Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 784 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 784 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27450/2022 R.G., proposto
DA
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Roma, in persona del presidente del consiglio di amministrazione pro tempore , rappresentata e difesa dalla Prof.ssa Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, e dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in margine al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
Comune di San Sossio Baronia (AV), in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME entrambi con studio in Campobasso, ove elettivamente domiciliato (indirizzi pec, per la prima: EMAIL ; per il secondo: EMAIL ), giusta
RAGIONE_SOCIALE AUTOSTRADALI
procura in calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Campania il 26 aprile 2022, n. 3649/02/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 ottobre 2024 dal Dott. NOME COGNOME
udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi per la ricorrente la Prof.ssa Avv. NOME COGNOME e l’Avv. NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito per il c ontroricorrente, l’Avv. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
L a ‘ RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Campania il 26 aprile 2022, n. 3649/02/2022, che, in controversia su impugnazione degli avvisi di accertamento nn. 4063/2020, 3676/2020, 3677/2020, 3678/2020, 3679/2020 e 3680/2020 per omesso versamento della TOSAP relativa agli anni dal 2014 al 2019, con riguardo ad occupazioni effettuate mediante viadotti dell’autostrada A/16 sul soprassuolo di strade appartenenti al demanio del Comune di San Sossio Baronia (AV), ha rigettato l’appello proposto dal la medesima nei confronti del medesimo Comune avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Avellino il 17 maggio 2021, n. 429/02/2021, con compensazione delle spese giudiziali.
La Commissione tributaria regionale, rilevando in via preliminare la formazione del giudicato interno per l’avviso di
accertamento n. 4063/2020, che non era stato oggetto di gravame, ha confermato la decisione di prime cure -che aveva rigettato il ricorso originario della contribuente -sul presupposto che l’occupazione a mezzo di impianti di servizi pubblici è soggetta a tassazione, sia che si tratti di spazi sottostanti che sovrastanti un ‘area pubblica, non spettando al concessionario privato di opera pubblica l’esenzione prevista per gli enti pubblici.
Il Comune di San Sossio Baronia (AV), ha resistito con controricorso.
Con conclusioni scritte, il P.M. si è espresso per il rigetto del ricorso.
Le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è affidato a due motivi.
Preliminarmente, vanno respinte le eccezioni di inammissibilità, che la controricorrente ha sollevato sia in relazione alla carenza di autosufficienza, dacché la prospettazione delle censure non esigeva la trascrizione né la localizzazione di atti processuali (art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ.), sia in relazione alla conformità della sentenza impugnata all’orientamento del giudice di legittimità ed alla carente offerta di elementi suscettibili di confermare o mutare tale orientamento (art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ.), dacché le argomentazioni sostanzianti le censure non sono manifestamente destituite di fondamento logico-giuridico.
Con il primo motivo, si denuncia violazione degli artt. 38 e 39 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, 1 e 2 della legge 21 maggio 1955, n. 463, 1, 2, 6, 7, 8 e 12 della legge 24 luglio 10961, n. 729, nonché della legge 28 marzo 1968, n. 385, in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la carenza di autorizzazione o concessione per l’occupazione dello spazio sottostante ai viadotti è irrilevante ai fini della debenza della TOSAP, essendo sufficiente la mera occupazione di fatto di aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile di Comuni e Province, laddove, a suo dire, lo spazio sovrastante le strade comunali non appartiene più al demanio del Comune, ma è stato acquisito al demanio dello Stato. Difatti, secondo la ricorrente, non si tratta né di un’occupazione di fatto, né tantomeno di una detenzione abusiva, trattandosi piuttosto di un’occupazione che trova fondamento nella legge statale ed in particolare nelle disposizioni della legge 21 maggio 1955, n. 463, e della legge 24 luglio 1961, n. 729, avendo lo Stato sottratto all’uso generalizzato della comunità locale i predetti spazi al fine di realizzare la rete autostradale ed offrire compiutamente un servizio a favore della collettività di riferimento nazionale, segnalando che lo stesso Comune non ha mai provveduto non solo a richiedere alcuna tassa, ma neppure rimuovere le opere autostradali se ritenute abusive.
3.1 Il predetto motivo è infondato.
3.2 Ai sensi dell’artt. 38, comma 1, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (abrogato dall’art. 1, comma 816, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, con decorrenza dall’1 gennaio 2021), sono soggette alla TOSAP le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei Comuni e delle Province. Il successivo art. 39 precisa che la TOSAP è dovuta al Comune o alla Provincia dal titolare dell’atto di concessione o di
autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio.
Il tributo è, dunque, dovuto in caso di qualsiasi occupazione di una strada riconducibile al demanio o al patrimonio indisponibile di Comuni e Province: sia in caso di occupazione fondata su un provvedimento amministrativo dell’ente locale, sia, come precisano le disposizioni in esame, di occupazione di fatto, che avvenga in assenza di una autorizzazione o concessione, a prescindere dal carattere abusivo oppure legittimo, come desumibile dall’avverbio « anche », prima dell’aggettivo « abusivo » nell’art. 39. Il riferimento all’occupazione di qualsiasi natura consente, pertanto, di comprendere nella fattispecie impositiva anche quelle occupazioni che, come nel caso di specie, trovino il loro fondamento nella legge, a cui è effettivamente riconducibile la realizza zione dell’opera pubblica e l’individuazione del tracciato della rete autostradale.
Le leggi citate dalla contribuente (legge 21 maggio 1955, n. 463, e legge 24 luglio 1961, n. 729) con riguardo alla realizzazione delle autostrade sono anteriori al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, la cui disciplina – come sopra esposto – ha sottoposto ad imposizione l’occupazione delle strade comunali e provinciali avvenuta per la realizzazione della rete autostradale (da ultime: Cass., Sez. Trib., 22 gennaio 2024, n. 2164; Cass., Sez. Trib., 23 gennaio 2024, n. 2255; Cass., Sez. Trib., 25 gennaio 2024, n. 2395; Cass., Sez. Trib., 30 maggio 2024, nn. 15162, 15167, 15171, 15173, 15186, 15201, 15204). Di talché, l’art. 38 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, va interpretato nel senso che l’occupazione mediante impianti di servizi pubblici (tale essendo il viadotto
autostradale, che rappresenta un ‘ impianto ‘ costituito da una costruzione completata da strutture -impianti segnaletici e di illuminazione – che ne aumentano l’utilità) è soggetta alla tassa, sia che si tratti di spazi sottostanti, che sovrastanti lo spazio pubblico (salvo che ricorra una delle eccezioni di soprasuolo tassativamente previste dalla norma, tra le quali non si menzionano i viadotti e sovrappassi autostradali) (Cass., Sez. 5^, 5 novembre 2019, n. 28341).
Per cui, la destinazione del bene ad uso collettivo di viabilità non esclude l’occupazione, avendo questa Corte già chiarito che la società concessionaria dello Stato che abbia realizzato e gestito un’opera pubblica, occupando di fatto spazi rientranti nel demanio comunale o provinciale, è tenuta al pagamento della TOSAP, non assumendo rilievo il fatto che l’opera sia di proprietà statale, poiché la condotta occupativa è posta in essere dalla società concessionaria nello svolgimento, in autonomia, della propria attività d’impresa, per cui è sufficiente l’utilizzazione del bene da parte di un soggetto diverso dall’ente pubblico titolare, mentre risulta indifferente la strumentalità di tale utilizzazione alla realizzazione di un pubblico interesse, in assenza di una specifica ipotesi di esenzione; tanto più considerandosi che il tributo è ex lege dovuto anche per le occupazioni « poste in essere con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa » (art. 38 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507). Dunque, la pianificazione del tracciato autostradale e, quindi, l’attraversamento da parte del viadotto autostradale del soprassuolo comunale o provinciale in forza della legge 24 luglio 1961, n. 729 (recante il ‘ Piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali ‘) non eliminano l’operatività del regime previsto dagli artt. 38 ss. del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507,
giacché la regolarità delle procedure dirette al rilascio della concessione per la costruzione e/o l’esercizio dell’opera pubblica (anche in relazione all’acquisizione coattiva dei suoli interessati dalla collocazione del sedime autostradale con le relativ e pertinenze) non esclude che l’occupazione del soprassuolo inerente a strade comprese nel demanio comunale o provinciale sia sine titulo rispetto all’ente locale, che è del tutto estraneo alle vicende riguardanti la predetta concessione. 3.3 A dispetto della prospettazione sostenuta dalla ricorrente circa una presunta ‘ablazione’ del le aree occupate mediante la costruzione dei viadotti autostradali, trasferendosene la proprietà allo Stato e conservandosene il mero uso al Comune, questa Corte ha più volte ribadito che la costruzione della rete autostradale prevista ed approvata con provvedimenti legislativi non ha comportato automaticamente il trasferimento della proprietà delle strade interessate allo Stato ed il conseguente passaggio di quelle comunali e provinciali al demanio statale, tenuto conto che l’art. 11 della legge 24 luglio 1961, n. 729, prevedeva l’esecuzione di procedure espropriative per la realizzazione delle opere necessarie per la costruzione delle autostrade previste dalla predetta legge, mentre l’art. 12, comma 4, della medesima legge, nel prevedere che gli enti proprietari potevano prescrivere esclusivamente le cautele da osservare e le opere provvisionali da eseguire durante la costruzione delle opere, conferma la possibile appartenenza del tratto di strada ad amministrazioni diverse dallo Stato, quali gli enti territoriali.
Del resto, l’art. 822 cod. civ. prevede che le strade, le autostrade e le strade ferrate fanno parte del demanio pubblico se appartengono allo Stato e, cioè, rientrano nel demanio pubblico statale meramente eventuale, il che non esclude,
quindi, che la strada su cui insiste il cavalcavia dell’autostrada appartenga ad altro ente (da ultime: Cass., Sez. Trib., 22 gennaio 2024, n. 2164; Cass., Sez. Trib., 23 gennaio 2024, n. 2255; Cass., Sez. Trib., 25 gennaio 2024, n. 2395; Cass., Sez. Trib., 30 maggio 2024, nn. 15162, 15167, 15171, 15173, 15186, 15201, 15204).
3.4 Occorre, quindi, distinguere la proprietà della strada su cui insiste il pontone o cavalcavia dell’autostrada da quella di quest’ultimo manufatto: la prima resta di titolarità dell’ente territoriale, in assenza di un atto di trasferimento, pur essendo la seconda di proprietà statale. Non si configura, infatti, una ipotesi di accessione invertita a favore dello Stato, che non è contemplata dalla legge (Cass., Sez. Trib., 22 gennaio 2024, n. 2164).
Difatti, in linea di principio, sul piano civilistico, per quanto concerne le strade, vale il regime generale del l’art. 840 c od. civ., con estensione usque ad sideras et ad inferos della relativa proprietà, da nulla risultando che alla proprietà pubblica si applichi, sul punto, un regime diverso da quello della proprietà privata (Cass., Sez. 2^, 3 aprile 2023, n. 9157). Rimane, tuttavia, fermo che l’art. 840 c od. civ. si riferisce al sottosuolo, nel significato comune della parola, che indica lo strato sottostante alla superficie del terreno, ossia la zona esistente in profondità al di sotto dell’area superficiale del piano di campagna . La nozione, quindi, non comprende l’area di sedime sottostante una strada pubblica in corrispondenza di un ponte o di un viadotto. In questo caso, qualora la proprietà pubblica del suolo non risulti positivamente, si tratta di stabilire se sia operante la presunzione iuris tantum di demanialità delle aree accessorie alle strade pubbliche, quali pertinenze stradali (Cass., Sez. 2^, 3 aprile 2023, n. 9157), che, peraltro, non
può operare in relazione all’area occupata dal percorso di un’altra strada pubblica. Per cui, si deve escludere qualsiasi apprensione allo Stato del tratto di strada comunale che sia perpendicolarmente sottostante al viadotto autostradale.
3.5 Neppure è significativo il richiamo alla previsione dell’art. 2 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, secondo cui: « Le strade urbane (…) sono sempre comunali quando siano situate nell’interno dei centri abitati, eccettuati i tratti interni di strade statali, regionali o provinciali che attraversano centri abitati con popolazione non superiore a diecimila abitanti », giacché tale disposizione si riferisce alla diversa ipotesi di ‘ intersezione ‘ sul medesimo livello tra i percorsi di strade appartenenti ad enti diversi, non avendo alcuna attinenza con la fattispecie eterogenea dell’occupazione del soprassuolo inerente alla strada comunale.
3.6 Inoltre, la presunzione di demanialità, che è stabilita dall’art. 22 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, non si riferisce ad ogni area comunicante con la strada pubblica, ma solo a quelle che, per l’immediata accessibilità, integrano la funzione viaria della rete stradale, in guisa da costituire pertinenza della strada; nelle altre ipotesi, invece, affinché un’area privata venga a far parte del demanio, è necessario che essa sia destinata all’uso pubblico e che sia intervenuto un atto o un fatto che ne abbia trasferito il dominio alla pubblica amministrazione (Cass., Sez. 2^, 2 febbraio 2017, n. 2795; Cass., Sez. 2^, 21 maggio 2018, n. 12497; Cass., Sez. 2^, 3 aprile 2023, n. 9157; Cass., Sez. 1^, 17 luglio 2024, n. 19784).
Per cui, si deve escludere qualsiasi apprensione allo Stato del tratto di strada comunale che sia perpendicolarmente sottostante al viadotto autostradale. A maggior ragione,
quindi, non si può ammettere un’acquisizione per interposta persona a favore della concessionaria dell’autostrada, che non opera quale longa manus dello Stato (Cass., Sez. Trib., 25 gennaio 2024, n. 2463).
3.7 Sicuramente, non è significativo il richiamo alla previsione dell’art. 2 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, secondo cui: « Le strade urbane (…) sono sempre comunali quando siano situate nell’interno dei centri abitati, eccettuati i tratti interni di strade statali, regionali o provinciali che attraversano centri abitati con popolazione non superiore a diecimila abitanti », giacché tale disposizione si riferisce alla diversa ipotesi di ‘ incrocio ‘ sul medesimo livello (o a raso) di strade situate alla medesima altezza, ma appartenenti ad enti diversi, che ai fini della TOSAP è espressamente regolamentata dall’art. 38, comma 4, d el d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (a tenore del quale: « 4. Le occupazioni realizzate su tratti di strade statali o provinciali che attraversano il centro abitato di Comuni con popolazione superiore a diecimila abitanti sono soggette all’imposizione da parte dei Comuni medesimi »), non avendo alcuna attinenza con la fattispecie eterogenea dell’occupazione del soprassuolo inerente alla strada comunale.
3.8 Né la previsione dell’art. 25, comma 1 -ter , lett. a, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, come introdotto dall’art. 49, comma 5, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, contraddice in alcun modo la ricostruzione della permanenza della proprietà comunale sulla strada sottostante il viadotto autostradale.
Difatti, sancendo che « le strutture dei sottopassi e sovrappassi di strade di tipo A e B con strade di tipo inferiore, comprese le barriere di sicurezza nei sovrappassi, sono di titolarità degli enti proprietari delle strade di tipo A e B, anche quando tali enti
rilasciano la concessione all’attraversamento », tale disposizione -che regolamenta la c.d. ‘ intersezione ‘ a livelli sfalsati di strade situate a diverse altezze – riconosce la sola appartenenza dei sottopassi o sovrappassi delle strade di tipo A (autostrade) e B (strade extraurbane principali) agli enti indicati dall’art. 2, comma 5, del d.lgs. 30 aprile 199 2, n. 285 (tra i quali, lo Stato), escludendo ogni incidenza sull’appartenenza delle strade di tipo inferiore, vale a dire quelle di tipo C (strade extraurbane secondarie), D (strade urbane di scorrimento), E (strade urbane di quartiere), Ebis (strade urbane ciclabili), F (strade locali) e Fbis (itinerari ciclopedonali), la cui proprietà rimane ferma in capo agli enti d’origine.
Analogamente, il d.m. 30 novembre 2021, n. 485, contenente in allegato, « in relazione agli attraversamenti tra le strade di tipo A o di tipo B statali e le strade di classificazione inferiore ai sensi dell’articolo 2 del Codice della strada (…), l’elenco delle strutture delle opere d’arte dei sottopassi e sovrappassi, comprese le barriere di sicurezza nei sovrappassi, con l’indicazione dei relativi enti titolari, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 25, commi 1 -bis e 1-ter, del medesimo Codice della strada », si riferisce alla esclusiva proprietà dei sovrappassi, ma non anche alla proprietà delle sottostanti strade di tipo inferiore, che continuano ad appartenere agli enti d’origine (al pari dell’inerente soprassuolo).
3.9 Neppure l’inserimento dell’opera autostradale nello strumento urbanistico generale può equivalere ad un tacito riconoscimento da parte del Comune di essere stato privato della disponibilità di tali aree, anche in corrispondenza dell’intersezione con le viabilità locali , per la destinazione alla
viabilità statale del l’intera fascia di territorio che è oggetto di occupazione.
Difatti, è vero che, in base all’art. 7, comma 2, n. 1, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. ‘ legge urbanistica ‘), il piano regolatore generale di un ente locale non può prescindere, nella programmazione urbanistica, dalla « rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti » (e, quindi, anche dalle infrastrutture autostradali), che sono stati realizzati sul territorio comunale anche per effetto della previsione di fonti superiori, e non può prevedere né imporre opere che siano paesaggisticamente ed urbanisticamente incoerenti con le superiori determinazioni (del resto, secondo la gerarchia delle fonti, le norme primarie prevalgono sugli strumenti urbanistici adottati dagli enti locali con provvedimenti di natura regolamentare), ma si tratta di una mera ed inevitabile conseguenza dell’immanenza delle opere autostradali, che non comporta il riconoscimento della perdita della proprietà demaniale né tange il potere impositivo dell’ente locale sugli spazi sovrastanti le strade comunali per effetto della loro apprensione da parte dello Stato (o del suo concessionario).
3.10 Ne discende che la sentenza impugnata si è conformata ai principi enunciati, laddove si afferma che, « nella fattispecie, è indiscusso che manchi un atto di autorizzazione all’occupazione dello spazio pubblico attuato tramite il cavalcavia, sicché il soggetto passivo su cui grava la TOSAP non può che essere l’occupante di fatto, utilizzatore del bene, ossia l’ASPI », per cui, « (…) ai fini della TOSAP, rileva il fatto in sé della predetta occupazione indipendentemente dall’esistenza o meno di una conces sione od autorizzazione (…) », avendo accertato che, « (n)el caso in esame vi è la
sottrazione o la limitazione dell’uso del suolo pubblico da parte della società RAGIONE_SOCIALE a mezzo del viadotto autostradale sopraelevato in assenza della concessione od autorizzazione comunale prevista dal D.Lgs. n. 507/1993, art. 39 e si è realizzata, p erciò, un’occupazione di fatto che è comunque tassabile, salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione » e che « non può esservi dubbio alcuno sul fatto che il viadotto impedisce l’utilizzazione edificatoria del fondo sottostante ».
4. Con il secondo motivo, in subordine, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 49, comma 1, lett. a, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, 822 cod. civ. e 1 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 461, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la società concessionaria di autostrade non poteva beneficiare dell’esenzione prevista per gli enti pubblici in relazione ai ponti ed ai cavalcavia autostradali in gestione, non tenendo conto della destinazione pubblicistica dei beni, la cui appartenenza a soggetti privati non poteva escludere la titolarità di un diritto assimilabile a quello spettante all’ente concedente ed il cui sfruttamento per la percezione di un profitto economico da parte di soggetti privati non poteva prescindere dall’utilizzazione nell’interesse esclusivo dell’ente concedente.
A tal proposito, dopo aver richiamato l’art. 345 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (secondo cui: « I trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri ») per sostenere il principio di neutralità rispetto alla proprietà pubblica o privata delle imprese operanti nell’ordinamento europeo ed evidenziato che la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che l’indifferenza rispetto alla natura pubblica o
privata del regime proprietario non deve tradursi in forme di discriminazione, la ricorrente ha sollecitato, in caso di diverso avviso, la sottoposizione, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea , alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea della « questione di compatibilità comunitaria volta a stabilire se gli artt. 49, 56, 63 e 345 TFUE ed in ogni caso il diritto dell’unione consentano nei confronti dei concessionari di infrastrutture pubbliche l’applicazione di un trattamento differenziato e discriminatorio rispetto ai rapporti con gli enti locali interessati in funzione della proprietà pubblica o privata del concessionario stesso » (alla pagina 16 del ricorso).
4.1 Il predetto motivo è infondato.
4.2 Infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte, la RAGIONE_SOCIALE trova applicazione nell’ipotesi di utilizzazione di strade comunali o provinciali per la realizzazione della rete autostradale in regime di concessione amministrativa, per cui non può conf igurarsi l’ipotesi dell’esenzione prevista dall’art. 49, lett. a, del d.lgs. 30 dicembre 1993, n. 507, giacché l’occupazione medesima deve considerarsi propria della società concessionaria e va, dunque, assoggettata alla tassa ai sensi dell’art. 38, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1993, n. 507: la società concessionaria è, infatti, l’esecutrice della progettazione e della realizzazione dell’opera pubblica a fronte del corrispettivo costituito dal diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati per la durata prevista; a nulla, peraltro, rileva il fatto che il viadotto sia di proprietà del demanio e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all’esercizio di un servizio di pubblica
utilità, è gestito in regime di concessione da un ente che agisce in piena autonomia e non quale mero sostituto dello Stato nello sfruttamento dei beni (Cass., Sez. 5^, 10 gennaio 2022, n. 385; Cass., Sez. 6^-Trib., 10 febbraio 2023, n. 4116; Cass., Sez. Trib., 22 gennaio 2024, n. 2164; Cass., Sez. Trib., 23 gennaio 2024, n. 2255; Cass., Sez. Trib., 25 gennaio 2024, n. 2395; Cass., Sez. Trib., 30 maggio 2024, nn. 15162, 15167, 15171, 15173, 15186, 15201, 15204; nello stesso senso, in tema di COSAP: Cass. Sez. 1^, 29 maggio 2023, n. 15010; Cass. Sez. 1^, 18 aprile 2023, nn. 13051 e 10345; Cass. Sez. 1^, 24 luglio 2023, n. 22183; Cass. Sez. 1^, 25 luglio 2023, n. 22219).
4 .3 È, dunque, sufficiente l’utilizzazione del bene da parte di un soggetto diverso dall’ente pubblico titolare, mentre risulta indifferente la strumentalità di tale utilizzazione alla realizzazione di un pubblico interesse, in assenza di una specifica ipotesi di esenzione (Cass., Sez. Trib., 22 gennaio 2024, n. 2164).
4.4 Dirimenti, al riguardo, sono le considerazioni spese dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un, 7 maggio 2020, n. 8628), secondo cui, in aderenza al dettato normativo di cui all’art. 39, come sopra interpretato, in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione per individuare il soggetto passivo della TOSAP diventa, infatti, irrilevante indagare a chi sia riconducibile l’interesse privato ritratto dall’occupazione, essendo sufficiente e, anzi, assorbente il rapporto esistente tra l’ente territoriale e il contribuente autorizzato, quale specifico destinatario dei provvedimenti con cui l’amministrazione territoriale ha allo stesso trasferito, previo controllo della sussistenza dei necessari requisiti, facoltà e diritti sulla cosa pubblica alla stessa riservati.
4.5 A tal riguardo, le concessioni autostradali – nella duplice variante della ‘ concessione di esercizio e di gestione ‘ (artt. 3, comma 1, della legge 21 maggio 1955, n. 463, 16, comma 1, della legge 24 luglio 1961, n. 729, e 5, comma 2, della legge 7 febbraio 1961, n. 59), e della ‘ concessione di solo esercizio ‘ (art. 17, comma 1, della legge 24 luglio 1961, n. 729) sembrerebbero essere attratte nella tipologia della ‘ concessione di lavori ‘ , nella misura in cui il corrispettivo, al pari del rischio operativo, deriva al concessionario esclusivamente dallo sfruttamento dell’opera e, quindi, dalla sua gestione, sebbene si siano manifestate perplessità in merito a questa ricostruzione dogmatica, che hanno indotto a classificare tali concessioni come un ‘ ibrido ‘, giacché esse contengono tanto il profilo della progettazione e della costruzione di nuove infrastrutture, quanto il momento della gestione di un servizio di trasporti. In altri termini, la compresenza di due attività distinte, legate l’una alla costruzione dell’opera, l’altra alla sua gestione, determina per le concessioni autostradali la configurabilità di un regime giuridico ‘ speciale ‘, che è alla base dell’enucleazione di specifiche disposizioni all’interno del c.d. ‘ Codice dei contratti pubblici ‘. Non a caso, l’art. 178 del medesimo d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ha espressamente dettato ‘ Norme in materia di concessioni autostradali e particolare regime transitorio ‘, a conferma della loro natura sui generis .
Pur con tali peculiarità, la concessione è un contratto a titolo oneroso che ha per oggetto l’affidamento, da parte della stazione appaltante, della esecuzione di lavori o della fornitura e della gestione di servizi in cui il concessionario ricava il corrispettivo ad esso spettante per l’esecuzione del contratto
esercitando il diritto a gestire le opere o i servizi e a trattenere i ricavi della gestione, assumendosi i rischi connessi a tale gestione (e principalmente, nella concessione di servizi o in cui la parte relativa ai servizi è prevalente rispetto ai lavori, il rischio derivante dalla domanda del servizio). La concessione, sia di lavori pubblici che di servizi pubblici, si caratterizza, pertanto, per un dato: la remunerazione degli investimenti compiuti dall’operatore economico privato e delle prestazioni rese nell’esecuzione della concessione è costituita dal diritto di gestire funzionalmente ed economicamente il servizio (o i servizi) erogati attraverso le opere pubbliche realizzate (Cons. St., Sez. 5^, 4 febbraio 2022, n. 795). In sostanza, la caratteristica principale della concessione, ossia l’autorizzazione a gestire o sfruttare un’opera pubblica o un servizio pubblico, implica sempre il trasferimento al concessionario di un rischio operativo di natura economica che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati ed i costi sostenuti per realizzare i lavori o i servizi, rischio che non sussiste quando la pubblica amministrazione si obbliga a coprire eventuali perdite occorse nell’esercizio dell’attività nell’interesse pubblico (Cons. St., Ad. Plen., 30 gennaio 2014, n. 7).
Si è, dunque, in presenza di una concessione quando, in base al titolo, l’operatore si assume i rischi economici della gestione dell’opera pubblica o del servizio pubblico, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si sarà in presenza di un contratto di appalto pubblico quando l’onere dell’opera pubblica o del servizio pubblico venga a gravare sostanzialmente sulla pubblica amministrazione.
La nozione (di fonte unionale) è stata ribadita anche da questa Corte, secondo la quale la caratteristica principale della concessione, ossia l’autorizzazione a gestire o sfruttare un’opera o un servizio, implica sempre il trasferimento al concessionario di un rischio operativo di natura economica che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati ed i costi sostenuti per realizzare i lavori o i servizi, rischio dal quale il concessionario si garantisce rifacendosi essenzia lmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa (Cass., Sez. 5^, 11 agosto 2020, n. 16889; Cass., Sez. 6^-5, 15 settembre 2021, n. 24977; Cass., Sez. 6^-2, 17 marzo 2022, n. 8692; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2022, n. 22062; Cass. Sez. 3^, 11 aprile 2024, n. 9818; Cass., Sez. Un., 27 agosto 2024, n. 23155).
Ad ulteriore conferma della qualificazione privatistica della società autostradale, si può richiamare anche il principio enunciato da questa Corte, secondo cui, sia in tema di concessione di costruzione e gestione di opera pubblica sia in tema di concessione di servizi, le controversie relative alla fase esecutiva del rapporto, successiva all’aggiudicazione, sia se implicanti la costruzione (e la gestione) dell’opera pubblica, sia se non collegate all’esecuzione di un’opera pubblica, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass., Sez. Un., 13 settembre 2017, n. 21200; Cass., Sez. Un., 18 dicembre 2018, n. 32728; Cass., Sez. Un., 8 luglio 2019, n. 18267; Cass., Sez. Un., 18 dicembre 2019, n. 33691; Cass., Sez. Un., 28 febbraio 2020, n. 5594; Cass., Sez. Un., 11 marzo 2020, n. 7005; Cass., Sez. Un., 4 luglio 2022, n. 21139; Cass., Sez. Un., 11 marzo 2023, n. 7735; Cass., Sez. Un., 27 giugno 2023, n. 18374; Cass., Sez. Un., 31 ottobre 2023, n. 30267;
Cass., Sez. Un., 22 luglio 2024, n. 20088), venendo in rilievo una relazione paritaria di tipo contrattuale con l’amministrazione statale in ordine all’attuazione del rapporto concessorio.
Parimenti, la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che le società concessionarie per la costruzione e/o la gestione di opera pubblica ovvero per la gestione di servizio pubblico, anche se partecipate (in forma maggioritaria o totalitaria) da enti pubblici, sono soggette allo statuto dell’imprenditore commerciale (artt. 2082 ss. cod. civ.) e, quindi, all’apertura delle procedure concorsua li (artt. 1 ss. del r.d. 16 marzo 1942, n. 267), sottolineando che la circostanza di essere affidatarie di servizi di interesse pubblico o gestori di beni di natura demaniale non crea un rapporto di immedesimazione con l’ente pubblico (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 27 settembre 2013, n. 22209; Cass., Sez. 1^, 2 luglio 2018, n. Cass., Sez. 5^, 16 gennaio 2019, n. 956; Cass., Sez. 1^, 22 febbraio 2019, n. 5346; Cass., Sez. 1^, 4 marzo 2022, n. 7260; Cass., Sez. 1^, 28 marzo 2023, n. 8794; Cass., Sez. 1^, 28 aprile 2023, n. 11273).
4.6 Restando sempre alle fattispecie tipizzate dal diritto unionale, la società RAGIONE_SOCIALE non è certamente riconducibile alla figura dell” organismo di diritto pubblico ‘, che gli artt. 2, par. 1, lett. a, della citata direttiva n. 2004/17/CE e 1, comma 9, della citata direttiva n. 2004/18/CE, definiscono come « organismo (…) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale » (nozione recepita a livello nazionale dall’art. 3, comma 1, lett. d, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), potendo al più, ove ne ricorrano le condizioni (ma non nella fattispecie in disamina), rientrare tra le ‘ imprese pubbliche ‘, che si
configurano, a norma dell’art. 2, comma 1, lett. a, della citata direttiva n. 2004/17/CE, come « le imprese su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante perché ne sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù di norme che disciplinano le imprese in questione » (nozione recepita a livello nazionale dall’art. 3, comma 1, lett. t, del citato d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), essendo caratterizzate dallo svolgimento di attività economica a carattere, per definizione, imprenditoriale e, quindi, qualificata dalla presenza sintomatica dei seguenti indici (che rivelano la qualità di impresa e, al contempo, escludono il carattere non industriale o commerciale dei bisogni): l’agi re in normali condizioni di mercato, il perseguimento di uno scopo di lucro e l’assunzione del rischio.
4.7 In questo quadro, perdono evidentemente rilievo, ai fini impositivi, quei profili di asserita divergenza rispetto a quella giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Sez. 5^, 22 novembre 2023, nn. 10010, 10011, 10012, 10013, 10014, 10015, 10016, 10017 e 10018; Cons. St., Sez. 5^, 27 novembre 2024, n. 10130), la quale, incidendo (nell’ambito del COSAP) sul diverso terreno dei presupposti autoritativi di legittimo esercizio del potere concessorio, ha cura di evidenziare la inconcepibilità del rilascio di una concessione comunale di occupazione in relazione ad un bene ‘ occupante ‘ appartenente al demanio dello Stato (permanendo tale demanialità statale anche nell’ipotesi di gestione lucrativa dell’infrastruttura), atteso che sempre nell’ottica della disciplina tributaria di cui al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, come sempre interpretata, da ultimo, anche dalle Sezioni Unite -il presupposto impositivo richiama sì la relazione concessoria,
senza, però, al contempo farne elemento imprescindibile, cioè senza escludere che, in assenza di questa (e dunque dei relativi presupposti amministrativi), il tributo debba essere, comunque, corrisposto da chi, anche in linea di fatto (ed anche se in maniera non abusiva), occupi il suolo comunale o provinciale, fatte naturalmente salve le previste esenzioni; con conseguente irrilevanza del fatto che, in forza di un diverso titolo concessorio, l’occupazione si attui attraverso la (o al fine della) gestione economica di un bene pacificamente appartenente al demanio statale.
Diversamente da quanto osservato dalla menzionata giurisprudenza amministrativa, non sembra, dunque, rilevare ai fini impositivi la supremazia dello Stato sul Comune o sulla Provincia, dal momento che questa può, per l’appunto, interferire, neutralizzandola, sulla necessità di un provvedimento concessorio, ma non sul materializzarsi del presupposto del tributo costituito dal fatto in sé dell’occupazione; a meno che, ben inteso, non si verta di occupazione posta ‘ direttamente ‘ in essere dallo Stato nell’esercizio di quella supremazia.
Parimenti ininfluenti ai fini di causa devono ritenersi quelle fonti legislative ed amministrative (ad esempio, la legge 21 maggio 1955, n. 463, e la legge 24 luglio 1961, n. 729, riguardanti la realizzazione della rete autostradale, o anche la nota resa dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti il 21 giugno 2023, n. 15776, recante disposizioni secondarie sulle procedure di autorizzazione e realizzazione di infrastrutture pubbliche in conferenza dei servizi) che regolano le procedure di costruzione della rete autostradale, così come l’attribuzione allo Stato della relativa proprietà, risultando esse -ancora una volta -indifferenti a quel presupposto; almeno fino a quando
non venga dal legislatore affermato ciò che al momento non è (Cass., Sez. Trib. , 22 gennaio 2024, n. 2164), cioè l’attrazione (per accessione invertita) allo Stato, per il solo fatto della costruzione del sovrappasso, della proprietà delle sottostanti strade comunali o provinciali occupate.
4.8 È il caso, poi, di sottolineare -ad ulteriore confutazione delle difese della ricorrente – la pratica ininfluenza del tema esonerativo, quantomeno se impostato e risolto nei termini che si sono detti, rispetto alle disposizioni del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ( § 108) che concernono la libera concorrenza ed il divieto degli aiuti di Stato.
Difatti, la questione non assume alcuna rilevanza, allorquando, come nel caso di specie, l’esenzione (quand’anche davvero qualificabile, appunto, come ‘ aiuto di Stato ‘ ) viene negata proprio sul presupposto unionale della non discriminazione concorrenziale in ragione della natura economicoimprenditoriale dell’attività parimenti svolta dagli operatori, sia pubblici sia privati. In ciò il ragionamento svolto dalla contribuente sembra, anzi, viziato da un ribaltamento logico di partenza, non ponendosi all’evid enza alcun dubbio di alterazione delle regole di libero mercato mediante il riconoscimento di aiuti di Stato ( sub specie di esenzione fiscale) non comunicati ed autorizzati, in un contesto nel quale tanto i primi quanto i secondi siano esclusi dal beneficio.
Né sarebbe fondatamente sostenibile un contrasto con il diritto unionale avendo riguardo, non già al rapporto competitivo tra le società pubbliche e le società private, bensì a quello in ipotesi stabilito tra le società (pubbliche e private), da un lato, e lo Stato (e gli altri enti contemplati dall’art. 49, comma 5, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120), dall’altro. Dal momento che , se la
natura dell’attività in concreto svolta è amministrativa, ad essere disattivata in radice è l’intera disciplina concorrenziale di mercato, mentre se è paritetica ed imprenditoriale (come tale svolta attraverso i vari strumenti a tal fine predisposti dall’o rdinamento) si ritorna a quanto appena osservato circa il fatto che nessun contrasto con il diritto unionale potrebbe originarsi da un sistema normativo nazionale che, come quello qui in esame, neghi indistintamente il beneficio, tranne che in ipotesi di attività ‘ direttamente ‘ svolta dallo Stato nell’ambito di potestà di tipo autoritativo.
Ed è per questo che si è affermato (Cass., Sez. 5^, 31 gennaio 2017, n. 2396; Cass., Sez. 5^, 9 febbraio 2018, n. 3163; Cass., Sez. 5^, 22 settembre 2020, nn. 19778 e 19779) che: « In tema di recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili con il mercato comune dalla decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, l’Agenzia delle entrate, ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 10 del 2007, conv., con modif., dalla 1 . n. 46 del 2007, ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle imposte non versate in forza del regime agevolativo previsto dall’art. 66, comma 14, del d.l. n. 331 del 1993, conv., con modif., dalla l. n. 427 del 1993, e dall’art. 3, comma 70, della l. n. 549 del 1995 anche nei confronti delle società ” in house “, a partecipazione pubblica totalitaria, risultando irrilevante la composizione del capitale sociale rispetto all’obiettivo di evitare che le imprese pubbliche, beneficiarie del trattamento agevolato, possano concorrere nel mercato delle concessioni dei cd. servizi pubblici locali, che è un mercato aperto alla concorrenza comunitaria, in condizioni di vantaggio rispetto ai concorrenti ».
A maggior ragione si giunge a questa conclusione considerando la più ampia nozione euro-unitaria di impresa che, per
giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea , include qualsiasi entità che eserciti un’attività economica a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di funzionamento, laddove costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte Giust., 23 aprile 1991, causa C41/90, RAGIONE_SOCIALE , par. 21; Corte Giust., 16 novembre 1995, causa C-244/94, Fédération française des sociétés d’assurance et alii vs. Ministère de l’Agriculture et de la Pêche, par. 14; Corte Giust., 11 dicembre 1997, causa C-55/96, RAGIONE_SOCIALE a r.l .; Corte Giust., 26 marzo 2009, causa C-113/07 P, RAGIONE_SOCIALE vs Commissione delle Comunità europee , par. 116).
Il che si raccorda sia con la normativa fiscale europea, per la quale è soggetto passivo ai fini dell’IVA « chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività (art. 9, § 1, Direttiva UE, n. 2006/112/CE; conf. art. 4, Direttiva UE, n. 77/388/CE) » (Cass., Sez. 6^-5, 28 ottobre 2019, n. 27577), sia con la normativa europea sugli appalti pubblici, laddove si stabilisce che « “i termini imprenditore, fornitore e prestatore di servizi designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e serv izi’ » (art. 1, § 8, della Direttiva n. 2004/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004).
D’altra parte, la questione della possibile interferenza dell’esenzione da TOSAP in parola con il diritto unionale della concorrenza non è nuova, in quanto già recentemente affrontata (Cass., Sez. Trib., 30 maggio 2024, n. 15204, con
richiamo a Cass., Sez. Trib., 22 gennaio 2024, n. 2164) nel senso che: « (…) quanto alla compatibilità di tale soluzione con il diritto unionale va osservato che questa Corte ha già ritenuto che non sussista alcuna incertezza sulla questione qui in scrutinio, che imponga il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (v. Cass. Sez. T. 10 febbraio 2023, n. 4116), dovendo aggiungersi sul punto che i Trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati mem bri, come precisa l’art. 345 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, mentre l’art. 106 vieta agli Stati membri di emanare o mantenere, nei confronti delle imprese pubbliche o delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusiva, misure contrarie alle norme dei trattati, sicché, anche sotto questo profilo, Autostrade per l’Italia non potrebbe beneficiare dell’esenzione riconosciuta allo Stato (cfr. sul punto, anche Cass., Sez. T, 22 gennaio 2024, n. 2164) » .
4.9 Quanto, infine, alla compatibilità di tale soluzione con il diritto unionale, va osservato che questa Corte ha già ritenuto che non sussista alcuna incertezza sulla questione qui in scrutinio, che imponga il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ( vedasi: Cass., Sez. Trib., 10 febbraio 2023, n. 4116), dovendo aggiungersi sul punto che i trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri, come precisa l’art. 345 del Trattato sul funzionamento dell’Unione E uropea, mentre l’art. 106 del medesimo Trattato vieta agli Stati membri di emanare o mantenere, nei confronti delle imprese pubbliche o delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusiva, misure contrarie alle norme dei trattati, sicché, anche sotto profilo, la ‘ RAGIONE_SOCIALE per lRAGIONE_SOCIALE non potrebbe beneficiare
dell’esenzione riconosciuta allo Stato (Cass., Sez. T rib., 22 gennaio 2024, n. 2164; Cass., Sez. Trib., 30 maggio 2024, n. 15162).
4.10 Ne discende che la sentenza impugnata si è uniformata al principio enunciato, avendo correttamente ritenuto che « l’esenzione prevista dal cit. decreto, art. 49, lett. a, non spetta in quanto non si configura l’occupazione da parte dello Stato », bensì da parte della concessionaria dell’autostrada .
In conclusione, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo, disponendosene, altresì, la distrazione a favore dei difensori antistatari della parte vittoriosa, i quali hanno dichiarato di aver anticipato gli esborsi e di non aver riscosso i compensi.
7 . Ai sensi dell’ art. 13, comma 1quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore del controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 10.700,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge, e distraendole in favore dei difensori antistatari del controricorrente, Avv. NOME COGNOME Campobasso e Avv. NOME COGNOME da Campobasso, per dichiarato anticipo; dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 22 ottobre