Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26547 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26547 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 3333/2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso, da ll’AVV_NOTAIO, il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE – già RAGIONE_SOCIALE -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura allegata al controricorso, dall’AVV_NOTAIO
COGNOME, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio legale AVV_NOTAIO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Catania n. 1350/2021, depositata il 21/6/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/9 /2025 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE chiedeva, con atto di diffida e messa in mora n. 130/2006 del 29/12/2006 alla RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, il pagamento della somma di euro 181.318,02, con riferimento al pagamento del «canone concessorio non ricognitorio» (CCNR), relativo alle occupazioni permanenti (parallelismi e attraversamenti) del suolo, sottosuolo e spazi aerei delle strade di proprietà della provincia, con cavi, condutture e linee elettriche dell’RAGIONE_SOCIALE, ai sensi degli articoli 25 e 27 del d.lgs. n. 285 del 1992, per gli anni 2001, 2002 2003.
Il CCNR era di importo superiore a quello della RAGIONE_SOCIALE (vedi pagina 38 del controricorso «detto ente locale ha richiesto il pagamento sia della RAGIONE_SOCIALE che del CCNR: quest’ultimo determinato in un importo maggiore della prima»).
Peraltro, il canone concessorio non ricognitorio era stato istituito nel 2001, con l’individuazione delle tariffe, con delibera n. 4 del 19/1/2001.
Con la delibera di giunta provinciale di RAGIONE_SOCIALE n. 183 del 30/6/2011 vi era stato l’aggiornamento tariffario, dichiarato illegittimo dal Tar Catania con sentenza n. 1058 del 2019.
A seguito della delibera n. 183 del 2011, il dirigente della provincia di RAGIONE_SOCIALE aveva adottato tre determinazioni: 42604 del 18/8/2011; NUMERO_DOCUMENTO del 16/11/2011; NUMERO_DOCUMENTO del 20/12/2011.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 90 del 2022, accoglieva l’appello del RAGIONE_SOCIALE, dichiarando la tardività del ricorso di prime cure, in quanto la lesione immediata e diretta per la società era derivata dai provvedimenti attuativi, che dovevano essere tempestivamente impugnati.
L’impugnazione era stata proposta, invece, tardivamente solo avverso l’atto regolamentare del 19/3/2012.
La società, con ricorso notificato il 5/3/2007, adiva la CTP di RAGIONE_SOCIALE per impugnare tale atto di messa in mora.
Nel ricorso si deduceva, per quel che ancora qui rileva, la violazione delle norme di legge poste in materia di occupazione di spazi ed aree pubbliche.
In sostanza, la società deduceva di aver già versato la RAGIONE_SOCIALE per euro, che costituiva il massimale che poteva essere richiesto alla società.
La CTP, con sentenza del 28/11/2007 n. 397, accoglieva parzialmente il ricorso.
La CTR, con sentenza n. 461 del 22/11/2010 dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice tributario, in favore del giudice ordinario, rimettendo le parti dinanzi al tribunale di RAGIONE_SOCIALE.
Il tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 1283/2017, a seguito di riassunzione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, accoglieva parzialmente la domanda della società, riducendo l’importo dovuto alle sole annualità 2002 e 2003.
Avverso tale sentenza proponeva appello la società deducendo, per quel che ancora qui rileva, l’illegittimità della richiesta di pagamento dei canoni per gli anni 2001, 2002 e 2003, per la somma di euro 181.318,02, in quanto l’atto di diffida era stato reso in violazione dell’art. 18 della legge n. 488 del 1999; chiedeva in ogni caso la disapplicazione dell’atto di diffida e di messa in mora quale atto amministrativo applicativo della delibera commissariale n. 4 del 19/1/2001 della provincia «la quale ha stabilito abnormi ed illegittimi aumenti degli oneri dovuti per l’occupazione del suolo e delle aree pubbliche».
In via subordinata, la società chiedeva che i canoni afferenti le occupazioni di aree e spazi pubblici fossero dovuti nella misura «non superiore alla differenza tra il loro ammontare e l’ammontare della RAGIONE_SOCIALE dichiarata e versata dalla RAGIONE_SOCIALE elettrica per le medesime occupazione».
La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 1350 del 2021, rigettava l’appello della società.
La Corte territoriale, per quel che ancora qui rileva, affrontava la questione relativa all’errore, asseritamente commesso dal giudice di prime cure, che aveva ritenuto che l’RAGIONE_SOCIALE avesse spiegato la propria domanda «soltanto nei confronti dell’atto paritetico di richiesta del pagamento del canone».
In realtà, l’appellante rilevava di avere impugnato, non solo la diffida di pagamento (n. 130 del 2006), ma anche la delibera commissariale del 2001, quale atto regolamentare presupposto «la quale ha illegittimamente aumentato il canone per l’occupazione del suolo pubblico».
A fronte di tale doglianza la Corte d’appello rilevava che non si poteva procedere alla disapplicazione della delibera commissariale del 2001.
Nel caso in esame – ad avviso del giudice di secondo grado – «la richiesta di disapplicazione dell’atto è chiaramente formulata in via principale», con la conseguente giurisdizione del giudice amministrativo.
Inoltre, la Corte d’appello reputava non sussistere i profili di violazione dell’art. 18 della legge n. 488 del 1999, non costituendo la RAGIONE_SOCIALE «il limite massimo di quanto dovuto alla stessa p.a. appellata per l’occupazione del suolo pubblico».
Per la società, infatti, «il chiesto importo di euro 181.318,02 per canone non ricognitorio ex art. 27 Cds, non sarebbe dovuto».
La Corte di merito, invece, affrontava partitamente due questioni: la compatibilità della piena coesistenza tra tassa di occupazione del suolo pubblico – RAGIONE_SOCIALE – e il canone concessorio non ricognitorio ex art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992; il corretto computo del calcolo, con possibilità di defalcare dall’onere concessorio – di importo più elevato – l’ammontare di quanto già pagato per RAGIONE_SOCIALE – di importo meno elevato -.
Con riferimento al primo aspetto reputava sussistere la piena compatibilità e cumulabilità tra RAGIONE_SOCIALE e canoni non ricognitori di cui all’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992.
Con riguardo alla seconda questione, la Corte territoriale riteneva plausibile l’interpretazione della società dell’art. 63, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997, come modificato dall’art. 18 della legge n. 488 del 1999.
Tuttavia, dalla documentazione prodotta dalla società «non è dato cogliere l’effettiva coincidenza tra le aree stradali oggetto della concessione cui richiesta ex art. 27 cod. strad. e le occupazioni tassate con la RAGIONE_SOCIALE».
Sarebbe mancato, quindi, il presupposto che normativamente consentiva «di portare in detrazione dal canone non ricognitorio qui in contestazioni i pagamenti a titolo di RAGIONE_SOCIALE».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione dell’art. 18 della legge n. 488/1999, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 63 e 52 del d.lgs. n. 446/1997, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 67 del d.P.R. n. 495/1992, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27 del d.lgs. n. 285/1992, violazione degli articoli 3, 23, 97, 103 e 111 Costituzione, art. 1 c.p.c. e del d.lgs. n. 104/2010 con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Sarebbe erronea la decisione della Corte di merito laddove ha ritenuto impugnato in via principale l’atto commissariale istitutivo del CCNR (canone concessorio non ricognitorio).
In realtà, la società si era limitata, nel ricorso introduttivo, a chiedere «anche la disapplicazione dell’atto impugnato ex art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 546/92 o, rectius , nel rito ordinario ex art. 5 dell’allegato E della legge 20/3/1865, n. 2248, in quanto ‘l’atto impugnato, oltre ai vizi rilevati in precedenza, risultava applicativo di tariffe affette da illegittimità manifesta’».
Tra l’altro, ad avviso della ricorrente, la giurisprudenza amministrativa avrebbe costantemente affermato che i regolamenti istitutivi del canone per l’occupazione di suolo pubblico non erano immediatamente lesivi, in quanto individuavano i destinatari solo per categorie astratte.
Per tale ragione, la società aveva impugnato correttamente, dinanzi al giudice ordinario, l’atto applicativo del regolamento provinciale che disciplinava il CCNR, chiedendone anche la disapplicazione in ragione dell’illegittimità derivata dalla delibera commissariale del 2001.
Non è stata chiesta in via principale la disapplicazione del regolamento, ma la dichiarazione di illegittimità della delibera commissariale del 2001, ai soli fini della declaratoria -per illegittimità derivata -dell’atto applicativo impugnato, disapplicandolo di conseguenza.
Tra l’altro, la società aveva già impugnato dinanzi al giudice amministrativo, il regolamento n. 183 del 2011, che aveva ulteriormente aumentato l’importo del canone in questione.
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce la «violazione dell’art. 18 della legge n. 488/1999, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 63 e 52 del d.lgs. n. 446/1997, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 67 del d.P.R. n. 495/1992, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27 del d.lgs. n. 285/1992, violazione degli articoli 3, 23 e 97 della Costituzione, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Sarebbe erronea l’affermazione della Corte d’appello per cui sarebbe legittima la concorrenza di RAGIONE_SOCIALE e canone per la concessione di uno spazio pubblico.
In realtà, per la ricorrente, l’art. 63, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997 avrebbe stabilito un «tetto» alla determinazione delle tariffe per i canoni da parte degli enti territoriali.
Per la società, dunque, «la RAGIONE_SOCIALE definisce la misura massima del prelievo applicabile». Per tale ragione, se gli enti locali intendono istituire anche il CCNR, come nel caso della provincia, tale ultimo canone deve essere detratto da quanto versato a titolo di RAGIONE_SOCIALE.
La RAGIONE_SOCIALE opererebbe dunque «alla stregua di una soglia massima di prelievo con efficacia assorbente».
Con il terzo motivo di impugnazione la società lamenta la «violazione dell’art. 18 della legge n. 488/1999, violazione o falsa applicazione degli articoli 63 e 52 del d.lgs. n. 446/1997, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 67 del d.P.R. n. 495/1992, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27 del d.lgs. n. 285/1992, violazione degli articoli 3, 23 e 97 della Costituzione con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Per la Corte d’appello, dunque, non era implausibile la lettura della norma fornita da RAGIONE_SOCIALE, nel senso che, in caso di applicazione anche del CCNR, occorre sottrarre dalla RAGIONE_SOCIALE l’importo del medesimo CCNR, il quale quindi non può essere di importo maggiore.
La Corte territoriale anzi ammetteva anche una lettura ambivalente della norma «nel senso che la sottrazione indicata in norma potrebbe pretendersi anche in relazione al canone concessorio menzionato nella norma e non ancora pagato».
Tuttavia, sarebbe mancato un idoneo riscontro del presupposto richiesto.
Per la ricorrente, però, la RAGIONE_SOCIALE riguarda normativamente e necessariamente tutte le occupazioni, essendo commisurata «al dato degli utenti e non alle singole concessioni come nel caso del CCNR».
La RAGIONE_SOCIALE, poi, è autoliquidata annualmente per un importo forfettario, calcolato ex lege , con un criterio che fa riferimento al numero delle utenze e non ai km occupati «con ciò implicando che tale tassa riguarda necessariamente tutte le occupazioni stradali presenti sul territorio provinciale».
Le occupazioni oggetto di RAGIONE_SOCIALE, essendo onnicomprensiva, automaticamente includono anche quelle oggetto di CCNR ex art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992.
La RAGIONE_SOCIALE copre automaticamente tutte le occupazioni nel territorio dell’ente locale.
La Corte d’appello, quindi, sarebbe partita da un presupposto del tutto errato, ove avrebbe richiesto ad RAGIONE_SOCIALE una prova di effettiva incidenza delle occupazioni soggette a CCNR e RAGIONE_SOCIALE.
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione dell’art. 18 della legge n. 488/1999, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 63 e 52 del d.lgs. n. 446/1997, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 67 del d.P.R. n. 495/1992, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27 del d.lgs. n. 285/1992, violazione degli articoli 3, 23, 102 e 111 della Costituzione, art. 1, c.p.c., e delle d.lgs. n. 546/92, con riferimento all’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c.».
Del tutto erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che la doglianza avrebbe dovuto essere posta dinanzi alla commissione tributaria, senza considerare che l’atto introduttivo del giudizio era stato rivolto proprio alla commissione tributaria.
Ribadisce la società che una volta versata la RAGIONE_SOCIALE, automaticamente non sono più possibili ulteriori richieste di canoni come il CCNR, di importo ben superiore alla medesima RAGIONE_SOCIALE.
I motivi, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati, in presenza di un giudicato esterno.
In realtà, tra le stesse parti, e con il medesimo oggetto, seppure riferito agli anni 2008, 2009 e 2010, successivi alla annualità oggetto di causa (2001, 2002 e 2003), è intervenuta ordinanza di questa Corte n. 30778 del 2/12/2024, sempre in ordine al rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE, già pagata, e il CCNR (Canone concessorio non ricognitorio).
Si premette, in ordine al quadro normativo, che il CCNR è regolato dall’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992, a mente del quale
«e domande dirette a conseguire le concessioni e le autorizzazioni di cui al presente titolo, se interessano strade o autostrade statali, sono presentate al competente ufficio dell’RAGIONE_SOCIALE e, in caso di strade in concessione, all’ente concessionario che provvede a trasmetterle con il proprio parere al competente ufficio dell’RAGIONE_SOCIALE, ove le convenzioni di concessione non consentono al concessionario di adottare il relativo provvedimento».
Al comma 7 dell’art. 27 si prevede che «a somma dovuta per l’uso o l’occupazione delle strade e delle loro pertinenze può essere stabilita dall’ente proprietario della strada in annualità ovvero in un’unica soluzione».
Si precisa al comma 8 dell’art. 27 che «el determinare la misura della somma si ha riguardo alle soggezioni che derivano alla strada o autostrada, quando la concessione costituisce l’oggetto principale dell’impresa, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l’utente ne ricava».
Quanto alla RAGIONE_SOCIALE deve muoversi dall’art. 38 del d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507, che prevede: «sono soggette alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province».
Al comma 2 si stabilisce: «Sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico, di cui al comma 1, con esclusione dei balconi, verande….e simili infissi di carattere stabile…».
8.1. Ai sensi dell’art. 39 (Soggetti attivi e passivi) del d.lgs. n. 507 del 1993, poi, «la tassa è dovuta al Comune o alla provincia dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie
effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio».
8.3. Il nuovo d.lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997, poi, ha stabilito all’art. 63, che: «I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, escludere l’applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche…..I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile…sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l’occupazione…al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa ».
8.4. L’art. 63, comma 2, lettera f), a decorrere dal 1/1/2000 risulta così modificato: «f) previsione per le occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali servizi medesimi, di un canone determinato forfetariamente come segue: 1) per le occupazioni del territorio comunale il canone commisurato al numero complessivo delle relative utenze per la misura unitaria di tariffa riferita alle sottoindicate classi di comuni 2) per le occupazioni del territorio provinciale, il canone è determinato nella misura del 20 per cento dell’importo risultante dall’applicazione della misura unitaria di tariffa di cui al n. 19, per il numero complessivo delle utenze presenti nei comuni compresi nel medesimo ambito territoriale».
Soprattutto, l’art. 63, comma 3, detta la disposizione principale per la risoluzione della controversia, ove si stabilisce che «l canone è determinato sulla base della tariffa di cui al comma 2,
con riferimento alla durata dell’occupazione e può essere maggiorato di eventuali oneri di manutenzione derivante dall’occupazione del suolo e del sottosuolo. Per la determinazione della tassa prevista al comma 1 relativa alle occupazioni di cui alla lettera f) del comma 2, si applicano gli stessi criteri ivi previsti per la determinazione forfettaria del canone. Dalla misura complessiva del canone ovvero della tassa prevista al comma 1 va detratto l’importo di altri canoni previsti da disposizioni di legge, riscossi dal Comune e dalla provincia per la medesima occupazione, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi».
9.1. La piena cumulabilità tra RAGIONE_SOCIALE e CCNR si ricava dall’art. 17, comma 63, della legge 15/5/1997, n. 127, per il quale «l consiglio comunale può determinare le agevolazioni sino alla completa esenzione dal pagamento della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, per le superfici e gli spazi gravati da canoni concessori non ricognitori».
Questa Corte ha chiarito che il RAGIONE_SOCIALE è stato introdotto nell’ordinamento della finanza locale dal d.lgs. n. 446 del 1997, al fine di abolire la tassa per l’occupazione degli spazi e delle aree pubblici e per la contestuale attribuzione alle province ed ai comuni della facoltà di prevedere, per l’occupazione, concessa o abusiva, di aree ricadenti nel demanio e nel patrimonio disponibile di loro rispettiva pertinenza, il pagamento di un canone commisurato alle esigenze di bilancio, al valore economico del sacrificio imposto alla collettività con la rinuncia all’uso pubblico generalizzato degli spazi occupati ed all’aggravamento degli oneri di manutenzione di detti spazi.
Il RAGIONE_SOCIALE, quindi, si è inserito nel solco di un processo politicoistituzionale inteso ad una sempre più vasta defiscalizzazione delle entrate rimesse alla competenza degli enti locali e risulta disegnato
come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici. Il titolo che legittima l’occupazione, nel RAGIONE_SOCIALE, è costituito da un provvedimento amministrativo, effettivamente adottato o fittiziamente ritenuto sussistente, di concessione dell’uso esclusivo o speciale di detto suolo (Cass., n. 12167 del 2003, in motivazione).
Invero, il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, istituito dal D.Lgs. n. 446 del 1997, come modificato dalla L. n. 448 del 1998, art. 31, è stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dalla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (in tal senso vedi Cass., 10/6/2021n. 16395).
La RAGIONE_SOCIALE ed il COSAP hanno natura e presupposti impositivi differenti in quanto la prima è un tributo, che trova la propria giustificazione nell’espressione di capacità contributiva rappresentata dal godimento di tipo esclusivo o speciale di spazi ed aree altrimenti compresi nel sistema di viabilità pubblica, mentre il secondo costituisce il corrispettivo di una concessione, reale o presunta, per l’occupazione di suolo pubblico, con la conseguenza che la legittima pretesa del canone da parte dell’ente locale non è circoscritta alle stesse ipotesi per le quali poteva essere pretesa la tassa, ma richiede la sola sussistenza del presupposto individuato dalla legge nella occupazione di suolo pubblico (Cass. n. 24541 del 2/10/2019; Cass. Sez. U. n. 12167 del 19/8/2003).
Il COSAP, pertanto, risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici ed è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale che ne trae il singolo; il presupposto applicativo del COSAP è costituito
dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica ed è irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del suolo pubblico (Cass. n. 17296 del 27/06/2019; Cass. n. 18037 del 06/08/2009; Cass. n. 3710 dell’8/02/2019; Cass. n. 10733 del 04/05/2018; Cass. n. 1435 del 19/01/2018; in motivazione, Cass. n. 9240 del 20/05/2020). Tale principio è stato espresso anche dalla decisione del 7/1/2016 n. 61 delle Sezioni Unite della Cassazione, in tema di riparto di giurisdizione, che ha ribadito che il COSAP è configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, e non già dovuto per la sottrazione al sistema della viabilità di un’area o spazio pubblico.
La distinzione tra RAGIONE_SOCIALE e CCNR proviene dalla giurisprudenza di questa Corte per cui nell’ipotesi in cui il Comune o la provincia non si avvalgano della potestà di adottare, con apposito regolamento, il COSAP – come è avvenuto nella specie in presenza appunto di Tosap – è da ritenersi legittima l’imposizione della RAGIONE_SOCIALE, anche «in aggiunta al canone per la concessione di uno spazio pubblico» (Cass., n. 14893 del 2017).
La RAGIONE_SOCIALE è compatibile, ai sensi dell’art. 17, comma 63, della legge n. 127 del 1997, «con il pagamento di un canone concessorio, provento di natura e fondamento del tutto diversi dal primo, dovuto, quindi, dal concessionario, a meno che il Comune non abbia esercitato il potere facoltativo di ridurlo o annullarlo» (Cass. n. 14893 del 2017).
È stata ritenuta corretta l’affermazione per cui il pagamento della RAGIONE_SOCIALE non esonera la concessionaria dal pagamento anche del «canone concessorio ricognitivo della proprietà indisponibile dell’ente pubblico, in assenza del quale si realizzerebbero i presupposti per l’usucapione». Tale canone avrebbe la finalità
«ricognitiva della proprietà pubblica» diversa, dunque, da quella di corrispettivo della concessione propria della COSAP» (Cass. n. 14893 del 2017).
La questione di fondo, dunque, attiene alla corretta interpretazione dell’art. 63, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997.
La questione è nei termini che seguono.
In base alla tesi sostenuta dalla società, la lettura letterale della disposizione impone di considerare che l’importo della RAGIONE_SOCIALE costituisce il limite massimo degli importi dovuti alla provincia, anche in concomitanza del canone concessorio non ricognitorio (CCNR).
La lettera della norma, infatti, prevede che «dalla misura complessiva del canone ovvero della tassa prevista al comma 1 va detratto l’importo di altri canoni previsti da disposizioni di legge, riscossi dal Comune e dalla provincia per la medesima occupazione».
La tesi sostenuta dalla provincia è, invece, nel senso che la RAGIONE_SOCIALE non costituisce l’importo massimo che la provincia può esigere dalla società, in caso di compresenza di RAGIONE_SOCIALE e di CCRN.
Fermo restando, dunque, che RAGIONE_SOCIALE e CCNR possono concorrere, per la medesima occupazione, ciò che rileva ai fini dell’imposizione è la «differenza algebrica» tra le due somme.
Nel senso che, ove il CCNR sia di importo maggiore della RAGIONE_SOCIALE, al pagamento della RAGIONE_SOCIALE deve aggiungersi l’importo differenziale tra CCNR – maggiore – e RAGIONE_SOCIALE – di importo minore.
Fatta questa breve premessa del quadro normativo, deve evidenziarsi che questa Corte, con l’ordinanza sopra richiamata, n. 30778 del 2/12/2024, pronunziata tra le stesse parti, per le annualità 2008, 2009 e 2010, ha dapprima escluso ogni efficacia di giudicato esterno della sentenza della Corte d’appello di Catania n. 2145/2020, passata in giudicato l’11/6/2021, giusta certificazione ex art. 124 disposizione di attuazione c.p.c., in data 24/2/2022, relativa ai
canoni concessori non ricognitori ex art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992, riferita agli anni 2004, 2005 e 2006.
Questa Corte, nell’ordinanza citata, n. 30778 del 2024, ha chiarito l’insussistenza del giudicato esterno, in quanto il passaggio argomentativo della Corte d’appello conteneva l’affermazione «il canone non ricognitorio può essere preteso anche se per l’occupazione della medesima area il beneficiario corrisponde altri canoni dai quali si distingue perché è dovuto a diverso titolo».
Questa Corte ha infatti evidenziato che «trattasi di un passaggio ‘non costituente indispensabile premessa logica della statuizione passata in giudicato’, siccome, appunto la controversia definita con la pronuncia n. 2145/2020 – similmente alla presente controversia aveva riguardato il rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE e il canone non ricognitorio ex art. 27 c.d.s.».
15. Tra l’altro, deve evidenziarsi che il giudicato formatosi con riferimento alle annualità 2008, 2009 e 2010, da parte della ordinanza di questa Corte n. 30778 del 2/12/2024, essendo un giudicato successivo a quello di cui alla sentenza della Corte d’appello n. 2145 del 2020, prevale su quest’ultimo.
Ed infatti, per questa Corte, in caso di contrasto tra giudicati, al fine di stabilire quale fra due giudicati debba prevalere, occorre fare ricorso al criterio temporale, nel senso che il secondo giudicato prevale sul primo, salvo che la sentenza contraria ad altra precedente non sia stata sottoposta a revocazione (Cass., sez. 3, 25/1/2024, n. 2462).
16. Nell’ordinanza n. 30778 del 2024 si è dunque affermato che la Corte territoriale avrebbe dovuto «defalcare dalla già riscossa RAGIONE_SOCIALE per euro 31.679,00 per il 2008, per euro 33.817,00 per il 2009 e per euro 34.679, 00 per il 2010 gli importi di cui agli atti
di diffida e messa in mora n. 115/2011 e n. 117/2011, in quanto concernenti le medesime occupazioni già oggetto della RAGIONE_SOCIALE».
Ha precisato questa Corte che la Corte territoriale avrebbe dovuto «acclarare il dovuto nella differenza (algebrica) tra l’uno, seppur minore (RAGIONE_SOCIALE), e l’altro, seppur maggiore (canone ex art. 27 c.d.s.), importo».
Pertanto, a fronte del giudicato ormai formatosi tra le stesse parti, con riferimento all’annualità 2008, 2009 e 2010, risulta dovuto anche l’importo del canone concessorio non ricognitorio (CCNR), dovendosi sottrarre all’importo maggiore relativo al CCNR, l’importo minore, già pagato dalla contribuente, a titolo di RAGIONE_SOCIALE.
Del resto, la norma citata non prevede in alcun modo che l’importo della RAGIONE_SOCIALE rappresenti il limite massimo imposto come pagamento al soggetto che chiede la concessione non ricognitoria.
Se così fosse, e se dunque l’art. 63, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997 stabilisse l’importo massimo da pagare in quello della RAGIONE_SOCIALE, anche in presenza del CCNR, in sostanza si assisterebbe ad una abrogazione del CCNR, che non sarebbe mai dovuto ove calcolato in misura superiore alla RAGIONE_SOCIALE.
Verrebbe abrogato l’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992 per il ritenuto assorbimento del canone nella RAGIONE_SOCIALE, nonostante l’art. 63, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997 abbia espressamente riconosciuto la piena vigenza degli «altri canoni previsti da disposizioni di legge», tra cui rientra proprio l’art. 27 citato.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 7.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione civile il 18 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME