Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4948 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4948 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17354/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, giusta procura speciale allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ISERNIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MOLISE n. 180/2023 depositata il 29/05/2023.
Udita la relazione svolta all’udienza pubblica del 12/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il P.G. che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi i difensori delle parti
FATTI DI CAUSA
1.La Società impugnava l’avviso di accertamento concernente imposizione per l’occupazione dei beni del patrimonio indisponibile del Comune di Rocchetta a Volturno per l’annualità 2017 dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Isernia eccependone l’illegittimità per violazione dell’art. 7 della L. n. 212/2000 e dell’art. 1, comma 162, della L. n. 296/2006, in quanto carente della esplicitazione delle ragioni giuridiche e fattuali poste alla base della pretesa impositiva avanzata dal Comune, contenendo solo l’indicazione della tariffa applicabile per metro quadrato e la maggiore tassa complessivamente dovuta; deduceva altresì la carenza del presupposto impositivo, in violazione dell’art. 38 del d.lgs. n. 507/1993, poiché non vi era stata alcuna sottrazione di suolo destinato all’uso della generalità dei cittadini ed inoltre il suolo occupato non poteva qualificarsi né come patrimonio indisponibile del Comune né come bene appartenente al demanio comunale; eccepiva infine la violazione degli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507/1993 poiché il Comune non aveva applicato nel calcolo della tassa i criteri previsti per le società che esercitano un pubblico servizio ovvero un’attività a quest’ultimo strumentale.
La C.T.P. di Isernia accoglieva parzialmente il ricorso della Società, rideterminando la sanzione irrogata dal 100% al 30%.
La Corte di Giustizia di secondo grado respingeva il gravame proposto dalla società confermando l’adeguatezza motivazionale dell’avviso, nonchè la natura non retroattiva della legge n. 190/2019, la cui applicazione era stata invocata dalla società e affermando che . Confermava poi la riduzione della sanzione operata dal primo giudice e respingeva per il resto le censure relative alle sanzioni. Enel produzione ricorre sulla base di sette motivi avverso la decisione di appello, illustrati nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza, cui resiste con controricorso e memorie difensive l’ente comunale.
Il P.G., nel ribadire la requisitoria scritta, insiste per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DI DIRITTO
Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza impugnata e del procedimento per violazione dell’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992 e degli artt. 99, 112, e 115, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c.; per avere il decidente ritenuto sussistente il presupposto impositivo TOSAP alla luce della
qualificazione giuridica -quale ‘patrimonio indisponibile’ del Comune dei terreni oggetto di accertamento -effettuata dal consulente tecnico d’ufficio nominato in altro giudizio tra le medesime parti, extra-petita, non costituendo la natura giuridica dei terreni un quesito conferito dal giudice.
L’argomentazione posta a fondamento del motivo in rassegna si incentra, esclusivamente, sulla circostanza che la questione inerente alla corretta qualificazione giuridica dei terreni oggetto di occupazione non poteva essere oggetto di quesito al CTU, costituendo un fatto principale del giudizio la cui prova non richiede cognizioni tecnico-scientifiche particolari e spetta unicamente sull’Ente impositore in qualità di attore in senso sostanziale.
Si deduce che <in materia di consulenza tecnica d'ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all'oggetto della lite il cui accertamento si rende necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti fatti principali rilevabili d'ufficio"'. Si afferma che il consulente non può, come si legge nelle sentenze gemelle delle S.U. nn. 3086/2022 e 6500/2022, .
4. Il primo motivo è infondato.
Le eccezioni di nullità prospettate dall’ente ricorrente, alla luce della recente decisione delle SS.UU. citate dalla società,
concernono la consulenza di ufficio disposta in altro giudizio tra le medesime parti e prodotta dalla stessa società contribuente nel giudizio di merito, conclusosi con la decisione dalla stessa impugnata, con la quale il collegio d’appello ha affermato la natura indisponibile delle aree occupate; il principio affermato dalle Sezioni Unite citate nella censura in rassegna – secondo cui – attiene, invece, la consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice nell’ambito del giudizio in cui è adito.
Questa Corte, con giurisprudenza ormai consolidata e a partire dalla sentenza del 26 agosto 2015, n. 17183, consente l’ingresso nel processo tributario di elementi comunque acquisiti e, dunque, anche di prove atipiche ovvero di dati acquisiti in forme diverse da quelle regolamentate, secondo i canoni propri della prova per presunzioni.
Le prove atipiche sono comunque utilizzabili, dipendendo la loro rilevanza esclusivamente in relazione alla maggiore o minore efficacia probatoria ad esse riconosciuta dal Giudice di merito, non sussistendo – né potendo essere censurato in cassazione – alcun vizio invalidante la formazione della prova atipica per essere stata questa assunta nel diverso processo in violazione di regole a quello esclusivamente applicabili, neppure se tale vizio integri un difetto della garanzia del contraddittorio, atteso che nel processo civile il contraddittorio sulla prova viene assicurato dalle forme e modalità “tipizzate” di introduzione della stessa nel giudizio, che trovano disciplina nella fase istruttoria del processo volta ad assicurare la discussione in contraddittorio delle parti sulla efficacia dimostrativa
del mezzo atipico in ordine al fatto da provare (in termini, cfr. Cass. 05/05/2020, n.8459; Cass. n.5947/2023). Nella giurisprudenza di questa Corte è pacifico il principio per cui il giudice di merito può utilizzare, per la formazione del proprio convincimento, anche le prove raccolte in un diverso processo, svoltosi tra le stesse o altre parti, una volta che le suddette prove siano acquisite al giudizio della cui cognizione è investito e sulle medesime sia stato consentito il contraddittorio. Tale principio trova fondamento, da un lato, nella mancanza nell’ordinamento di un qualsiasi divieto e, dall’altro, nell’assenza di una gerarchia delle prove, al di fuori dei casi di prova legale, in cui i risultati di talune di esse debbono necessariamente prevalere su quelli di altre. In applicazione a principi di diritto consolidati nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. 9242/2016, 25067/2018 e 18025/2019), i giudici di entrambi i gradi di merito hanno fondato le loro valutazioni sugli esiti degli accertamenti che sono stati effettuati dal consulente in altro giudizio tra le medesime parti, valutabili in sede civile ai sensi dell’art. 116 c.p.c..
La valutazione operata dal giudicante avrebbe potuto essere censurata sul presupposto della violazione dell’art. 116 c.p.c., assumendo che il collegio d’appello, nel valutare le risultanze consulenziali, non avrebbe operato secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014, n. 34474 del 2019, n. 20867 del 2020); con la conseguenza che risulta inammissibile la diversa doglianza proposta dalla società Enel con riferimento ai profili processuali concernenti la consulenza di ufficio disposta in altro giudizio tra le medesime parti ed
acquisite nel giudizio di merito conclusosi con la decisione impugnata con l’odierno ricorso per cassazione (Cass. Sez. U, 20867/2020, 16598/2016; Cass. n . 9507/2023).
5.Con il secondo motivo si eccepisce l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 7, comma 5 -bis, del d. lgs. n. 546/1992 nonché dell’art. 38, d.lgs. n. 507/1993, in relazione all’art.360, primo comma, n. 3) c.p.c. Si assume che, con il secondo motivo di appello, la società aveva eccepito l’erroneità della decisione di primo grado per aver ritenuto la legittimità dell’avviso di accertamento, ancorchè carente sotto il profilo contenutistico, in quanto privo della indicazione delle fonti normative -primarie e secondarie -disciplinanti le tariffe applicate in relazione alla superficie occupata. Si censura, inoltre, la decisione impugnata per violazione del disposto dell’art. 2697 c.c., per non aver posto a carico dell’amministrazione parte attrice in senso sostanziale -l’onere di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa tributaria fatta valere, reiterando le deduzioni proposte con il primo motivo.
6.Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione di legge dell’art. 7, legge n. 212/2000 e dell’art. 1, comma 162, della legge n. 296/2006 in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3), c.p.c. in materia di motivazione dell’avviso di accertamento. Si afferma che la sentenza impugnata è errata per aver respinto il relativo motivo di gravame, ancorchè l’avviso di accertamento si limita ad indicare l’opera cui si riferisce la pretesa impositiva avanzata dal Comune (‘ Galleria ‘), l’indicazione delle particelle sulle quali insisterebbe il bene oggetto di accertamento, nonché l’indicazione delle aree come ‘ patrimonio comunale indisponibile ‘, senza curarsi di esplicitare le ragioni di fatto e di diritto poste alla base dell’avviso di accertamento. In particolare, si obietta che non viene fatta alcuna menzione del titolo a fronte del quale la superficie occupata apparterrebbe al patrimonio indisponibile del
Comune, né dei criteri utilizzati per la determinazione della superficie occupata, difettando anche una motivazione specifica in merito all’effettiva sottrazione della superficie all’uso pubblico.
7.Il secondo ed il terzo motivo possono essere congiuntamente scrutinati, involgendo la medesima questione relativa alla carenza contenutistica dell’atto impositivo impugnato. Esse non meritano accoglimento.
La contribuente si duole, in particolare, della mancata indicazione, negli avvisi di accertamento impugnati, dei criteri di determinazione utilizzati per la quantificazione della tassa e per l’individuazione e la liquidazione della tariffa applicata.
In materia di tributi locali, questa Sezione ha ripetutamente affermato (Cass. n. 1694 del 2018) che <>. In applicazione di tale principio, la Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto sufficientemente motivato l’avviso di accertamento, nel quale erano stati indicati i dati identificativi dell’immobile, il soggetto tenuto al pagamento e l’ammontare dell’imposta.
In tema di tributi locali, l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed
oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21571 del 15/11/2004; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 26431 del 08/11/2017; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 27800 del 30/10/2019).
La odierna ricorrente ha, del resto, dimostrato, attraverso le censure formulate sin dal primo grado di giudizio, di avere avuto piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli, appunto, puntualmente contestati.
La sentenza impugnata si è attenuta ai suddetti principi laddove ha correttamente ritenuto, per un verso, che fosse adeguatamente motivato un avviso di accertamento relativo alla TOSAP che indicasse la superficie imponibile e la tariffa applicata corrispondente a quella prevista dalla legge, ossia gli elementi costitutivi della pretesa tributaria avendo così l’Amministrazione posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente in giudizio l'”an” ed il “quantum debeatur”.
8. Quanto al profilo di censura concernente la dedotta violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., per avere il giudice omesso di porre a carico dell’ente impositivo l’onere di provare i fatti costituitivi della pretesa ed, in particolare, la dimostrazione della riconducibilità delle aree occupate al patrimonio indisponibile comunale, nonostante le contestazioni sollevate dalla contribuente che ne affermava, invece, l’appartenenza al patrimonio disponibile, esso si risolve, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione delle risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando il ricorrente di anelare ad una
impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).
E, difatti, una volta esclusa l’ammissibilità della prima censura con la quale si intendeva inficiare le risultanze consulenziali, alla stregua di principi di diritto non pertinenti, l’accertamento operato dai giudici regionali in merito all’appartenenza delle strade vicinali e comunali al patrimonio indisponibile del Comune non può essere oggetto di un nuovo e diverso apprezzamento da parte della Corte.
Come questa Corte ha più volte sottolineato, compito del giudice di legittimità non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece la Corte limitarsi a controllare se il decidente abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).
9.Con il quarto motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione di legge dell’art. 44, 46 e 47, d.lgs. n. 507/1993, dell’art. 63, d.lgs. n. 446/1997, dell’art. 1, commi 3 e 4, legge n. 10/1991 nonché degli artt. 2, comma 1 e 12, comma 1, d.lgs. n.387/2003 in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3), c.p.c.. La Società reitera le difese già svolte nel giudizio di merito
per la mancata applicazione all’Enel quale società esercente l’attività di produzione di energia elettrica tramite fonti di energia rinnovabili -dei criteri tariffari previsti per le società che esercitano attività strumentale a quelle di pubblico servizio.
La questione che pone la doglianza in esame è se spetta la tariffa ‘agevolata’ prevista dagli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507/93 all’impresa di produzione dell’energia elettrica.
Sul piano unionale, se è vero che la separazione tra imprese produttrici e imprese distributrici è imposta dal diritto unionale (vedi direttiva 2009/72 e cfr. il considerando 24: ‘ La piena separazione effettiva delle attività di rete dalle attività di fornitura e generazione dovrebbe applicarsi in tutta la Comunità sia alle imprese della Comunità sia alle imprese non comunitarie’ , posto che, in base al considerando 9, ‘ In assenza di una separazione effettiva delle reti dalle attività di generazione e fornitura (separazione effettiva), vi è il rischio permanente di creare discriminazioni non solo nella gestione della rete, ma anche negli incentivi che hanno le imprese verticalmente integrate a investire in misura adeguata nelle proprie reti ‘; cfr. altresì i punti 35 e 80 di Corte giust. in causa C-718/18), è altrettanto vero che la separazione non esclude, tuttavia, che le imprese separate concorrano ai fini della prestazione del servizio energetico, la definizione del quale è fornita dall’art. 1, n. 7 della direttiva 2012/27/UE, applicabile ratione temporis (il ‘servizio energetico’ è ‘ la prestazione materiale, l’utilità o il vantaggio derivante dalla combinazione di energia con tecnologie o operazioni che utilizzano in maniera efficiente l’energia, che possono includere le attività di gestione, di manutenzione e di controllo necessarie alla prestazione del servizio, la cui fornitura è effettuata sulla base di un contratto e che in circostanze normali ha dimostrato di produrre un miglioramento dell’efficienza energetica o risparmi energetici primari verificabili e misurabili o stimabili ‘).
Pertanto, mentre analizzando il profilo soggettivo si perviene (per ragioni di concorrenza) all’affermazione della separazione tra le imprese produttrici e le altre della filiera, ponendo l’angolo prospettico dal punto di vista oggettivo si giunge ad una definizione del servizio energetico come unitario.
Per fornire una risposta all’indicato quesito è, comunque, imprescindibile ricostruire dal punto di vita normativo interno e sistematico la fattispecie in esame.
Le norme che hanno rilevanza diretta sono gli artt. 46 d.lgs. 15 novembre, n. 507 (in tema di Tosap), e 63 l. 15 dicembre 1997, n. 446 (in tema di Cosap).
La prima, al comma 1, stabilisce che:
<> (la sottolineatura è dello scrivente)
La seconda prevede che:
1. <>
<> (la sottolineatura è dello scrivente)
Dalla formulazione letterale delle disposizioni riportate si evince che, mentre per la Tosap il regime ridotto è riconosciuto solo nel caso di ‘erogazione di pubblici servizi’, quanto alla Cosap il detto
regime è contemplato altresì per le occupazioni realizzate nell’esercizio di attività strumentali ai servizi pubblici.
Questa Corte, in tema di criteri di applicazione del d.lgs. n. 507 del 1993, artt. 46 e 47, ha rimarcato che dette disposizioni dettano un criterio differenziato, ed agevolato, di determinazione della tassa (per ragioni di pubblica utilità), di tipo forfetario, fondato sui parametri costituiti dalla lunghezza della strada e dalla parte di essa effettivamente occupata, e calcolato sulla base dell’unità di misura del chilometro lineare; ove, dunque, l’agevolazione consiste in ciò che – abbandonato il criterio della tassazione per metro lineare o quadrato, e prevista, invece, l’unità di misura costituita dal km lineare, quale che sia la sezione delle condutture, o l’ingombro dei cavi, o l’area occupata – la base imponibile del tributo va determinata tenendo conto dei due limiti costituiti, rispettivamente, dalla lunghezza del cavo – con conseguente indifferenza dei tratti che non siano effettivamente occupati – e dalla lunghezza della strada (qualora quella del cavo risulti superiore, come nel caso di posa di più cavi o condutture parallele, o di realizzazione di “bretelle” di allacciamento laterali; così Cass., 22 febbraio 2002, n. 2555).
Invece, il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, istituito dall’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, modificato dall’art. 31 della legge n. 448 del 1998, è stato concepito dal legislatore come un quid di ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dalla tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche. Esso è, infatti, configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici ed è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare (o eccezionale) che ne trae il singolo (v., tra le tante, Cass. n. 18037/2009).
L’art. 51 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, relativo al canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (cd. Cosap), ha previsto, al secondo comma del citato articolo, l’abolizione, dal 1° gennaio 1999, delle tasse per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap) di cui al capo II del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e all’art. 5 della legge 16 maggio 1970, n. 281. La norma, tuttavia, è stata abrogata, con effetto dal primo gennaio 1999, dall’art. 31, comma 14, legge 23 dicembre 1998, n. 448, e contestualmente il legislatore, sostituendo l’art. 63, primo comma, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, ha stabilito che le province e i comuni potessero prevedere che l’occupazione di suolo pubblico fosse “assoggettata al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa”.
In simile ambito, la determinazione del canone era originariamente disciplinata dall’art. 63, secondo comma, lett. f), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. La norma prevedeva che il canone fosse determinato mediante l’applicazione di “una speciale misura di tariffa determinata sulla base di quella minima prevista nel regolamento per ubicazione, tipologia ed importanza dell’occupazione, ridotta non meno del 50 per cento”. Più specificamente, “in sede di prima applicazione” il canone doveva essere determinato forfetariamente e la sua misura doveva essere calcolata mediante l’applicazione della tariffa al numero complessivo delle utenze. Tale regime è stato modificato dall’art. 18, primo e secondo comma, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, previa adozione dei nuovi criteri di determinazione forfetaria del canone e riformulazione dell’art. 63, secondo comma, lett. f), del d.lgs. n. 446/1997. Donde la norma prevede infine l’adozione, <>, di un canone determinato forfetariamente come segue: 1) per le occupazioni del territorio comunale, commisurandolo al numero complessivo delle relative utenze per la misura unitaria di tariffa riferita a determinate classi di comuni; 2) per le occupazioni del territorio provinciale, determinandolo nella misura del 20 per cento dell’importo risultante dall’applicazione della misura unitaria di tariffa di cui al numero 1), per il numero complessivo delle utenze presenti nei comuni compresi nel medesimo ambito territoriale.
Cosicché il metodo alternativo di determinazione forfetaria del canone, che avrebbe dovuto essere adottato solamente “in sede di prima applicazione”, è divenuto il normale criterio di quantificazione del Cosap. E quest’ultimo deve, infine, essere commisurato al numero complessivo delle utenze relative a ciascuna azienda di erogazione del pubblico servizio, per la misura unitaria di tariffa prevista in relazione a ciascuna classe di comune.
Con effetto dal primo gennaio 2000, peraltro, l’art. 18 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, ha adottato alcune modifiche all’art. 63, terzo comma, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. In particolare, ha stabilito che ” per la determinazione della tassa prevista al comma 1 relativa alle occupazioni di cui alla lett. f), del comma 2 , si applicano gli stessi criteri ivi previsti per la determinazione forfetaria del canone ‘.
Tanto premesso in merito all’evoluzione normativa dei canoni di determinazione della Tosap e della Cosap, occorre verificare se il terzo comma dell’art. 63 cit. abbia sostituito i criteri di cui all’art. 47 d.lgs. n. 507/1997.
Al quesito hanno già dato risposta le sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., Sentenza 7 maggio 2020, n. 8628, punto 8.11; in termini, in motivazione, Cass. n. 32869/21), secondo cui l’art.18 della legge n. 488/1999, sostituendo la lettera f) del secondo comma dell’art.63 del d.lgs. n.446/97, recante la disciplina del
Cosap, ha introdotto una particolare modalità di determinazione del canone per tale tipo di occupazione permanente, basata sul numero di utenze attivate e ha esteso l’applicazione di tale criterio di calcolo anche alla TOSAP dovuta sulla medesima tipologia di occupazioni. La disposizione, hanno aggiunto le sezioni unite, è stata introdotta allo scopo di semplificare il criterio di determinazione della TOSAP, ritenendosi il metodo basato sulle utenze attive di più facile applicazione rispetto al precedente metodo incentrato sulla superficie effettivamente occupata.
Pertanto, le disposizioni di cui all’art. 47 citato continuano ad operare con riferimento alle occupazioni (ad esempio, temporanee) non riconducibili a quelle disciplinate dal d.lgs. n. 446 del1997, art. 63, comma 2, lett. f), cit..
In quest’ottica, alla società RAGIONE_SOCIALE è applicabile la disposizione agevolativa di cui all’art. 63, comma 2, lettera f), del d.lgs. n. 446 del 1997, in quanto soggetto che svolge attività strumentale a quello di pubblico servizio (aspetto sostanziale).
Invero, la stessa possiede entrambi i ridetti requisiti di cui all’art. 63, lett. f): essa svolge in effetti attività strumentale alla erogazione di un pubblico servizio, ossia la distribuzione dell’energia elettrica, senza allacci diretti con l’utenza finale ma con la sola rete di trasporto (dunque soltanto con i soggetti che erogano i pubblici servizi). La citata norma si applica, infatti, anche alle aziende esercenti attività strumentali all’erogazione di servizi pubblici, vale a dire alle aziende che hanno infrastrutture che permettono ad altri soggetti di fornire il servizio, ma che, al contrario di questi ultimi, non hanno alcun rapporto diretto con l’utente. In particolare, t ra le società esercenti attività strumentali all’erogazione di servizi pubblici rientrano anche le aziende che, pur ponendo in essere occupazioni con cavi e condutture, tuttavia non raggiungono con tali strutture i singoli utenti, in quanto trasportano
i beni ed i servizi da erogare solo per un tratto limitato, al termine del quale subentra un altro vettore di diversa natura.
Ne consegue, dunque, che il concetto di rete di erogazione di pubblici servizi, cui il legislatore ha inteso attribuire un ruolo assorbente nella determinazione del particolare regime impositivo in esame, va inteso in senso unitario (così Cass., 20 maggio 2015, n. 10345 e Cass. n. 32869/2021); l’attività svolta dalle aziende di produzione, quindi, deve essere riconosciuta quale attività strumentale alla fornitura di servizi di pubblica utilità, come la distribuzione dell’energia elettrica.
Gli impianti sotterranei che trasportano l’energia prodotta dagli impianti degli operatori delle energie rinnovabili verso la rete di trasmissione (e quelle di distribuzione), al pari di tutti gli impianti che veicolano l’energia al sistema elettrico nazionale, non possono che risultare ‘direttamente funzionali all’erogazione del servizio a rete’ secondo la definizione utilizzata dal d.l. n. 146/2021 (come convertito dalla l. n. 215/2021), ricadendo, così, nel campo di applicazione del canone agevolato.
Ciò in quanto la filiera del sistema elettrico nazionale, che è una rete unica integrata, si compone di una serie di fasi di cui la produzione costituisce la fase antecedente a quelle di trasmissione, di dispacciamento e di distribuzione.
L’attività d’impresa svolta dalle società di produzione d’energia costituisce, così, una fase immediatamente antecedente e necessaria rispetto alle altre citate fasi della filiera del mercato elettrico (trasmissione, dispacciamento e distribuzione), fasi connesse da connaturati vincoli inscindibili, tali per cui:
-in assenza dell’una non possono trovare compimento le altre (c.d. vincolo di complementarietà);
tutte le menzionate attività sono poste in essere esclusivamente nell’interesse delle altre (c.d. vincolo di esclusività).
L’attività svolta dalle aziende di produzione, quindi, deve essere riconosciuta quale attività strumentale alla fornitura di servizi di pubblica utilità, come la distribuzione dell’energia elettrica.
Del resto, secondo la giurisprudenza interna e sovranazionale (la quale parla in genere di servizi di interesse generale), i fattori distintivi del pubblico servizio sono, da un lato, l’idoneità del servizio, sul piano finalistico, a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti, e, dall’altro, la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a norme di continuità, regolarità, capacità e qualità. Requisiti, entrambi, compresenti nel caso di specie, essendosi in presenza di un impianto capace di dare luogo ad un “servizio” e destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare una esigenza di rilevanza “pubblica’. A tal riguardo è opportuno evidenziare che l’art. 46 parla in generale di manufatti destinati all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi.
Nel solco di tale impostazione, Cass. nn. 1974/2005 e 25479/2008 affermano quanto segue: <>.
Non rappresenta un elemento ostativo al riconoscimento del regime ridotto la circostanza che l’RAGIONE_SOCIALE sia una società per azioni che persegue scopi di lucro.
Anche al riguardo, giova richiamare Cass., sez. un., n. 8628/20, secondo cui nessuna rilevanza può essere ascritta all’elemento dato dalla ritrazione dalla relazione materiale con la cosa pubblica di un personale beneficio economico: ‘In aderenza al dettato normativo di cui all’art. 39, come sopra interpretato, in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione per individuare il soggetto passivo della TOSAP diventa, infatti, irrilevante indagare a chi sia riconducibile l’interesse privato ritratto dall’occupazione, essendo sufficiente e, anzi, assorbente il rapporto esistente tra l’ente territoriale e il contribuente autorizzato, quale specifico destinatario dei provvedimenti con cui l’Amministrazione territoriale ha allo stesso trasferito, previo controllo della sussistenza dei necessari requisiti, facoltà e diritti sulla cosa pubblica alla stessa riservati’.
È, dunque, irrilevante, ai fini del riconoscimento della tariffa ridotto in esame, la natura di s.p.a. della contribuente, vieppiù se si considera che l’attenzione deve essere concentrata sul tipo di attività svolta, e non già sulla veste del soggetto che la esercita.
In ambito nazionale, si pensi alla l. n. 146 del 1990, che qualifica l’approvvigionamento di energie e dei prodotti energetici, come servizi pubblici essenziali, alla direttiva attuativa della Presidenza del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994, alla legge istitutiva della Autorità amministrativa per l’energia e il gas ex l. 14 novembre 1995, n. 481. Anche tale produzione normativa è stata il frutto di un prolungato dibattito interpretativo, essendosi passati,
nel tempo, dalla preferenza per un inquadramento “soggettivo” dell’attributo “pubblico” riferito al servizio, ad una lettura invece in senso “oggettivo” che riconosce rilevanza alle prestazioni dei servizi pubblici non in ragione del soggetto che ne assicura la fornitura, quanto delle caratteristiche oggettive delle prestazioni erogate in considerazione del numero indeterminato dei destinatari che ne traggono giovamento.
Del resto, se il soggetto occupante fosse pubblico, sarebbe già di per sé esente dall’imposizione, ai sensi dell’art. 49, lett. a), d.lgs. n. 507/1993.
Senza tralasciare che un servizio pubblico può essere assicurato anche da soggetti privati.
Parimenti, non possono valorizzarsi in senso contrario alla impostazione che si è inteso privilegiare le pronunce di questa Corte (Cass. nn. 13142/2022 e 13332/2022) secondo cui, in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), e con riguardo alle occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo, il criterio di determinazione della tassa previsto dagli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 per le occupazioni connesse all’esercizio ed alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici esercizi, secondo tale indirizzo, non sarebbe estensibile alle occupazioni con impianti privati, in quanto costituisce un criterio agevolato per ragioni di pubblica utilità, le quali non sussisterebbero nelle occupazioni con impianti privati (Cass. n. 16539 del 2017).
Invero, come condivisibilmente evidenziato dalla odierna ricorrente, a mezzo del rinvio alla pronuncia Cass. n. 16539/2017, l’occupazione da essa operata viene equiparata ad un’occupazione operata con impianto irriguo di un soggetto persona fisica, non considerando che i beni oggetto di accertamento appartengono ad una rete che costituisce la infrastruttura prima e principe ai fini della erogazione del pubblico servizio di distribuzione di energia.
Sotto tale profilo non può non assumere considerazione la rilevanza -senza dubbio nazionale -dell’infrastruttura di proprietà della società rispetto a quella meramente privata oggetto della citata sentenza n. 16539/2017.
Il precedente, che fonda le pronunce già emesse da codesta Suprema Corte ha, quindi, ad oggetto fattispecie non assimilabili a quella che oggi ci occupa, in quanto si riferisce ad un’occupazione operata con un impianto irriguo di un soggetto persona fisica per la soddisfazione di un bisogno personale non avvinta da alcun vincolo di complementarietà ed esclusività alla filiera nazionale dell’energia.
In questo senso è orientata anche la giurisprudenza penale di questa Corte, allorquando, in tema di furto aggravato di energia elettrica, afferma che <> (Cass. pen., Sez. 4, Sentenza n. 40162 del 2024).
Né può condividersi la tesi secondo cui, avendo la ricordata norma ‘agevolativa’, dal punto di vista sistematico, natura speciale (recando una deroga alle regole generali di determinazione della tariffa dovuta), sarebbe imposta una lettura ed interpretazione rigorosamente conforme al suo tenore letterale, senza ulteriori possibilità di applicazioni analogiche o di interpretazioni estensive (C.d.S. n. 01788/2013).
Invero, sebbene si sia in presenza di una tariffa agevolata (vale a dire, favorevole ai beneficiari), a ben vedere, si è al cospetto non già di una norma agevolativa (vale a dire, che introduce una deroga alle regole ordinarie), ma di un criterio ordinario di determinazione della tariffa di determinati beni. In particolare, il legislatore ha così effettuato, direttamente a livello normativo, una comparazione e una non irragionevole composizione degli interessi pubblici in gioco (quello dell’ente locale, comune e provinciale, di ricavare un’entrata dall’utilizzazione dei suoi beni pubblici e quello dei cittadini all’utilità derivante dall’erogazione di servizi pubblici), sottraendo la relativa valutazione all’ente impositore, considerandola una questione di interesse generale e non meramente localizzabile (Cons. Stato, sez. V, 25 novembre 2022, n. 10382; Cons. Stato n. 9184/2023.). Dunque in simili ipotesi, il sacrificio che la collettività sopporta per la occupazione di suolo pubblico, unitamente al vantaggio economico del soggetto che utilizza il suolo pubblico, trovano parziale ma notevole compensazione nel soddisfacimento degli interessi dei consociati e nella realizzazione di determinate utilità di rilevanza sociale (benefici sociali) che la stessa occupazione di suolo è in grado di
assicurare attraverso la installazione di impianti e di reti preordinate, per loro natura, allo svolgimento di un determinato servizio in favore della medesima collettività di riferimento territoriale.
Alla stregua delle considerazioni che precedono. non si pone, dunque, un problema di interpretazione estensiva.
Per quanto non sia applicabile ratione temporis (atteso che, a norma del comma 816 dell’art. 1 l. n. 160 del 2019, il canone patrimoniale ivi previsto è introdotto a partire dal 2021) alla fattispecie in oggetto, depone nel senso che si è inteso avallare anche la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5, comma 14 quinquies, lett. a) e b), del d.l. n. 146 del 21/10/2021, convertito con modificazioni nella l. n. 215 del 17/12/2021, il quale stabilisce che <>.
Proprio la disposizione di interpretazione autentica fa riferimento alle aziende che esercitano attività strumentali alla fornitura di servizi di pubblica utilità, dovendo l’espressione ‘quali la trasmissione di energia elettrica e il trasporto di gas naturale’ essere intesa come a titolo meramente esemplificativo.
D’altronde, anche il Consiglio di Stato, nelle più recenti sentenze (cfr., ad esempio, Cons. Stato, 4 novembre 2022, n. 9697 e 7 novembre 2022, n. 9759), sebbene con riferimento al canone unico patrimoniale, istituito con la legge n. 160 del 2019, ha riconosciuto la strumentalità dell’attività svolta dalle aziende di produzione rispetto alla fornitura di servizi di pubblica utilità, come la distribuzione dell’energia elettrica, così superando il precedente
orientamento (di cui resta, tuttavia, espressione Cons. Stato, 25 novembre 2022, n. 10382).
10.Sulla base dei rilievi che precedono, va enunciato il seguente principio di diritto: <>.
11.Con il quinto mezzo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione di legge dell’art. 5, d.lgs. n. 472/1997, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3), c.p.c. laddove la Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Molise ha ritenuto sussistente, ai fini sanzionatori, il requisito della colpevolezza nonostante la Società avesse dimostrato la mancata destinazione dei terreni de quibus allo svolgimento di un pubblico servizio attuale ed effettivo e la mancata effettiva sottrazione della superficie all’uso pubblico.
12.Con il sesto motivo, introdotto ai sensi del l’articolo 360, primo comma, n. 3), c.p.c., si deduce la violazione e/o falsa applicazione di legge ai sensi degli artt. 6, comma 2, del d.lgs. n. 472/1997, 8 del d.lgs. n. 546/1992 e 10, comma 3, della legge n. 212/2000; per avere i giudici regionali ritenuto che ‘la normativa applicabile
era chiara ed individuabile, senza incertezze applicative né interpretative’, respingendo la censura relativa alla invocata disapplicazione delle sanzioni. In particolare, si obietta che il comportamento sanzionato derivi da oggettive condizioni di incertezza circa la portata applicativa degli artt . 46 e 47, d.lgs. n. 507/1993 ed art. 63, d.lgs. n. 446/1997, in tema di applicabilità del regime TOSAP previsto per i soggetti che esercitano attività di pubblico servizio ovvero attività a questo strumentale.
13.Il settimo strumento di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di legge dell’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472/1997 in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3), c.p.c., in quanto pur avendo eccepito l’erroneità della sentenza impugnata in relazione all’illegittimità del provvedimento di irrogazione delle sanzioni contenuto nell’atto impugnato per violazione dell’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472/1997, il giudice d’appello ha affermato che <le sanzioni non sono state applicate per l'omessa denuncia, ma per il mancato pagamento della tassa. Sicché è proprio il presupposto della censura a non essere condivisibile. Peraltro, coerentemente il primo Giudice ha ridotto al 30% la misura delle sanzioni, conformandola al dettato normativo e non ha applicato il regime della continuazione considerando che ciascun periodo di imposta è distinto da quello precedente '. In particolare, i Giudici di seconde cure da un lato hanno condiviso la rimodulazione delle sanzioni nella misura del 30% operata dai Giudici di prime cure, e dall'altra negata l'applicazione dell'istituto della continuazione di cui all'art. 12, comma 5, cit. anche alle ipotesi di insufficiente versamento dei tributi locali (tale è la TOSAP).
14. La quinta censura è infondata.
Questo Collegio intende dare seguito a Cass. n. 21546/2024 secondo cui, ai sensi dell'articolo 5 del d.lgs n. 472/1997, l'affermazione della responsabilità del contribuente per la violazione di norme tributarie postula soltanto l'esistenza di una condotta
cosciente e volontaria, senza che occorra, da parte dell'amministrazione finanziaria, la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), o ancora di una volontà di evasione dell'imposta, anche a mero titolo di tentativo: ciò in quanto la norma stabilisce una presunzione di colpa a carico di colui che abbia posto in essere l'atto vietato, gravandolo dell'onere della prova contraria ( cfr , in tal senso, Cass. n. 9942/2022; Cass. n. 16463/2020, Cass. n. 2139/2020; Cass.n. 25057/2019; Cass. n. 22329/2018; Cass. n. 13068/2011).
15. Parimenti privo di pregio è il sesto mezzo di ricorso, atteso che le sanzioni amministrative sono state applicate per l'omesso versamento della Tosap in relazione alle aree occupate del patrimonio comunale, rispetto alla quale alcuna rilevanza assume la predicata incertezza in merito alla portata applicativa degli artt. 46 e ss d.lgs. n. 507/1993, risultando di tutta evidenza che, alla stregua della medesima tesi sostenuta da parte ricorrente, la società avrebbe dovuto versare il tributo calcolato secondo le disposizioni indicate, come modificate dalla lettera f, secondo comma, art. 63 d.lgs 446/1997, quantificando il tributo mediante l'applicazione delle misure unitarie delle tariffe per il numero complessivo delle utenze. L'incertezza normativa oggettiva tributaria è caratterizzata dall'impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile, e va distinta dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento è demandato esclusivamente al giudice e non può essere operato dall'amministrazione), come emerge dall'articolo 6 del d.lgs. n. 472 del 1997, che distingue le due figure, pur ricollegandovi i medesimi effetti (Cass. n. 12301 del 17 maggio 2017; Cass. 14 febbraio 2019 n. 4047); incertezza non ravvisabile nel caso in esame ove , la
medesima società ha individuato sin dal ricorso introduttivo le norme da applicarsi all'occupazione dei beni comunali.
16. L'ultimo strumento di ricorso merita accoglimento.
Secondo l'indirizzo consolidato di questa Corte (Cass. n. 11432/2022) in tema di ICI, in caso di più violazioni per omesso o insufficiente versamento che, in relazione ad uno stesso immobile, conseguono ad identici accertamenti per più annualità successive, deve trovare applicazione il regime della continuazione attenuata, di cui al d.lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, che consente di irrogare un'unica sanzione, pari alla sanzione base aumentata dalla metà al triplo. Il medesimo principio, poi, è stato ribadito nella successiva ordinanza n. 1787/2023 secondo cui (Cass. sentenza 11432/2022 cit.).
Pertanto, tenuto conto che il Comune ha irrogato la sanzione per omesso versamento in relazione alla medesima fattispecie per più annualità di imposta (2013, 2014, 2015, 2016, 2017 e 2018), la sentenza impugnata deve ritenersi illegittima laddove ha ritenuto non applicabile al caso di specie l’istituto della continuazione in virtù del principio dell’autonomia dei singoli periodi d’imposta.
18.Segue, l’accoglimento del quarto e del settimo motivo di ricorso, respinti gli altri. La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise, in diversa composizione, per l’accertamento del quantum della Tosap dovuta.
P.Q.M.
Accoglie il quarto ed il settimo motivo, respinti gli altri; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese di lite.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della