Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2138 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2138 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12551/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
COMUNE DI CAMPI BISENZIO
-intimato- avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG.TOSCANA n. 1397/2022 depositata il 01/12/2022.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il P.G. che, nel ribadire la requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso ed in subordine per la rimessione della questione alla Prima Presidente.
Uditi i difensori delle parti.
FATTI DI CAUSA
1.La società RAGIONE_SOCIALE nella qualità di concessionaria del servizio di accertamento, liquidazione e riscossione della TOSAP per il Comune di Campi Bisenzio (FI), notificava alla società Autostrade per l’Italia spa gli avvisi di accertamento TOSAP nn. 1549-727-591 rispettivamente per gli anni 2013-2014-2015, per un ammontare complessivo di € 218.120,00 a titolo di tassa, oltre sanzioni ed interessi, per effetto dell’occupazione del soprassuolo comunale del Comune di Campi Bisenzio mediante cavalcavia autostradali in gestione al predetto ente.
La società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento notificatole innanzi alla C.T.P. di Firenze, eccependo l’assenza dei presupposti di cui agli articoli 38 e 39, d.lgs. 15.11.1993, n.507, stante la <> e, subordinatamente, rilevando l’applicabilità al caso di specie dell’esenzione di cui all’articolo 49, comma 1, lettera a) d.lgs. 15.11.1993, n.507.
I giudici di prossimità rigettavano il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE con sentenza che veniva appellata dalla società contribuente, la
quale ribadiva il diritto all’esenzione dalla tassa, essendo soggetto che opera in regime di concessione.
La Commissione tributaria regionale della Toscana respingeva il gravame affermando che < il presupposto impositivo è costituitoai sensi degli artt. 38 e 39 del d.lgs n. 507 del 1993 -dall'occupazione, di qualsiasi natura di spazi ed aree, anche soprastanti o sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province, che comporti un'effettiva sottrazione della superficie all'uso pubblico… ai fini della TOSAP, rileva il fatto in sé della predetta occupazione, indipendentemente dall'esistenza o meno di una concessione o autorizzazione… Non ricorre pertanto nel caso di specie il presupposto per l'esenzione di cui all'art. 49, lett.a) del d.lgs 507/93, atteso che l'occupazione non è riconducibile direttamente allo Stato, ma alla società concessionaria del servizio autostradale.. '
La contribuente ricorre per la cassazione della sentenza nr. 1397/04/2022 della Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Toscana, Sezione n. 4, depositata il 1° dicembre 2022 1034/01/2021, svolgendo due motivi.
Replica con controricorso e memorie difensive la società concessionaria.
Il Comune è rimasto intimato.
La ricorrente ha depositato memorie illustrative nelle quali richiama le pronunce amministrative che si sono occupate dell'argomento (Cons. Stato, sentenze numeri 10010 -1001110012-10013-10014-10015-10015- 10017-10018 del 22/11/2023 e n. 10130/2023 del 27/11/23) in materia Cosap.
La Procura generale, nel ribadire la requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso ed in via subordinata ha chiesto la rimessione al Primo Presidente per l'eventuale rinvio alle S.U.
MOTIVI DI DIRITTO
1. In via preliminare, osserva la Corte che non si ravvisano i presupposti per la rimessione della decisione alle Sezioni Unite, se solo si consideri che le principali tematiche qui dedotte, come meglio si vedrà nel prosieguo della motivazione e come del resto riconosciuto anche dalle parti, sono già state innumerevoli volte affrontate e risolte da questa Corte (non solo dalla Sezione Tributaria ma anche dalla Prima Sezione Civile nella contigua materia Cosap), tanto che devono fin d'ora escludersi fermi restando gli approfondimenti e le precisazioni di cui si darà conto -i requisiti di un contrasto interpretativo o di un ripensamento nomofilattico che, soli, potrebbero giustificare la rimessione.
2.Con la prima censura si deduce la <>.
La ricorrente assume che lo spazio sovrastante la strada comunale non è stato sottratto alla disponibilità generalizzata per volontà della Società, né per concessione del Comune, né per circostanza ‘di fatto’, ma per legge dello Stato stesso che ha pianificato e deciso la costruzione dell’autostrada e la localizzazione del suo tracciato, ivi incluso il cavalcavia assoggettato a Tosap; – che la Società concessionaria agisce come esecutrice della volontà statale, intervenuta nella gestione dell’impianto in un momento successivo alla acquisizione del suolo, soprasuolo e sottosuolo necessari alla realizzazione del tracciato autostradale, con la conseguenza che non è possibile definire come abusiva l’occupazione posta in essere dal concessionario, atteso che la realizzazione del tracciato avviene
secondo diritto e leggi statali; – che l’autostrada rientra tra i beni demaniali ai sensi dell’art. 822, secondo comma, cod. civ.; – che l’attività della società autostradale, tanto nella fase di costruzione della rete, quanto in quella successiva della relativa gestione e manutenzione, è rigidamente vincolata alle decisioni statali ed in particolare al controllo dell’ente concedente (prima ANAS ora MIT) e che la costruzione dell’autostrada è stata, in particolare, stabilita con risalenti leggi dello Stato (legge 21 maggio 1955, n. 463 e legge 24 luglio 1961, n. 729; – che, di conseguenza, lo spazio soprastante la strada comunale così come lo spazio occupato dai pontoni non appartiene più ai Comuni, in quanto la costruzione dell’autostrada è riconducibile alla volontà dello Stato alla luce di risalenti norme, quali la legge 21 maggio 1955, n. 463, la legge 24 luglio 1961, n. 729, come integrata dalla legge 28 marzo 1968, n. 385, la quale prevede il piano di costruzione delle strade ed autostrade, attuato con convenzione stipulata con l’ANAS il 18 settembre, n. 9297 è stato deliberato dallo Stato ed attuato dall’allora concedente ANAS e che i tracciati autostradali sono stati approvati dallo Stato, approvazione che equivale a dichiarazione di pubblica utilità ex art. 11 della legge 729/1961; con la conseguenza che per effetto di dette leggi, spazi ed aree determinate dal tracciato sono state sottratte d’autorità all’uso generalizzato della comunità territoriale.
Si deduce, inoltre, che l’attrazione al demanio pubblico delle aree e dei volumi attraversati alla rete autostradale in origine appartenenti al demanio comunale, ha determinato la perdita di potere impositivo da parte degli enti territoriali, il che sarebbe dimostrato dalla circostanza che i Comuni non hanno in passato imposto la Tosap per le opere in oggetto né hanno proceduto alla loro rimozione;- che il passaggio dal demanio comunale a quello statale spiegherebbe le ragione per le quali il Comune non ha alcun potere decisionale sulla delimitazione degli spazi da occupare, sulla
durata dell’occupazione che sono elementi invece disciplinati dalla citata Convenzione stipulata tra la società e l’ANAS, convenzione che costituisce l’unico titolo giuridico che autorizza la ricorrente ad attraversare il Comune di Campi Bisenzio e porre in essere l’occupazione che si vorrebbe tassare; – che le leggi citate non possono ritenersi superate dalla normativa in materia Tosap, in quanto esse concernono e disciplinano ambiti diversi, atteso che le leggi nn. 463/1955 e 729/1961 hanno sottratto agli enti territoriali le volumetrie necessarie per la realizzazione delle opere pubbliche, mentre l’art. 38 d.lgs. 507/1998 disciplina la Tosap per le aree residue del demanio e patrimonio indisponibile degli enti locali; che la natura demaniale dell’opera impone le cd. fasce di rispetto costituite da pozioni di terreno contigue alle autostrade, il tutto confermato dal codice della strada -d.lgs n. 285/1992 – che, agli artt. 16- 18, impedisce di modificare le costruzioni o le piantagioni attigue alle reti autostradali; – che, la riferibilità allo Stato della individuazione del tracciato della rete autostradale esclude l’assimilazione tra la fattispecie sub iudice e l’occupazione di impianti adibiti a pubblici servizi in regime di concessione amministrativa di cui all’art. 38 d.lgs. 507/1993, nel qual caso la distribuzione dei servizi pubblici (gas, acqua) è stabilita dal concessionario al momento della richiesta al Comune per l’autorizzazione all’occupazione degli spazi pubblici.
3.La prima articolata censura deve essere disattesa.
3.1.Con riferimento alla dedotta carenza di potere impositivo del Comune, si afferma, nella illustrazione del primo mezzo censorio, che l’art. 11 legge 729/1961 – disciplina integralmente abrogata dall’art. 24 d.l. n. 112/2008 ( ma il cui art. 11 era già stato abrogato dalla legge n. 327/2001) -prevedeva che <L'approvazione dei progetti esecutivi e delle relative varianti, concernenti le opere necessarie per la costruzione delle autostrade previste dalla presente legge…equivale a dichiarazione di pubblica
utilità nonché di indifferibilità ed urgenza a tutti gli effetti di legge…..Alle procedure espropriative delle opere indicate nel comma precedente si applicano i commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 8 della legge 21 maggio 1955, n. 463».
3.2.La testuale previsione normativa di un procedimento espropriativo dell'area di attraversamento del percorso autostradale -di cui non vi è alcuna allegazione e prova in atti -smentisce l'articolata argomentazione della ricorrente sia in relazione alla dedotta sottrazione agli enti locali dello spazio/volumetria occupate dai ponti stradali, che in ordine alla ritenuto diverso ambito di applicazione della normativa Tosap, relegata -secondo gli intendimenti dell'istante -alle «aree residue», non sottratte alla disponibilità dell'ente.
3.3. La dichiarazione di pubblica utilità rappresentava, difatti, solo il momento iniziale della procedura espropriativa – anche prima della entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 che ha regolato in modo organico la materia espropriativa anche con riferimento ai beni demaniali e a quelli appartenenti al patrimonio indisponibili dello Stato e degli altri enti pubblici -la quale doveva concludersi con il decreto di esproprio, non essendo l'occupazione delle aree indicate nel piano particolareggiato per l'esecuzione delle opere sufficiente a consentire, come deduce parte ricorrente, il trasferimento delle aree dall'originario proprietario all'ente espropriante, donde l'omessa adozione del decreto di esproprio ha lasciato la strade occupate dal cavalcavia e dal pontone in proprietà del Comune; in assenza di una procedura di esproprio, ciò che resta è, dunque, l'occupazione dello spazio (sottostante il viadotto e) sovrastante la strada comunale, circostanza questa che integra proprio la condizione oggettiva prevista dall'art. 38 d.lgs. n. 507/1993, che ha ribadito quanto già previsto dall'art. 192 r.d. 1175/1931.
3.4. Se, dunque, è senz'altro fondata nelle sue premesse l'affermata originaria imputabilità allo Stato della volontà di occupazione, per mezzo dell'attraversamento da parte del viadotto autostradale, del soprassuolo comunale, tuttavia la portata degli effetti va commisurata alla inosservanza delle disposizioni di cui alla normativa che regola la materia espropriativa, secondo la quale era ed è necessaria l'adozione del decreto di esproprio, provvedimento che, nella specie, risulta del tutto omesso e la cui mancanza dimostra, contrariamente a quanto assunto dalla società, la permanenza della titolarità in capo al Comune di Bisenzio sulle strade comunali e sull'area ad esse sovrastante; sotto altro versante, la circostanza che gli enti territoriali nulla oppongano alla realizzazione delle infrastrutture sul loro territorio non denota per ciò solo la legittimità dell'attività di occupazione, la quale permane abusiva ovvero di fatto in quanto non assentita dal Comune. L'art. 12, ultimo comma, della legge n. 729 del 1961, vigente ratione temporis, nel prevedere che gli enti proprietari potranno prescrivere esclusivamente le cautele da osservare e le opere provvisionali da eseguire durante la costruzione delle opere, conferma la possibile appartenenza del tratto di strada ad Amministrazioni diverse dallo Stato, quali gli enti territoriali, senza tacere che la citata circostanza caratterizza anche le occupazioni avvenute in base a provvedimento concessorio nell'ipotesi di fisiologico espletamento del rapporto (Cass. n. 15162/2024; Cass. n. 15167/2024; Cass. n. 15186/2024; Cass. n. 15204/2024; Cass. n. 2283/2024).
3.5. In definitiva, la realizzazione dell'autostrada sul soprasuolo delle strade comunali non ha determinato ipse iure la perdita della demanialità comunale delle strade, così come ribadito da questa Corte secondo la quale: '…sebbene la realizzazione della rete autostradale sia stata prevista ed approvata con provvedimenti legislativi, ciò non ha comportato automaticamente il trasferimento
della proprietà delle strade interessate allo Stato ed il conseguente passaggio di quelle comunali e provinciali nel demanio statale ' ( v. Cass. n. 25614/2024 e n. 15162/2024). Ne consegue che l'attività di occupazione, che, inizialmente, ha avuto origine per volontà del legislatore, si è concretizzata nella realizzazione della infrastruttura autostradale ad opera della società concessionaria, esecutrice della progettazione e della realizzazione dell'opera pubblica, a fronte del corrispettivo costituito dal diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati per la durata prevista, sui beni di proprietà comunale.
3.6. Da qui la non condivisibilità dell'argomentazione contenuta nelle sentenze del Consiglio di Stato, citate nelle memorie difensive di parte ricorrente, secondo cui ' sono escluse dall'ambito applicativo del COSAP le occupazioni che non necessitano di concessione provinciale, ossia quelle che non si riferiscono a beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dell'ente locale, ovvero le ipotesi in cui il medesimo ente sia sprovvisto del potere di accordare (o negare) l'occupazione, in quanto involgenti interessi di più ampio rilievo … ', atteso che, come evidenziato nei paragrafi precedenti, il Comune non ha perso la titolarità sulla strada e sull'area sovrastante, con il conseguente permanere del suo potere impositivo sui beni che indubbiamente appartengono al suo demanio.
3.7. A detto ragionamento, invero espresso per sillogismo a contrario non del tutto lineare, osta in primo luogo la circostanza che in presenza della dichiarazione di pubblica utilità originariamente adottata dal legislatore, il Comune non aveva il potere di assentire o meno alla realizzazione dell'opera infrastrutturale, in quanto i beni demaniali avrebbero dovuto essere espropriati -previa sdemanializzazione -dallo Stato o dall'ente da esso preposto, con l'ovvia conseguenza che, in assenza della definizione della procedura espropriativa, il Comune ha subito
l'occupazione di fatto dei beni demaniali rispetto ai quali permane il potere impositivo.
3.8. La disciplina Tosap non fa alcun riferimento agli atti di concessione alla stregua dei quali viene gestita l'opera che occupa il demanio comunale che, evidentemente, per il legislatore fiscale sono irrilevanti; il riferimento al regime di concessione dei servizi pubblici, contenuto nel comma 2 dell'art. 38 d.lgs. n. 507/1993, non ha nulla a che vedere, evidentemente, con la concessione per l'occupazione del suolo. Argomenti a sostegno della conclusione appena esposta si traggono anche dall'art. 39 del d.lgs. 507/1993, che, in ultima analisi, individua nella persona dell'occupante di fatto il soggetto passivo d'imposta, in mancanza di atti di concessione o autorizzazione.
3.9. Il titolo convenzionale in capo alla società ricorrenteconcessionaria, avente ad oggetto la realizzazione e la gestione della rete autostradale, concerne, poi, il rapporto tra le relative parti, ma non può interferire con il regime fiscale dell'occupazione; l'occupazione medesima deve considerarsi propria dell'ente concessionario e va, dunque, assoggettata alla tassa ai sensi dell'art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 507 del 1993, in quanto la società concessionaria è l'esecutrice della progettazione e della realizzazione dell'opera pubblica (art. 143, comma l, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) a fronte del corrispettivo costituito dal diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati (art. 143, comma 2) per la durata, di regola, non superiore a trenta anni (art. 143,comma 6 ) ed a nulla rileva il fatto che il viadotto sia di proprietà del demanio e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all'esercizio di un servizio di pubblica utilità, è gestito in regime di concessione da un ente che agisce in piena autonomia e non quale mero sostituto dello Stato nello
sfruttamento dei beni. Del resto, la concessione dello Stato per la costruzione e la gestione dell'autostrada, attraverso un provvedimento concessorio, legittimava API a gestire manufatti autostradali e a ricavarne un profitto, ma non escludeva «la necessità di richiedere al Comune l'autorizzazione ad occupare le aree di pertinenza dell'ente territoriale e non esclude soprattutto l'obbligo di corrispondere il canone, ove l'ente abbia optato per tale corrispettivo in luogo del tributo di finanza locale (TOSAP)» (Cass. n. 25614/2024; Cass. n. 2394/2024); non esiste, per vero, un tertium genus di occupazione: o l'occupazione è assentita dall'ente locale, per mezzo dell'atto di concessione -autorizzazione di cui all'articolo 39, d.lgs. 15.11.1993, n.507, ovvero, qualora insussistente tale atto -per qualsiasi ragione -, l'occupazione è definibile come occupazione di fatto; in tale solco interpretativo si è da sempre attestata la giurisprudenza di questa Corte, che non ravvisa spazi vuoti o terze vie tra l'occupazione assentita dall'ente locale mediante l'atto di concessione -autorizzazione e quella non coperta da tale provvedimento amministrativo, individuando come occupazioni di fatto tutte quelle che non ricadono nell'ambito della prima categoria(così Cass., Sez. VI/T., 25 luglio 2018, n. 19693 e, nello stesso senso, Cass., Sez. VI/T, 1° dicembre 2022, n. 35408).
3.10. L'indiscussa natura demaniale delle strade comunali -inferibile dagli artt. 822, secondo comma, c.c. e 22 della legge n. 2248/1865 – secondo cui «è proprietà dei comuni il suolo delle strade comunali» e «nell'interno delle città e villaggi fanno parte delle strade comunali le piazze, gli spazi ed i vicoli ad esse adiacenti ed aperti sul suolo pubblico, restando però ferme le consuetudini, le convenzioni esistenti e i diritti acquisiti …» che prevedono una presunzione di demanialità avente carattere relativo (Cass. n. 1503/2020; Cass. n. 27054/2021; Cass.n. 9157/2021; Cass. n. 2795/2017; Cass. n. 32705/2009; S.U., n. 5522/1996)) –
non risulta esser venuta meno in ragione della natura demaniale dell'autostrada, in assenza di un provvedimento ablativo del demanio comunale.
3.11. Deve certamente riconoscersi in linea di principio che, per quanto concerne le strade, il regime della proprietà non può che essere quello generale di cui all'art. 840 c.c., con estensione usque ad sideras et ad inferos della relativa proprietà, da nulla risultando che alla proprietà pubblica si applichi, sul punto, un regime diverso da quello della proprietà privata. (Cass. n. 3882/1985). Il disposto dell'art. 840 c.c. si riferisce non solo al sottosuolo, nel significato comune della parola, che indica lo strato sottostante alla superficie del terreno, ossia la zona esistente in profondità al di sotto dell'area superficiale del piano di campagna (Cass. n. 6587/1986; n. 632/1983), ma anche all'area di sedime sottostante una strada pubblica in corrispondenza di un ponte o di un viadotto, estendendosi allo spazio aereo compreso nella proiezione ideale, in altezza, del bene (Cass. n. 1379/1976). La presunzione di demanialità anche all'area sovrastante si desume dall'art. 22 l. n. 2248 del 1865 ed opera sulla base di due presupposti, uno di natura spaziale nel senso che l'area che si vorrebbe demaniale sia contigua o quantomeno comunicante con la strada pubblica (Cass. n. 4975/2007), l'altra di natura funzionale, vale a dire deve integrare la funzione viaria (Cass. n. 8876/2011; n. 238/2004). Ricorrendo tali presupposti sorge una presunzione iuris tantum di demanialità dell'area (Cass. n. 23705/2009; n. 4975/2007; S.U., n. 5522/1996; v. Cass. n. 9157/2023).
3.12. Non risulta, poi, coerente con la disposizione codicistica appena citata, la tesi sostenuta dal Consiglio di Stato e fatta propria dalla società Autostrade secondo la quale lo Stato avrebbe devoluto l'intero patrimonio territoriale agli enti locali; ciò in quanto l'art. 822 c.c. individua i beni che appartengono al demanio accidentale dello Stato, riunendo in una unica categoria le strade,
le autostrade e le strade ferrate. Le strade cui si fa riferimento in detta disposizione sono le strade nazionali di cui alla legge sui lavori pubblici n. 2248/1865, all. F, artt. 9 e ss. che avevano, all'epoca, uno scopo esclusivamente militare, congiungendo le principali città del Regno e l'elenco delle strade nazionali doveva essere approvato con decreto reale. Ma, accanto a queste, la stessa legge enumera le strade provinciali, quelle comunali e quelle vicinali, appartenenti rispettivamente alla Provincia, al Comune ed ai proprietari dei fondi, così distinguendo ab origine il demanio statale dal demanio comunale o provinciale, il che dimostra che detta ripartizione non discende dalla devoluzione del patrimonio statale agli enti territoriali, come sostiene la ricorrente, bensì origina dal sistema codicistico.
Sotto altro versante, l'obiezione della società ricorrente, secondo la quale la strada comunale non può avere altre destinazioni se non quella viaria, dovendo l'ente comunale rispettare le cd. fasce di rispetto, non coglie nel segno.
4.1. A tal proposito, occorre precisare che il principio affermato da questa Corte (Cass. del 25/01/2022, n. 2127; Cass. del 2/07/ 2020, n. 13598) secondo cui «il vincolo di inedificabilità prevale sulla pianificazione e programmazione urbanistica….dovendosi ritenere che l'area corrispondente alla fascia di rispetto (area sottostante ad un cavalcavia), a prescindere dall'assoggettamento alla procedura espropriativa e pur nella permanenza del diritto di proprietà, non ha alcuna potenzialità edificatoria in virtù di disposizioni di legge come è dato desumere anche dal tenore letterale dell'art. 37, comma 4, d.p.r. 327/2001» non esenta dalla tassa per l'occupazione di suolo pubblico, ancorata questa all'occupazione di beni pubblici di qualsiasi natura che, anzi, è dovuta proprio in relazione alla inedificabilità derivante dal rispetto delle cd. fasce di rispetto, nonchè alla sottrazione all'uso normale e collettivo di parte del suolo pubblico, ovvero in relazione
all'utilizzazione particolare ed eccezionale dell'area, per una pura e semplice correlazione con l'utilità particolare diversa dall'uso della generalità (cfr. Cass. n. 17495/2008; Cass., 11/3/ 1996, n. 1996; Cass., 19/5/1988, n. 3523; Cass. n. 15162/2024, n. 15162; Cass. n. 28341/2019; Cass. n. 35408/2022).
5. Con il motivo formulato in via subordinata, la società RAGIONE_SOCIALE denuncia <>; per avere erroneamente il Collegio d’appello escluso l’esenzione riservata alle occupazioni disposte dallo Stato, sul rilievo che l’attività della società autostradale, tanto nella fase di costruzione della rete, quanto in quella successiva della relativa gestione e manutenzione, è svolta in modo autonomo, ancorchè in realtà essa sia rigidamente vincolata alle decisioni statali ed in particolare al controllo dell’ente concedente sia per quanto concerne le tariffe che per quanto riguarda i bilanci e le attività sociali (prima ANAS ora MIT) e comunque persegue finalità di interesse generale, il che legittima l’esenzione di cui all’art. 49 d.lgs. 507 del 1993.
Si obietta che sia irrilevante l’attuale natura dell’ente ricorrente -essendo indifferente che il concessionario sia un ente pubblico o una società privata – dal momento che in origine lo stesso era di proprietà pubblica, in quanto appartenente al gruppo IRI; per tale via, l’autostrada risulterebbe inclusa nei beni demaniali ex art. 822 cod.civ., di guisa che le occupazioni finalizzate alla realizzazione di opere per soddisfare finalità di interesse della collettività nazionale superano l’interesse al prelievo fiscale per la sottrazione di un bene pubblico al godimento della comunità locale, e, pertanto, trova applicazione l’art. 49 d.lgs. 507/1993.
Ciò, in quanto la giurisprudenza della Corte di giustizia europea ha chiarito che l’indifferenza rispetto alla natura pubblica o privata del
regime proprietario non deve portare a forme di discriminazione, poiché la difformità tra forme di proprietà pubblica o privata non produce l’effetto di sottrarre i regimi di proprietà esistenti negli stati membri alle norme fondamentali del trattato FUE tra cui quelle di non discriminazione, di libertà di stabilimento e di circolazione di capitali ( Corte di giustizia europea 22 ottobre 2013 cause riunite C 105/12 e C 107/12, Staat der Nederlanden). Pertanto, la disciplina applicabile al bene oggetto in concessione non può mutare a seconda della natura privata o pubblica del concessionario, il quale è sola la longa manus dello Stato.
In via subordinata, la società chiede la rimessione alla Corte di giustizia UE della questione relativa alla coerenza tra gli artt. 49, 56, 63 e 345 TFUE e l’applicazione, nei confronti dei concessionari di infrastrutture pubbliche, di un trattamento differenziato nei rapporti con gli enti locali, in funzione della natura pubblica o privata del concessionario.
Il motivo è privo di pregio.
5.1.La mera pianificazione della costruzione delle autostrade e la localizzazione del tracciato, ivi inclusi i cavalcavia, ad opera dello Stato non rende la concessionaria la sua longa manus per la realizzazione di un servizio ad essenziale rilevanza pubblica: le concessioni autostradali rientrano in un modo di gestione dei beni pubblici, ai sensi del secondo comma dell’art. 822 c.c. (che recita « le autostrade sono aree ad uso pubblico destinate alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali ») affidato a terzi rispetto alla gestione diretta dello Stato, che deve sempre sottostare alla finalizzazione dell’interesse generale (quello pubblico), ovvero al perseguimento del bene della vita che si appresta ad essere considerato in funzione del benessere collettivo ( cfr. S.U. n. 1543 del 21 gennaio 2019).
5.2. Per vero, la RAGIONE_SOCIALE titolare di concessione per la progettazione e realizzazione dell’opera pubblica, non rappresenta
la longa manus dello Stato, perseguendo, in autonomia, un proprio fine di lucro, ricavando dalla gestione il diritto di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati per la durata prevista dalla concessione, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà al termine della concessione (Cass. n. 11886/ 2017; Cass. n. 11689/17), contando, invece, ai fini che interessano, la sottrazione dello spazio sovrastante il suolo comunale occupato dal predetto tracciato, come tale oggetto di tassazione ai sensi della chiara formulazione dell’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 507/1993; sottrazione di per sé insita nelle limitazioni utilizzative e di destinazione del suolo comunale riconducibili proprio e soltanto all’occupazione infrastrutturale sovrastante (v. Cass. 18385/19 ed altre).
5.3. Il concessionario non può essere considerato longa manus dell’Amministrazione pubblica neppure laddove ricorrano i requisiti dell’in house providing , come configurati dalla giurisprudenza e dalle direttive comunitarie e come recepiti dalla nostra legislazione e, cioè, in particolare allorquando ricorrano i requisiti del controllo analogo (ovvero di un controllo pubblico analogo a quello esercitato dall’amministrazione sulle proprie strutture) e della destinazione dell’oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata allo svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da soggetti dalla stessa controllati( cfr. art. 178 del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, cd. codice degli appalti, abrogato dal d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36; Cass. n. 25614/2024). Il controllo pubblico dominante, per quanto svolto attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento sociale, non incide sull’alterità soggettiva della società rispetto all’amministrazione pubblica, in quanto la società in house rappresenta pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante (Cass., sez. un., n. 7759/17; n. 21299/17; n. 7222/18 e, in
particolare, Cass. n. 5346/19, Cass. n. 21658/21; Cass . n. 2164/2024; Cass. n. 464/2024; Cass. n. 2463/2024, n. 2463 secondo cui il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche è sempre dovuto dalla concessionaria incaricata della gestione del servizio autostradale in relazione al viadotto ricompreso nell’infrastruttura, poiché il fine e il vincolo di natura pubblicistica che pur contrassegnano l’opera gestita non valgono a rendere la concessionaria – che persegue in autonomia un proprio fine di lucro – una mera ” longa manus” dell’amministrazione statale, non potendo perciò fruire delle esenzioni riservate alle occupazioni di suolo attuate da parte di quest’ultima).
5.4.La natura privatistica della società ricorrente è stata confermata dall’arresto delle Sezioni unite (Sez. U., n. 5594/2020) secondo le quali la concessionaria autostradale «è un operatore economico privato non inquadrabile come organismo di diritto pubblico ex art. 3, co. 1, lett. d) d.lgs. 50/2016; non si tratta, infatti, di soggetto la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi ovvero il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico».
Quanto alla disciplina fondativa della Tosap di cui al d.lvo 507/93 -nella formulazione qui applicabile ratione temporis e per quanto più attiene alla fattispecie di causa si richiamano e recepiscono, in proposito, i numerosissimi ed anche assai recenti precedenti di questa Corte in controversie concernenti la Tosap (cfr., tra le ultime, Cass. n. 15171/2024; Cass., n. 15186/2024; Cass. n. 15162/2024; Cass. n. 17173/2024; Cass. n. 15201/2024; Cass. 15204/2024; Cass. n. 16387/2024; Cass. n. 2164/2024; Cass. n. 2255/2024; Cass. n. 2486/2024; Cass. n. 2498/2024; Cass. n.
2512/2024 e le tante altre ivi citate); analogamente, in tema di Cosap, molteplici sono stati gli arresti di questa Corte, sempre di segno negativo per le aspettative della parte contribuente (cfr., tra le tante, Cass. n. 16395/2021; Cass., n. 22219/2023; Cass. n. 22183/2023; Cass. n. 15010/2023; Cass. n. 13051/2023; Cass. n. 10345/2023; Cass. n. 20708/2024; Cass.n. 25614/24).
6.1.Ricapitolando, dunque, i principi affermati da questa Corte possono così sintetizzarsi:- il presupposto impositivo della Tosap è costituito, ai sensi degli artt. 38 e 39 d.lgs. n. 507/1993, dall’occupazione, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti o sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei Comuni o delle Province, che comporti un’effettiva sottrazione della superficie all’uso pubblico, con ciò rilevando il fatto oggettivo della predetta occupazione, indipendentemente dall’esistenza o meno di una concessione od autorizzazione, salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione previste dall’art. 49 d.lgs. cit.;l’art. 38 d.lgs. n. 507/1993 va interpretato nel senso che l’occupazione mediante impianti di servizi pubblici (tale essendo il viadotto autostradale, che costituisce un impianto costituito da una costruzione completata da strutture -impianti segnaletici e di illuminazione -che ne aumentano l’utilità) è soggetta alla tassa, sia che si tratti di spazi sottostanti, che sovrastanti lo spazio pubblico;- la tassa compete al concessionario che occupa lo spazio, a nulla rilevando il fatto che il viadotto sia di proprietà del demanio e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato, poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all’esercizio di un servizio di pubblica utilità, è gestito in regime di concessione da un ente che agisce in piena autonomia e non quale mero sostituto dello Stato nello sfruttamento dei beni, con la conseguenza che l’esenzione prevista dall’art. 49, lett. a ), del citato decreto non spetta in quanto non si
configura l’occupazione da parte dello Stato. La società autostradale non è, difatti, lo Stato né un ente territoriale e non rientra nel novero degli enti di cui all’art. 87 cit., poiché costituita in forma societaria e per finalità di lucro, il che la esclude dai soggetti esenti indicati all’art. 49 cit.; dovendo ribadirsi che l’esenzione non opera ove l’occupazione sia ascrivibile ad una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica in quanto è detta società ad eseguire la costruzione dell’opera di cui ha la gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione (tra le tante Cass. 16395/2021; Cass. n.19693/18; Cass. n.25300/17) e risultando del tutto inconferente e priva di decisività la predicata natura demaniale dell’autostrada (Cass. n.19693/18 cit.; Cass. n.11886/17) ovvero il dedotto interesse generale (dell’ente territoriale e della collettività) perseguito dall’attività di gestione della infrastruttura (Cass. n. 22489/2017; Cass. n. 21102/2019), come si chiarirà nei paragrafi che seguono.
6.2. A nulla rileva il fatto che il viadotto sia di proprietà del demanio e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all’esercizio di un servizio di pubblica utilità, è gestito in regime di concessione da un ente che non agisce quale mero sostituto dello Stato nello sfruttamento dei beni (Cass. n. 25614/2024; Cass. n. 15162/2024; Cass. n. 20708/2024; Cass.n.11689/2017; nn. 11689 e 11886 del 2017; Cass. n. 19693/2018). Infatti, la dedotta proprietà statale dell’autostrada e così del viadotto non interferisce con la circostanza integrativa del presupposto di applicazione della Tosap da parte del Comune, secondo cui, nel periodo di durata della concessione, la società disponeva del viadotto, per la relativa gestione quale concessionaria, ed in tal modo essa realizzava la
condotta di «occupazione» del sottostante suolo comunale (Cass., 18/4/2023, n. 10351; anche Cass., 12 gennaio 2022, n. 708, in tema di Cosap; Cass., sez. 5, 11 gennaio 2022, n. 509, in tema di Cosap; anche Cass., sez. 5, 26/1/2024, n. 2512). Questi elementi sono più che sufficienti a radicare la debenza dell’imposta in capo alla concessionaria e occupante API, mentre risulta marginale e privo di decisività indagare la effettiva proprietà dell’infrastruttura autostradale e dei pontoni che occupano per proiezione la strada provinciale sottostante, attesa la rilevanza dirimente della accertata ed indiscussa circostanza che la società ne disponeva per la gestione quale concessionaria ed in tal modo realizzava la condotta di «occupazione».
6.3. Non rileva, dunque, la riconducibilità dell’occupazione allo Stato, dovendo tale argomento ritenersi inconciliabile « con la natura di stretta interpretazione delle norme tributarie che prevedano esenzioni o agevolazioni (cfr., tra le molte, più di recente, Cass. Sez. 5, 4 maggio 2016, n. 8869; Cass. Sez. 5, 26 marzo 2014, n. 7037, presupposto interpretativo condiviso da ultimo anche da Corte cost. 20 novembre 2017, n. 242) e, segnatamente, con specifico riferimento alla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, con l’interpretazione di questa Corte dell’art. 49, comma 1 lett. a) del d. lgs. n. 507/1993, secondo cui l’esenzione per lo Stato e gli altri enti, di cui alla citata norma, postula che l’occupazione, quale presupposto del tributo, sia posta in essere direttamente dal soggetto esente (cfr., più in generale, Cass., Sez. 5, 6 agosto 2009, n. 18041) »; né è dirimente la dedotta assenza di poteri di rimozione o di riappropriazione del bene da parte del Comune, giacchè tale limite non vale ad escludere l’imposizione fiscale, semmai a confermarla, in ragione della perdurante occupazione, senza tacere che la citata circostanza caratterizza anche le occupazioni avvenute in base a provvedimento concessorio nell’ipotesi di fisiologico espletamento
del rapporto (cfr. Cass. n. 19694/2018; Cass n.18385/2019; Cass. n.28341/2019; Cass. Civ., n. 20974/2020; Cass. n. 385/2022; Cass. n.6568/2022; Cass. n. 4116/2023, e, in tema di Cosap, tra le tante, Cass. 22219/2023,; Cass. n. 22183/2023; Cass. n. 15010/2023; Cass. nn. 13051 e 10345 del 2023; Cass. n. 2283/2024).
6.4. Nemmeno rileva per il legislatore tributario la destinazione ovvero le finalità pubbliche dell’opera che la strada comunale; la finalità pubblicistica pur evidenziata dalla ricorrente con il secondo strumento di ricorso, cui certamente è finalizzata la gestione e la manutenzione della rete autostradale, se pur imprime alla riscossione dei pedaggi una preminente destinazione dei ricavi al perseguimento delle finalità proprie della realizzazione del tracciato autostradale, non annulla il perseguimento del profitto tipico dell’attività d’impresa svolta da società per azioni, quale indubbiamente è la Società Autostrade Cass., n. 15162/2024; Cass. n. 35408/2022; Cass. n.16395/2021; Cass. n. 19693/2018, in tema di TOSAP).
6.5. A ciò si aggiunga che l’assoggettamento al tributo, con facoltà di eventuale previsione di speciali agevolazioni, non è prevista nelle ipotesi di ‘occupazioni ritenute di particolare interesse pubblico e in particolare per quelle aventi finalità politiche ed istituzionali’; difatti ai sensi dell’art. 49 d.lgs. n. 507/1993 sono esenti oltre agli enti indicati dal primo comma lett. a) di detta disposizione e per le finalità indicate ( ), solo le occupazioni di cui alla lett. e) vale a
dire quelle realizzate .
6.6.In altri termini, irrilevante agli effetti dell’art. 49, lett. a), per questo rilevando unicamente la qualità soggettiva dell’occupante, il riferimento all’interesse pubblico dell’opera potrebbe rilevare agli effetti dell’art. 49, lett. e), che viceversa dà rilievo all’interesse acquisitivo dell’ente territoriale, prescissa la qualità soggettiva dell’occupante; l’esenzione non spettante a norma dell’art. 49, lett. a), può competere a norma dell’art. 49, lett. e), purché gli atti concessori prevedano che l’impianto di pubblico servizio resti infine gratuitamente devoluto al Comune (Cass. 11 giugno 2004, n. 11175; Cass. 13 febbraio 2015, n. 2921; Cass. n.25300 del 25/10/2017).
6.7. Allo stesso modo, la destinazione del bene ad uso collettivo non esonera dalla imposizione tributaria, posto che l’attività di occupazione è posta in essere dalla società nello svolgimento, in piena autonomia, della propria attività di impresa (v. Cass. 10 giugno 2021, n. 16395) per cui è sufficiente l’utilizzazione del bene da parte di un soggetto diverso dall’ente pubblico titolare, mentre risulta indifferente la strumentalità di tale utilizzazione alla realizzazione di un pubblico interesse, in assenza di specifica ipotesi di esenzione. Le caratteristiche quindi del soggetto occupante, come titolare della concessione amministrativa che lo legittima alla realizzazione dell’opera, per eseguire la quale procede all’occupazione( di fatto) del soprassuolo comunale in ragione del tipo di attività svolta e del tipo di bene gestito rende del tutto legittima e conforme a diritto, in specie al comma secondo dell’articolo 38, d.lgs. 15.11.1993, n.507, la pretesa esercitata dall’amministrazione comunale(Cass., Sez. 1, 10 giugno 2021, n. 16395).
7. Non si ravvisano i presupposti per la rimessione della questione pregiudiziale alla CGUE ex art. 267 TFUE come anche richiesto, in estremo subordine, dalla società contribuente. Questa eventualità, com’è noto, non è assistita da alcun automatismo, tanto da integrare un obbligo del giudice di ultima istanza solo in quanto se ne ravvisino appunto i presupposti di dubbio interpretativo, di interferenza con il diritto unionale e di rilevanza in causa (tra le altre, v. Cass. SSUU n.14042/16; n. 26145/17; n. 30301/17; Corte EDU 8 settembre 2015, RAGIONE_SOCIALE c/ RAGIONE_SOCIALE. Con sentenza 6 ottobre 2021 in causa C-561/19 (RAGIONE_SOCIALE c/ RAGIONE_SOCIALE, la CGUE ha ribadito (§ 33), sulla scorta di numerosi richiami, che il giudice di ultima istanza è esonerato dal rinvio pregiudiziale ogniqualvolta abbia constatato che ‘la questione sollevata non è rilevante, o che la disposizione del diritto dell’Unione di cui si tratta è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte, oppure che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi’. La Corte ha poi osservato (§ 50-57) che, ferma restando la doverosità di questa verifica, il giudice nazionale è tenuto a motivare le ragioni del ravvisato esonero da rinvio pregiudiziale, ponendosi questa scelta, da un lato, nell’ambito del sistema di cooperazione diretta tra Corte di Giustizia e giudici nazionali e, dall’altro, nell’esercizio di una funzione indipendente e non coercibile dalle parti. Ed i presupposti del rinvio pregiudiziale, in applicazione di questi consolidati principi, qui non sussistono. Ciò non tanto e soltanto per l’estraneità della Tosap all’ambito dei tributi oggetto di armonizzazione, quanto per la pratica ininfluenza del tema esonerativo, quantomeno se impostato e risolto nei termini che si sono detti, rispetto alle disposizioni del TFUE (§ 108) concernenti la libera concorrenza ed il divieto degli aiuti di Stato. Questione che recupererebbe teorica rilevanza allorquando l’esenzione (quand’anche davvero
qualificabile appunto come aiuto di Stato) venisse in effetti riconosciuta ad una società di veste commerciale operante in campo concorrenziale (anche se in forza di concessione pubblica) per il solo fatto di essere una società ‘pubblica’, ed a scapito di società concessionarie ‘private’ concorrenti nello stesso ambito di mercato; non anche quando l’esenzione, come nella specie, venisse invece negata proprio sul presupposto unionale della non discriminazione concorrenziale in ragione della natura economicoimprenditoriale dell’attività parimenti svolta dagli operatori, sia pubblici sia privati. In ciò il ragionamento svolto dalla società contribuente sembra anzi viziato da un ribaltamento logico di partenza, non ponendosi all’evidenza alcun dubbio di alterazione delle regole di libero mercato mediante il riconoscimento di aiuti di Stato (sub specie di esenzione fiscale) non comunicati ed autorizzati, in un contesto nel quale tanto i primi quanto i secondi siano esclusi dal beneficio. Né sarebbe fondatamente sostenibile un contrasto con il diritto unionale avendo riguardo, non già al rapporto competitivo tra società pubbliche e private, bensì a quello in ipotesi stabilito tra le società (pubbliche e private) da un lato, e lo Stato (e gli altri enti contemplati dall’art. 49 lett.a)) dall’altro. Dal momento che se la natura dell’attività in concreto svolta è amministrativa, ad essere disattivata in radice è l’intera disciplina concorrenziale di mercato, mentre se è paritetica ed imprenditoriale (come tale svolta attraverso i vari strumenti a tal fine predisposti dall’ordinamento, quali appunto le società partecipate ed in house) si ritorna a quanto appena osservato circa il fatto che nessun contrasto con il diritto UE potrebbe originarsi da un sistema normativo nazionale che, come quello qui in esame, neghi indistintamente il beneficio, tranne che in ipotesi di attività ‘direttamente’ svolta dallo Stato nell’ambito di potestà di tipo autoritativo. E’ per questo che si è affermato (Cass. n. 2396/17, così Cass. n. 19779/20) che: ‘in tema di recupero di aiuti di Stato
dichiarati incompatibili con il mercato comune dalla decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, l’Agenzia delle entrate, ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 10 del 2007, conv., con modif., dalla 1. n. 46 del 2007, ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle imposte non versate in forza del regime agevolativo previsto dall’art. 66, comma 14, del d.l. n. 331 del 1993, conv., con modif., dalla l. n. 427 del 1993, e dall’art. 3, comma 70, della l. n. 549 del 1995 anche nei confronti delle società “in house”, a partecipazione pubblica totalitaria, risultando irrilevante la composizione del capitale sociale rispetto all’obiettivo di evitare che le imprese pubbliche, beneficiarie del trattamento agevolato, possano concorrere nel mercato delle concessioni dei cd. servizi pubblici locali, che è un mercato aperto alla concorrenza comunitaria, in condizioni di vantaggio rispetto ai concorrenti’. A maggior ragione si giunge a questa conclusione considerando la più ampia nozione euro-unitaria d’impresa che, per giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, include qualsiasi entità che eserciti un’attività economica a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di funzionamento, laddove costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (CG: 23/04/1991, COGNOME & COGNOME; 16/11/1995, Federation Francaise des societes d’assurances; 11/12/1997, Job Centre; 16/06/1987, Commissione vs. Italia; 01/07/2008, Motoe; 26/03/2009, RAGIONE_SOCIALE). Il che si raccorda sia con la normativa fiscale europea, per la quale è soggetto passivo d’imposta sul valore aggiunto “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività (art. 9, 51, Direttiva UE, n. 2006/112/CE; conf. art. 4, Direttiva UE, n. 77/388/CE)”, sia con la normativa europea sugli appalti pubblici, laddove si stabilisce che “i termini imprenditore, fornitore e prestatore di servizi designano una persona fisica o giuridica o un
ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi’ (art. 1, §8, Direttiva UE, n. 2004/18/CE)”. D’altra parte, la questione della possibile interferenza dell’esenzione Tosap in parola con il diritto UE della concorrenza non è nuova, in quanto già recentemente affrontata (v. Cass n. 15204/24, con richiamo a Cass. n. 2164/24) nel senso che: ‘(…) quanto alla compatibilità di tale soluzione con il diritto unionale va osservato che questa Corte ha già ritenuto che non sussista alcuna incertezza sulla questione qui in scrutinio, che imponga il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (v. Cass. Sez. T. 10 febbraio 2023, n. 4116), dovendo aggiungersi sul punto che i Trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri, come precisa l’art. 345 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, mentre l’art. 106 vieta agli Stati membri di emanare o mantenere, nei confronti delle imprese pubbliche o delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusiva, misure contrarie alle norme dei trattati, sicché, anche sotto questo profilo, Autostrade per l’Italia non potrebbe beneficiare dell’esenzione riconosciuta allo Stato (cfr. sul punto, anche Cass., Sez. T, 22 gennaio 2024, n. 2164)’.
8.Alla stregua delle riflessioni che precedono, il ricorso deve essere respinto.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Va, infine, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte
rigetta il ricorso;
condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida a favore della società RAGIONE_SOCIALE nella misura di € 7.600,00 per competenze, oltre a 200,00 € per spese vive, rimborso forfettario ed accessori di legge.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione