernenti la Tosap, molte delle quali intercorse anche con Autostrade per l’Italia S.p.A. (cfr. Cass. n. 15162/2024, Cass. n. 15167/2024; Cass. n. 15171/2024; Cass. n. 15173/2024; Cass. n. 15186/2024; Cass. n. 15207/2024; Cass. n. 15204/2024; Cass. n. 16387/2024; Cass. n. 2164/2024; Cass. n. 2255/2024; Cass. n. 2486/2024; Cass. n. 2498/2024; Cass. n. 2512/2024 e le tante altre ivi citate).
I principi espressi da dette pronunce sono stati ancor più recentemente ribaditi da questa Corte in fattispecie analoghe (cfr. Cass. n. 32408/2024; Cass. 32404/2024; Cass. 32403/2024, Cass. n. 32393/2024 e Cass. n. 32387/2024).
Analogamente, in tema di Cosap, molteplici sono stati gli arresti di questa Corte, sempre di segno negativo per le aspettative della ricorrente (cfr., tra le tante, Cass. n. 16395/2021; Cass., n. 22219/2023; Cass. n. 22183/2023; Cass. n. 15010/2023; Cass. n. 13051/2023; Cass. n. 10345/2023; Cass. n. 20708/2024; Cass. n. 29587/2024).
In assenza di convincenti argomenti contrari, la soluzione adottata nei suindicati arresti va qui ribadita, sulla base delle seguenti riflessioni, le quali, inevitabilmente reiterano le considerazioni ivi svolte.
Nelle pronunce relative alla Tosap si è avuto di precisare quanto segue.
Il contesto normativo ratione temporis applicabile per l’anno d’imposta in esame (2012 e dunque, prima della disciplina di cui all’art. 1, commi 816 -847, della legge 160/2019, applicabile dall’anno 2021) in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche è quello stabilito:
-dall’art. 38 d.lgs. n. 507/1993, secondo cui «1. Sono soggette alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province. 2. Sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico, di cui al comma 1, con esclusione dei balconi, verande, bow-windows e simili infissi di carattere stabile, nonché le occupazioni sottostanti il suolo medesimo, comprese quelle poste in essere con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa»;
-dall’art. 39 del medesimo d.lgs., a mente del quale «1. La tassa è dovuta al comune o alla provincia dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio»;
-dall’46 dello stesso d.lgs. («Occupazioni del sottosuolo e soprassuolo. Disciplina»), secondo cui «1. Le occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo stradale con condutture, cavi, impianti in genere ed altri manufatti destinati all’esercizio e alla
manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, compresi quelli posti sul suolo e collegati alle reti stesse, nonché con seggiovie e funivie sono tassate in base ai criteri stabiliti dall’art. 47».
-dall’art. 47 del medesimo d.lgs. («Criteri di determinazione della tassa per l’occupazione del sottosuolo e soprassuolo»), per il quale «La tassa per le occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo stradale di cui all’art. 46 è determinata forfetariamente in base alla lunghezza delle strade comunali o provinciali per la parte di esse effettivamente occupata, comprese le strade soggette a servitù di pubblico passaggio, secondo i criteri indicati nel comma 2»;
-dall’art. 49, comma 1, lett. a ), dello stesso d.lgs., ai sensi del quale «Sono esenti dalla tassa: a) le occupazioni effettuate dallo Stato .
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che il presupposto oggettivo dell’imposizione è rappresentato dalla superficie occupata e che oggetto della tassa sono tutti i tipi di occupazione, anche quelle sine titulo , di aree pubbliche di comuni e province, la cui esistenza determina l’insorgenza dell’obbligo di versare il tributo, giacchè tale obbligo sorge, nel suo presupposto oggettivo, quando vi sia stata limitazione o sottrazione all’uso normale e collettivo di suolo (o spazio sovrastante), nell’interesse proprio del singolo; sul versante soggettivo, invece, il citato art. 39 individua il soggetto passivo nel titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, nell’occupante di fatto, anche abusivo, nella suddetta proporzione (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8628/2020.
È stato, in tal modo, affermato, precisato e ribadito con le suddette pronunce in tema di Tosap che:
l’attraversamento da parte di un viadotto autostradale del suolo comunale, sebbene sia previsto dalla legge, è assoggettato
a TOSAP in virtù dell’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 507 del 1993, impedendo una diversa forma di utilizzazione di detto spazio (v. Cass. nn. 15186, 15171, 15167, 15162, 15204, 15202/2024; Cass. n. 35408/2022, che richiama Cass. n. 28341/2019);
l’esenzione prevista per lo Stato e gli altri enti dall’art. 49, comma 1, lett. a ), d.lgs. 507/1993 postula che l’occupazione, quale presupposto del tributo, sia ascrivibile al soggetto esente, sicché, nel caso di spazi rientranti nel demanio o nel patrimonio indisponibile del comune da parte di una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica (nella specie, un tratto di rete autostradale inclusiva di un viadotto sopraelevato), alla stessa non spetta l’esenzione in quanto è questa ad eseguire la costruzione dell’opera e la sua gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione (cfr. nn. 15186, 15171, 15167, 15162, 15204, 15202/2024 citt.; Cass. n. 11688/2017; Cass. n. 11689/17 e Cass. n. 11886/2017);
ne deriva che l’esenzione prevista dall’art. 49, lett. a ), del citato decreto non spetta in quanto non si configura l’occupazione da parte dello Stato (v. Cass. n. 385/2022, che richiama Cass. nn. 20974/2020; Cass. n. 18385/2019; Cass. n. 19693/2018, 11886/2017, 11689/2018);
-né rileva la riconducibilità dell’occupazione allo Stato, dovendo tale argomento ritenersi inconciliabile con la natura di stretta interpretazione delle norme tributarie che prevedano esenzioni o agevolazioni (v., tra le molte, più di recente, nn. 15186, 15171, 15167, 15162, 15204, 15202/2024 citt.; Cass. n. 8869/2016; Cass. n. 7037/2014, presupposto interpretativo condiviso da ultimo anche da Corte cost. n. 242/2017) e, più nello specifico, con riguardo proprio alla tassa in questione, con
l’interpretazione di questa Corte dell’art. 49, comma 1 lett. a ), d.lgs. n. 507/1993, secondo cui l’esenzione per lo Stato e gli altri enti, di cui alla citata norma, postula che l’occupazione, quale presupposto del tributo, sia posta in essere direttamente dal soggetto esente (v. già Cass. n. 18041/2009);
la configurazione della RAGIONE_SOCIALE quale longa manus dell’ente concedente non può essere condivisa in considerazione della sua natura giuridica di amministrazione autonoma, con diritto di sfruttare economicamente i lavori realizzati per la durata prevista dalla concessione, concorrendo le finalità pubblicistiche cui è finalizzata la gestione e la manutenzione della rete autostradale con il perseguimento del profitto tipico dell’attività d’impresa svolta da società per azioni, quale indubbiamente è la RAGIONE_SOCIALE
non assume rilevanza, dunque, il fatto che il viadotto sia di proprietà del demanio statale e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all’esercizio di un servizio di pubblica utilità, è gestito in regime di concessione da un ente che agisce in piena autonomia e non quale mero sostituto dello Stato nello sfruttamento dei beni (v. Cass. n. 4116/2023, che richiama n. 11886/2017; Cass. n. 20974/2020 e, nello stesso senso, Cass. n. 385/2022 e, in tema di Cosap, tra le tante, Cass. n. 22219/2023; Cass. n. 22183/2023; Cass. n. 15010/2023, Cass. n. n. 13051/2023 e Cass. n.10345/2023);
-la pianificazione del tracciato autostradale e, quindi, l’attraversamento da parte del viadotto autostradale del soprassuolo comunale in forza della legge 24 luglio 1961, n. 729 (recante il “Piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali”) non elimina l’operatività del regime Tosap di cui alle menzionate
previsioni degli artt. 38 e ss. d.lgs. n. 507/1993 ed il relativo regime di esenzione, con disposizione di stretta interpretazione (v. sul punto così Cass. n. 19693/2018 e, nello stesso senso, Cass. n. 35408/2022);
Ricapitolando, dunque, i principi affermati da questa Corte possono così sintetizzarsi:
il presupposto impositivo della Tosap è costituito, ai sensi degli artt. 38 e 39 d.lgs. n. 507/1993, dall’occupazione, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti o sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni o delle province, che comporti un’effettiva sottrazione della superficie all’uso pubblico, con ciò rilevando il fatto oggettivo della predetta occupazione, indipendentemente dall’esistenza o meno di una concessione od autorizzazione, salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione previste dall’art. 49 d.lgs. cit.;
-l’art. 38 d.lgs. n. 507/1993 va interpretato nel senso che l’occupazione mediante impianti di servizi pubblici (tale essendo il viadotto autostradale, che costituisce un impianto costituito da una costruzione completata da strutture -impianti segnaletici e di illuminazione – che ne aumentano l’utilità) è soggetta alla tassa, sia che si tratti di spazi sottostanti, che sovrastanti lo spazio pubblico;
la tassa compete alla concessionaria che occupa lo spazio, a nulla rilevando il fatto che il viadotto sia di proprietà del demanio e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato, tenuto conto dell’autonoma gestione, per l’intera durata di tale rapporto da parte della concessionaria, nello sfruttamento del bene e non quale mero sostituta dello Stato, con la conseguenza che l’esenzione prevista dall’art. 49,
lett. a ), del citato decreto non spetta in quanto non si configura l’occupazione da parte dello Stato.
Nelle citate pronunce (v. Cass. n. 15171/2024; Cass., n. 15186/2024; Cass. n. 15162/2024; Cass. n. 17173/2024; Cass. n. 15201/2024; Cass. 15204/2024 citt.), in termini ribaditi dalle successive sentenze richiamate (v. Cass. nn. 32408, 32404, 32403, 32393, 32387/2024 citt.), si è avuto modo di chiarire, a fronte delle obiezioni della difesa della ricorrente, basate anche sulla diversa posizione fornita dal Consiglio di Stato (v. sentenze nn. 10010 -10011 -10012 -10013 -10014 -10015 -10016 -10017 – 10018-10130/2023), che:
non è dirimente la dedotta assenza di poteri di rimozione o di riappropriazione del bene da parte del Comune, giacchè tale limite non vale ad escludere l’imposizione fiscale, semmai a confermarla, in ragione della perdurante occupazione, senza tacere che la citata circostanza caratterizza anche le occupazioni avvenute in base a provvedimento concessorio nell’ipotesi di fisiologico espletamento del rapporto (v., tra le altre, Cass. n. 2283/2024);
non rileva la dedotta titolarità statale del tratto autostradale, contando, invece, ai fini che interessano, la sottrazione dello spazio sovrastante il suolo comunale occupato dal predetto tracciato, come tale oggetto di tassazione ai sensi della chiara formulazione dell’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 507/1993, sottrazione di per sé insita nelle limitazioni utilizzative e di destinazione del suolo comunale riconducibili proprio e soltanto all’occupazione infrastrutturale sovrastante (v. Cass. nn. 32408, 32404, 32403, 32393, 32387/2024 citt., che richiamano Cass. 18385/19 ed altre);
le leggi citate dalla contribuente (21 maggio 1955, n. 463 e 24 luglio 1961, n. 729) relative alla realizzazione dell’autostrada sono anteriori al d.lgs. n. 507/1993, la cui disciplina – come sopra esposto ha sottoposto ad imposizione l’occupazione delle strade comunali e provinciali avvenuta per la realizzazione della rete autostradale;
la costruzione della rete autostradale prevista ed approvata con provvedimenti legislativi non ha, poi, comportato automaticamente il trasferimento della proprietà delle strade interessate allo Stato ed il conseguente passaggio di quelle comunali e provinciali al demanio statale, tenuto conto che l’art. 11 della citata legge n. 729/1961 prevedeva l’esecuzione di procedure espropriative per la realizzazione delle opere necessarie per la costruzione delle autostrade previste dalla predetta legge, mentre l’art. 12, ultimo comma, della medesima legge, nello stabilire che gli enti proprietari potevano prescrivere esclusivamente le cautele da osservare e le opere provvisionali da eseguire durante la costruzione delle opere, confermava la possibile appartenenza del tratto di strada ad Amministrazioni diverse dallo Stato, quali gli enti territoriali;
per tale via, va ribadito che le leggi n. 463/1955 e n. 729/1961 e n. 385/1968 non contengono alcuna disposizione che riconduca di diritto allo Stato la costruzione dell’autostrada da parte del concessionario e la conseguente occupazione di suolo da parte di quest’ultimo (sul punto v. anche Cass. n. 29587/2024);
occorre distinguere la proprietà della strada su cui insiste il pontone o cavalcavia dell’autostrada da quella di quest’ultimo manufatto, dovendo precisarsi sul punto che la prima resta di titolarità dell’ente territoriale, in assenza di un atto di trasferimento, pur essendo la seconda di proprietà statale, non
potendo certamente configurarsi l’ipotesi di un’accessione invertita a favore dello Stato, che non è non contemplata dalla legge (cfr. Cass. n. 2164/2024; nonché Cass. nn. 32408, 32404, 32403, 32393, 32387/2024 citt.).
-come già evidenziato da questa Corte (cfr. Cass. n. 10351/2023 in motiv., relativamente alla COSAP, ma sulla base di principi applicabili anche alla fattispecie in esame), non è quindi conferente il riferimento all’asserita appartenenza dell’autostrada al demanio statale ex art. 822 c.c. ed è altresì marginale e priva di decisività l’indagine sulla effettiva proprietà dell’infrastruttura autostradale che occupa, per proiezione, la strada provinciale sottostante, atteso che la dedotta proprietà statale dell’autostrada e così del viadotto non interferisce con la circostanza secondo cui, nel periodo di durata della concessione, la società dispone del viadotto, per la relativa gestione quale concessionaria, ed in tal modo essa ha realizzato la condotta di «occupazione» del sottostante suolo provinciale» (v. Cass. nn. 32408, 32404, 32403, 32393, 32387/2024, nonché Cass. n. 2521/2024 citt.);
la destinazione del bene ad uso collettivo non esclude l’occupazione, avendo questa Corte già chiarito che la società, concessionaria statale, che abbia realizzato e gestito un’opera pubblica, occupando di fatto spazi rientranti nel demanio comunale o provinciale, è tenuta al pagamento del canone, non assumendo rilievo il fatto che l’opera sia di proprietà statale, poiché la condotta occupativa è posta in essere dalla società nello svolgimento, in piena autonomia, della propria attività d’impresa (Cass. n. 16395/2021), per cui è sufficiente l’utilizzazione del bene da parte di un soggetto diverso dall’ente pubblico titolare, mentre risulta indifferente la strumentalità di tale utilizzazione alla realizzazione di un pubblico interesse, in
assenza di una specifica ipotesi di esenzione; tanto più considerandosi che il tributo è ex lege dovuto anche per le occupazioni «poste in essere con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa» (art. 38 cit.) (v. Cass. nn. 32408, 32404, 32403, 32393, 32387/2024 citt.);
se tutto ciò è vero per il Cosap, in quanto dovuto in relazione all’utilità particolare o eccezionale del bene che ne trae il singolo, altrettanto, ed a fortiori, lo è per la Tosap che presuppone non tanto questo effetto, quanto una limitazione o sottrazione della porzione di suolo al suo uso normale e collettivo (v. Cass. SU n. 61/2016 in sede di riparto di giurisdizione) (così Cass. nn. 32408, 32404, 32403, 32393, 32387/2024 citt.).
9.1. Alla luce delle riflessioni che precedono, come chiarito da tali ultime pronunce, perdono allora rilievo -ai fini prettamente impositivi che qui rilevano – quei profili di asserita divergenza rispetto alla suindicata giurisprudenza amministrativa, la quale, incidendo (in ambito Cosap) sul diverso terreno dei presupposti autoritativi di legittimo esercizio del potere concessorio, ha evidenziato la non concepibilità del rilascio di una concessione comunale di occupazione in relazione ad un bene ‘occupante’ appartenente al demanio dello Stato (permanendo tale demanialità statale anche nell’ipotesi di gestione lucrativa dell’infrastruttura).
Ed infatti, nella diversa ottica della disciplina tributaria di cui al d.lgs. cit. come sempre interpretata, da ultimo anche dalle Sezioni Unite -il presupposto impositivo richiama sì la relazione concessoria, senza però al contempo considerarla elemento imprescindibile, cioè senza escludere che, in assenza di questa (e dunque dei relativi presupposti amministrativi), il tributo debba essere comunque pagato da chi, anche in linea di fatto (ed anche
se in maniera non abusiva), occupi il suolo comunale o provinciale, fatte naturalmente salve le previste esenzioni; con conseguente irrilevanza del fatto che, in forza di un diverso titolo concessorio, l’occupazione si attui attraverso la (o al fine della) gestione economica di un bene pacificamente appartenente al demanio statale.
Diversamente da quanto osservato dalla menzionata giurisprudenza amministrativa, ai fini impositivi non sembra dunque rilevare la supremazia dello Stato sul comune o sulla provincia, dal momento che questa può appunto interferire, neutralizzandola, sulla necessità di un provvedimento concessorio, ma non sul materializzarsi del presupposto del tributo costituito dal fatto in sé dell’occupazione; a meno che, ben inteso, non si verta di occupazione posta ‘direttamente’ in essere dallo Stato nell’esercizio di quella supremazia.
Risultano, quindi, indifferenti rispetto al presupposto impositivo in esame non solo le citate fonti normative (leggi nn. 463/1955 e 729/1961), ma anche la nota del MIT n. 15776 del 21 giugno 2023 (richiamata dalla difesa della contribuente) recante disposizioni secondarie sulle procedure di autorizzazione e realizzazione di infrastrutture pubbliche in conferenza dei servizi) che regolano le procedure di costruzione della rete stradale, così come l’attribuzione della relativa proprietà, non potendo -come già detto operare (per l’inapplicabile principio dell’accessione invertita) l’attrazione allo Stato della proprietà delle sottostanti strade comunali occupate per il solo fatto della costruzione del sovrappasso (così, su dette affermazioni di principio, Cass. nn. 32408, 32404, 32403, 32393, 32387/2024 citt.).
Riceve, pertanto, smentita la tesi della ricorrente del difetto dei presupposti oggettivi e soggettivi di imposizione per il solo
fatto che essa non sarebbe -come in effetti non è -né proprietaria del sovrappasso del demanio statale, né concessionaria della sua costruzione (così ancora Cass. nn. 32408, 32404, 32403, 32393, 32387/2024 citt.).
Tale ordine di idee resiste agli argomenti sviluppati dalla ricorrente nella memoria difensiva di cui all’art. 378 c.p.c.; e ciò, per le seguenti ragioni.
10.1. RAGIONE_SOCIALE ha puntualizzato che è pacifica la titolarità da parte del Comune della strada sottostante il viadotto autostradale e che ciò che costituisce oggetto di contestazione è lo spazio sovrastante il tracciato stradale comunale occupato dal pontone nella porzione in cui interseca la sottostante strada.
Il nucleo concettuale essenziale della tesi difensiva della ricorrente riposa sul rilievo secondo il quale « lo Stato, con le proprie determinazioni assunte per la realizzazione della rete autostradale, ha sottratto agli enti locali interessati la disponibilità/titolarità/potere sugli spazi e volumetrie occupate dai ponti autostradali, sovrastanti le strade comunali/provinciali » (v. pagina 1 della predetta memoria), venendo, perciò, meno il presupposto oggettivo della tassa per l’insussistenza di una occupazione di spazi ‘appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile del Comune ai sensi dell’art. 38 d.lgs. n. 507/1993.
10.2. Tale ragionamento non può essere condiviso.
Va rimarcato che l’art. 11 della legge n. 729/1961 prevedeva che «L’approvazione dei progetti esecutivi e delle relative varianti, concernenti le opere necessarie per la costruzione delle autostrade previste dalla presente legge, comprese quelle per la costruzione delle strade di allacciamento e di quelle laterali
necessarie per assicurare il servizio delle proprietà con termini e quelle per la conservazione, deviazione o allacciamento delle opere dei pubblici servizi, equivale a dichiarazione di pubblica utilità nonché di indifferibilità ed urgenza a tutti gli effetti di legge.
Alle procedure espropriative delle opere indicate nel comma precedente si applicano i commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 8 della legge 21 maggio 1955, n. 463 ».
Ebbene, la testuale previsione normativa di un procedimento espropriativo dell’area di attraversamento del percorso autostradale -di cui non vi è alcuna allegazione e prova in atti -sconfessa la piattaforma argomentativa della ricorrente sia in relazione alla dedotta sottrazione agli enti locali dello spazio/volumetria occupate dai ponti stradali, che in ordine al ritenuto diverso ambito di applicazione della normativa Tosap, relegata -secondo gli intendimenti dell’istante – alle «aree residue», non sottratte alla disponibilità dell’ente.
La natura demaniale della rete autostradale non elimina, quindi, in assenza di un atto ablativo, la demanialità comunale della sottostante strada.
In altri termini, in mancanza di una procedura di esproprio, ciò che resta è l’occupazione dello spazio (sottostante il viadotto e) sovrastante la strada comunale, circostanza questa che integra proprio la condizione oggettiva prevista dall’art. 38 d.lgs. n. 507/1993, che ha ribadito -dopo le leggi citate dalla ricorrente (la n. 463/1955 e la n. 729/1961) quanto già previsto dall’art. 192 r.d. 1175/1931.
10.3. Peraltro, come chiarito da questa Corte, per quanto concerne le strade, il regime della proprietà non può che essere quello generale di cui all’art. 840 c.c., con estensione usque ad
sideras et ad inferos della relativa proprietà, da nulla risultando che alla proprietà pubblica si applichi, sul punto, un regime diverso da quello della proprietà privata (v. Cass. n. 3882/1985). Rimane tuttavia fermo che l’art. 840 c.c. si riferisce al sottosuolo, nel significato comune della parola, che indica lo strato sottostante alla superficie del terreno, ossia la zona esistente in profondità al di sotto dell’area superficiale del piano di campagna (cfr. Cass. n. 6587/1986; n. 632/1983). La nozione, quindi, non comprende l’area di sedime sottostante una strada pubblica in corrispondenza di un ponte o di un viadotto (cfr., su detti temi, Cass. n. 9157/2023).
Resta, in tal modo, chiarito che non può discorrersi di unità funzionale ed inscindibilità del viadotto e della strada sottostante e che vanno distinte le relative proprietà, quella della strada su cui insiste il pontone o cavalcavia dell’autostrada da quella di quest’ultimo manufatto: «la prima resta di titolarità dell’ente territoriale, in assenza di un atto di trasferimento, pur essendo la seconda di proprietà statale. Non si configura, infatti, una ipotesi di accessione invertita a favore dello Stato, che non è contemplata dalla legge» (cfr. Cass. n. 2164/2024 cit.).
10.4. Come detto, non vi è titolo legale dell’occupazione (permanente) del tratto sottostante il viadotto.
Il titolo convenzionale in capo alla società ricorrenteconcessionaria, avente ad oggetto la realizzazione e la gestione della rete autostradale, concerne, poi, il rapporto tra le relative parti, ma non può interferire con il regime fiscale dell’occupazione.
10.5. Il pregiudizio, infine, al libero godimento dell’area sottostante al viadotto sta nel limite imposto ad eventuali altri
utilizzi da parte dell’ente locale rispetto al tracciato stradale (comunale).
Le ragioni che precede già valgono a respingere il secondo motivo, fondato sull’asserita violazione dell’art. 49 d.lgs. n. 507/1993 e quindi sulla condizione esonerativa stabilita per le occupazioni sa parte dello Stato.
11.1. Va tuttavia aggiunto che la testuale previsione dell’art. 49 d.lgs. cit. e la ricordata esclusione di ogni applicazione estensiva e/o analogica delle norme che prevedono esoneri fiscali, non consente il riconoscimento del beneficio alla società ricorrente, tenuto altresì conto che questa Corte, sia pure pronunciando in tema di giurisdizione, ha chiarito che i concessionari autostradali non sono qualificabili come organismi di diritti pubblico (cfr. Cass., Sez. Un., n. 16288/2024).
11.2. Per il resto, vanno confermati i principi desumibili dal menzionato indirizzo interpretativo (cfr. Cass. n. 8288/2022) secondo il quale l’esenzione prevista per lo Stato e gli altri enti dall’art. 49, comma 1, lett. a ), d.lgs. 507/1993 postula che l’occupazione, quale presupposto del tributo, sia ascrivibile proprio al soggetto esente, sicché, nel caso di detenzione di spazi rientranti nel demanio o nel patrimonio indisponibile degli enti territoriali da parte di una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica (come un tratto di rete autostradale inclusiva di un viadotto sopraelevato), alla stessa non spetta l’esenzione, in quanto è questa ad eseguire la costruzione dell’opera e/o la sua gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione (cfr. Cass. n. 11688/2017; Cass. n. 11689/17 e Cass. n. 11886/2017), non potendo, in tali casi, l’esenzione essere riconosciuta in quanto non si configura l’occupazione diretta «da
parte dello Stato» quale soggetto ex lege esente (così Cass. nn. 32408, 32404, 32403, 32393, 32387/2024 citt., che richiamano. Cass. n. 385/2022, che richiama Cass. nn. 20974/2020; Cass. n. 18385/2019; Cass. n.19693/2018, 11886/2017, 11689/2018).
Non si ravvisano, infine, le condizioni per la rimessione della questione pregiudiziale alla CGUE ai sensi dell’art. 267 TFUE, come sollecitato in estremo subordine, dalla società contribuente.
La CGUE, con sentenza 6 ottobre 2021 in causa C-561/19 (RAGIONE_SOCIALE c/ RAGIONE_SOCIALE, ha ribadito (§ 33), sulla base di numerosi richiami, che il giudice di ultima istanza è esonerato dal rinvio pregiudiziale ogniqualvolta abbia constatato che «la questione sollevata non è rilevante, o che la disposizione del diritto dell’Unione di cui si tratta è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte, oppure che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi», vale a dire qualora se ne ravvisino i presupposti di dubbio interpretativo, di interferenza con il diritto unionale e di rilevanza in causa (tra le altre, v. Cass., Sez. Un. n.14042/16; n. 26145/17; n. 30301/17; Corte EDU 8 settembre 2015, RAGIONE_SOCIALE c/ Italia).
E ciò, ferma restando (§ 50-57 della sentenza 6 ottobre 2021 in causa C-561/19, cit.) la doverosità di questa verifica, sicchè il giudice nazionale è tenuto a motivare le ragioni del ravvisato esonero da rinvio pregiudiziale, ponendosi questa scelta da un lato, nell’ambito del sistema di cooperazione diretta tra Corte di Giustizia e giudici nazionali e, dall’altro, nell’esercizio di una funzione indipendente e non coercibile dalle parti (cfr. Cass. nn. 32408, 32404, 32403, 32393, 32387/2024 citt.).
12.1. Come chiarito da tali ultimi arresti di questa Corte, la questione della possibile interferenza dell’esenzione Tosap in rassegna con il diritto UE della concorrenza non è nuova, in quanto già recentemente affrontata (v. Cass n. 15204/24 cit., con richiamo a Cass. n. 2164/24) nel senso che: « quanto alla compatibilità di tale soluzione con il diritto unionale va osservato che questa Corte ha già ritenuto che non sussista alcuna incertezza sulla questione qui in scrutinio, che imponga il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (v. Cass. Sez. T. 10 febbraio 2023, n. 4116), dovendo aggiungersi sul punto che i Trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri, come precisa l’art. 345 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, mentre l’art. 106 vieta agli Stati membri di emanare o mantenere, nei confronti delle imprese pubbliche o delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusiva, misure contrarie alle norme dei trattati, sicché, anche sotto questo profilo, RAGIONE_SOCIALE non potrebbe beneficiare dell’esenzione riconosciuta allo Stato (cfr. sul punto, anche Cass., Sez. T, 22 gennaio 2024, n. 2164)».
Si è quindi rimarcata in dette pronunce « la pratica ininfluenza del tema esonerativo, quantomeno se impostato e risolto nei termini che si sono detti, rispetto alle disposizioni del TFUE (§ 108) concernenti la libera concorrenza ed il divieto degli aiuti di Stato», sottolineandosi sul punto che la questione non assume qui rilevanza proprio in ragione del fatto che l’esenzione, nella specie, viene negata, giustappunto in base al presupposto unionale della non discriminazione concorrenziale in considerazione della natura economico-imprenditoriale dell’attività parimenti svolta dagli operatori, sia pubblici sia privati.
12.2. Va allora ribadito che non si pone alcun dubbio di alterazione delle regole di libero mercato mediante il riconoscimento di aiuti di Stato (sub specie di esenzione fiscale) non comunicati ed autorizzati, in un contesto nel quale tanto i primi quanto i secondi siano esclusi dal beneficio.
Né sarebbe fondatamente sostenibile un contrasto con il diritto unionale avendo riguardo, non già al rapporto competitivo tra società pubbliche e private, bensì a quello in ipotesi stabilito tra le società (pubbliche e private) da un lato, e lo Stato (e gli altri enti contemplati dall’art. 49 lett. a ) dall’altro, sol considerando che, se la natura dell’attività in concreto svolta è amministrativa, ad essere disattivata in radice è l’intera disciplina concorrenziale di mercato, mentre, se è paritetica ed imprenditoriale (come tale svolta attraverso i vari strumenti a tal fine predisposti dall’ordinamento, tra cui le società partecipate ed in house ), nessun contrasto con il diritto UE potrebbe originarsi da un sistema normativo nazionale che, come quello oggetto di esame, neghi indistintamente il beneficio, tranne che in ipotesi di attività ‘direttamente’ svolta dallo Stato nell’ambito di potestà di tipo autoritativo (cfr. Cass. nn. 32408, 32404, 32403, 32393, 32387/2024 citt.).
Alla stregua delle riflessioni che precedono, le quali assumono valore assorbente rispetto ad ogni altro argomento difensivo svolto dalla contribuente, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza, tenendo conto dei vari precedenti sul tema in esame, per tale motivo disattendendosi la maggiore misura richiesta nella nota spese depositata dalla controricorrente.
Va, infine, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, per il
versamento da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida a favore di RAGIONE_SOCIALEnella misura di 3.000,00 € per competenze, oltre accessori e nell’importo di 200,00 € per spese vive.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22 ottobre 2024.