Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5801 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 5801 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 503/2021 R.G. proposto da: COMUNE DI COGNOME D’COGNOME, elettivamente domiciliato digitalmente per il presente giudizio con la seguente pec: EMAIL, rappresentato e difeso dall’ Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA n. 2759/2020 depositata il 09/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il P.G., Dott.ssa NOME COGNOME la quale ha chiesto rinviarsi la causa a nuovo ruolo in attesa della pronunzia delle S.U. sulla questione relativa i limiti dell’autotutela .
Uditi di difensori delle parti Avvocati NOME COGNOME e COGNOME che hanno concluso come da rispettivi scritti difensivi.
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta con la sentenza n. 4772/5/2018 rigettava il ricorso proposto dalla contribuente Enel Produzione RAGIONE_SOCIALE.p.A. avverso l’avviso di accertamento TOSAP annualità 2013 n. 0006707/2017. La Commissione tributaria regionale della Campania con la sentenza n. 2759/21/2020, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, stabiliva l’applicazione delle agevolazioni di cui agli artt. 46-47 d.lgs. 507/93, ed escludeva le sanzioni accessorie, compensando le spese del doppio grado di giudizio.
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, il Comune di Rocca d’Evandro cui resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE proponendo a sua volta ricorso incidentale.
Il Comune di Rocca d’Evandro ha resistito al ricorso incidentale con controricorso.
Il P.G. ha depositato memoria.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Per ragioni di ordine logico vanno prima esaminati i motivi di ricorso incidentale formulati da RAGIONE_SOCIALE, la quale:
-con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2 -quater , d.l. n. 564/1994 e degli artt. 42 e 43, d.P.R. n. 600/1973 quanto all’esercizio del potere di autotutela sostitutiva ed al principio di unicità e globalità dell’accertamento, assumendo che i giudici di merito non avevano valutato che l’ente impositore av eva esercitato il potere di autotutela sostitutiva nonostante l’assenza dei presupposti legittimanti;
-con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 7, L. n. 212/2000 e dell’art. 1, comma 162, della legge n. 296/2006, laddove la C.T.R. aveva ritenuto legittimo l’avviso di accert amento de quo nonostante le evidenti carenze motivazionali dello stesso tali da non consentire di individuare le ragioni dell’imposizione, i criteri di qualificazione dell’occupazione ed i criteri di quantificazione della pretesa impositiva.
Entrambi tali motivi sono privi di pregio.
2.1. In ordine alla prima questione va premesso questa Corte ha reiteratamente affermato, con argomentazioni pienamente condivisibili, che il potere di autotutela dell’Amministrazione ha carattere generale e, pertanto, può essere legittimamente esercitato sino al momento in cui non si sia formato il giudicato sull’atto oggetto dello stesso ovvero, al contempo, sino a che non sia decorso il termine di decadenza, fissato dalle singole leggi di imposta, per l’emissione del nuovo avviso di accertamento (Cass. nn. 3267 e 3268 del 2022; Cass. n. 38744/2021; Cass. n. 18446/2021; Cass. n. 18388/2021; Cass. n. 17924/2021; Cass. n. 16996/2021; Cass. n. 27481/2019; Cass. n. 7751/2019; Cass. n. 7033/2018; Cass., 31 maggio 24994/2017; Cass. n. 8379/2009) e che, ove non si sia formato il giudicato all’atto della notificazione del nuovo atto impositivo e non vi sia stata decadenza dal potere di accertamento, l’esercizio del potere di autotutela è non solo legittimo, ma
corrisponde a un preciso poteredovere dell’Amministrazione finanziaria, la quale è onerata, in virtù del c.d. «principio di perennità», a sostituire l’atto annullato con un nuovo atto, ancorché di contenuto identico a quello annullato, privo dei vizi originari dello stesso (Cass., n. 13407/2021; Cass. n. 20705/2020; Cass. n. 13807/2020; Cass. n. 10981/2020; Cass. n. 4153/2020; Cass., 20 marzo n. 7751/2019).
Occorre, quindi, rilevare che la questione rimessa alle Sezioni Unite, con l’ordinanza n. 33665 del 2023, concernente differenti tributi e cioè IRPEF ed IVA non è sovrapponibile a quella in esame in materia di TOSAP, poiché è calibrata sostanzialmente sul l’autotutela in malam partem. In ogni caso va osservato che nelle more le Sezioni Unite si sono pronunciate con la sentenza n. 30051 del 21 novembre 2024, affermando, ai fini che qui interessano, il seguente principio di diritto: «in tema di accertamento tributario, il potere di autotutela tributaria, le cui forme e modalità sono disciplinate dall’art. 2 -quater, comma 1, d.l. n. 564 del 1994, conv. nella legge n. 656 del 1994 e dal successivo d.m. n. 37 del 1997, di attuazione, e, con decorrenza dal 18 gennaio 2024, dagli artt. 10quater e 10quinquies , legge n. 212 del 2000, trae fondamento, al pari della potestà impositiva, dai principi costituzionali di cui agli artt. 2, 23, 53 e 97 Cost., in vista del perseguimento dell’interesse pubblico alla corretta e sazione dei tributi legalmente accertati; di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria, ove non sia decorso il termine di decadenza per l’accertamento previsto per il singolo tributo e sull’atto non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l’atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto anche per una maggiore pretesa».
L’applicazione di detto principio, giova ribadire conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, rende prive di pregio
alcuno le censure formulate da parte contribuente con il suddetto primo motivo del ricorso incidentale.
2.2. Anche il secondo motivo non coglie nel segno.
Occorre richiamare il principio, costantemente ribadito da questa Corte, secondo cui in tema di contenzioso tributario, l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione, ai sensi dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l'” an ” ed il ” quantum debeatur ” ( vedi, per tutte, Cass. n. 27800 del 2019). La sentenza impugnata si è attenuta ai suddetti principi laddove ha correttamente ritenuto che l’atto fosse adeguatamente motivato e che gli ulteriori elementi forniti dal Comune fossero idonei, non già ad integrare la motivazione, quanto piuttosto a comprovare nel merito la pretesa impositiva.
Risulta, pervero, che la società contribuente è stata posta in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali per potersi adeguatamente difendere posto che nel caso di specie l’atto richiamato dall’avviso di accertamento è una delibera del Comune, essendo soggetta a pubblicità legale, si presume conosciuta dal contribuente e considerato che sono state indicate le particelle di terreno interessate e la superficie totale occupata (256 mq) e applicata la tariffa minima tra quelle previste ai sensi dell’art. 43 del d.lgs. n. 507 del 1933 né è emerso quale sarebbe stato il concreto ed effettivo pregiudizio subito al diritto di difesa che quest’ultima avrebbe asseritamente subito.
Deve ribadirsi che solo l’avviso di accertamento privo, in violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, di una congrua motivazione non può essere integrato in giudizio dall’Amministrazione finanziaria, in ragione della natura impugnatoria del processo tributario (Cass., Sez. 6 – 5, 21/05/2018, n. 12400), mentre, in virtù della formulazione dell’art. 7 della legge
n. 212 del 2000 ratione temporis vigente , la prova delle pretesa tributaria, avanzata con l’avviso, può essere fornita in giudizio, non dovendo necessariamente essere indicata nell’atto impositivo. Secondo l’orientamento sinora consolidato, difatti, la motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica, presidiata dall’art. 7 della l. n. 212 del 2002, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’ an ed il quantum della pretesa tributaria; invece, la prova della pretesa tributaria attiene al diverso piano del fondamento sostanziale della pretesa tributaria ed al suo accertamento in giudizio in presenza di specifiche contestazioni dello stesso (Cass., Sez. 5, 20 settembre 2024, n. 25321). Occorre, infine, precisare che non vengono in rilievo, ratione temporis , in questa sede le modifiche apportate dal d.lgs. n. 219 del 2023 in tema di motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria.
Per il resto, va osservato le doglianze della parte ricorrente, pur formalmente volte a denunciare la nullità della sentenza per violazione di legge consistente in un difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, investono nella sostanza il merito della lite in quanto la ricorrente chiede al giudice di legittimità un giudizio di fatto in ordine all’esaustività della motivazione dell’avviso impugnato, non considerando che con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017; Cass. n. 5811/2019; Cass. n. 27899/2020; Cass. 18611 e 15276 del 2021). 3. Osserva, quindi, questa Corte che con il primo motivo del ricorso principale l’ente impositore lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, assumendo che risultava essere stato omesso l’esame dell’elemento di fatto della mancanza di ‘una espressa richiesta del contribuente per l’applicazione del regime agevolato’ necessaria ai sensi dell’art. 50 del d.lgs. n. 507/93, circostanza che non era stata presa in considerazione o, comunque, valutata adeguatamente dai giudici di appello.
Tale motivo è privo di fondamento se non, in radice, inammissibile.
Occorre premettere che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831 – 01). Invero appare di tutta evidenza che con il motivo in questione l’ente impositore, nel lamentare l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione, profilo che è stato ritenuto, implicitamente, privo di
rilievo dal giudice di appello pone, in realtà, una mera questione di puro diritto, con conseguente inammissibilità del motivo sì come formulato.
Anche a volere riqualificare il motivo come dedotta violazione di legge va osservato che le censure formulate non colgono nel segno alla stregua del principio di diritto fissato in analoga fattispecie da questa Corte con la sentenza n. 774/2025 la quale ha affermato che in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, il regime previsto dall’art. 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 (oggi sostituito, in parte, dall’art. 63, comma 2, lett. f, del d.lgs. n. 446 del 1997) non è subordinato all’espressa richiesta del contribuente e deve essere applicato dall’ente impositore laddove ne ricorrano i presupposti.
In seno a detta pronunzia è stato chiarito che:
-l’art. 46 del d.lgs. n. 507 del 1993, nello stabilire che le occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo stradale con condutture, cavi, impianti in genere ed altri manufatti destinati all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, compresi quelli posti sul suolo e collegati alle reti stesse, nonché con seggiovie e funivie sono tassate in base ai criteri stabiliti dall’art. 47 (oggi sostituiti da quelli di cui all’art. 63, comma 2, lett. f, del d.lgs. n. 446 del 1997, in virtù del comma 3, secondo periodo, di tale disposizione), si limita a stabilire i criteri per la determinazione del quantum del tributo, senza subordinarne l’applicazione di tale regime ad una espressa richiesta da parte del contribuente;
-l’omessa presentazione della denuncia, contenente le informazioni necessarie per la quantificazione del tributo, comporta solo la legittimità di un accertamento adottato in base alle informazioni disponibili al Comune, desumibili dagli atti in suo possesso, mentre non incide affatto sul regime tariffario applicabile (così Cass., Sez. 5, 16 dicembre 2011, n. 27166) secondo cui, in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, l’art. 50 del d.lgs. n. 507
del 1993 impone al contribuente di denunciare l’occupazione e di versare la tassa sulla base delle opere da effettuare, dei tempi di esecuzione e della superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico, con la conseguenza che, in mancanza dei prescritti adempimenti e del pagamento entro i termini di legge, l’ente territoriale, titolare del potere impositivo, è autorizzato a procedere alla liquidazione d’ufficio del tributo con le informazioni in suo possesso, contenute nel provvedimento autorizzativo, ossia con i dati indicati dallo stesso contribuente, senza che in ciò possa, quindi, ravvisarsi alcun accertamento induttivo; v. anche in questo senso Cass., Sez. 5, 10 maggio 2005, n. 9697 e Cass., Sez. 5, 16 maggio 2005, n. 10263);
– deve essere superato il precedente isolato di questa Corte (Cass., Sez. 5, 20 maggio 2015, n. 10349), secondo cui, in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, vale il principio, esteso a tutti i tributi locali, in base al quale le deroghe ai criteri generali di tassazione non operano in via automatica, per la mera affermata sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo, invece, i relativi presupposti essere di volta in volta dedotti nella denuncia appositamente presentata secondo il regime proprio del tributo in questione in quanto non si rinviene, difatti, nella disciplina dei tributi locali tale regola o principio generale. Né possono estendersi, in tema di t.o.s.a.p., le regole specificamente dettate per altri tributi, in particolare, non potendosi applicare alla t.o.s.a.p. gli artt. 62 e 66 del d.lgs. n. 507 del 1993, che espressamente subordinano, in tema di t.a.r.s.u., le deroghe alla tassazione e le riduzioni delle superfici e tariffe stabilite non al mero ricorrere delle situazioni di fatto, ma alla allegazione dei presupposti nella denuncia originaria o in quella di variazione, essendo la t.o.s.a.p. e la t.a.r.s.u. tributi differenti, i cui presupposti impositivi non presentano similitudini, e le cui discipline sono del tutto autonome e prive di connessioni o interferenze.
5. Con il secondo motivo l’ente impositore lamenta, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione di una norma di legge in relazione agli art. 46 e 47 del d.lgs. n. 507/1993 rilevando che l’impugnata sentenza doveva ri tenersi errata anche nella parte in cui i giudici di secondo grado avevano illegittimamente annullato le sanzioni applicate con l’impugnato avviso di accertamento in ragione delle ‘obbiettive difficoltà di individuare la disciplina applicabile’.
6. Tale motivo è da ritenere infondato sulla scorta del principio di diritto affermato in data odierna da questa Corte con la sentenza nn. 775/2025, – emessa in analoga fattispecie -(principio confermato anche nelle sentenze nn. 769, 771, 773 e 774, del 2025 ed altre sulla medesima tematica) secondo cui: « In tema di Tosap, alla società di produzione dell’energia elettrica (RAGIONE_SOCIALE è applicabile la disposizione ‘agevolativa’ di cui all’art. 63, comma 2, lettera f), del d.lgs. n. 446 del 1997, in quanto soggetto che svolge attività strumentale alla erogazione di un pubblico servizio (aspetto sostanziale), possedendo infrastrutture che permettono ad altri soggetti di fornire il servizio, e dovendo il concetto di rete di erogazione di pubblici servizi essere inteso in senso unitario, in quanto la filiera del sistema elettrico nazionale, che è una rete unica integrata, si compone di una serie di fasi (di produzione, di trasmissione, di dispacciamento e di distribuzione) tra loro connesse da connat urati vincoli inscindibili, tali per cui, in assenza dell’una non possono trovare compimento le altre (c.d. vincolo di complementarietà) e tutte le menzionate attività sono poste in essere esclusivamente nell’interesse delle altre (c.d. vincolo di esclusività) ».
Appare necessario richiamare testualmente, in seno all’odierna pronunzia, quanto argomentato sul punto nella citata sentenza ove, nell’accogliere identica censura, è stato precisato che: ‘ La questione posta dalla doglianza in esame è se la tariffa agevolata, prevista
prima dagli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 e successivamente dall’art. 63, comma 2, lett. f del d.lgs. n. 446 del 1997, spetti anche all’impresa di produzione dell’energia elettrica.…Con riferimento al diritto sovranazionale, occorre brevemente ricordare che la separazione tra imprese produttrici e imprese distributrici di energia elettrica, che è imposta dal diritto unionale al fine di scongiurare il rischio di creare discriminazioni non solo nell’accesso alla rete, ma anche negli investimenti ne lla rete (cfr. il considerando 9 e 24 della direttiva 2009/72/CE, contenente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, ed i punti 35 e 80 della sentenza della Corte giustizia nella causa C-718/18), non esclude che le imprese separate concorrano ai fini della prestazione del servizio energetico, consistente, secondo la definizione di cui all’art. 1, n. 7 della direttiva 2012/27/UE, applicabile ratione temporis, nella «prestazione materiale, l’utilità o il vantaggio derivante dalla combinazione di energia con tecnologie o operazioni che utilizzano in maniera efficiente l’energia, che possono includere le attività di gestione, di manutenzione e di controllo necessarie alla prestazione del servizio, la cui fornitura è effettuata sulla base di un contratto e che in circostanze normali ha dimostrato di produrre un miglioramento dell’efficienza energetica o risparmi energetici primari verificabili e misurabili o stimabili». Pertanto, mentre, dal punto di vista soggettivo, vi è separazione tra le imprese produttrici e le altre della filiera, dal punto di vista oggettivo si giunge ad una definizione del servizio energetico come unitario… Passando all’esame della disciplina interna è necessario soffermarsi non solo sugli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507 del 1993, che si occupano specificamente della t.o.s.a.p., ma anche sull’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, che si occupa del c.o.s.a.p. Deve, difatti, ricordarsi che l’art. 51, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, relativo al canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, che aveva previsto l’abolizione, dal 1° gennaio 1999, delle tasse per
l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, è stata abrogato, con effetto dal primo gennaio 1999, dall’art. 31, comma 14, legge n. 448 del 1998, con la contestuale sostituzione dell’art. 63, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 446 del 1997, che, nella versione riformulata, consentiva alle province ed ai comuni di assoggettare, in alternativa alla t.o.s.a.p., l’occupazione del suolo pubblico al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa. L’art. 46 del d.lgs. n. 507 del 1993 stabiliva che «le occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo stradale con condutture, cavi, impianti in genere ed altri manufatti destinati all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, compresi quelli posti sul suolo e collegati alle reti stesse, nonché con seggiovie e funivie sono tassate in base ai criteri stabiliti dall’art. 47»: tale ultima disposizione, abbandonato il criterio della tassazione per metro lineare o quadrato, poneva quale unità di misura il chilometro lineare (vedi Cass., 22 febbraio 2002, n. 2555). L’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, alla lett. f, imponeva, invece, la previsione per le occupazioni permanenti realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e per quelle realizzate nell’esercizio di attività strumentali ai servizi medesimi, di una speciale misura di canone, che avrebbe dovuto essere commisurata, solo in sede di prima applicazione, al numero complessivo delle utenze relative a ciascuna azienda di erogazione del pubblico servizio, per la misura unitaria di tariffa prevista in relazione a ciascuna classe di comune, ma che successivamente è divenuta il normale criterio di quantificazione del c.o.s.a.p. In questa sede si deve evidenziare che, per la t.o.s.a.p., il regime speciale era riconosciuto solo per le occupazioni strumentali all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, mentre, per il c.o.s.a.p., era contemplato altresì per le occupazioni realizzate nell’esercizio di attività strumentali all’erogazione dei pubblici servizi.
Tuttavia, il secondo periodo del comma 3 dell’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, introdotto con la medesima legge n. 488 del 1999, che ha eliminato la soppressione della t.o.s.a.p. ed istituito l’alternatività della t.o.s.a.p e del c.o.s.a.p., ha precisat o che per la determinazione della t.o.s.a.p., relativa alle occupazioni di cui alla lettera f) del comma 2, si applicano gli stessi criteri ivi previsti per la determinazione forfetaria del canone. Invero, può rilevarsi che proprio l’alternatività del c.o. s.a.p. alla t.o.s.a.p., a prescindere dalla diversa natura dei prelievi, ha imposto, anche in considerazione dell’art. 3 Cost., l’applicazione delle stesse regole e degli stessi criteri di quantificazione. Come hanno già chiarito le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. un., 7 maggio 2020, n. 8628, punto 8.11), l’art.18 della legge n. 488 del 1999, sostituendo la lettera f) del secondo comma dell’art.63 del d.lgs. n.446 del 1997, recante la disciplina del c.o.s.a.p., ha introdotto una particolare modalità di determinazione del canone per tale tipo di occupazione permanente, basata sul numero di utenze attivate, e ha esteso l’applicazione di tale criterio di calcolo anche alla t.o.s.a.p. dovuta sulla medesima tipologia di occupazioni. La disposizione è stata introdotta allo scopo di semplificare il criterio di determinazione della t.o.s.a.p., ritenendosi il metodo basato sulle utenze attive di più facile applicazione rispetto al precedente metodo incentrato sulla superficie effettivamente occupata. In definitiva, le dianzi riportate modifiche al d.lgs. n. 446 del 1997, pur avendo interessato un’entrata di carattere extratributario (il c.o.s.a.p.), hanno avuto un’incidenza anche sulla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (t.o.s.a.p.), in quanto alla tassa è stata estesa la nuova disciplina per la predeterminazione forfetaria del canone per le occupazioni permanenti realizzate con cavi, condutture, impianti o qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi stessi (Cass., Sez. 5, 20 maggio 2015, n. 10345). Ne deriva, pertanto, che per tale tipologia
di occupazioni, dal 1° gennaio 2000, è stato abbandonato il criterio di determinazione forfetaria della tassa per chilometro lineare, in favore del più semplice criterio come sopra delineato, avente il fine di consentire una più agevole attività di quantificazione e di accertamento del tributo da parte dell’ente impositore. Inoltre, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2000, il regime speciale è stato esteso, anche per la t.o.s.a.p., come per il c.o.s.a.p., non solo alle occupazioni strumentali all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, ma pure alle occupazioni realizzate nell’esercizio di attività strumentali all’erogazione dei pubblici servizi. In definitiva, l’art. 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 risulta, in parte, abrogato con l’introduzione del citato art. 63, terzo comma, terzo periodo, del d.lgs. n. 446 del 1997, visto che continua ad operare solo con riferimento alle occupazioni non riconducibili a quelle disciplinate dall’art. 63, comma 2, lett. f, del d.lgs. n. 446 del 1997…. In quest’ottica, alla società RAGIONE_SOCIALE, quale soggetto che svolge attività strumentale a quello di pubblico servizio, è applicabile la disposizione agevolativa di cui all’art. 63, comma 2, lettera f), del d.lgs. n. 446 del 1997. Più precisamente, l’attività di produzione dell’energia elettrica, che comprende il trasporto della stessa ai soggetti distributori che, in un secondo momento, la erogano all’utente finale, va inclusa, pure in assenza di allacci diretti con gli utenti finali, tra le attività strumentali alla fornitura del servizio di pubblica utilità di distribuzione dell’energia elettrica. Gli impianti sotterranei che trasportano l’energia prodotta dagli impianti degli operatori delle energie verso la rete di trasmissione e quelle di distribuzione, al pari di tutti gli impianti che veicolano l’energia al sistema elettrico nazionale, non possono che risultare direttamente funzionali all’erogazione del servizio a rete secondo la definizione utilizzata dal d.l. n. 146 del 2021, come convertito dalla l. n. 215 del 2021, ricadendo, così, nel campo di applicazione delle tariffe agevolato. Ciò in quanto la filiera del sistema elettrico nazionale, che
è una rete unica integrata, si compone di una serie di fasi di cui la produzione costituisce la fase antecedente a quelle di trasmissione, di dispacciamento e di distribuzione. In particolare l’attività d’impresa svolta dalle società di produzione d’energi a costituisce una fase immediatamente antecedente e necessaria rispetto alle altre citate fasi della filiera del mercato elettrico (trasmissione, dispacciamento e distribuzione), fasi connesse da connaturati vincoli inscindibili, tali per cui, in assenza d ell’una, non possono trovare compimento le altre (c.d. vincolo di complementarietà) e per cui tutte le menzionate attività sono poste in essere esclusivamente nell’interesse delle altre (c.d. vincolo di esclusività). Del resto, secondo la giurisprudenza interna e sovranazionale (la quale parla in genere di servizi di interesse generale), i fattori distintivi del pubblico servizio sono, da un lato, l’idoneità del servizio, sul piano finalistico, a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea ind ifferenziata di utenti, e, dall’altro, la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a norme di continuità, regolarità, capacità e qualità: requisiti entrambi compresenti nel caso di specie, essendosi in presenza di un impianto capace di dare luogo ad un servizio e destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare una esigenza di rilevanza pubblica. In definitiva, tra le società esercenti attività strumentali all’erogazione di servizi pubblici rientrano anche le aziende che non raggiungono con i singoli utenti, in quanto trasportano i beni ed i servizi da erogare per un tratto limitato, al termine del quale subentra un altro vettore di diversa natura, visto che il concetto di rete di erogazione di pubblici servizi, cui il legislatore ha inteso attribuire un ruolo assorbente nella determinazione del particolare regime impositivo in esame, va inteso in senso unitario (come, peraltro, già rilevato, già con riferimento all’art. 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 da Cass., Sez. 5, 1° febbraio
2005, n. 1974 e Cass., Sez. 5, 20 ottobre 2008, n. 25479)…. Non rappresenta un elemento ostativo al riconoscimento del regime speciale la circostanza che l’RAGIONE_SOCIALE sia una società per azioni che persegue scopi di lucro. Al riguardo, giova richiamare Cass., Sez. un., 7 maggio 2020, n. 8628, secondo cui nessuna rilevanza può essere ascritta all’elemento dato dalla ritrazione dalla relazione materiale con la cosa pubblica di un personale beneficio economico: «in aderenza al dettato normativo di cui all’art.39 (del d.lgs. n. 507 del 1993), come sopra interpretato, in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione, per individuare il soggetto passivo della t.o.s.a.p. diventa, infatti, irrilevante indagare a chi sia riconducibile l’interesse privato ritratto dall’occupazione, essendo sufficiente e, anzi, assorbente il rapporto esistente tra l’ente territoriale e il contribuente autorizzato, quale specifico destinatario dei provvedimenti con cui l’Amministrazione territoriale ha allo stesso trasferito, previo controllo della sussistenza dei necessari requisiti, facoltà e diritti sulla cosa pubblica alla stessa riservati». Pertanto, non è significativa, ai fini del riconoscimento della tariffa ridotta in esame, la natura di s.p.a. della contribuente, vieppiù se si considera che l’attenzione deve essere concentrata sul tipo di attività svolta e non già sulla veste del soggetto che la esercita. Il pubblico servizio può, difatti, essere erogato anche da soggetti privati. Ulteriori conferme a tale conclusione pervengono dalla legge n. 146 del 1990, che qualifica l’approvvigionamento di energie e dei prodotti energetici, come servizi pubblici essenziali, dalla direttiva attuativa della Presidenza del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994, dalla legge istitutiva della Autorità amministrativa per l’energia e il gas ex l. 14 novembre 1995, n. 481 – produzione normativa è stata il frutto di un prolungato dibattito interpretativo, essendosi passati, nel tempo, dalla preferenza per un inquadramento soggettivo dell’attributo pubblico riferito al servizio, ad una lettura invece in senso oggettivo che riconosce rilevanza alle prestazioni dei servizi
pubblici non in ragione del soggetto che ne assicura la fornitura, quanto delle caratteristiche oggettive delle prestazioni erogate in considerazione del numero indeterminato dei destinatari che ne traggono giovamento. Anche in ambito penale è stato osservato che la qualificazione della energia elettrica come servizio pubblico, riferito tanto alla fase della produzione che a quella della distribuzione, rappresenta il frutto di una serie di interventi normativi primari e secondari volti a disciplinare tali fasi con regolamentazione pubblica derogatoria, ad assoggettare il gestore al dovere di imparzialità e ad affermare la destinazione istituzionale dell’attività al pubblico, in modo da comprendere solo le attività che soddisfano direttamente i bisogni collettivi e non quelle che perseguono tale scopo solo in via strumentale (Cass. pen., Sez. IV, 23 ottobre 2024, n. 40162). Del resto, se il soggetto occupante fosse pubblico, sarebbe già di per sé esente dall’imposizione, ai sensi dell’art. 49, lett. a), d.lgs. n. 507 del 1993….. Parimenti, non possono valorizzarsi in senso contrario alla conclusione raggiunta alcuni precedenti di questa Corte (Cass., Sez. 5, 27 aprile 2022, n. 13142 e Cass., Sez. 5, 28 aprile 2022, n. 13332), secondo cui, in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, e con riguardo alle occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo, il criterio di determinazione della tassa previsto dagli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 per le occupazioni connesse all’esercizio ed alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici esercizi non è estensibile alle occupazioni con impianti privati, in quanto costituisce un criterio agevolato per ragioni di pubblica utilità, le quali, evidentemente, non sussistono nelle occupazioni con impianti privati (Cass., Sez. 5, 5 luglio 2017, n. 16539). Per quanto concerne, in particolare, Cass., Sez. 5, 5 luglio 2017, n. 16539, secondo cui non sarebbe estensibile alle occupazioni con impianti privati un criterio agevolato per ragioni di pubblica utilità, come condivisibilmente evidenziato dalla odierna ricorrente, si tratta di una pronuncia che si
riferisce ad un’occupazione operata con impianto irriguo di un soggetto persona fisica, per la soddisfazione di un bisogno personale, non avvinta da alcun vincolo di complementarietà ed esclusività alla filiera nazionale dell’energia, mentre, nel caso di s pecie, i beni, tramite cui è effettuata l’occupazione ed oggetto di accertamento, appartengono ad una rete che costituisce la infrastruttura strumentale alla erogazione del pubblico servizio di distribuzione di energia. Il precedente, che fonda anche altre pronunce di questa Corte ha, quindi, ad oggetto fattispecie non assimilabili a quella che oggi ci occupa. …. Né può condividersi la tesi secondo cui, avendo la ricordata norma ‘agevolativa’, dal punto di vista sistematico, natura speciale (recando una deroga alle regole generali di determinazione della tariffa dovuta), sarebbe imposta una lettura ed interpretazione rigorosamente conforme al suo tenore letterale, senza ulteriori possibilità di applicazioni analogiche o di interpretazioni estensive (Consiglio di Stato, 27 marzo 2013, n. 1788). Invero, sebbene si sia in presenza di una tariffa agevolata (vale a dire, favorevole ai beneficiari), a ben vedere, si è al cospetto non già di una norma agevolativa (vale a dire, che introduce una deroga alle regole ordinarie), ma di un criterio di determinazione della tariffa che assurge a criterio ordinario relativamente a determinati beni. In particolare, il legislatore ha effettuato una comparazione e una non irragionevole composizione degli interessi pubblici in gioco (quello dell’ente locale, comune e provinciale, di ricavare un’entrata dall’utilizzazione dei suoi beni pubblici e quello dei cittadini all’utilità derivante dall’erogazione di servizi pubblici), sottraendo la relativa valutazione all’ente impositore, considerandola una questione di interesse generale e non meramente localizzabile (Cons. Stato, sez. V, 25 novembre 2022, n. 10382; Cons. Stato, Sez. V, 24 ottobre 2023, n. 9184). Dunque, in simili ipotesi, il sacrificio che la collettività sopporta per la occupazione di suolo pubblico, unitamente al vantaggio economico del soggetto che utilizza il suolo pubblico,
trovano parziale ma notevole compensazione nel soddisfacimento degli interessi dei consociati e nella realizzazione di determinate utilità di rilevanza sociale (benefici sociali) che la stessa occupazione di suolo è in grado di assicurare attraverso la installazione di impianti e di reti preordinate, per loro natura, allo svolgimento di un determinato servizio in favore della medesima collettività di riferimento territoriale. Alla stregua delle considerazioni che precedono, non si pone, dunque, un problema di interpretazione estensiva…. Per quanto non sia applicabile alla fattispecie in oggetto, in virtù della disposizione transitoria di cui all’art. 1, comma 816, della legge n. 160 del 2019, che fa decorrere dal 2021 il canone patrimoniale di concessione, depone nel senso che si è inteso avallare anche la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5, comma 14 quinquies, lett. a) e b), del d.l. n. 146 del 2021, convertito con modificazioni nella legge n. 215 del 2021, il quale stabilisce che ‘Il comma 831 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2019, n. 160, si interpreta nel senso che: b) per occupazioni permanenti di suolo pubblico con impianti direttamente funzionali all’erogazione del servizio a rete devono intendersi anche quelle effettuate dalle aziende esercenti attività strumentali alla fornitura di servizi di pubblica utilità, quali la trasmissione di energia elettrica e il trasporto di gas naturale’. Proprio la disposizione di interpretazione autentica fa riferimento alle aziende che esercitano attività strumentali alla fornitura di servizi di pubblica utilità, dovendo l’espressione ‘quali la trasmissione di energia elettrica e il trasporto di gas naturale’ essere intesa come a titolo meramente esemplificativo. D’altronde, anche il Consiglio di Stato, nelle più recenti sentenze (cfr., ad esempio, Cons. Stato, 4 novembre 2022, n. 9697 e 7 novembre 2022, n. 9759), sebbene con riferimento al canone unico patrimoniale, istituito con la legge n. 160 del 2019, ha riconosciuto la strumentalità dell ‘attività svolta dalle aziende di produzione rispetto alla fornitura di servizi di pubblica utilità, come la distribuzione dell’energia elettrica, in
difformità con l’orientamento riferito al c.o.s.a.p. (di cui resta, tuttavia, espressione Cons. Stato, 25 novembre 2022, n. 10382)’.
Ribadito, dunque, che, per le ragioni anzicennate, in materia di RAGIONE_SOCIALE alla società di produzione dell’energia elettrica (RAGIONE_SOCIALE) è applicabile la disposizione ‘agevolativa’ di cui all’art. 63, comma 2, lettera f), del d.lgs. n. 446 del 199 7, in quanto soggetto che svolge attività strumentale alla erogazione di un pubblico servizio – possedendo infrastrutture che permettono ad altri soggetti di fornire il servizio – e dovendo intendersi il concetto di rete di erogazione di pubblici servizi in senso unitario, detto motivo va respinto.
Con il terzo motivo il Comune lamenta, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione violazione e falsa applicazione degli art. 46 e 47 del d.lgs. n. 507/1993 nella parte cui i giudici di secondo grado hanno ‘illegittimamente’ annullato le sanzioni applicate con l’impugnato avviso di accertamento.
Il motivo è fondato.
La decisione risulta non corretta, in primo luogo, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, la prova dell’assenza di colpa grave, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, sul contribuente (tra varie, Cass., Sez. 5, 3 giugno 2015, n. 11433 e Cass., Sez. 5, 17 marzo 2017, n. 6930). Spetta dunque all’Ufficio provare, anche mediante presunzioni semplici, i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria vantata, mentre spetta all’opponente che voglia andare esente da responsabilità dimostrare di aver agito in assenza di colpevolezza (Cass., Sez.un., 30 settembre 2009, n. 20930, resa con riguardo in generale alle sanzioni amministrative). È espressione di queste regole anche l’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, ai sensi del quale nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde
della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. A ciò si aggiunga che l’obbligo di denuncia di cui all’art. 50 del d.lgs. n. 507 del 1993 (sussistente relativamente ai terreni gravati da usi civici, in quanto riconducibili al patrimonio indisponibile del Comune), non essendo stato adempiuto, secondo le stesse allegazioni della ricorrente incidentale, dalla propria dante causa, sicuramente persisteva a carico della società contribuente, che, una volta subentrata nel rapporto concessorio, avrebbe dovuto effettuare la dichiarazione. Difatti, il comma 2 del menzionato art. 50, ai sensi del quale l’obbligo della denuncia, nei modi e nei termini di cui al comma precedente, non sussiste per gli anni successivi a quello di prima applicazione della tassa, sempreché non si verifichino variazioni nella occupazione che determinino un maggiore ammontare del tributo, può trovare applicazione solo laddove la denuncia sia stata presentata e non laddove sia stata omessa (in questo senso questa Corte si è già pronunciata con riferimento ad i.c.i. ed a t.a.r.s.u.: cfr. Cass., Sez. 5, 9 giugno 2017, n. 14399, e Cass., Sez. 5, 8 ottobre 2019, n. 25063). Peraltro, pur essendo unico il rapporto concessorio, in virtù del quale è effettuata la occupazione, il mutamento del soggetto contribuente comporta l’insorgenza dell’obbligo dichiarativo. Sono, dunque, del tutto destituite di fondamento le difese della società contribuente in ordine all’assenza di colpa per l’omessa presentazione della denuncia .
In conclusione, va accolto il terzo motivo del ricorso principale mentre devono essere rigettati il primo ed il secondo motivo del ricorso principale ed i motivi del ricorso incidentale; conseguentemente la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente al motivo accolto con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Regione Campania, in diversa composizione, cui si demanda anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale; rigetta gli altri motivi del ricorso principale nonché il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Regione Campania, in diversa composizione, cui si demanda anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore im porto a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data