Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4511 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4511 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
SENTENZA
sul ricorso 14673/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, con sede legale in Roma, al INDIRIZZO 00198, in persona del suo procuratore speciale (giusta procura per notar Atlante rep. 65104, racc. 33786, del 17 marzo 2022, registrata il 21 marzo 2022) e rappresentante Dott.ssa NOME COGNOME nata a La Spezia (SP) il 15.05.1969 (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa, sia congiuntamente che disgiuntamente, dagli Avv.ti NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; indirizzo posta pec: EMAIL; fax: NUMERO_TELEFONO) e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; indirizzo posta pec: EMAIL; fax: NUMERO_TELEFONO, entrambi
Avviso accertamento Tosap -Occupazione con cavi per la produzione di energia elettrica
del foro di Roma, in forza di procura speciale allegata al ricorso, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio ‘RAGIONE_SOCIALE‘, in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Comune di Rocchetta a Volturno (C.F.: P_IVA e P.IVA: P_IVA, con sede in Rocchetta a Volturno (IS), alla INDIRIZZO 86070, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso, in virtù della delibera di Giunta comunale n. 48 del 20.07.2017 e della determinazione comunale di Rocchetta a Volturno n. 129 del 14.09.2017, come da mandato in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE, ed elettivamente domiciliato digitalmente con il seguente indirizzo pec: (fax: NUMERO_TELEFONO
indirizzo pec: EMAIL);
-controricorrente –
-avverso la sentenza n. 427/3/2022 emessa dalla CTR Molise in data 29/12/2022 e non notificata;
udite le conclusioni orali rassegnate dal P.G. Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi i difensori delle parti.
Fatti di causa
1. L’RAGIONE_SOCIALE impugnava innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Isernia l’avviso di accertamento prot. n. 414 del 27/01/2018 con il quale il Comune di Rocchetta al Volturno le aveva richiesto il pagamento della somma di € 13.520,59 a titolo di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap) non versata nell’anno 2016 per opere di proprietà della ricorrente insistenti sul territorio comunale.
La ricorrente censurava: la carenza di adeguata motivazione dell’avviso impugnato; il difetto di prova ex art. 2697 c.c. in ordine alla congruità ed alla correttezza della pretesa, non avendo l’ente impositore svolto alcuna istruttoria; il difetto di presupposto impositivo ex art. 38 del d.lgs. n.
507/1993, non essendo state adeguatamente individuate le superfici la cui occupazione avrebbe consentito l’applicazione della tassa; la mancata applicazione della tariffazione agevolata ex artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507/1993, applicabile, a suo dire, agli impianti ed ai manufatti destinati all’esercizio ed alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi. 2. La CTP di Isernia, con sentenza n. 147/2020 del 21/09/2020, accoglieva parzialmente il ricorso, riducendo le pretese comunali in conformità agli esiti dell’accertamento istruttorio peritale d’ufficio espletato.
Sull’impugnazione della contribuente, la CTR del Molise rigettava il gravame, affermando che: a) l’avviso impugnato conteneva il riferimento alle particelle interessate dall’attraversamento della condotta di adduzione di cui si discuteva e l’indicazione della tariffa applicata in relazione a ciascun tratto di suolo comunale per il quale era chiesto il pagamento della tassa, oltre che gli importi singolarmente dovuti; b) l’erroneità della pretesa comunale per la sovrastima delle superfici occupate e tassate non incideva sul fondamento della pretesa, rimanendo immutato l’ an debeatur ; c) del resto, alla errata quantificazione della pretesa comunale aveva posto rimedio, condivisibilmente, il primo giudice che, attraverso l’accertamento compiuto con lo strumento istruttorio peritale, aveva individuato in maniera corretta la misura dei b eni comunali occupati; d) da un lato, l’art. 1, commi 816 e ss., della l. n. 160/2019 è espressamente applicabile dal 2021 e non è retroattivo e, dall’altro lato, l’art. 5, comma 14-quinquies, lett. a) e b), del d.l. n. 146 del 21/10/2021, convertito con modificazioni nella l. n. 215 del 17/12/2021, contenente l’interpretazione autentica della disposizione normativa del 2019, fa riferimento alle aziende che esercitano bensì attività strumentali alla fornitura di servizi di pubblica utilità, ma relativamente alla trasmissione di energia elettrica (già prodotta), non consentendo la disposizione normativa richiamata di far riferimento all’attività di produzione quale attività strumentale alla erogazione del servizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro motivi. Il Comune di Rocchetta al Volturno ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza pubblica entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata e del procedimento per violazione degli artt. 7, comma 1, d.lgs. n. 546/1992 e 99, 112, e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per aver la Corte di Giustizia Tributaria di II Grado del Molise ritenuto sussistere nel caso di specie il presupposto impositivo TOSAP alla luce della qualificazione giuridica -quale ‘patrimonio indisponibile’ del Comune dei terreni oggetto di accertamento -effettuata dal consulente tecnico d’ufficio del tutto incidentalmente e, soprattutto, extra-petita , nella propria relazione, non costituendo la natura giuridica dei terreni un quesito commessogli dal giudice.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 7, comma 5-bis, d.lgs. n. 546/1992 e 38 d.lgs. n. 507/1993, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte di Giustizia Tributaria di II Grado del Molise ritenuto legittimo l’avviso di accertamento nonostante il Comune non avesse, a suo dire, fornito alcuna prova circa l’appartenenza dei terreni su cui insistono le opere oggetto di accertamento al patrimonio indisponibile del Comune, così come asseritamente indicato nell’atto impugnato.
I due motivi, da trattarsi congiuntamente, siccome strettamente connessi, sono infondati.
In primo luogo, in materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, o l’acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso (Cass., Sez. U, Sentenza n. 3086 del 01/02/2022).
Non è revocabile in dubbio che la ricomprensione nel patrimonio indisponibile comunale dell’area oggetto di occupazione privata e, come tale, sottoposta ad imposizione fosse stata dedotta sin dal primo grado di giudizio, rientrando nell’ambito dei fatti co stitutivi della pretesa tributaria.
In particolare, non è in contestazione la circostanza che quei fatti siano stati oggetto di allegazione tempestiva, ad opera della stessa parte onerata, posto che l’avviso di accertamento, stralcio del quale è trascritto in ricorso, si riferiva all’occupazione delle aree pubbliche, la quale deve appunto riguardare il patrimonio indisponibile o quello demaniale.
Ciò posto in fatto, quanto all’extra -petizione in cui sarebbe incorso il consulente tecnico d’ufficio, va ribadito che lo svolgimento, da parte del consulente tecnico d’ufficio, di considerazioni tecniche esulanti dall’ambito oggettivo del quesito non determina la nullità della consulenza, né quella derivata della sentenza, se è stata assicurata alle parti la possibilità di interloquire, sia dal punto di vista tecnico nel corso della c.t.u., sia dal punto di vista giuridico negli snodi processuali a ciò deputati, restando “assorbito” l’operato del consulente da quello del giudice (Cass., Sez. 3, Ordinanza 13/9/2024, n. 24695).
D’altronde, nel caso in esame, ricorrente ha omesso di attestare di aver tempestivamente eccepito sin dal primo grado di giudizio, ed all’esito del deposito della relazione peritale, la nullità (relativa) della consulenza tecnica d’ufficio. Invero, ha tras critto, in osservanza del principio di autosufficienza, a pagina 16 del ricorso, solo il passaggio dell’atto di appello nel quale ha espressamente, ma tardivamente, sollevato la questione della nullità della c.t.u.
3.2. La valutazione operata dal giudicante avrebbe potuto essere censurata sul presupposto della violazione dell’art. 116 c.p.c., assumendo che il collegio d’appello, nel valutare le risultanze della consulenza, non avrebbe operato secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una
specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014, n. 34474 del 2019, n. 20867 del 2020); con la conseguenza che risulta inammissibile la diversa doglianza proposta dalla ricorrente con riferimento ai profili processuali concernenti la consulenza di ufficio disposta in altro giudizio tra le medesime parti ed acquisite nel giudizio di merito conclusosi con la decisione impugnata con l’odierno ricorso per cassa zione (Cass. Sez. U, 20867/2020, 16598/2016; Cass. n. 9507/2023).
3.3 . La censura concernente la dedotta violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. per avere il giudice omesso di porre a carico dell’ente impositivo l’onere di provare i fatti costituitivi della pretesa ed, in particolare, di dimostrare la riconducibilità delle aree occupate al patrimonio indisponibile comunale, nonostante le contestazioni sollevate dalla contribuente che ne affermava invece l’appartenenza al patrimonio disponibile – si risolve, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).
E, difatti, una volta esclusa la fondatezza della prima censura concernente la dedotta nullità della consulenza espletata, l’accertamento dell’appartenenza delle strade vicinali e comunali al patrimonio indisponibile del Comune così come effettuata dal col legio d’appello non può essere rivalutato dalla Corte.
Come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare e che, comunque non è stato opportunamente censurato (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).
Il rigetto del primo motivo e il consolidamento dell’accertamento fattuale operato dai giudici distrettuali sulla base della relazione peritale espletata in giudizio -a sua volta fondata sui rilievi topografici e sulle mappe catastali – esclude la fondatezza della censura concernente la violazione della distribuzione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. La violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, ci oè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni (Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598); infondata è, pertanto, la asserita violazione dell’art 269 7 c.c. che non si configura quando, a seguito di una valutazione delle acquisizioni istruttorie, il decidente abbia ritenuto assolto implicitamente l’onere probatorio, apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 17313/2020).
Ne risulta assorbito altresì il profilo di censura concernente la violazione dell’art. 7, comma 5 -bis, del d.lgs. n. 546/92.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 d.lgs. n. 212/2000 e 1, comma 162, l. n. 296/2006, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte di Giustizia Tributaria di II Grado del Molise ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento nonostante: (a) l’assenza di un apparato motivazionale tale da consentire alla società di comprendere in modo chiaro e preciso: (i) i
presupposti di fatto e di diritto dell’accertamento; (ii) i criteri di qualificazione dell’occupazione; e (iii) i criteri di quantificazione della pretesa impositiva.
4.1. Il motivo è infondato.
La contribuente si duole, in particolare, della mancata indicazione, negli avvisi di accertamento impugnati, dei criteri di determinazione utilizzati per la quantificazione della tassa e per l’individuazione e la liquidazione della tariffa applicata.
In tema di tributi locali, l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21571 del 15/11/2004; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 26431 del 08/11/2017; v. altresì Cass., Sez. 5, Sentenza n. 7360 del 31/03/2011 e Cass., Sez. 5, Sentenza n. 27800 del 30/10/2019).
Non è revocabile in dubbio che, nel caso di specie, l’avviso di accertamento abbia evidenziato i momenti ricognitivi logico-deduttivi essenziali (le caratteristiche dell’occupazione, la superficie occupata, il terreno oggetto di imposizione, la tariffa comunale applicata, la normativa di riferimento -art. 4 delle Tariffe Tosap, con riduzione del 50% e l’imposta dovuta unitamente alle sanzioni e agli interessi -), consentendo, di conseguenza, al destinatario di svolgere efficacemente la propria difesa attraverso la tempestiva impugnazione dell’atto.
La odierna ricorrente ha, del resto, dimostrato, attraverso le censure
formulate sin dal primo grado di giudizio, di avere avuto piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli, appunto, puntualmente contestati.
La sentenza impugnata si è attenuta ai suddetti principi laddove ha correttamente ritenuto per un verso che fosse adeguatamente motivato un avviso di accertamento relativo alla TOSAP che indicasse la superficie imponibile e la tariffa applicata corrispondente a quella prevista dalla legge, ossia gli elementi costitutivi della pretesa tributaria avendo così l’Amministrazione posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente in giudizio l’ an ed il quantum debeatur e per un altro verso che una delibera del Comune, in quanto assistita da presunzione di conoscenza, fosse conoscibile dalla parte contribuente; né è emerso quale sarebbe il concreto ed effettivo pregiudizio subito al diritto di difesa che quest’ultima avrebbe asseritamente subito.
5. Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 44, 46 e 47 d.lgs. n. 507/1993, 63, d.lgs. n. 446/1997, 1, commi 3 e 4, l. n. 10/1991, e 2, comma 1, e 12, comma 1, d.lgs. n. 387/2003, in relazione all’artico lo 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte di Giustizia Tributaria di II Grado del Molise ritenuto legittimo l’avviso di accertamento all’interno del quale il Comune non ha fatto applicazione del regime ridotto TOSAP, omettendo di valorizzare lo svol gimento di un’attività strumentale a quelle di pubblico servizio da parte della società nella, a suo dire, erronea considerazione che la veste giuridica di società per azioni della ricorrente e, quindi, di ente con scopo di lucro, non consentisse di ritenerla tale.
5.1. Il motivo è fondato.
La questione che pone la doglianza in esame è se spetta la tariffa ‘agevolata’ prevista dagli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507/93 all’impresa di produzione dell’energia elettrica.
Sul piano unionale, se è vero che la separazione tra imprese produttrici e imprese distributrici è imposta dal diritto unionale (vedi direttiva 2009/72
e cfr. il considerando 24: ‘ La piena separazione effettiva delle attività di rete dalle attività di fornitura e generazione dovrebbe applicarsi in tutta la Comunità sia alle imprese della Comunità sia alle imprese non comunitarie’ , posto che, in base al considerando 9, ‘ In assenza di una separazione effettiva delle reti dalle attività di generazione e fornitura (separazione effettiva), vi è il rischio permanente di creare discriminazioni non solo nella gestione della rete, ma anche negli incentivi che hanno le imprese verticalmente integrate a investire in misura adeguata nelle proprie reti ‘; cfr. altresì i punti 35 e 80 di Corte giust. in causa C-718/18), è altrettanto vero che la separazione non esclude, tuttavia, che le imprese separate concorrano ai fini della prestazione del servizio energetico, la definizione del quale è fornita dall’art. 1, n. 7 della direttiva 2012/27/UE, applicabile ratione temporis (il ‘servizio energetico’ è ‘ la prestazione materiale, l’utilità o il vantaggio derivante dalla combinazione di energia con tecnologie o operazioni che utilizzano in maniera efficiente l’energia, che possono includere le attività di gestione, di manutenzione e di controllo necessarie alla prestazione del servizio, la cui fornitura è effettuata sulla base di un contratto e che in circostanze normali ha dimostrato di produrre un miglioramento dell’efficienza energetica o risparmi energetici primari verificabili e misurabili o stimabili ‘).
Pertanto, mentre analizzando il profilo soggettivo si perviene (per ragioni di concorrenza) all’affermazione della separazione tra le imprese produttrici e le altre della filiera, ponendo l’angolo prospettico dal punto di vista oggettivo si giunge ad una definizione del servizio energetico come unitario.
5.2. Per fornire una risposta all’indicato quesito è, comunque, imprescindibile ricostruire dal punto di vita normativo interno e sistematico la fattispecie in esame.
Le norme che hanno rilevanza diretta sono gli artt. 46 d.lgs. 15 novembre, n. 507 (in tema di Tosap), e 63 l. 15 dicembre 1997, n. 446 (in tema di Cosap).
La prima, al comma 1, stabilisce che:
<> (la sottolineatura è dello scrivente)
La seconda prevede che:
<>
<> (la sottolineatura è dello scrivente)
Dalla formulazione letterale delle disposizioni riportate si evince che, mentre per la Tosap il regime ridotto è riconosciuto solo nel caso di ‘erogazione di pubblici servizi’, quanto alla Cosap il detto regime è contemplato altresì per le occupazioni realizzate nell’esercizio di attività strumentali ai servizi pubblici.
5.3. Questa Corte, in tema di criteri di applicazione del d.lgs. n. 507 del 1993, artt. 46 e 47, ha rimarcato che dette disposizioni dettano un criterio differenziato, ed agevolato, di determinazione della tassa (per ragioni di pubblica utilità), di tipo forfetario, fondato sui parametri costituiti dalla lunghezza della strada e dalla parte di essa effettivamente occupata, e calcolato sulla base dell’unità di misura del chilometro lineare; ove, dunque, l’agevolazione consiste in ciò che – abbandonato il criterio della tassazione per metro lineare o quadrato, e prevista, invece, l’unità di misura costituita dal km lineare, quale che sia la sezione delle condutture, o l’ingombro dei cavi, o l’area occupata – la base imponibile del tributo va determinata tenendo conto dei due limiti costituiti, rispettivamente, dalla lunghezza del cavo – con conseguente indifferenza dei tratti che non siano effettivamente occupati – e dalla lunghezza della strada (qualora quella del cavo risulti superiore, come nel caso di posa di più cavi o condutture parallele, o di realizzazione di “bretelle” di allacciamento laterali; così Cass., 22 febbraio 2002, n. 2555).
Invece, il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, istituito dall’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, modificato dall’art. 31 della legge n. 448 del 1998, è stato concepito dal legislatore come un quid di ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dalla tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche. Esso è, infatti, configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici ed è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare (o eccezionale) che ne trae il singolo (v., tra le tante, Cass. n. 18037/2009).
L’art. 51 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, relativo al canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (cd. Cosap), ha previsto, al secondo comma del citato articolo, l’abolizione, dal 1° gennaio 1999, delle tasse per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap) di cui al capo II del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e all’art. 5 della legge 16 maggio 1970, n. 281. La norma, tuttavia, è stata abrogata, con effetto dal primo gennaio 1999, dall’art. 31, comma 14, legge 23 dicembre 1998, n. 448, e contestualmente il legislatore, sostituendo l’art. 63, primo comma, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, ha stabilito che le province e i comuni potessero prevedere che l’occupazione di suolo pubblico fosse “assoggettata al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa”.
In simile ambito, la determinazione del canone era originariamente disciplinata dall’art. 63, secondo comma, lett. f), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. La norma prevedeva che il canone fosse determinato mediante l’applicazione di “una speciale misura di tariffa determinata sulla base di quella minima prevista nel regolamento per ubicazione, tipologia ed importanza dell’occupazione, ridotta non meno del 50 per cento”. Più specificamente, “in sede di prima applicazione” il canone doveva essere determinato forfetariamente e la sua misura doveva essere calcolata mediante l’applicazione della tariffa al numero complessivo delle utenze. Tale regime è stato modificato dall’art. 18, primo e secondo comma, della
legge 23 dicembre 1999, n. 488, previa adozione dei nuovi criteri di determinazione forfetaria del canone e riformulazione dell’art. 63, secondo comma, lett. f), del d.lgs. n. 446/1997. Donde la norma prevede infine l’adozione, <>, di un canone determinato forfetariamente come segue: 1) per le occupazioni del territorio comunale, commisurandolo al numero complessivo delle relative utenze per la misura unitaria di tariffa riferita a determinate classi di comuni; 2) per le occupazioni del territorio provinciale, determinandolo nella misura del 20 per cento dell’importo risultante dall’applicazione della misura unitaria di tariffa di cui al numero 1), per il numero complessivo delle utenze presenti nei comuni compresi nel medesimo ambito territoriale.
Cosicché il metodo alternativo di determinazione forfetaria del canone, che avrebbe dovuto essere adottato solamente “in sede di prima applicazione”, è divenuto il normale criterio di quantificazione del Cosap. E quest’ultimo deve, infine, essere commisurato al numero complessivo delle utenze relative a ciascuna azienda di erogazione del pubblico servizio, per la misura unitaria di tariffa prevista in relazione a ciascuna classe di comune.
Con effetto dal primo gennaio 2000, peraltro, l’art. 18 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, ha adottato alcune modifiche all’art. 63, terzo comma, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. In particolare, ha stabilito che ” per la determinazione della tassa prevista al comma 1 relativa alle occupazioni di cui alla lett. f), del comma 2 , si applicano gli stessi criteri ivi previsti per la determinazione forfetaria del canone ‘ .
5.4. Tanto premesso in merito all’evoluzione normativa dei canoni di determinazione della Tosap e della Cosap, occorre verificare se il terzo comma dell’art. 63 cit. abbia sostituito i criteri di cui all’art. 47 d.lgs. n. 507/1997.
Al quesito hanno già dato risposta le sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., Sentenza 7 maggio 2020, n. 8628, punto 8.11; in termini, in
motivazione, Cass. n. 32869/21), secondo cui l’art.18 della legge n. 488/1999, sostituendo la lettera f) del secondo comma dell’art.63 del d.lgs. n.446/97, recante la disciplina del Cosap, ha introdotto una particolare modalità di determinazione del canone per tale tipo di occupazione permanente, basata sul numero di utenze attivate e ha esteso l’applicazione di tale criterio di calcolo anche alla TOSAP dovuta sulla medesima tipologia di occupazioni. La disposizione, hanno aggiunto le sezioni unite, è stata introdotta allo scopo di semplificare il criterio di determinazione della TOSAP, ritenendosi il metodo basato sulle utenze attive di più facile applicazione rispetto al precedente metodo incentrato sulla superficie effettivamente occupata.
In definitiva, le dianzi riportate modifiche al d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, pur avendo interessato un’entrata di carattere extratributario (il Cosap), hanno avuto un’incidenza anche sulla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap), in quanto alla tassa è stata infine estesa proprio la nuova disciplina per la determinazione forfetaria del canone per le occupazioni permanenti realizzate con cavi, condutture, impianti o qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi stessi. Con la conseguenza che per una tale tipologia di occupazioni, dal primo gennaio 2000, è stato abbandonato il criterio di determinazione forfetaria della tassa per chilometro lineare, in favore del più semplice criterio come sopra delineato, avente il fine di consentire una più agevole attività di quantificazione e di accertamento del tributo da parte dell’ente impositore.
Sebbene l’art. 51, comma 2, lett. a) del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, avesse previsto l’abrogazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap), la legge n. 448 del 23 dicembre 1998 ha soppresso tale abolizione, mantenendo di fatto l’applicazione della suddetta tassa che è regolamentata negli artt. 38-57 del d.lgs. 507/1993; tuttavia, la disposizione di cui all’art. 47 d.lgs. n. 507/1993 risulta, in parte, abrogata con l’introduzione del terzo comma dell’art. 63 cit.
Pertanto, le disposizioni di cui all’art. 47 citato continuano ad operare con
riferimento alle occupazioni (ad esempio, temporanee) non riconducibili a quelle disciplinate dal d.lgs. n. 446 del1997, art. 63, comma 2, lett. f), cit.. 5.5. In quest’ottica, alla società RAGIONE_SOCIALE è applicabile la disposizione agevolativa di cui all’art. 63, comma 2, lettera f), del d.lgs. n. 446 del 1997, in quanto soggetto che svolge attività strumentale a quello di pubblico servizio (aspetto sostanziale).
Invero, la stessa possiede entrambi i ridetti requisiti di cui all’art. 63, lett. f): essa svolge in effetti attività strumentale alla erogazione di un pubblico servizio, ossia la distribuzione dell’energia elettrica, senza allacci diretti con l’utenza fin ale ma con la sola rete di trasporto (dunque soltanto con i soggetti che erogano i pubblici servizi). La citata norma si applica, infatti, anche alle aziende esercenti attività strumentali all’erogazione di servizi pubblici, vale a dire alle aziende che hanno infrastrutture che permettono ad altri soggetti di fornire il servizio, ma che, al contrario di questi ultimi, non hanno alcun rapporto diretto con l’utente . In particolare, t ra le società esercenti attività strumentali all’erogazione di servizi pubblici rientrano anche le aziende che, pur ponendo in essere occupazioni con cavi e condutture, tuttavia non raggiungono con tali strutture i singoli utenti, in quanto trasportano i beni ed i servizi da erogare solo per un tratto limitato, al termine del quale subentra un altro vettore di diversa natura.
Ne consegue, dunque, che il concetto di rete di erogazione di pubblici servizi, cui il legislatore ha inteso attribuire un ruolo assorbente nella determinazione del particolare regime impositivo in esame, va inteso in senso unitario (così Cass., 20 maggio 2015, n. 10345 e Cass. n. 32869/2021); l’attività svolta dalle aziende di produzione, quindi, deve essere riconosciuta quale attività strumentale alla fornitura di servizi di pubblica utilità, come la distribuzione dell’energia elettrica.
Gli impianti sotterranei che trasportano l’energia prodotta dagli impianti degli operatori delle energie rinnovabili verso la rete di trasmissione (e quelle di distribuzione), al pari di tutti gli impianti che veicolano l’energia al sistema elettrico nazionale, non possono che risultare ‘direttamente funzionali all’erogazione del servizio a rete’ secondo la definizione utilizzata
dal d.l. n. 146/2021 (come convertito dalla l. n. 215/2021), ricadendo, così, nel campo di applicazione del canone agevolato.
Ciò in quanto la filiera del sistema elettrico nazionale, che è una rete unica integrata, si compone di una serie di fasi di cui la produzione costituisce la fase antecedente a quelle di trasmissione, di dispacciamento e di distribuzione.
L’attività d’impresa svolta dalle società di produzione d’energia costituisce, così, una fase immediatamente antecedente e necessaria rispetto alle altre citate fasi della filiera del mercato elettrico (trasmissione, dispacciamento e distribuzione), fasi connesse da connaturati vincoli inscindibili, tali per cui:
in assenza dell’una non possono trovare compimento le altre (c.d. vincolo di complementarietà);
tutte le menzionate attività sono poste in essere esclusivamente nell’interesse delle altre (c.d. vincolo di esclusività).
L’attività svolta dalle aziende di produzione, quindi, deve essere riconosciuta quale attività strumentale alla fornitura di servizi di pubblica utilità, come la distribuzione dell’energia elettrica.
Del resto, secondo la giurisprudenza interna e sovranazionale (la quale parla in genere di servizi di interesse generale), i fattori distintivi del pubblico servizio sono, da un lato, l’idoneità del servizio, sul piano finalistico, a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti, e, dall’altro, la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a norme di continuità, regolarità, capacità e qualità. Requisiti, entrambi, compresenti nel caso di specie, essendosi in presenza di un impianto capace di dare luogo ad un “servizio” e destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare una esigenza di rilevanza “pubblica’. A tal riguardo è opportuno evidenziare che l’ art. 46 parla in generale di manufatti destinati all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi.
Nel solco di tale impostazione, Cass. nn. 1974/2005 e 25479/2008 affermano quanto segue: <>. Del resto, come nitidamente ha spiegato da Cass. n. 32689/2021 (in motivazione): <>.
5.6. Non rappresenta un elemento ostativo al riconoscimento del regime ridotto la circostanza che l’RAGIONE_SOCIALE sia una società per azioni che persegue scopi di lucro.
Anche al riguardo, giova richiamare Cass., sez. un., n. 8628/20, secondo cui nessuna rilevanza può essere ascritta all’elemento dato dalla ritrazione dalla relazione materiale con la cosa pubblica di un personale beneficio economico: ‘In aderenza al dettato normativo di cui all’art.39, come sopra interpretato, in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione per individuare il soggetto passivo della TOSAP diventa, infatti, irrilevante indagare a chi sia riconducibile l’interesse privato ritratto dall’occupazione, essendo sufficiente e, anzi, assorbente il rapporto esistente tra l’ente territoriale e il contribuente autorizzato, quale specifico destinatario dei provvedimenti con cui l’Amministrazione territoriale ha allo stesso trasferito, previo controllo della sussistenza dei necessari requisiti, facoltà e diritti sulla cosa pubblica alla stessa riservati’.
È dunque irrilevante ai fini del riconoscimento della tariffa ridotto in esame, della natura di s.p.a. della contribuente, vieppiù se si considera che l’attenzione deve essere concentrata sul tipo di attività svolta, e non già sulla veste del soggetto che la esercita.
In ambito nazionale, si pensi alla l. n. 146 del 1990, che qualifica l’approvvigionamento di energie e dei prodotti energetici, come servizi
pubblici essenziali, alla direttiva attuativa della Presidenza del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994, alla legge istitutiva della Autorità amministrativa per l’energia e il gas ex l. 14 novembre 1995, n. 481. Anche tale produzione normativa è stata il frutto di un prolungato dibattito interpretativo, essendosi passati, nel tempo, dalla preferenza per un inquadramento “soggettivo” dell’attributo “pubblico” riferito al servizio, ad una lettura invece in senso “oggettivo” che riconosce rilevanza alle prestazioni dei servizi pubblici non in ragione del soggetto che ne assicura la fornitura, quanto delle caratteristiche oggettive delle prestazioni erogate in considerazione del numero indeterminato dei destinatari che ne traggono giovamento.
Del resto, se il soggetto occupante fosse pubblico, sarebbe già di per sé esente dall’imposizione, ai sensi dell’art. 49, lett. a), d.lgs. n. 507/1993.
Senza tralasciare che un servizio pubblico può essere assicurato anche da soggetti privati.
5.7. Parimenti, non possono valorizzarsi in senso contrario alla impostazione che si è inteso privilegiare le pronunce di questa Corte (Cass. nn. 13142/2022 e 13332/2022) secondo cui, in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), e con riguardo alle occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo, il criterio di determinazione della tassa previsto dagli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 per le occupazioni connesse all’esercizio ed alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici esercizi, secondo tale indirizzo, non sarebbe estensibile alle occupazioni con impianti privati, in quanto costituisce un criterio agevolato per ragioni di pubblica utilità, le quali non sussisterebbero nelle occupazioni con impianti privati (Cass. n. 16539 del 2017).
Invero, come condivisibilmente evidenziato dalla odierna ricorrente, a mezzo del rinvio alla pronuncia Cass. n. 16539/2017, l’occupazione da essa operata viene equiparata ad un’occupazione operata con impianto irriguo di un soggetto persona fisica, non considerando che i beni oggetto di accertamento appartengono ad una rete che costituisce la infrastruttura prima e principe ai fini della erogazione del pubblico servizio di distribuzione
di energia.
Sotto tale profilo non può non assumere considerazione la rilevanza -senza dubbio nazionale -dell’infrastruttura di proprietà della società rispetto a quella meramente privata oggetto della citata sentenza n. 16539/2017.
Il precedente, che fonda le pronunce già emesse da codesta Suprema Corte ha, quindi, ad oggetto fattispecie non assimilabili a quella che oggi ci occupa, in quanto si riferisce ad un’occupazione operata con un impianto irriguo di un soggetto persona fisica per la soddisfazione di un bisogno personale non avvinta da alcun vincolo di complementarietà ed esclusività alla filiera nazionale dell’energia.
5.8. Né può condividersi la tesi secondo cui, avendo la ricordata norma ‘agevolativa’, dal punto di vista sistematico, natura speciale (recando una deroga alle regole generali di determinazione della tariffa dovuta), sarebbe imposta una lettura ed interpretazione rigorosamente conforme al suo tenore letterale, senza ulteriori possibilità di applicazioni analogiche o di interpretazioni estensive (C.d.S. n. 01788/2013).
Invero, sebbene si sia in presenza di una tariffa agevolata (vale a dire, favorevole ai beneficiari), a ben vedere, si è al cospetto non già di una norma agevolativa (vale a dire, che introduce una deroga alle regole ordinarie), ma di un criterio ordinario di determinazione della tariffa di determinati beni.
In particolare, il legislatore ha così effettuato, direttamente a livello normativo, una comparazione e una non irragionevole composizione degli interessi pubblici in gioco (quello dell’ente locale, comune e provinciale, di ricavare un’entrata dall’utilizz azione dei suoi beni pubblici e quello dei cittadini all’utilità derivante dall’erogazione di servizi pubblici), sottraendo la relativa valutazione all’ente impositore, considerandola una questione di interesse generale e non meramente localizzabile (Cons. Stato, sez. V, 25 novembre 2022, n. 10382; Cons. Stato n. 9184/2023.). Dunque in simili ipotesi, il sacrificio che la collettività sopporta per la occupazione di suolo pubblico, unitamente al vantaggio economico del soggetto che utilizza il suolo pubblico, trovano parziale ma notevole compensazione nel
soddisfacimento degli interessi dei consociati e nella realizzazione di determinate utilità di rilevanza sociale (benefici sociali) che la stessa occupazione di suolo è in grado di assicurare attraverso la installazione di impianti e di reti preordinate, per loro natura, allo svolgimento di un determinato servizio in favore della medesima collettività di riferimento territoriale.
Alla stregua delle considerazioni che precedono. non si pone, dunque, un problema di interpretazione estensiva.
5.9. Per quanto non sia applicabile ratione temporis ( posto che l’art. 1, comma 816, l. 160/2019 ha introdotto il canone patrimoniale ivi previsto a decorrere dal 2021) alla fattispecie in oggetto, depone nel senso che si è inteso avallare anche la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5, comma 14 quinquies, lett. a) e b), del d.l. n. 146 del 21/10/2021, convertito con modificazioni nella l. n. 215 del 17/12/2021, il quale stabilisce che <>.
Proprio la disposizione di interpretazione autentica fa riferimento alle aziende che esercitano attività strumentali alla fornitura di servizi di pubblica utilità, dovendo l’espressione ‘quali la trasmissione di energia elettrica e il trasporto di gas natu rale’ essere intesa come a titolo meramente esemplificativo.
D’altronde, anche il Consiglio di Stato, nelle più recenti sentenze (cfr., ad esempio, Cons. Stato, 4 novembre 2022, n. 9697 e 7 novembre 2022, n. 9759), sebbene con riferimento al canone unico patrimoniale, istituito con la legge n. 160 del 2019, ha ricon osciuto la strumentalità dell’attività svolta dalle aziende di produzione rispetto alla fornitura di servizi di pubblica utilità, come la distribuzione dell’energia elettrica, così superando il precedente orientamento (di cui resta, tuttavia, espressione Cons. Stato,
25 novembre 2022, n. 10382).
5.10. Sulla base dei rilievi che precedono, va enunciato il seguente principio di diritto: <>.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, in accoglimento del quarto motivo, la sentenza impugnata va cassata, con conseguente rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo, rigetta i restanti, cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise in differente composizione.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della