Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3861 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 3861 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore:
Data pubblicazione: 15/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23059/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME PEC EMAIL, giusta procura allegata al ricorso (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, con domicilio digitale, EMAIL;EMAIL, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, giusta procura in calce al controricorso
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 1166/2021 depositata il 08/02/2021.
Udita la relazione svolta all’udienza pubblica del 12/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il P.G. che ha concluso per la rimessione della questione di diritto alle S.U.
Uditi i difensori delle parti
FATTI DI CAUSA
1. In data 03.01.2017, il Comune di Mignano Monte Lungo notificava ad RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. 213/2017 con cui veniva contestata, per l’annualità 2015, l’omessa denuncia e l’omesso versamento della Tassa Occupazione Spazi ed Aree Pubbliche (T.O.S.A.P.) da parte della RAGIONE_SOCIALE
Con ricorso notificato in data 03.03.2017, la Società contribuente impugnava il predetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta.
L’adita Commissione Tributaria Provinciale, con sentenza n. 4774/1/2017 accoglieva il ricorso della Società, annullando, per l’effetto, l’avviso di accertamento n. 213/2017.
Pertanto, il Comune di Mignano Monte Lungo, in applicazione del proprio legittimo potere di autotutela sostitutiva, con determina prot. n. 6532 del 08.11.2017, annullava l’avviso di accertamento n. 213/2017 e lo sostituiva con l’avviso di accertamento prot. n. 7467 del 14.12.2017.
Così, in data 29.12.2017 l’ente impositore notificava ad RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento prot. n. 7467 del 14.12.2017 con il quale l’odierno comune resistente contestava, per l’anno di imposta 2015, l’omessa denuncia e l’omesso versamento, della tassa di occupazione spazi ed aree pubbliche (T.O.S.A.P.), in relazione ad alcune opere di proprietà della stessa società RAGIONE_SOCIALE (galleria di adduzione di acqua per le centrali idroelettriche), insistenti nel territorio comunale.
La società RAGIONE_SOCIALE impugnava anche l’avviso di accertamento prot. n. 7467 del 14.12.2017 dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta notificando ricorso all’ente impositore in data 27.02.2018.
In data 14.11.2018 veniva depositata e pubblicata la sentenza n. 5202/3/2018 con cui la sez. III della Commissione tributaria provinciale di Caserta, sciogliendo la riserva formulata, accoglieva solo parzialmente il ricorso dell’Enel Produzione RAGIONE_SOCIALE.p.a. RAGIONE_SOCIALEnel senso di decurtare in misura del 90% la tariffa prevista nell’accertamento per € 26,33 al mq con l’annullamento delle sanzioni ed interessi esposti nell’atto impugnato, con compensazione delle spese di giudizio.
Avverso la parte della predetta sentenza che accoglieva parzialmente l’originario ricorso, SIA il comune di Mignano Monte Lungo che la società interponevano gravame.
Riuniti i ricorsi d’appello, la Commissione tributaria regionale della Campania emetteva sentenza n. 1166/2021 con la quale, rigettava l’impugnazione della società contribuente ed accoglieva integralmente l’appello del Comune di Mignano Monte Lungo riformando la sentenza di primo grado e compensando le spese di giudizio.
Avverso la predetta sentenza la società RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione svolgendo cinque motivi. Replica con controricorso l’ente locale.
Il PG. ha concluso per la rimessione alle S.U. della questioni così riepilogate: se l’autotutela possa essere esercitata in presenza di soli vizi formali dell’atto impositivo, o anche di vizi sostanziali e se, dunque, oggetto di tutela sia l’interesse individuale del contribuente con l’esclusione, pertanto, della possibilità di adozione di provvedimenti di annullamento in malam partem o l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi, con gli unici limiti della decadenza dei termini accertativi e del giudicato; se l’esercizio del potere di autotutela, correlato alla sussistenza di vizi sostanziali, sia riconducibile a un accertamento che, quanto al maggior imponibile accertato, costituisca un accertamento integrativo e configuri un’ulteriore deroga al principio di unicità dell’accertamento, tenuto conto anche della differenza strutturale e funzionale del potere di autotutela rispetto al potere di accertamento integrativo.
MOTIVI DI DIRITTO
In via preliminare, ritiene il Collegio che non sia necessario rimettere le questioni sottoposte dalla Procura generale alle S.U., in considerazione di una giurisprudenza di legittimità che deve reputarsi consolidata.
2.Con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la parte contribuente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2-quater del d.l. n. 564
del 1994, 42 e 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto legittimamente esercitato da parte del Comune il potere di autotutela nonostante l’assenza dei presupposti legittimanti. Emettendo il successivo atto impositivo per rimediare ai vizi sostanziali del primo, l’ente locale sarebbe incorso nella violazione del principio di unicità dell’accertamento. Si osserva che, ai sensi dell’art. 43, d.P.R. n. 600/73, l’ente impositore può rettificare l’atto impositivo solo se sia venuto a conoscenza di nuovi elementi di cui dia atto nell’avviso sostitutivo.
In assenza di detti presupposti, l’ente impositivo consuma il suo potere di accertamento in relazione al materiale probatorio a sua disposizione; nel caso in esame la modifica dell’an e del quantum è stata effettuata dal Comune sulla base dei medesimi elementi di cui era a conoscenza con l’adozione del primo atto, poi annullato.
3.Con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la parte contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 212 del 2000 e dell’art. 1, comma 162, della legge n. 296 del 2006 per avere erroneamente la sentenza impugnata ritenuto legittimo l’avviso di accertamento nonostante l’assenza di un adeguato apparato motivazionale. Si deduce che, in realtà, l’avviso non contiene alcun riferimento normativo per l’applicazione delle tariffe, la qualificazione dell’opera e gli elementi di fatto che dovrebbero qualificare l’occupazione del soprasuolo e sottosuolo comunale, sostenendo che l’occupazione del suolo o del sottosuolo prevede l’applicazione di tariffe diverse. Si obietta che il riferimento alla delibera consiliare n. 16471998 non è idoneo, non consentendo la delibera di comprendere quale tipologia di occupazione vien presa in considerazione dal Comune ai fini t.o.s.a.p..
4.Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 38 d.lgs. n. 507/1993, e 823, 824, 826 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c.. Si deduce che la
circostanza che l’area comunale sia gravata da usi civici risulta del tutto irrilevante, atteso che è onere del Comune dimostrare che il suolo appartiene al suo patrimonio indisponibile o al suo demanio, essendo esclusa l’applicabilità della T.o.s.a.p. al demanio statale ed al patrimonio disponibile del comune e che, comunque, la presenza degli usi civici esclude l’area gravata dal demanio comunale, in quanto appartiene alla collettività dei cittadini. Si afferma di aver dedotto l’appartenenza del suolo assoggettato a TRAGIONE_SOCIALE. al patrimonio disponibile del Comune, con conseguente esclusione della tassazione.
5.Con il quarto motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., si critica la violazione dell’art. 50 d.lgs. n. 507/1993; per avere il decidente ritenuta necessaria la previa denuncia per l’applicazione dell’agevolazione tariffaria. Si assume che l’applicazione del disposto degli artt. 46 e 47 non esige alcuna previa denuncia, in quanto dette norme enunciano i criteri ordinari di determinazione della tassa per le superfici occupate; le tariffe di cui alle norme citate non sono tariffe agevolate ma correlate all’occupazione del sottosuolo e soprasuolo destinate all’esercizio ed erogazione di pubblici servizi. Si deduce, nella illustrazione della censura, che sull’applicabilità dei criteri di cui agli artt. 46 e 47 la CTR non si sarebbe pronunciata. Si osserva che l’omessa denuncia prevede l’applicazione della sanzione, ma non anche l’inapplicabilità delle tariffe di cui alle disposizioni citate.
6.Con il quinto motivo di ricorso, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 44, 46 e 47 del d.lgs. n. 507 del 1993, dell’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, 1 della legge n. 10 del 1991, 2 del d.lgs. n. 387 del 2003; per avere i giudici di appello omesso di pronunciarsi sulla irrilevanza della previa denuncia di cui al menzionato art. 50 rispetto all’applicazione del regime tariffario di cui agli artt. 46 e 47 d.lgs. n. 507/1993.Si ribadisce che la società
svolge un’attività di pubblico servizio finalizzata al soddisfacimento di un pubblico interesse, in virtù della quale rientra tra i soggetti beneficiari del regime differenziato, risultando indifferente rispetto alle norme rubricate la veste formale della società, tanto più che, alla stregua dell’art. 1 della legge n. 79/1999
7. Infine, la società ricorrente deduce la sussistenza di un giudicato interno, in quanto proposta, con l’originario ricorso, domanda di disapplicazione delle sanzioni, nonché degli interessi, per l’oggettiva incertezza della portata applicativa della normativa di settore, accolta dai primi giudici, il Comune, nel proporre l’impugnazione della sentenza di primo grado, non contestava il capo relativo all’annullamento delle sanzioni e degli interessi, limitandosi a censurare la statuizione relativa alle tariffe applicate dal l’ente comunale. Si assume che detta statuizione costituisce un capo autonomo della sentenza caratterizzata da propria individualità, sì da integrare gli estremi di un decisum del tutto indipendente che, ove non fatta oggetto di autonoma impugnazione, è suscettibile di essere oggetto di giudicato interno. 8.Il primo motivo di impugnazione è infondato.
8.1.Per quanto riguarda il quadro normativo dell’istituto dell’autotutela, va rilevato che l’art. 2 -quater, comma 1, del decreto – legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656 dispone che: «Con decreti del Ministro delle finanze sono indicati gli organi dell’Amministrazione finanziaria competenti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l’attività
dell’amministrazione». L’art. 1 del D.M. n. 37 del 1997 prevede che «Il potere di annullamento e di revoca o di rinuncia all’imposizione in caso di auto-accertamento spetta all’ufficio che ha emanato l’atto illegittimo o che è competente per gli accertamenti d’ufficio ovvero in via sostitutiva, in caso di grave inerzia, alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale l’ufficio stesso dipende»; l’art. 2, comma 1, poi, prevede che «1. L’Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione, quali tra l’altro: a) errore di persona; b) evidente errore logico o di calcolo; c) errore sul presupposto dell’imposta; d) doppia imposizione; e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti; f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza; g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati; h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione». Dalle norme richiamate si evince, quindi, che l’Amministrazione finanziaria, può procedere, a norma dell’art. 2 del d.m. n. 37 del 1997, all’annullamento, anche parziale, dell’atto, nelle ipotesi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione, la cui tipologia è individuata, in modo non tassativo, dallo stesso art. 2, primo comma, del d.m. cit.. Secondo il costante orientamento di questa Corte, «Il potere di autotutela dell’Amministrazione ha carattere generale e, pertanto, può essere legittimamente esercitato sino al momento in cui non si sia formato il giudicato sull’atto oggetto dello stesso ovvero, al contempo, sino a che non sia decorso il termine di decadenza, fissato dalle singole leggi di imposta, per l’emissione del nuovo avviso di accertamento» (ex multis Cass. 2 febbraio 2022, nn. 3267 e 3268), atteso che
«l’esercizio del potere di autotutela è non solo legittimo, ma corrisponde a un preciso poteredovere dell’Amministrazione finanziaria, la quale è onerata, in virtù del c.d. «principio di perennità», a sostituire l’atto annullato con un nuovo atto, ancorché di contenuto identico a quello annullato, privo dei vizi originari dello stesso» (Cass. 18 maggio 2021, n. 13407) Secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale l’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui consente modificazioni dell’avviso di accertamento soltanto in caso di sopravvenienza di nuovi elementi di conoscenza da parte dell’ufficio, non opera con riguardo ad avviso annullato in sede di autotutela, alla cui rinnovazione l’Amministrazione è legittimata in virtù del potere, che le compete, di correggere gli errori dei propri provvedimenti nei termini di legge, salvo che l’atto rinnovato non costituisca elusione o violazione dell’eventuale giudicato formatosi sull’atto nullo ( Cass. n. 11849 del 05/05/2023; Cass. n. 24387 del 11/09/2024; 25023/2016; Cass. n. 4029/2015; Cass. n. 16115/2007).
8.3.Questo complesso ed articolato quadro normativo è stato innovato con il d.lgs. n. 219 del 2023, che ha abrogato l’art. 2 -quater e il d.m. n. 37/1997 e modificato l’art. 13 legge n. 212 del 2000, eliminando l’esplicito riferimento all’autotutela. La vicenda qui in giudizio resta, ratione temporis, soggetta alla precedente disciplina.
8.4 L’impostazione maggioritaria della giurisprudenza di legittimità è stata avallata dalla decisione n. 30051/2024 delle SS.UU. di questa Corte che hanno così statuito . Inoltre, hanno chiarito le S.U. che <tema di accertamento tributario, l'autotutela sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, si differenzia, strutturalmente e funzionalmente, dall'accertamento integrativo, previsto dagli artt. 43, quarto comma (ora terzo), d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, quarto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, che pure comporta l'emissione di un nuovo atto per una ulteriore pretesa in aggiunta a quella originaria, posto che, nel primo caso, la valutazione investe l'atto originario che, in quanto viziato, viene annullato e sostituito sulla base degli stessi elementi già considerati, mentre, nel secondo, il precedente atto è valido e ad esso ne viene affiancato un altro, contenente una pretesa aggiuntiva per il medesimo tributo e periodo d'imposta, non ponendosi, neppure in astratto, l'esigenza di una rivalutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali il primo atto è stato emesso; ne consegue che il requisito della 'sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi' non si applica per il provvedimento emesso in autotutela sostitutiva ancorché fonte di una maggiore imposizione» Ed ancora che, in caso di autotutela tributaria sostitutiva in malam partem , con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, il legittimo affidamento del contribuente non è integrato dalla mera esistenza del precedente atto viziato ovvero dall'errata valutazione
delle circostanze poste a suo fondamento, ostandovi il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva in forza degli artt. 2 e 53 Cost.; può, per contro, assumere rilievo, ai fini della configurabilità del legittimo affidamento, l'esistenza di specifiche indicazioni erronee o di condotte intrinsecamente contraddittorie da parte dell'agenzia fiscale anteriormente all'adozione dell'atto illegittimo qualora le somme pretese siano state compiutamente.
8.5.Soggiungono le S.U. di questa Corte che è necessario che l'attività di ritiro sia giustificata da ragioni di rilevante interesse generale (Cass., sez. 5, n. 23765/2015), sicchè non è sufficiente l'interesse al mero ripristino della legalità violata, nè l'interesse (utilitaristico) a conseguire maggiori introiti, occorrendo invece la sussistenza dell'interesse pubblico a reperire entrate fiscali legalmente accertate (Cass., sez. 5, n. 6398/2014; Cass., sez. 5, n. 2531/2002; Cass., sez. 5, n. 7033/2018; Cass., sez. 5, 7335/2010; Cass., sez. 5, n. 14219/2015; Cass., sez. 5, n. 12661/2016; Cass. n. 10981 del 2020).
8.6.Nel caso di specie, ferma restando l'insussistenza di giudicato sulla pretesa erariale esercitata con gli atti originari, l'Amministrazione ha sostituito questi ultimi con quelli oggetto della presente controversia, nell'esercizio del proprio potere di accertamento. Quest'ultimo, infatti, e come rilevato da questa Corte, non si consuma attraverso l'emanazione dell'atto annullato; l'Amministrazione deve integrare le parti che hanno dato luogo all'invalidità dell'atto precedente, in quanto essa, in ordine al proprio potere di autotutela, non gode di alcun margine di discrezionalità (Cass. n. 3248/2016; v. anche Cass. n. 6981/2021 in motivazione);gravando sull'amministrazione finanziaria l'obbligo di un positivo esercizio del suo potere impositivo mediante un nuovo atto "sostitutivo" del precedente, da adottare entro il termine previsto per il compimento dell'atto." (ex multis Cass. 31
maggio 2017, n. 24994; Cass. 28 ottobre 2019, n. 27481; Cass. 08/10/2019, n. 25055; Cass. 23 giugno 2021, n. 17924; Cass. Cass. n. 34264 del 2021; Cass. 2 febbraio 2022, nn. 3267 e 3268; recentemente, in motivazione, Cass. 11 settembre 2024, n. 24387).
La sentenza impugnata si è attenuta ai suddetti principi laddove – affermando che l'avviso di accertamento, emesso in sostituzione di uno precedente viziato da un errore materiale evidente, non costituisce espressione del potere di autotutela integrativa (comportanti un aumento dell'imponibile o dell'imposta precedentemente accertati) ma del potere sostitutivo esperibile anche in assenza di dati di sopravvenuta conoscenza avendo l'Ufficio il potere di ridurre o annullare il l precedente atto viziato ha correttamente ritenuto che l'esercizio del potere in autotutela da parte del Comune si fosse tradotto in un provvedimento autonomamente impugnabile e che l'integrazione o la modifica "in diminuzione" di un precedente avviso, non integrando una nuova pretesa tributaria, bensì una mera riduzione di quella originaria, operata in autotutela, non necessita di adempimenti formali né di una specifica motivazione.
Il secondo motivo di impugnazione è parimenti infondato.
10.1.E' opportuno ricordare, con riguardo alla sufficienza della motivazione dell'atto impositivo, che la motivazione dell'avviso di accertamento o di rettifica, presidiata dalla legge 27 luglio 2002, n. 212, articolo 7, ha la funzione di delimitare l'ambito delle contestazioni proponibili dall'Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l'an ed il quantum della pretesa tributaria (Cfr. Cass. n. 6325 del 2/03/2023). In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l'indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare
l'ambito delle ragioni adducibili dall'ente impositore nell'eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell'atto le questioni riguardanti l'effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., Sez. 5^, 26 gennaio 2021, n. 1569; Cass., Sez. 6^5, 3 febbraio 2021, n. 2348; Cass., Sez. 5^, 11 giugno 2021, n. 16681; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 18 novembre 2022, n. 34014; Cass., Sez. 5^, 17 ottobre 2023, n. 28758; Cass., Sez. 5^, 31 gennaio 2024, n. 2929; Cass., Sez. 5^, 12 marzo 2024, n. 6501; Cass. Sez. 5^, del 20/11/2024); né detto onere di motivazione comporta l'obbligo di indicare anche l'esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, poiché è onere del contribuente dedurre e provare l'eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell'imposta (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 24 gennaio 2018, n. 1694; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 7 dicembre 2022, nn. 36028 e 36032; Cass., Sez. 5^, 5 agosto 2024, n. 22031). La motivazione dell'atto tributario costituisce, in tale prospettiva, uno strumento essenziale di garanzia del contribuente, soggetto inciso nella propria sfera giuridica dall'amministrazione finanziaria nell'esercizio del suo potere di imposizione fiscale, e si inserisce nell'ambito di quei presidi di legalità che, anche in forza delle norme dello statuto dei diritti del contribuente (v. l'art. 7), assolvono l'essenziale funzione di garantire la conoscenza e l'informazione dello stesso contribuente in ordine ai fatti posti a fondamento della pretesa fiscale e ai presupposti giuridici della stessa, nel quadro dei principi generali di collaborazione, trasparenza e buona fede che devono improntare, in quanto espressivi di civiltà giuridica, i rapporti tra esso e l'amministrazione. Ne derivano due conseguenze: da un lato, che
nell'avviso di accertamento, al fine di realizzarne in pieno l'anzidetta finalità informativa, devono confluire tutte le conoscenze dell'ufficio tributario e deve essere esternato con chiarezza, sia pur sinteticamente, l'iter logico-giuridico seguito per giungere alla conclusione prospettata (v. Cass. n. 1905-07); dall'altro, che le ragioni poste a base dell'atto impositivo segnano i confini del processo tributario, che è comunque un giudizio d'impugnazione dell'atto, sì che l'ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse e/o modificare, nel corso del giudizio, quelle emergenti dalla motivazione dell'atto (v. già Cass. n. 17762-02). Ciò non esclude, ovviamente, il potere del giudice di qualificare autonomamente la fattispecie posta a fondamento della pretesa fiscale, ne' di esercitare d'ufficio alcuni poteri cognitori. Ma sempre che non ne resti alterata la sostanza dell'accertamento in ordine agli elementi da cui esso risulti esser stato informato (v. tra le tante Cass. n. 25726-09; n. 20398-05; n. 22932-05; Cass. n. 239 del 12.11.2021; Cass. n. 6325 del 2/03/2023).
10.2. Con riferimento alla dedotta carente allegazione della delibera comunale in materia T.o.s.a.p., questa Corte ha più volte ribadito il principio di diritto secondo cui l'obbligo legale di motivazione degli atti tributari può essere assolto per relationem, tramite il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all'atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale – per tale dovendosi intendere l'insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell'atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente (ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale) di individuare i luoghi specifici dell'atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento – o, ancora, che gli
atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass. n. 6914 del 2011; Cass., n. 13110 del 2012; Cass. n. 4176 del 2019; Cass., n. 29968 del 2019; Cass. n. 593 del 2021; Cass. n. 33327 del 2023).
10.3.Questo orientamento secondo cui «Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale», trova ulteriore conferma nella novella di cui al d.lgs. 30 dicembre 2023 n. 219 che ha modificato l'art. 7 della legge n. 212/2000 stabilendo, al comma 1, che «Gli atti dell'amministrazione finanziaria, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, sono motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, che non è già stato portato a conoscenza dell'interessato lo stesso è allegato all'atto che lo richiama, salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale e la motivazione indica espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell'atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati».
10.4. E' stato altresì precisato che l'onere di allegazione si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (Cass. n. 15327 del 2014) e che, al fine di soddisfare il requisito della motivazione dell'accertamento, è sufficiente che l'atto esterno, richiamato da quello impositivo, sia, se non effettivamente conosciuto, quanto meno conoscibile dal contribuente destinatario dell'avviso. Ciò vale non solo per gli atti già oggetto di precedente notificazione al contribuente (Cass. n. 13110 del 2012), o sottoposti a pubblicità legale, ma anche per atti che si possano presumere, solo iuris tantum, conosciuti dal destinatario dell'accertamento (Cass. n. 26527 del 2014; Cass. n.
24254 del 2015; Cass. n. 27628 del 2018) e siano, quantomeno, agevolmente conoscibili (Cass. n. 8016 del 2024; Cass. n. 33327 del 2023; Cass. n. 593 del 2021; Cass. n. 32127 del 2018; Cass. n. 14275 del 2018; Cass. n. 28060 del 2017; Cass. n. 12312 del 2017).
10.5. Questa interpretazione, secondo cui non è nullo l'accertamento la cui motivazione fa riferimento ad un altro atto ad esso non allegato, ma conoscibile agevolmente dal contribuente, realizza un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell'azione amministrativa (e quindi di buon andamento dell'amministrazione, ex art. 97 Cost.) -che giustificano l'ammissibilità, anche normativa, della motivazione per relationem (cfr. Cass. n. 1906 del 2008, in motivazione) – ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (rilevante ex artt. 24 e 111 Cost.) nel giudizio di impugnazione dell'atto impositivo, che sarebbe illegittimamente compresso se la conoscibilità dell'atto esterno richiamato dalla motivazione non fosse agevole, ma richiedesse un'attività di ricerca complessa (Cass., Sez. V, Ordinanza 7 aprile 2022, n. 11283; Cass., 15 gennaio 2021, n. 593; Cass., Sez. V, 12 dicembre 2012, n. 21127; Cass., Sez. V, 24 novembre 2017, n. 28060; Cass., Sez. V, 17 giugno 2011, n. 13321).
10.6.La dedotta inintelligibilità dell'avviso per il richiamo alla delibera della giunta Comunale n. 45 del 24.06.2015, che presenterebbe elementi di confusione, non rendendo comprensibile a quale tipologia di occupazione e connesso regime giuridico sia stata ricondotta l'opera di proprietà della società, trova smentita proprio nell'atto impositivo opposto ove è esattamente indicata la natura dell'opera e la superficie comunale occupata, mentre la delibera di giunta indica il regime tariffario da applicare alle occupazioni di aree pubbliche.
10.7.Quanto alla eccepita integrazione della motivazione dell'avviso in corso di giudizio ad opera dell'ente impositore, vale osservare che il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l'indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'ente impositore nell'eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell'atto le questioni riguardanti l'effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (ex multis, Cass. 30/12/2019, che adde Cass. 08/11/2017 n. 26431; Cass. n. del 09/10/2024; Cass. n. del 09/10/2024).
Poichè la funzione della motivazione è quella di delimitare l'ambito delle contestazioni proponibili dall'ufficio nel successivo giudizio di merito, in virtù di codesta funzione, l'obbligo della motivazione dell'avviso di accertamento o di rettifica deve ritenersi assolto con l'enunciazione dei presupposti adottati e delle relative risultanze, mentre le questioni attinenti all'idoneità del criterio applicato in concreto attengono, poi, al diverso piano della prova della pretesa tributaria ed al suo accertamento in giudizio in presenza di specifiche contestazioni dello stesso, sicché in definitiva tra l'una e l'altra corre la stessa differenza concettuale che vi è tra allegazione di un fatto costituivo della pretesa fatta valere in giudizio e prova del fatto medesimo» (Cfr. Cass. n. 9810/2014; Cass. n. 6325 del 2/03/2023; Cass. n. del 20/09/2024).
11.Nel caso di specie, una volta sollevata la contestazione, era dunque onere del contribuente dimostrare con mezzi idonei la insussistenza dei presupposti della tassazione ovvero la ricorrenza dei requisiti per l'applicabilità di un diverso regime tariffario.
11.1.Emerge quindi dalle considerazioni spese in sentenza che il giudice di appello ha correttamente ritenuto che l'atto impositivo
fosse adeguatamente motivato, contenendo l'indicazione della superficie imponibile e la tariffa applicata, corrispondente a quella prevista dalla legge, confermando, per altro verso, che una delibera del Comune, in quanto assistita da presunzione di conoscenza, era conoscibile dalla parte contribuente, la quale nemmeno aveva dedotto il concreto ed effettivo pregiudizio subito al diritto di difesa dalle predicate carenze contenutistiche dell'atto impositivo.
Il terzo motivo d'impugnazione è inammissibile, prima ancora che infondato.
12.1. La società assume che il Comune non avrebbe assolto l'onere probatorio, sul medesimo incombente, di dimostrare la destinazione delle aree agli usi civici, avendo prodotto solo una certificazione relativa all'annualità 2017, successiva all'annualità di imposta 2014; tuttavia, il Collegio d'appello, a pagina undici della sentenza impugnata, ha affermato che .
12.2. In primo luogo, va rammentato che il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il
vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, primo comma, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. n. 640 del 14/01/2019). Il motivo si risolve in una critica astratta fondata esclusivamente sul personale assunto difensivo della ricorrente che non tiene conto di quanto accertato dalla Corte distrettuale.
12.3. Sotto altro profilo, la società denuncia, con il canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., un travisamento della prova; il travisamento della prova in senso proprio, è un travisamento ancipite, al quale possono ricondursi sia il momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività, sia il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio, considerato nella sua oggettività, possono per inferenza logica desumersi. Ebbene, per un verso, il momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività è per sua natura destinato ad essere controllato attraverso lo strumento della revocazione; per altro verso il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio possono desumersi appartiene al sindacato del giudice di merito, ed è per questo sottratto al giudizio di legittimità, a condizione, beninteso, che il giudice di merito si sia in proposito speso in una motivazione eccedente la soglia del «minimo costituzionale.
12.4. Come recentemente chiarito dalle S.U. 5 marzo 2024, n. 5792 <<il controllo dell'attività del giudice di merito, nel momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività è, come si diceva, affidato alla revocazione. Secondo l'articolo 395, n. 4, cod.proc.civ.: «Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione: … se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».
12.5.Ebbene, nel caso sub iudice , la predicata natura non demaniale o indisponibile dei beni occupati ha costituito senza dubbio oggetto di discussione tra le parti; è quindi esclusa la rilevanza dell'errore, che per ciò stesso cessa di essere un errore revocatorio ed assume i caratteri dell'errore di giudizio, atteso che sul fatto il giudice si è pronunciato – affermando che > -, giacché l’errore percettivo è intrinsecamente incompatibile con il giudizio. In detta ipotesi, la deducibilità in Cassazione del vizio di c.d. «travisamento della prova», laddove, come nella concreta fattispecie, la decisione non risulta a che vedere con la predicata dispercezione – in quanto il travisamento riflette la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – è consentita in presenza del dedotto errore valutativo della documentazione prodotta «in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4) e 5), cod.proc.civ., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale» ( S.U. cit.)
12.6. Occorre allora limitarsi a constatare, ai fini della declaratoria di inammissibilità del motivo in rassegna, che questo non risulta proposto né ai sensi del n. 4) né ai sensi del n.5) dell’art. 360, primo comma, cod.proc.civ., bensì ex art. 360, primo comma, n. 3), cod.pro.civ., prospettando sotto il profilo della violazione di legge una richiesta di rivisitazione degli accertamenti fattuali operati dal Collegio d’appello, laddove ha constatato che le attestazioni ( la Corte fa riferimento a plurime autorizzazioni al pascolo e non ad una sola certificazione) prodotte dall’ente territoriale rilevavano la presenza di usi civici sulle aree occupate dall’Enel, rendendo una decisione coerente con la natura di detti usi, quali diritti reali millenari di natura collettiva, volti ad assicurare un’utilità ai singoli appartenenti ad una collettività, il cui titolo costitutivo si rinviene nella consuetudine risalente, per lo più, ad età feudale.
12.7. A tanto si aggiunga che la motivazione della corte distrettuale si fonda anche sulla formale iscrizione delle aree occupate dalle opere della società tra i terreni del c.d. demanio comunale, ratio decidendi che non risulta attinta dal mezzo in rassegna e che con sentenza della C.T.P. di Caserta n. 52000/2018 relativa a T.o.s.a.p. annualità 2014 sull’area di cui si discute, si dà atto che proprio l’Enel nega la natura indisponibile delle aree occupate per la presenza di usi civici.
Da tali premesse discende che la censura relativa alla prospettata violazione della regola di distribuzione dell’onere probatorio relativa alla dimostrazione della natura demaniale o disponibile dei terreni occupati non risulta coerente con l’impianto motivazionale della decisione d’appello, che ha accertato in concreto la natura demaniale delle aree comunali occupate dalle gallerie alla luce della documentazione prodotta dal Comune, nel rispetto della regola dettata dall’art. 2697 c.c. Detto motivo di ricorso con cui si critica la decisione del Collegio d’appello per
aver gravato la contribuente di un onere probatorio negativo – – si risolve, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018); l’accertamento dell’appartenenza delle aree occupate al demanio comunale del Comune così come effettuata dal collegio d’appello non può essere rivalutato dalla Corte.
14. Ciò posto, occorre premettere che, secondo l’assunto della società, le terre su cui gravano gli usi civici appartengono ai cittadini, citando al tal fine sia una risalente sentenza di questa Corte n. 51 del 1950, sia le istruzioni del 10 marzo 1810 che confermano l’appartenenza degli usi alla popolazione dei demani universali. In altri termini, i beni gravati da usi civici rientrerebbero in una terza categoria rispetto a quelli privati e quelli pubblici, rispetto ai quali, il Comune è solo l’ente esponenziale della collettività che funge da tutore e gestore delle terre civiche. Dalla natura così delineata dei beni gravati da usi civici discenderebbe -secondo l’assunto della società -l’insussistenza del presupposto T.o.s.a.p., in quanto beni non appartenenti al patrimonio indisponibile del Comune, come confermato dalle S.U. n. 6950/1993.
14.1. La tesi non è condivisibile.
14.2.Nel vigore della legge n. 1766 del 1927, gli artt. 11 e 12 stabilivano che i terreni dei Comuni, utilizzabili come bosco o
pascolo permanente (come nel caso di specie) e, quindi, gravati da un uso civico, non possono essere alienati né può esserne mutata la destinazione, senza l’autorizzazione del Ministero dell’Economia. Come questa Corte ha già chiarito in epoca ormai risalente (Cass., Sez. 5, 8 agosto 2003, n. 11993), gli artt. 11 e 12 della legge n. 1766 del 1927, nell’assoggettare i terreni posseduti dai comuni e gravati da uso civico di bosco e pascolo permanente ai vincoli di inedificabilità e di destinazione, salva autorizzazione idonea a rimuovere detti limiti, impongono di ricondurre i predetti beni immobili nell’ambito di quelli appartenenti al patrimonio indisponibile dell’ente territoriale, perché destinati ad un pubblico servizio, per cui la loro occupazione integra il presupposto impositivo della t.o.s.a.p.
14.3. L’impostazione teorica della ricorrente non risulta recepita neppure dalla legge n. 168 del 2017, applicabile ratione temporis . L’art. 1, comma 2, della legge n. 168 del 2017 ha disposto che «gli enti esponenziali delle collettività titolari dei diritti di uso civico e della proprietà collettiva hanno personalità giuridica di diritto privato ed autonomia statutaria», così attribuendo espressamente ad enti distinti da quelli territoriali la titolarità, da un lato, dei diritti di uso civico e, dall’altro, della proprietà collettiva e, nel contempo, precisando che, laddove tali autonomi enti non siano costituiti, gli usi civici e le proprietà collettive sono amministrati dai comuni con amministrazione separata (art. 2, comma 4, legge n. 168 del 2017). Ciò lascia, però, impregiudicato il problema della titolarità del diritto di proprietà dell’area su cui incide l’uso civico, configurato come un peso che grava su un altro bene: problema che va necessariamente risolto anche alla luce della legislazione previgente e della complessiva disciplina in materia di proprietà. I terreni su cui gravano gli usi civici, tenuti espressamente distinti dal legislatore del 2017 dalle proprietà collettive, sono o di proprietà privata o pubblica, come confermato dall’art. 3, comma
2, della legge n. 168 del 2017, coordinato con il precedente comma 1, lett. d. L’art. 3, comma 2, menzionato dispone, difatti, che «i beni di cui al comma 1, lettere a), b), c), e) e f), costituiscono il patrimonio antico dell’ente collettivo (esponenziale della collettività), detto anche patrimonio civico o demanio civico», lasciando fuori le terre di cui alla lett. d, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati: terre che restano di proprietà di soggetti pubblici o privati. Questa stessa conclusione vale anche nel sistema normativo anteriore all’intervento del legislatore del 2017: nell’impostazione fascista, difatti, la proprietà è pubblica o privata o gli usi civici, quali pesi che gravano e limitano il diritto di proprietà, sono visti con sfavore, come istituto anacronistico da eliminare tramite le previste liquidazioni. Alla luce di tale ricostruzione, risulta confermato che le terre su cui insistono gli usi civici, se di proprietà pubblica, sono riconducibili al patrimonio indisponibile dell’ente pubblico, visto che, ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge n. 168 del 2017, sono caratterizzati dall’inalienabilità, indivisibilità, inusucapibilità e dalla perpetua destinazione agro-silvo-pastorale e, cioè, da un regime giuridico persino più rigido di quello di cui all’art. 828, secondo comma, cod.civ.
14.4.Tenuto conto dell’orientamento di legittimità formatosi in materia analoga, e cioè quella di iscrizione di strade negli appositi elenchi (Cass. 3117/1995; Cass. 6337/1994; Cass. 4938/1992; Cass. 6412/1988), la giurisprudenza di legittimità è giunta ad affermare la natura demaniale dei terreni gravati da uso civico (bosco e pascolo permanente) (v. S.U. n. 1671/1973 secondo le quali l’espropriazione esige la previa sdemanializzazione dei beni comunali gravati da usi civici; Cass. n. 17595 del 2020; Cass. n. 19792 del 2011); la stessa Corte costituzionale -con due sentenze più risalenti ma più chiare ed univoche di quelle più recenti -ha sostenuto che tutta la materia degli usi civici dei beni di proprietà
collettiva rientra nell’ambito del diritto pubblico (sentenza n. 67 del 1957) e che la natura di tali beni (equiparabile a quella dei beni demaniali) non consente di sottoporli ad espropriazione per pubblica utilità potendo questa effettuarsi solo per la proprietà privata terriera (sentenza n. 78 del 1961; ma anche Corte costituzionale n. 156/1995, nn. 78/1961, 18/1965, 99/1969 e 93/1970).
14.5. Sulla questione, sebbene indirettamente in materia espropriativa, sono intervenute le S.U. -con sentenza n. 12570 del 2023 – che, pur considerando che la legge base del 1927 non reca, in effetti, una definizione espressa degli usi civici, ha statuito che la natura giuridica degli usi civici su terre comunali è condizionata dal caratterizzarsi come beni di c.d. proprietà collettiva, la cui disciplina è equiparabile a quella dei beni demaniali, per quanto si desume dal loro regime di inalienabilità, inusucapibilità, immodificabilità e di conservazione del vincolo di destinazione, il quale può subire una deroga solo mediante un’apposita ‘sdemanializzazione’; concludendo che i beni gravati da uso civico di dominio collettivo sono assimilabili al regime giuridico di quelli demaniali. I terreni posseduti dai Comuni e gravati da uso civico di bosco e pascolo permanente ai vincoli di inedificabilità e di destinazione – salva autorizzazione idonea a rimuovere detti limiti -impongono, pertanto, di ricondurre i predetti beni immobili nell’ambito di quelli appartenenti al patrimonio demaniale dell’ente territoriale, in quanto destinati ad un pubblico servizio (S.U. n. 12570/2023; S.U. n. 23137/2024; Cass. n.26604/2024; Cass. n. 11993 del 08/08/2003; S.U. n. 16831 del 27/11/2002).
14.6. Con riguardo a detti terreni gravati da usi civici appare, dunque, del tutto legittimo il convincimento cui sono pervenuti i Giudici di appello, basato sulla presunzione -operativa in mancanza di prova contraria, gravante sul contribuente che
assume la non debenza del tributo – non solo di esistenza degli stessi ma anche del permanente esercizio di tali usi da parte della generalità degli appartenenti all’Ente territoriale. Pertanto, anche sotto l’ora esaminato profilo le ragioni di censura addotte dalla ricorrente Enel devono ritenersi prive di fondamento, anche considerando che dalle medesime difese della società si evince il riconoscimento della sussistenza degli usi civici sui terreni in oggetto, pur intendendo ciò nonostante escluderne la demanialità di dette aree alla stregua di una risalente giurisprudenza di legittimità. In definitiva una volta che sia stato dimostrato che una terra fa parte di un demanio universale, la demanialità della stessa si presume, a meno che non sussista un preciso titolo da cui risulti, per quella determinata terra, la trasformazione del demanio in allodio, con onere della prova a carico del privato che eccepisce la natura allodiale (Cass. n. 4473 del 2019, in motiv.; Cass. n. 23323/2019; Cass. n. 4753 del 2014)
14.7. Ne consegue che in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, legittimamente il giudice ha considerato in tal caso sussistente il presupposto impositivo della tassa, ai sensi dell’art. 38 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (il quale assoggetta alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province), sulla base della presunzione non solo di esistenza dell’uso civico, alla stregua della formale iscrizione delle aree in questione tra i terreni del c.d. demanio comunale, ma anche dell’effettivo e permanente esercizio dell’uso stesso da parte della generalità degli appartenenti all’ente territoriale il tutto sulla circostanza che le aree -come accertato dai giudici distrettuali -erano gravate da usi civici, accertamento non attinto correttamente dalla società con il terzo mezzo di ricorso.
15. Premessa l’accertata natura demaniale dei beni gravati da usi civici e la loro occupazione da parte dell’Enel s.p.a., può dunque confermarsi il principio di diritto per cui (v. ex multis Cass. n. 1480 del 1996; n. 2635 del 1993); nello stesso senso si è ulteriormente precisato che nemmeno il disuso da tempo immemorabile o l’inerzia dell’ente proprietario -neppure dedotti dalla ricorrente – possono essere invocati come elementi indiziari dell’intenzione di far cessare la destinazione, anche potenziale, del bene demaniale all’uso pubblico, poiché a dare di ciò la prova è pur sempre necessario che tali elementi indiziari siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze così significative da rendere impossibile formulare altra ipotesi se non quella che la pubblica amministrazione abbia definitivamente rinunziato al ripristino della pubblica funzione del bene medesimo (Cass. n. 17387 del 2004; Cass. n.1426972023; Cass. n.22569/2020; Cass. n.4827/2016).
16.Con il quarto mezzo di impugnazione, si assume che in realtà, non fosse necessaria alcuna denuncia, dovendo il Comune applicare le tariffe ordinarie per la specifica tipologia di occupazione, le quali non rientrano nel novero delle agevolazioni, prevendendo le gli
artt. 46 e 47 i criteri di determinazione della tassa per l’occupazione del soprasuolo e sottosuolo, mentre le agevolazioni sono indicate all’art. 49 d.lgs. n. 507/1993.
17. Il motivo è fondato.
17.1. L’art. 46 del d.lgs. n. 507 del 1993, nello stabilire che le occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo stradale con condutture, cavi, impianti in genere ed altri manufatti destinati all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, compresi quelli posti sul suolo e collegati alle reti stesse, nonché con seggiovie e funivie sono tassate in base ai criteri stabiliti dall’art. 47 (oggi sostituiti da quelli di cui all’art. 63, comma 2, lett. f, del d.lgs. n. 446 del 1997, in virtù del comma 3, secondo periodo di tale disposizione), si limita a stabilire i criteri per la determinazione del quantum del tributo, senza subordinarne l’applicazione di tale regime ad una espressa richiesta da parte del contribuente.
17.2. Invero, l’omessa presentazione della denuncia, contenente le informazioni necessarie per la quantificazione del tributo, comporta solo la legittimità di un accertamento adottato in base alle informazioni disponibili al Comune, desumibili dagli atti in suo possesso, mentre non incide affatto sul regime tariffario applicabile (così Cass., Sez. 5, 16 dicembre 2011, n. 27166, secondo cui, in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, l’art. 50 del d.lgs. n. 507 del 1993 impone al contribuente di denunciare l’occupazione e di versare la tassa sulla base delle opere da effettuare, dei tempi di esecuzione e della superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico, con la conseguenza che in mancanza dei prescritti adempimenti e del pagamento entro i termini di legge, l’ente territoriale, titolare del potere impositivo, è autorizzato a procedere alla liquidazione d’ufficio del tributo con le informazioni in suo possesso, contenute nel provvedimento autorizzativo, ossia con i dati indicati dallo stesso contribuente, senza che in ciò possa,
quindi, ravvisarsi alcun accertamento induttivo; v. anche in questo senso Cass., Sez. 5, 10 maggio 2005, n. 9697 e Cass., Sez. 5, 16 maggio 2005, n. 10263). Non è, difatti, condivisibile il precedente isolato di questa Corte (Cass., Sez. 5, 20 maggio 2015, n. 10349), secondo cui, in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, vale il principio esteso a tutti i tributi locali, in base al quale le deroghe ai criteri generali di tassazione non operano in via automatica, per la mera affermata sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo, invece, i relativi presupposti essere di volta in volta dedotti nella denuncia appositamente presentata secondo il regime proprio del tributo in questione. Non si rinviene, difatti, nella disciplina dei tributi locali tale regola o principio generale. Né possono estendersi, in tema di t.o.s.a.p., le regole specificamente dettate per altri tributi. In particolare, non possono applicarsi alla t.o.s.a.p. gli artt. 62 e 66 del d.lgs. n. 507 del 1993, che espressamente subordinano, in tema di t.a.r.s.u., le deroghe alla tassazione e le riduzioni delle superfici e tariffe stabilite non al mero ricorrere delle situazioni di fatto, ma alla allegazione dei presupposti nella denuncia originaria o in quella di variazione, essendo la t.o.s.a.p. e la t.a.r.s.u. tributi differenti, i cui presupposti impositivi non presentano similitudini, e le cui discipline sono del tutto autonome e prive di connessioni o interferenze. Del resto, la regola dettata in materia di t.a.r.s.u. si collega all’esigenza, da parte dell’ente impositore, di venire a conoscenza, anche ai fini dell’esercizio di poteri di accertamento e verifica, di situazioni di cui altrimenti resterebbe ignaro, mentre, nel caso in esame, in cui è inammissibile un accertamento induttivo, l’azione impositiva, che si fonda su un accertamento diretto, esige la verifica della natura dell’occupazione. Il motivo deve, quindi, essere accolto in virtù del seguente principio di diritto : in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, il regime previsto dall’art. 47 del d.lgs. n. 507 del 1993
(oggi sostituito, in parte, dall’art. 63, comma 2, lett. f, del d.lgs. n. 446 del 1997) non è subordinato all’espressa richiesta del contribuente e deve essere applicato dall’ente impositore laddove ne ricorrano i presupposti.
Il quinto motivo merita accoglimento.
18.1.La questione che pone la doglianza in esame è se spetta la tariffa ‘agevolata’ prevista dagli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507/93 all’impresa di produzione dell’energia elettrica.
18.2. Con riferimento al diritto sovranazionale, occorre brevemente ricordare che la separazione tra imprese produttrici e imprese distributrici di energia elettrica, che è imposta dal diritto unionale al fine di scongiurare il rischio di creare discriminazioni non solo nell’accesso alla rete, ma anche negli investimenti nella rete (cfr. il considerando 9 e 24 della direttiva 2009/72/CE, contenente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, ed i punti 35 e 80 della sentenza della Corte giustizia nella causa C-718/18), non esclude che le imprese separate concorrano ai fini della prestazione del servizio energetico, consistente, secondo la definizione di cui all’art. 1, n. 7 della direttiva 2012/27/UE, applicabile ratione temporis, nella «prestazione materiale, l’utilità o il vantaggio derivante dalla combinazione di energia con tecnologie o operazioni che utilizzano in maniera efficiente l’energia, che possono includere le attività di gestione, di manutenzione e di controllo necessarie alla prestazione del servizio, la cui fornitura è effettuata sulla base di un contratto e che in circostanze normali ha dimostrato di produrre un miglioramento dell’efficienza energetica o risparmi energetici primari verificabili e misurabili o stimabili». Pertanto, mentre, dal punto di vista soggettivo, vi è separazione tra le imprese produttrici e le altre della filiera, dal punto di vista oggettivo si giunge ad una definizione del servizio energetico come unitario.
18.3. Passando all’esame della disciplina interna è necessario soffermarsi non solo sugli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507 del 1993, che si occupano specificamente della t.o.s.a.p., ma anche sull’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, che si occupa del c.o.s.a.p.
18.4.Deve, difatti, ricordarsi che l’art. 51, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, relativo al canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, che aveva previsto l’abolizione, dal 1° gennaio 1999, delle tasse per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, è stata abrogato, con effetto dal primo gennaio 1999, dall’art. 31, comma 14, legge n. 448 del 1998, con la contestuale sostituzione dell’art. 63, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 446 del 1997, che, nella versione riformulata, consentiva alle province ed ai comuni di assoggettare, in alternativa alla t.o.s.a.p., l’occupazione del suolo pubblico al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa. L’art. 46 del d.lgs. n. 507 del 1993 stabiliva che «le occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo stradale con condutture, cavi, impianti in genere ed altri manufatti destinati all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, compresi quelli posti sul suolo e collegati alle reti stesse, nonché con seggiovie e funivie sono tassate in base ai criteri stabiliti dall’art. 47»: tale ultima disposizione, abbandonato il criterio della tassazione per metro lineare o quadrato, poneva quale unità di misura il chilometro lineare (vedi Cass., 22 febbraio 2002, n. 2555). L’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, alla lett. f, imponeva, invece, la previsione per le occupazioni permanenti realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e per quelle realizzate nell’esercizio di attività strumentali ai servizi medesimi, di una speciale misura di canone, che avrebbe dovuto essere commisurata, solo in sede di prima applicazione, al numero complessivo delle utenze relative a ciascuna azienda di erogazione
del pubblico servizio, per la misura unitaria di tariffa prevista in relazione a ciascuna classe di comune, ma che successivamente è divenuta il normale criterio di quantificazione del c.o.s.a.p.
18.5. In questa sede si deve evidenziare che, per la t.o.s.a.p., il regime speciale era riconosciuto solo per le occupazioni strumentali all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, mentre, per il c.o.s.a.p., era contemplato altresì per le occupazioni realizzate nell’esercizio di attività strumentali all’erogazione dei pubblici servizi. Tuttavia, il secondo periodo del comma 3 dell’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, introdotto con la medesima legge n. 488 del 1999, che ha eliminato la soppressione della t.o.s.a.p. ed istituito l’alternatività della t.o.s.a.p e del c.o.s.a.p., ha precisato che per la determinazione della t.o.s.a.p., relativa alle occupazioni di cui alla lettera f) del comma 2, si applicano gli stessi criteri ivi previsti per la determinazione forfetaria del canone. Invero, può rilevarsi che proprio l’alternatività del c.o.s.a.p. alla t.o.s.a.p., a prescindere dalla diversa natura dei prelievi, ha imposto, anche in considerazione dell’art. 3 Cost., l’applicazione delle stesse regole e degli stessi criteri di quantificazione.
19. Come hanno già chiarito le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. un., 7 maggio 2020, n. 8628, punto 8.11), l’art.18 della legge n. 488 del 1999, sostituendo la lettera f) del secondo comma dell’art.63 del d.lgs. n.446 del 1997, recante la disciplina del c.o.s.a.p., ha introdotto una particolare modalità di determinazione del canone per tale tipo di occupazione permanente, basata sul numero di utenze attivate, e ha esteso l’applicazione di tale criterio di calcolo anche alla t.o.s.a.p. dovuta sulla medesima tipologia di occupazioni. La disposizione è stata introdotta allo scopo di semplificare il criterio di determinazione della t.o.s.a.p., ritenendosi il metodo basato sulle utenze attive di più facile applicazione rispetto al precedente metodo incentrato
sulla superficie effettivamente occupata. In definitiva, le dianzi riportate modifiche al d.lgs. n. 446 del 1997, pur avendo interessato un’entrata di carattere extratributario (il c.o.s.a.p.), hanno avuto un’incidenza anche sulla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (t.o.s.a.p.), in quanto alla tassa è stata estesa la nuova disciplina per la predeterminazione forfetaria del canone per le occupazioni permanenti realizzate con cavi, condutture, impianti o qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi stessi (Cass., Sez. 5, 20 maggio 2015, n. 10345). Ne deriva, pertanto, che per tale tipologia di occupazioni, dal 1° gennaio 2000, è stato abbandonato il criterio di determinazione forfetaria della tassa per chilometro lineare, in favore del più semplice criterio come sopra delineato, avente il fine di consentire una più agevole attività di quantificazione e di accertamento del tributo da parte dell’ente impositore. Inoltre, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2000, il regime speciale è stato esteso, anche per la t.o.s.a.p., come per il c.o.s.a.p., non solo alle occupazioni strumentali all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, ma pure alle occupazioni realizzate nell’esercizio di attività strumentali all’erogazione dei pubblici servizi. In definitiva, l’art. 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 risulta, in parte, abrogato con l’introduzione del citato art. 63, terzo comma, terzo periodo, del d.lgs. n. 446 del 1997, visto che continua ad operare solo con riferimento alle occupazioni non riconducibili a quelle disciplinate dall’art. 63, comma 2, lett. f, del d.lgs. n. 446 del 1997.
19.1.In quest’ottica, alla società RAGIONE_SOCIALE quale soggetto che svolge attività strumentale a quello di pubblico servizio, è applicabile la disposizione agevolativa di cui all’art. 63, comma 2, lettera f), del d.lgs. n. 446 del 1997. Più precisamente, l’attività di produzione dell’energia elettrica, che comprende il
trasporto della stessa ai soggetti distributori che, in un secondo momento, la erogano all’utente finale, va inclusa, pure in assenza di allacci diretti con gli utenti finali, tra le attività strumentali alla fornitura del servizio di pubblica utilità di distribuzione dell’energia elettrica. Gli impianti sotterranei che trasportano l’energia prodotta dagli impianti degli operatori delle energie verso la rete di trasmissione e quelle di distribuzione, al pari di tutti gli impianti che veicolano l’energia al sistema elettrico nazionale, non possono che risultare direttamente funzionali all’erogazione del servizio a rete secondo la definizione utilizzata dal d.l. n. 146 del 2021, come convertito dalla l. n. 215 del 2021, ricadendo, così, nel campo di applicazione delle tariffe agevolate.
19.2.Ciò in quanto la filiera del sistema elettrico nazionale, che è una rete unica integrata, si compone di una serie di fasi di cui la produzione costituisce la fase antecedente a quelle di trasmissione, di dispacciamento e di distribuzione. L’attività d’impresa svolta dalle società di produzione d’energia costituisce, così, una fase immediatamente antecedente e necessaria rispetto alle altre citate fasi della filiera del mercato elettrico (trasmissione, dispacciamento e distribuzione), fasi connesse da connaturati vincoli inscindibili, tali per cui: in assenza dell’una non possono trovare compimento le altre (c.d. vincolo di complementarietà); – tutte le menzionate attività sono poste in essere esclusivamente nell’interesse delle altre (c.d. vincolo di esclusività).
19.3.Del resto, secondo la giurisprudenza interna e sovranazionale (la quale fa riferimento in genere ai servizi di interesse generale), i fattori distintivi del pubblico servizio sono, da un lato, l’idoneità del servizio, sul piano finalistico, a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti, e, dall’altro, la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a norme di continuità, regolarità, capacità e qualità. Requisiti,
entrambi, compresenti nel caso di specie, essendosi in presenza di un impianto capace di dare luogo ad un servizio e destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare una esigenza di rilevanza pubblica. In definitiva, tra le società esercenti attività strumentali all’erogazione di servizi pubblici rientrano anche le aziende che non raggiungono con i singoli utenti, in quanto trasportano i beni ed i servizi da erogare per un tratto limitato, al termine del quale subentra un altro vettore di diversa natura, visto che il concetto di rete di erogazione di pubblici servizi, cui il legislatore ha inteso attribuire un ruolo assorbente nella determinazione del particolare regime impositivo in esame, va inteso in senso unitario (come peraltro, già rilevato, già con riferimento all’art. 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 da Cass., Sez. 5, 1° febbraio 2005, n. 1974 e Cass., Sez. 5, 20 ottobre 2008, n. 25479). A conferma delle considerazioni che precedono, occorre evidenziare che l’art. 46 si riferisce in generale ai manufatti destinati all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi non ponendo una limitazione ai soli manufatti che erogano l’energia elettrica.
19.4.Del resto, già Cass. n. 1974/2005 ( seguita da Cass. n.25479/2008) aveva già statuito quanto segue: <>.
20. D’altro canto, non rappresenta un elemento ostativo al riconoscimento del regime ridotto la circostanza che l’Enel
Produzione sia una società per azioni che persegue scopi di lucro, viepiù se si considera che l’attenzione deve essere concentrata sul tipo di attività svolta e non già sulla veste del soggetto che la esercita; ill pubblico servizio può, difatti, essere erogato anche da soggetti privati.
20.1. Al riguardo, giova richiamare Cass., sez. un., n. 8628/20, secondo cui nessuna rilevanza può essere ascritta all’elemento dato dalla ritrazione dalla relazione materiale con la cosa pubblica di un personale beneficio economico: .
20.2.Ulteriori conferme a tale conclusione pervengono dalla legge n. 146 del 1990, che qualifica l’approvvigionamento di energie e dei prodotti energetici, come servizi pubblici essenziali, dalla direttiva attuativa della Presidenza del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994, dalla legge istitutiva della Autorità amministrativa per l’energia e il gas ex l. 14 novembre 1995, n. 481 – produzione normativa che è stata il frutto di un prolungato dibattito interpretativo, essendosi passati, nel tempo, dalla preferenza per un inquadramento soggettivo dell’attributo pubblico riferito al servizio, ad una lettura invece in senso oggettivo che riconosce rilevanza alle prestazioni dei servizi pubblici non in ragione del soggetto che ne assicura la fornitura, quanto delle caratteristiche oggettive delle prestazioni erogate in considerazione del numero indeterminato dei destinatari che ne traggono giovamento.
20.3.Anche in ambito penale è stato osservato che la qualificazione della energia elettrica come servizio pubblico, riferito tanto alla fase della produzione che a quella della distribuzione, rappresenta il frutto di una serie di interventi normativi primari e secondari volti a disciplinare tali fasi con regolamentazione pubblica derogatoria, ad assoggettare il gestore al dovere di imparzialità e ad affermare la destinazione istituzionale dell’attività al pubblico, in modo da comprendere solo le attività che soddisfano direttamente i bisogni collettivi e non quelle che perseguono tale scopo solo in via strumentale (Cass. pen., Sez. IV, 23 ottobre 2024, n. 40162). Del resto, se il soggetto occupante fosse pubblico, sarebbe già di per sé esente dall’imposizione, ai sensi dell’art. 49, lett. a), d.lgs. n. 507 del 1993.
20.4. Parimenti, non possono valorizzarsi in senso contrario alla impostazione che si è inteso privilegiare le pronunce di questa Corte (Cass. nn. 13142/2022 e 13332/2022) secondo cui in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (T.O.SRAGIONE_SOCIALE.), e con riguardo alle occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo, il criterio di determinazione della tassa previsto dagli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 per le occupazioni connesse all’esercizio ed alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici esercizi non è estensibile alle occupazioni con impianti privati, in quanto costituisce un criterio agevolato per ragioni di pubblica utilità, le quali, evidentemente, non sussistono nelle occupazioni con impianti privati (Cass., Sez. 5, 5 luglio 2017, n. 1659).
20.5.Per quanto concerne, in particolare, Cass., Sez. 5, 5 luglio 2017, n. 16539, secondo cui non sarebbe estensibile alle occupazioni con impianti privati un criterio agevolato per ragioni di pubblica utilità, come condivisibilmente evidenziato dalla odierna ricorrente, si tratta di una pronuncia che si riferisce ad un’occupazione operata con impianto irriguo di un soggetto persona fisica, per la soddisfazione di un bisogno personale, non
avvinta da alcun vincolo di complementarietà ed esclusività alla filiera nazionale dell’energia, mentre, nel caso di specie, i beni, tramite cui è effettuata l’occupazione ed oggetto di accertamento, appartengono ad una rete che costituisce la infrastruttura strumentale al la erogazione del pubblico servizio di distribuzione di energia. Il precedente, che fonda anche le altre decisioni di questa Corte, ha, quindi, ad oggetto fattispecie non assimilabili a quella oggi in esame.
20.6.Né può condividersi la tesi secondo cui, avendo la ricordata norma ‘agevolativa’, dal punto di vista sistematico, natura speciale (recando una deroga alle regole generali di determinazione della tariffa dovuta), sarebbe imposta una lettura ed interpretazione rigorosamente conforme al suo tenore letterale, senza ulteriori possibilità di applicazioni analogiche o di interpretazioni estensive (Consiglio di Stato, 27 marzo 2013, n. 1788).
20.7.Invero, sebbene si sia in presenza di una tariffa agevolata (vale a dire, favorevole ai beneficiari), a ben vedere, si è al cospetto non già di una norma agevolativa (vale a dire, che introduce una deroga alle regole ordinarie), ma di un criterio di determinazione della tariffa che assurge a criterio ordinario relativamente a determinati beni.
20.8.In particolare, il legislatore ha così effettuato, direttamente a livello normativo, una comparazione e una non irragionevole composizione degli interessi pubblici in gioco (quello dell’ente locale, comune e provinciale, di ricavare un’entrata dall’utilizzazione dei suoi beni pubblici e quello dei cittadini all’utilità derivante dall’erogazione di servizi pubblici), sottraendo la relativa valutazione all’ente impositore, considerandola una questione di interesse generale e non meramente localizzabile (Cons. Stato, sez. V, 25 novembre 2022, n. 10382; Cons. Stato n. 9184/2023). Dunque in simili ipotesi, il sacrificio che la collettività sopporta per la occupazione di suolo pubblico, unitamente al vantaggio
economico del soggetto che utilizza il suolo pubblico, trovano parziale ma notevole compensazione nel soddisfacimento degli interessi dei consociati e nella realizzazione di determinate utilità di rilevanza sociale (benefici sociali) che la stessa occupazione di suolo è in grado di assicurare attraverso la installazione di impianti e di reti preordinate, per loro natura, allo svolgimento di un determinato servizio in favore della medesima collettività di riferimento territoriale. Alla stregua delle considerazioni che precedono, non si pone, dunque, un problema di interpretazione estensiva.
21.Alla stregua delle considerazioni che precedono, non si pone, dunque, un problema di interpretazione estensiva.
22. Per quanto non sia applicabile ratione temporis alla fattispecie in oggetto, depone nel senso che si è inteso avallare anche la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5, comma 14 quinquies, lett. a) e b), del d.l. n. 146 del 21/10/2021, convertito con modificazioni nella l. n. 215 del 17/12/2021, il quale stabilisce che <>. Proprio la disposizione di interpretazione autentica fa riferimento alle aziende che esercitano attività strumentali alla fornitura di servizi di pubblica utilità, dovendo l’espressione ‘quali la trasmissione di energia elettrica e il trasporto di gas naturale’ essere intesa come a titolo meramente esemplificativo, dovendosi riconoscere all’attività svolta dalle aziende di produzione, trasmissione e dispacciamento le caratteristiche della strumentalità rispetto a quella di distribuzione dell’energia; in base alle suddette caratteristiche si deve, perciò,
concludere che fra le attività strumentali che beneficiano del pagamento delle tariffe di cui agli artt. 46 e ss cit. deve essere ricompresa anche l’attività di produzione di energia elettrica, sulla scorta delle caratteristiche di complementarietà ed esclusività della stessa nell’ambito.
23.D’altronde, anche il Consiglio di Stato, nelle più recenti sentenze (cfr., ad esempio, Cons. Stato, 4 novembre 2022, n. 9697 e 7 novembre 2022, n. 9759), sebbene con riferimento al canone unico patrimoniale, istituito con la legge n. 160 del 2019, ha riconosciuto la strumentalità dell’attività svolta dalle aziende di produzione rispetto alla fornitura di servizi di pubblica utilità, come la distribuzione dell’energia elettrica, in difformità con l’orientamento riferito al c.o.s.a.p. (di cui resta, tuttavia, espressione Cons. Stato, 25 novembre 2022, n. 10382).
24. Sulla base dei rilievi che precedono, va enunciato il seguente principio di diritto: <>.
25.Infine. l ‘eccezione di giudicato interno deve essere disattesa, atteso che il Comune, nel proporre appello avverso la sentenza di primo grado, ha insistito per la conferma della legittimità dell’avviso opposto, il che include ovviamente anche la richiesta di riformare la decisione relativa alla disapplicazione delle sanzioni e degli interessi conseguenti alla contestata omessa denuncia.
Nella specie, è evidente che il Comune, a fronte della decisione della Commissione provinciale che aveva accolto parzialmente le doglianze della società contribuente, ha chiesto la riforma integrale di tale sentenza, evidenziando che l’erroneità della decisione impugnate chiedendo la conferma dell’atto di accertamento opposto. Pertanto, l’amministrazione comunale ha impugnato con l’appello principale l’intero percorso argomentativo della sentenza di prime cure, sicché non si è formato il giudicato interno prospettato ed invocato dalla società contribuente.
26 .Segue, l’accoglimento del quarto ed il quinto motivo, respinti gli altri. La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per l’accertamento del quantum della T.o.s.a.p. dovuta.
P.Q.M.
Accoglie il quarto ed il quinto motivo, respinti gli altri; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della
Corte di cassazione del 12 novembre 2024.
Il Consigliere est.
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME