Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4510 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4510 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18043/2022 R.G. proposto da: COMUNE DI COGNOME, in persona del sindaco p.t., elettivamente domiciliato in Campobasso INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del ricorso
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente
agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale allegato al ricorso -ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MOLISE n. 110/2022 depositata il 29/03/2022.
Udita la relazione svolta all’udienza pubblica del 12/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le conclusioni orali rassegnate dal P.G. Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale; uditi i difensori delle parti.
FATTI DI CAUSA
1.La società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento prot. n. 390 del 25.01.2018, relativa a Tosap per l’anno di imposta 2013, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Isernia, che, in data 15.03.2019, annullava il summenzionato avviso di accertamento.
Avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale n. 31/2019 il Comune di Rocchetta a Volturno proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale per il Molise, sottolineando che la menzionata sentenza appariva erronea ed illegittima e chiedendone la riforma, con conseguente conferma dell’atto di accertamento impugnato.
La Commissione Tributaria Regionale per il Molise, con la sentenza n. 110/2022, accoglieva l’appello proposto dal Comune di Rocchetta a Volturno: ‘…annulla l’intimazione di pagamento impugnata limitatamente alla determinazione della superficie soggetta a tassazione (in 278 mq.) e alla mancata applicazione della tariffa agevolata; l’appello incidentale deve invece essere dichiarato inammissibile essendo stata la contribuente interamente vittoriosa in primo grado>.
Il Comune di Rocchetta a Volturno ricorre per la cassazione della sentenza di appello sulla base di tre motivi, illustrati con memorie difensive depositate in prossimità dell’udienza.
Replica con controricorso e memorie difensive la società RAGIONE_SOCIALE che propone ricorso incidentale fondato su due motivi. Replica con controricorso al ricorso incidentale l’amministrazione comunale.
Il P.G., nel ribadire la requisitoria scritta, ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del controricorso proposto in via incidentale.
MOTIVI DI DIRITTO
1.La prima censura del ricorso principale, introdotta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.5) c.p.c., prospetta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.; per avere il decidente erroneamente quantificato la superficie comunale occupata dalle gallerie. Si assume che l’obbligazione tributaria Tosap colpisce tutte le occupazioni di spazio e aree pubbliche: non solo quelle fatte espressamente oggetto di concessione o autorizzazione da parte dell’ente territoriale ma, anche (ovvero in assenza di tali atti), quelle poste in essere di fatto, anche abusivamente (Sez. U, n. 8628 del 07/05/2020); -che, con specifico riferimento alle occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo connesse all’esercizio ed alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, la normativa dettata dal d. lgs. 15 novembre 1993, n. 507 impone al Comune o alla Provincia di accertare l’ammontare del tributo sulla base dell’occupazione effettiva, misurata secondo la lunghezza della parte di strade pubbliche occupata dagli impianti; – che, tuttavia, il Collegio d’appello ha annullato integralmente la pretesa impositiva , ancorchè fosse incontestato tra le parti che la superficie effettivamente occupata dall’opera in questione risultava pari a 278 mq. a fronte degli 830 indicati nell’avviso di accertamento -, come
emerso dalla consulenza di ufficio disposta in altro giudizio, nell’ambito del contenzioso tra le medesime parti per la TOSAP dovuta in relazione ad altri anni di imposta e che, secondo il decidente, dovessero applicarsi le tariffe agevolate di cui agli artt. 45 e 46 del d.lgs. cit.
Si soggiunge, altresì, che la normativa in materia, all’art. 50 del d.lgs. n. 507/93, prevede espressamente la necessità e doverosità di una denuncia , da parte del soggetto concessionario e/o occupante di fatto (come anche precisato peraltro da giurisprudenza), della occupazione di suolo pubblico ai fini Tosap da presentare all’ente proprietario del suolo pubblico (nel caso di specie il comune di Rocchetta a Volturno); denuncia di occupazione che non risulta essere stata mai effettuata da parte dell’odierna società resistente.
2.Riqualificata la prima censura del ricorso principale veicolato attraverso il canone censorio di cui al n. 5) dell’art. 360, primo comma, c.p.c., come vizio di nullità della sentenza impugnata ex art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c. e non come omesso esame di un fatto storico, il motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
2.2 Ancorchè, nel dispositivo, il decidente abbia annullato l’atto impositivo limitatamente alle aree appartenenti al Comune determinate dal consulente di ufficio in 278 mq. – e con riferimento alla mancata applicazione della tariffa , nella motivazione risulta evidente che l’area occupata di mq 278 dalle opere di proprietà Enel appartenente al Comune deve essere tassata secondo i criteri tariffari di cui agli artt. 46 e ss d.lgs. 15.11.1993, n. 507, in guisa che la diversa formulazione del dispositivo risulta il prodotto di una semplice svista o lapsus calami, per cui non si ravvisa incongruenza tra motivazione e dispositivo, atteso che dall’intero testo della sentenza appare evidente che trattasi di mero errore materiale(Cass. n. 22433 del 26/09/2017). Il contrasto tra la formulazione letterale del dispositivo della
pronuncia impugnata e quanto dichiarato in motivazione, non incidendo sull’idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale, non integra un vizio attinente alla portata concettuale e sostanziale della decisione, bensì un errore materiale, correggibile ai sensi degli artt. 287 e 391-bis c.p.c., trattandosi di ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, rilevabile “ictu oculi” dal testo del provvedimento, senza che venga in rilievo un’inammissibile attività di specificazione o di interpretazione della sentenza di legittimità (Cass. n. 668/2019; Cass. n. 26074/2018; Cass. n. 24600/2017; Cass. n. 15231/2012).
Questa Corte è ferma nel ritenere che in tema di contenzioso tributario, il contrasto tra formulazione letterale del dispositivo e pronuncia adottata in motivazione, che non incida sull’idoneità del provvedimento a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale, integra un errore materiale, emendabile con la procedura prevista dall’art. 287 cod. proc. civ. (applicabile anche nel procedimento dinanzi alle commissioni tributarie), e non denunciabile con l’impugnazione della sentenza (cfr.Cass. 15.10.2006, n.16488; Cass. 19.07.2008, n. 29490; Cass. n . 22433 del 26/09/2017; Cass. 12846 del 14/05/2019).
3.Sotto il profilo concernente l’omessa valutazione della censura relativa alla eccepita mancata presentazione della previa denuncia ex art. 50 d.lgs. summenzionato, si osserva quanto segue.
3.1. Il motivo, pur proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., va ricondotto alla violazione di legge, visto che denuncia l’erronea applicazione della tariffa agevolata in assenza di una espressa richiesta del contribuente, ed è in questi termini ammissibile. E’, tuttavia, infondato.
L’art. 46 del d.lgs. n. 507 del 1993, nello stabilire che le occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo stradale con condutture, cavi, impianti in genere ed altri manufatti destinati all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, compresi quelli posti sul suolo e collegati alle reti stesse, nonché con seggiovie e funivie sono tassate in base ai criteri stabiliti dall’art. 47 (oggi sostituiti da quelli di cui all’art. 63, comma 2, lett. f, del d.lgs. n. 446 del 1997, in virtù del comma 3, secondo periodo di tale disposizione), si limita a stabilire i criteri per la determinazione del quantum del tributo, senza subordinarne l’applicazione di tale regime ad una espressa richiesta da parte del contribuente.
Invero, l’omessa presentazione della denuncia, contenente le informazioni necessarie per la quantificazione del tributo, comporta solo la legittimità di un accertamento adottato in base alle informazioni disponibili al Comune, desumibili dagli atti in suo possesso, mentre non incide affatto sul regime tariffario applicabile (così Cass., Sez. 5, 16 dicembre 2011, n. 27166, secondo cui, in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, l’art. 50 del d.lgs. n. 507 del 1993 impone al contribuente di denunciare l’occupazione e di versare la tassa sulla base delle opere da effettuare, dei tempi di esecuzione e della superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico, con la conseguenza che in mancanza dei prescritti adempimenti e del pagamento entro i termini di legge, l’ente territoriale, titolare del potere impositivo, è autorizzato a procedere alla liquidazione d’ufficio del tributo con le informazioni in suo possesso, contenute nel provvedimento autorizzativo, ossia con i dati indicati dallo stesso contribuente, senza che in ciò possa, quindi, ravvisarsi alcun accertamento induttivo; v. anche in questo senso Cass., Sez. 5, 10 maggio 2005, n. 9697 e Cass., Sez. 5, 16 maggio 2005, n. 10263). Non è, difatti, condivisibile il precedente isolato di questa Corte (Cass., Sez. 5, 20 maggio 2015, n. 10349),
secondo cui, in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, vale il principio esteso a tutti i tributi locali, in base al quale le deroghe ai criteri generali di tassazione non operano in via automatica, per la mera affermata sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo, invece, i relativi presupposti essere di volta in volta dedotti nella denuncia appositamente presentata secondo il regime proprio del tributo in questione. Non si rinviene, difatti, nella disciplina dei tributi locali tale regola o principio generale. Né possono estendersi, in tema di t.o.s.a.p., le regole specificamente dettate per altri tributi. In particolare, non possono applicarsi alla t.o.s.a.p. gli artt. 62 e 66 del d.lgs. n. 507 del 1993, che espressamente subordinano, in tema di t.a.r.s.u., le deroghe alla tassazione e le riduzioni delle superfici e tariffe stabilite non al mero ricorrere delle situazioni di fatto, ma alla allegazione dei presupposti nella denuncia originaria o in quella di variazione, essendo la t.o.s.a.p. e la t.a.r.s.u. tributi differenti, i cui presupposti impositivi non presentano similitudini, e le cui discipline sono del tutto autonome e prive di connessioni o interferenze. Del resto, la regola dettata in materia di t.a.r.s.u. si collega all’esigenza, da parte dell’ente impositore, di venire a conoscenza, anche ai fini dell’esercizio di poteri di accertamento e verifica, di situazioni di cui altrimenti resterebbe ignaro, mentre, nel caso in esame, in cui è inammissibile un accertamento induttivo, l’azione impositiva, che si fonda su un accertamento diretto, esige la verifica della natura dell’occupazione. Il motivo deve, quindi, essere accolto in virtù del seguente principio di diritto : in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, il regime previsto dall’art. 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 (oggi sostituito, in parte, dall’art. 63, comma 2, lett. f, del d.lgs. n. 446 del 1997) non è subordinato all’espressa richiesta del contribuente e deve essere applicato dall’ente impositore laddove ne ricorrano i presupposti.
Discostandosi dall’ordine di prospettazione dei motivi in ricorso, è opportuno esaminare con priorità il primo motivo del ricorso incidentale.
4.1.Con detto motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione di legge dell’art. 7, legge n. 212/200, nonchè dell’art. 1, comma 162, della legge n. 296/2006 in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3), c.p.c. in materia di motivazione dell’avviso di accertamento. Si deduce che la sentenza impugnata è errata per aver dichiarato l’inammissibilità dell’appello incidentale, ritenendo la società totalmente vittoriosa in primo grado, che, al contrario, era rimasta soccombente con riferimento all’eccezione di carenza motivazionale dell’atto impositivo. Ciò posto, l’Enel reitera la censura relativa al deficit motivazionale dell’avviso di accertamento, in quanto si limita ad indicare la tariffa applicabile per metro quadrato e la maggiore imposta dovuta, senza esplicitare le ragioni di fatto e di diritto poste alla base dell’avviso di accertamento.
4.2.Il motivo di impugnazione incidentale è infondato.
In primo luogo, pur avendo ritenuto inammissibile il gravame, i giudici regionali, contrariamente a quanto prospettato dalla società, hanno affrontato la questione della dedotta carenza motivazionale dell’avviso, respingendo l’appello incidentale.
E’ opportuno ricordare, con riguardo alla sufficienza della motivazione dell’atto impositivo, che la motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica, presidiata dalla legge 27 luglio 2002, n. 212, articolo 7, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria (Cfr. Cass. n. 6325 del 2/03/2023). In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti
astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., Sez. 5^, 26 gennaio 2021, n. 1569; Cass., Sez. 6^5, 3 febbraio 2021, n. 2348; Cass., Sez. 5^, 11 giugno 2021, n. 16681; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 18 novembre 2022, n. 34014; Cass., Sez. 5^, 17 ottobre 2023, n. 28758; Cass., Sez. 5^, 31 gennaio 2024, n. 2929; Cass., Sez. 5^, 12 marzo 2024, n. 6501; Cass. Sez. 5^, 29845 del 20/11/2024); né detto onere di motivazione comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 24 gennaio 2018, n. 1694; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 7 dicembre 2022, nn. 36028 e 36032; Cass., Sez. 5^, 5 agosto 2024, n. 22031). La motivazione dell’atto tributario costituisce, in tale prospettiva, uno strumento essenziale di garanzia del contribuente, soggetto inciso nella propria sfera giuridica dall’amministrazione finanziaria nell’esercizio del suo potere di imposizione fiscale, e si inserisce nell’ambito di quei presidi di legalità che, anche in forza delle norme dello statuto dei diritti del contribuente (v. l’art. 7), assolvono l’essenziale funzione di garantire la conoscenza e l’informazione dello stesso contribuente in ordine ai fatti posti a fondamento della pretesa fiscale e ai presupposti giuridici della stessa, nel quadro dei principi generali di collaborazione, trasparenza e buona fede che devono improntare, in quanto espressivi di civiltà giuridica, i rapporti tra esso e
l’amministrazione. Ne derivano due conseguenze: da un lato, che nell’avviso di accertamento, al fine di realizzarne in pieno l’anzidetta finalità informativa, devono confluire tutte le conoscenze dell’ufficio tributario e deve essere esternato con chiarezza, sia pur sinteticamente, l’iter logico-giuridico seguito per giungere alla conclusione prospettata (v. Cass. n. 1905-07); dall’altro, che le ragioni poste a base dell’atto impositivo segnano i confini del processo tributario, che è comunque un giudizio d’impugnazione dell’atto, sì che l’ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse e/o modificare, nel corso del giudizio, quelle emergenti dalla motivazione dell’atto (v. già Cass. n. 17762-02). Ciò non esclude, ovviamente, il potere del giudice di qualificare autonomamente la fattispecie posta a fondamento della pretesa fiscale, ne’ di esercitare d’ufficio alcuni poteri cognitori. Ma sempre che non ne resti alterata la sostanza dell’accertamento in ordine agli elementi da cui esso risulti esser stato informato (v. tra le tante Cass. n. 25726-09; n. 20398-05; n. 22932-05; Cass. n. 239 del 12.11.2021; Cass. n. 6325 del 2/03/2023).
4.3. Questa Corte ha più volte ribadito il principio di diritto secondo cui l’obbligo legale di motivazione degli atti tributari può essere assolto anche per relationem, tramite il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale – per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente (ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale) di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento – o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di
precedente notificazione (Cass. n. 6914 del 2011; Cass., n. 13110 del 2012; Cass. n. 4176 del 2019; Cass., n. 29968 del 2019; Cass. n. 593 del 2021; Cass. n. 33327 del 2023).
Questo orientamento secondo cui «Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale», trova ulteriore conferma nella novella di cui al d.lgs. 30 dicembre 2023 n. 219 che ha modificato l’art. 7 della legge n. 212/2000 stabilendo, al comma 1, che «Gli atti dell’amministrazione finanziaria, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, sono motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, che non è già stato portato a conoscenza dell’interessato lo stesso è allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale e la motivazione indica espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell’atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati». E’ stato altresì precisato che l’onere di allegazione si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (Cass. n. 15327 del 2014) e che, al fine di soddisfare il requisito della motivazione dell’accertamento, è sufficiente che l’atto esterno, richiamato da quello impositivo, sia, se non effettivamente conosciuto, quanto meno conoscibile dal contribuente destinatario dell’avviso. Ciò vale non solo per gli atti già oggetto di precedente notificazione al contribuente (Cass. n. 13110 del 2012), o sottoposti a pubblicità legale, ma anche per atti che si possano presumere, solo iuris tantum, conosciuti dal destinatario dell’accertamento (Cass. n. 26527 del 2014; Cass. n. 24254 del 2015; Cass. n. 27628 del 2018) e siano, quantomeno, agevolmente conoscibili (Cass. n. 8016 del 2024; Cass. n. 33327
del 2023; Cass. n. 593 del 2021; Cass. n. 32127 del 2018; Cass. n. 14275 del 2018; Cass. n. 28060 del 2017; Cass. n. 12312 del 2017).
Detta interpretazione, secondo cui non è nullo l’accertamento la cui motivazione fa riferimento ad un altro atto ad esso non allegato, ma conoscibile agevolmente dal contribuente, realizza un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa (e quindi di buon andamento dell’amministrazione, ex art. 97 Cost.) -che giustificano l’ammissibilità, anche normativa, della motivazione per relationem (cfr. Cass. n. 1906 del 2008, in motivazione) – ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (rilevante ex artt. 24 e 111 Cost.) nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, che sarebbe illegittimamente compresso se la conoscibilità dell’atto esterno richiamato dalla motivazione non fosse agevole, ma richiedesse un’attività di ricerca complessa (Cass., Sez. V, Ordinanza 7 aprile 2022, n. 11283; Cass., 15 gennaio 2021, n. 593; Cass., Sez. V, 12 dicembre 2012, n. 21127; Cass., Sez. V, 24 novembre 2017, n. 28060; Cass., Sez. V, 17 giugno 2011, n. 13321).
La sentenza impugnata si è attenuta ai suddetti principi laddove ha correttamente ritenuto, per un verso, che fosse adeguatamente motivato un avviso di accertamento relativo alla TOSAP che indicasse la superficie imponibile e la tariffa applicata corrispondente a quella prevista dalla legge, ossia gli elementi costitutivi della pretesa tributaria avendo così l’Amministrazione posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente in giudizio l'”an” ed il “quantum debeatur” e, per un altro verso, che una delibera del Comune, in quanto assistita da presunzione di conoscenza, fosse conoscibile dalla parte contribuente; né è emerso quale sarebbe il concreto ed effettivo pregiudizio subito al diritto di difesa che quest’ultima avrebbe asseritamente subito.
Ritornando all’ordine di prospettazione dei motivi, occorre scrutinare il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 44, 46 e 47, d.lgs. n. 507/1993, nonchè degli artt. 63, d.lgs. n. 446/1997, 1, commi 3 e 4, legge n. 10/1991 e degli artt. 2, comma 1 e 12, comma 1, d.lgs. n.387/2003, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3), c.p.c ed in relazione all’art. 360, primo comma, n.5) c.p.c.; per avere i giudici distrettuali ritenuto applicabile la disciplina normativa di cui agli art. 46 e 47 del d.lgs. n. 507/1993 alla fattispecie di causa, sul presupposto che l’opera realizzata dalla società RAGIONE_SOCIALE sul suolo comunale – costituta da condotte interrate e fuori terra, che svolgono la funzione di trasportare l’acqua necessaria al funzionamento della Centrale RAGIONE_SOCIALE per la produzione di energia elettrica – in quanto funzionali all’esercizio della centrale idroelettrica sono dirette alla erogazione di un servizio pubblico. Erra ancora il collegio d’appello nella parte in cui fa applicazione dell’art. 63, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 463 del 1997 che, ai fini della applicazione forfettaria del Cosap (alternativo alla Tosap), equipara le occupazioni realizzate da aziende erogatrici di servizi pubblici a quelle poste in essere da aziende «esercenti attività strumentali ai servizi medesimi». Si obietta che non sussistono, in concreto, i presupposti per l’applicazione della tariffazione agevolata, ai sensi degli art. 46 e 47 del d.lgs. n. 507/1993, poiché, a prescindere dalla mancata presentazione della domanda ex art. 50 del d.lgs. n. 507/93 da parte resistente, la natura delle opere in questione esclude l’applicazione delle agevolazioni di cui alle disposizioni citate. Si afferma che la tariffazione agevolata come si evince dagli art. 46 e ss. del d.lgs. n. 507/93 presuppone che: ‘le occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo stradale con condutture, cavi ed impianti in genere e con seggiovie e funivie sono tassate in base ai criteri stabiliti dall’art. 47’… e quest’ultimo prevede che “la tassa
per le occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo stradale di cui all’art. 46 è determinata forfettariamente in base alla lunghezza delle strade comunali o provinciali per la parte di esse effettivamente occupata… secondo i criteri indicati nel comma 2”. In particolare, si deduce che le occupazioni del sottosuolo e del soprasuolo connesse all’esercizio ed alla manutenzione delle reti di erogazione dei pubblici servizi (ex artt. 46 e 47 del d.lgs. 507/93) non possono essere confuse con l’occupazione del soprasuolo e sottosuolo di strada comunale da parte di condotte di impianti idroelettrici di proprietà dell’RAGIONE_SOCIALE, società privata, che svolge un’attività economica diretta al conseguimento di utili ; poiché tali impianti si inseriscono nell’attività produttiva posta in essere dall’RAGIONE_SOCIALE che, ovviamente, dalla produzione di energia elettrica, ne ricava profitti.
6. Le censure – in quanto concernono la medesima questione di diritto – possono essere congiuntamente scrutinate; esse non possono trovare ingresso.
La questione che pongono le doglianze in rassegna è se spetta la tariffa ‘agevolata’ prevista dagli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507/93 all’impresa di produzione dell’energia elettrica.
Con riferimento al diritto sovranazionale, occorre brevemente ricordare che la separazione tra imprese produttrici e imprese distributrici di energia elettrica, che è imposta dal diritto unionale al fine di scongiurare il rischio di creare discriminazioni non solo nell’accesso alla rete, ma anche negli investimenti nella rete (cfr. il considerando 9 e 24 della direttiva 2009/72/CE, contenente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, ed i punti 35 e 80 della sentenza della Corte giustizia nella causa C-718/18), non esclude che le imprese separate concorrano ai fini della prestazione del servizio energetico, consistente, secondo la definizione di cui all’art. 1, n. 7 della direttiva 2012/27/UE, applicabile ratione temporis, nella «prestazione materiale, l’utilità o il vantaggio
derivante dalla combinazione di energia con tecnologie o operazioni che utilizzano in maniera efficiente l’energia, che possono includere le attività di gestione, di manutenzione e di controllo necessarie alla prestazione del servizio, la cui fornitura è effettuata sulla base di un contratto e che in circostanze normali ha dimostrato di produrre un miglioramento dell’efficienza energetica o risparmi energetici primari verificabili e misurabili o stimabili». Pertanto, mentre, dal punto di vista soggettivo, vi è separazione tra le imprese produttrici e le altre della filiera, dal punto di vista oggettivo si giunge ad una definizione del servizio energetico come unitario.
Passando all’esame della disciplina interna è necessario soffermarsi non solo sugli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507 del 1993, che si occupano specificamente della t.o.s.a.p., ma anche sull’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, che si occupa del c.o.s.a.p.
Deve, difatti, ricordarsi che l’art. 51, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, relativo al canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, che aveva previsto l’abolizione, dal 1° gennaio 1999, delle tasse per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, è stata abrogato, con effetto dal primo gennaio 1999, dall’art. 31, comma 14, legge n. 448 del 1998, con la contestuale sostituzione dell’art. 63, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 446 del 1997, che, nella versione riformulata, consentiva alle province ed ai comuni di assoggettare, in alternativa alla t.o.s.a.p., l’occupazione del suolo pubblico al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa. L’art. 46 del d.lgs. n. 507 del 1993 stabiliva che «le occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo stradale con condutture, cavi, impianti in genere ed altri manufatti destinati all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, compresi quelli posti sul suolo e collegati alle reti stesse, nonché con seggiovie e funivie sono tassate in base ai criteri
stabiliti dall’art. 47»: tale ultima disposizione, abbandonato il criterio della tassazione per metro lineare o quadrato, poneva quale unità di misura il chilometro lineare (vedi Cass., 22 febbraio 2002, n. 2555). L’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, alla lett. f, imponeva, invece, la previsione per le occupazioni permanenti realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e per quelle realizzate nell’esercizio di attività strumentali ai servizi medesimi, di una speciale misura di canone, che avrebbe dovuto essere commisurata, solo in sede di prima applicazione, al numero complessivo delle utenze relative a ciascuna azienda di erogazione del pubblico servizio, per la misura unitaria di tariffa prevista in relazione a ciascuna classe di comune, ma che successivamente è divenuta il normale criterio di quantificazione del c.o.s.a.p.
In questa sede si deve evidenziare che, per la t.o.s.a.p., il regime speciale era riconosciuto solo per le occupazioni strumentali all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, mentre, per il c.o.s.a.p., era contemplato altresì per le occupazioni realizzate nell’esercizio di attività strumentali all’erogazione dei pubblici servizi. Tuttavia, il secondo periodo del comma 3 dell’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, introdotto con la medesima legge n. 488 del 1999, che ha eliminato la soppressione della t.o.s.a.p. ed istituito l’alternatività della t.o.s.a.p e del c.o.s.a.p., ha precisato che per la determinazione della t.o.s.a.p., relativa alle occupazioni di cui alla lettera f) del comma 2, si applicano gli stessi criteri ivi previsti per la determinazione forfetaria del canone. Invero, può rilevarsi che proprio l’alternatività del c.o.s.a.p. alla t.o.s.a.p., a prescindere dalla diversa natura dei prelievi, ha imposto, anche in considerazione dell’art. 3 Cost., l’applicazione delle stesse regole e degli stessi criteri di quantificazione.
Come hanno già chiarito le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. un., 7 maggio 2020, n. 8628, punto 8.11), l’art.18 della legge n. 488 del 1999, sostituendo la lettera f) del secondo comma dell’art.63 del d.lgs. n.446 del 1997, recante la disciplina del c.o.s.a.p., ha introdotto una particolare modalità di determinazione del canone per tale tipo di occupazione permanente, basata sul numero di utenze attivate, e ha esteso l’applicazione di tale criterio di calcolo anche alla t.o.s.a.p. dovuta sulla medesima tipologia di occupazioni. La disposizione è stata introdotta allo scopo di semplificare il criterio di determinazione della t.o.s.a.p., ritenendosi il metodo basato sulle utenze attive di più facile applicazione rispetto al precedente metodo incentrato sulla superficie effettivamente occupata. In definitiva, le dianzi riportate modifiche al d.lgs. n. 446 del 1997, pur avendo interessato un’entrata di carattere extratributario (il c.o.s.a.p.), hanno avuto un’incidenza anche sulla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (t.o.s.a.p.), in quanto alla tassa è stata estesa la nuova disciplina per la predeterminazione forfetaria del canone per le occupazioni permanenti realizzate con cavi, condutture, impianti o qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi stessi (Cass., Sez. 5, 20 maggio 2015, n. 10345). Ne deriva, pertanto, che per tale tipologia di occupazioni, dal 1° gennaio 2000, è stato abbandonato il criterio di determinazione forfetaria della tassa per chilometro lineare, in favore del più semplice criterio come sopra delineato, avente il fine di consentire una più agevole attività di quantificazione e di accertamento del tributo da parte dell’ente impositore. Inoltre, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2000, il regime speciale è stato esteso, anche per la t.o.s.a.p., come per il c.o.s.a.p., non solo alle occupazioni strumentali all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi, ma pure alle occupazioni realizzate nell’esercizio di attività strumentali
all’erogazione dei pubblici servizi. In definitiva, l’art. 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 risulta, in parte, abrogato con l’introduzione del citato art. 63, terzo comma, terzo periodo, del d.lgs. n. 446 del 1997, visto che continua ad operare solo con riferimento alle occupazioni non riconducibili a quelle disciplinate dall’art. 63, comma 2, lett. f, del d.lgs. n. 446 del 1997.
In quest’ottica, alla società RAGIONE_SOCIALE, quale soggetto che svolge attività strumentale a quello di pubblico servizio, è applicabile la disposizione agevolativa di cui all’art. 63, comma 2, lettera f), del d.lgs. n. 446 del 1997. Più precisamente, l’attività di produzione dell’energia elettrica, che comprende il trasporto della stessa ai soggetti distributori che, in un secondo momento, la erogano all’utente finale, va inclusa, pure in assenza di allacci diretti con gli utenti finali, tra le attività strumentali alla fornitura del servizio di pubblica utilità di distribuzione dell’energia elettrica. Gli impianti sotterranei che trasportano l’energia prodotta dagli impianti degli operatori delle energie verso la rete di trasmissione e quelle di distribuzione, al pari di tutti gli impianti che veicolano l’energia al sistema elettrico nazionale, non possono che risultare direttamente funzionali all’erogazione del servizio a rete secondo la definizione utilizzata dal d.l. n. 146 del 2021, come convertito dalla l. n. 215 del 2021, ricadendo, così, nel campo di applicazione delle tariffe agevolate. Ciò in quanto la filiera del sistema elettrico nazionale, che è una rete unica integrata, si compone di una serie di fasi di cui la produzione costituisce la fase antecedente a quelle di trasmissione, di dispacciamento e di distribuzione. L’attività d’impresa svolta dalle società di produzione d’energia costituisce, così, una fase immediatamente antecedente e necessaria rispetto alle altre citate fasi della filiera del mercato elettrico (trasmissione, dispacciamento e distribuzione), fasi connesse da connaturati vincoli inscindibili, tali per cui: in assenza dell’una non possono trovare compimento le altre (c.d. vincolo di complementarietà); –
tutte le menzionate attività sono poste in essere esclusivamente nell’interesse delle altre (c.d. vincolo di esclusività).
Del resto, secondo la giurisprudenza interna e sovranazionale (la quale fa riferimento in genere ai servizi di interesse generale), i fattori distintivi del pubblico servizio sono, da un lato, l’idoneità del servizio, sul piano finalistico, a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti, e, dall’altro, la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a norme di continuità, regolarità, capacità e qualità. Requisiti, entrambi, compresenti nel caso di specie, essendosi in presenza di un impianto capace di dare luogo ad un servizio e destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare una esigenza di rilevanza pubblica. In definitiva, tra le società esercenti attività strumentali all’erogazione di servizi pubblici rientrano anche le aziende che non raggiungono con i singoli utenti, in quanto trasportano i beni ed i servizi da erogare per un tratto limitato, al termine del quale subentra un altro vettore di diversa natura, visto che il concetto di rete di erogazione di pubblici servizi, cui il legislatore ha inteso attribuire un ruolo assorbente nella determinazione del particolare regime impositivo in esame, va inteso in senso unitario (come peraltro, già rilevato, già con riferimento all’art. 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 da Cass., Sez. 5, 1° febbraio 2005, n. 1974 e Cass., Sez. 5, 20 ottobre 2008, n. 25479). A conferma delle considerazioni che precedono, occorre evidenziare che l’art. 46 si riferisce in generale ai manufatti destinati all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi non ponendo una limitazione ai soli manufatti che erogano l’energia elettrica.
Già Cass. n. 1974/2005 (seguita da Cass. n.25479/2008) aveva statuito quanto segue: <>.
D’altro canto, non rappresenta un elemento ostativo al riconoscimento del regime ridotto la circostanza che l’RAGIONE_SOCIALE sia una società per azioni che persegue scopi di lucro, viepiù se si considera che l’attenzione deve essere concentrata sul tipo di attività svolta e non già sulla veste del soggetto che la esercita; il pubblico servizio può, difatti, essere erogato anche da soggetti privati.
Al riguardo, giova richiamare Cass., sez. un., n. 8628/20, secondo cui nessuna rilevanza può essere ascritta all’elemento dato dalla ritrazione dalla relazione materiale con la cosa pubblica di un personale beneficio economico: .
Ulteriori conferme a tale conclusione pervengono dalla legge n. 146 del 1990, che qualifica l’approvvigionamento di energie e dei prodotti energetici, come servizi pubblici essenziali, dalla direttiva attuativa della Presidenza del Consiglio dei ministri del 27 gennaio
1994, dalla legge istitutiva della Autorità amministrativa per l’energia e il gas ex l. 14 novembre 1995, n. 481 – produzione normativa che è stata il frutto di un prolungato dibattito interpretativo, essendosi passati, nel tempo, dalla preferenza per un inquadramento soggettivo dell’attributo pubblico riferito al servizio, ad una lettura invece in senso oggettivo che riconosce rilevanza alle prestazioni dei servizi pubblici non in ragione del soggetto che ne assicura la fornitura, quanto delle caratteristiche oggettive delle prestazioni erogate in considerazione del numero indeterminato dei destinatari che ne traggono giovamento.
Anche in ambito penale è stato osservato che la qualificazione della energia elettrica come servizio pubblico, riferito tanto alla fase della produzione che a quella della distribuzione, rappresenta il frutto di una serie di interventi normativi primari e secondari volti a disciplinare tali fasi con regolamentazione pubblica derogatoria, ad assoggettare il gestore al dovere di imparzialità e ad affermare la destinazione istituzionale dell’attività al pubblico, in modo da comprendere solo le attività che soddisfano direttamente i bisogni collettivi e non quelle che perseguono tale scopo solo in via strumentale (Cass. pen., Sez. IV, 23 ottobre 2024, n. 40162). Del resto, se il soggetto occupante fosse pubblico, sarebbe già di per sé esente dall’imposizione, ai sensi dell’art. 49, lett. a), d.lgs. n. 507 del 1993.
Parimenti, non possono valorizzarsi in senso contrario alla impostazione che si è inteso privilegiare le pronunce di questa Corte (Cass. nn. 13142/2022 e 13332/2022) secondo cui in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), e con riguardo alle occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo, il criterio di determinazione della tassa previsto dagli artt. 46 e 47 del d.lgs. n. 507 del 1993 per le occupazioni connesse all’esercizio ed alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici esercizi non è estensibile alle occupazioni con impianti privati, in quanto
costituisce un criterio agevolato per ragioni di pubblica utilità, le quali, evidentemente, non sussistono nelle occupazioni con impianti privati (Cass., Sez. 5, 5 luglio 2017, n. 1659).
Per quanto concerne, in particolare, Cass., Sez. 5, 5 luglio 2017, n. 16539, secondo cui non sarebbe estensibile alle occupazioni con impianti privati un criterio agevolato per ragioni di pubblica utilità, come condivisibilmente evidenziato dalla odierna ricorrente, si tratta di una pronuncia che si riferisce ad un’occupazione operata con impianto irriguo di un soggetto persona fisica, per la soddisfazione di un bisogno personale, non avvinta da alcun vincolo di complementarietà ed esclusività alla filiera nazionale dell’energia, mentre, nel caso di specie, i beni, tramite cui è effettuata l’occupazione ed oggetto di accertamento, appartengono ad una rete che costituisce la infrastruttura strumentale al la erogazione del pubblico servizio di distribuzione di energia. Il precedente, che fonda anche le altre decisioni di questa Corte, ha, quindi, ad oggetto fattispecie non assimilabili a quella oggi in esame.
Né può condividersi la tesi secondo cui, avendo la ricordata norma ‘agevolativa’, dal punto di vista sistematico, natura speciale (recando una deroga alle regole generali di determinazione della tariffa dovuta), sarebbe imposta una lettura ed interpretazione rigorosamente conforme al suo tenore letterale, senza ulteriori possibilità di applicazioni analogiche o di interpretazioni estensive (Consiglio di Stato, 27 marzo 2013, n. 1788).
Invero, sebbene si sia in presenza di una tariffa agevolata (vale a dire, favorevole ai beneficiari), a ben vedere, si è al cospetto non già di una norma agevolativa (vale a dire, che introduce una deroga alle regole ordinarie), ma di un criterio di determinazione della tariffa che assurge a criterio ordinario relativamente a determinati beni.
In particolare, il legislatore ha così effettuato, direttamente a livello normativo, una comparazione e una non irragionevole composizione degli interessi pubblici in gioco (quello dell’ente locale, comune e provinciale, di ricavare un’entrata dall’utilizzazione dei suoi beni pubblici e quello dei cittadini all’utilità derivante dall’erogazione di servizi pubblici), sottraendo la relativa valutazione all’ente impositore, considerandola una questione di interesse generale e non meramente localizzabile (Cons. Stato, sez. V, 25 novembre 2022, n. 10382; Cons. Stato n. 9184/2023). Dunque in simili ipotesi, il sacrificio che la collettività sopporta per la occupazione di suolo pubblico, unitamente al vantaggio economico del soggetto che utilizza il suolo pubblico, trovano parziale ma notevole compensazione nel soddisfacimento degli interessi dei consociati e nella realizzazione di determinate utilità di rilevanza sociale (benefici sociali) che la stessa occupazione di suolo è in grado di assicurare attraverso la installazione di impianti e di reti preordinate, per loro natura, allo svolgimento di un determinato servizio in favore della medesima collettività di riferimento territoriale. Alla stregua delle considerazioni che precedono, non si pone, dunque, un problema di interpretazione estensiva.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, non si pone, dunque, un problema di interpretazione estensiva.
Per quanto non sia applicabile ratione temporis (atteso che, riferendosi alla l. n. 160 del 2019, il canone patrimoniale ivi previsto è stato introdotto a partire dal 2021) alla fattispecie in oggetto, depone nel senso che si è inteso avallare anche la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5, comma 14 quinquies, lett. a) e b), del d.l. n. 146 del 21/10/2021, convertito con modificazioni nella l. n. 215 del 17/12/2021, il quale stabilisce che <>. Proprio la disposizione di interpretazione autentica fa riferimento alle aziende che esercitano attività strumentali alla fornitura di servizi di pubblica utilità, dovendo l’espressione ‘quali la trasmissione di energia elettrica e il trasporto di gas naturale’ essere intesa come a titolo meramente esemplificativo, dovendosi riconoscere all’attività svolta dalle aziende di produzione, trasmissione e dispacciamento le caratteristiche della strumentalità rispetto a quella di distribuzione dell’energia; in base alle suddette caratteristiche si deve, perciò, concludere che fra le attività strumentali che beneficiano del pagamento delle tariffe di cui agli artt. 46 e ss cit. deve essere ricompresa anche l’attività di produzione di energia elettrica, sulla scorta delle caratteristiche di complementarietà ed esclusività della stessa nell’ambito.
D’altronde, anche il Consiglio di Stato, nelle più recenti sentenze (cfr., ad esempio, Cons. Stato, 4 novembre 2022, n. 9697 e 7 novembre 2022, n. 9759), sebbene con riferimento al canone unico patrimoniale, istituito con la legge n. 160 del 2019, ha riconosciuto la strumentalità dell’attività svolta dalle aziende di produzione rispetto alla fornitura di servizi di pubblica utilità, come la distribuzione dell’energia elettrica, in difformità con l’orientamento riferito al c.o.s.a.p. (di cui resta, tuttavia, espressione Cons. Stato, 25 novembre 2022, n. 10382).
Sulla base dei rilievi che precedono, va enunciato il seguente principio di diritto: <>.
Con la seconda censura del ricorso incidentale si deduce violazione degli artt. 38 d.lgs. n. 507/1993, 823, 824, 826 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c.; per avere il giudicante, in contrasto con la sentenza di primo grado – che aveva ritenuto non determinabile la superficie comunale occupata, in quanto contestata dalla contribuente – statuito che la Tosap è dovuta per tutte le occupazioni sia abusive che quelle autorizzate dal Comune. Si sostiene che nella presente fattispecie, l’occupazione non avrebbe sottratto l’area alla collettività, atteso che il tributo è dovuto allorquando vi sia una effettiva sottrazione della superficie all’uso pubblico, accertamento non effettuato dalla C.T.R. e che presupposto della Tosap e l’utilizzo che il singolo fa nel proprio interesse di un suolo altrimenti destinato all’uso generale della collettività, allegando che tale sottrazione non sarebbe mai stata accertata dal Comune (va rilevato che il riferimento agli usi civici, che compare nella rubrica del motivo, non è poi sviluppato e argomentato).
7.1.La censura è priva di pregio.
Quanto alla disciplina fondativa della Tosap di cui al d.lgs. 507/93, nella formulazione qui applicabile ratione temporis e per quanto più
attiene alla fattispecie di causa, si richiamano e recepiscono, in proposito, i numerosissimi ed anche assai recenti precedenti di questa Corte in controversie concernenti la Tosap (cfr., tra le ultime, Cass. n. 15171/2024; Cass., n. 15186/2024; Cass. n. 15162/2024; Cass. n. 17173/2024; Cass. n. 15201/2024; Cass. 15204/2024; Cass. n. 16387/2024; Cass. n. 2164/2024; Cass. n. 2255/2024; Cass. n. 2486/2024; Cass. n. 2498/2024; Cass. n. 2512/2024 e le tante altre ivi citate); analogamente, in tema di Cosap, molteplici sono stati gli arresti di questa Corte, sempre di segno negativo per le aspettative della parte contribuente (cfr., tra le tante, Cass. n. 16395/2021; Cass., n. 22219/2023; Cass. n. 22183/2023; Cass. n. 15010/2023; Cass. n. 13051/2023; Cass. n. 10345/2023; Cass. n. 20708/2024; Cass.n. 25614/24).
Ricapitolando i principi affermati da questa Corte possono così sintetizzarsi:- il presupposto impositivo della Tosap è costituito, ai sensi degli artt. 38 e 39 d.lgs. n. 507/1993, dall’occupazione, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti o sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei Comuni o delle Province, con ciò rilevando il fatto oggettivo della predetta occupazione, indipendentemente dall’esistenza o meno di una concessione od autorizzazione, salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione previste dall’art. 49 d.lgs. cit.. Gli orientamenti giurisprudenziali, susseguitesi nel tempo, hanno, tra l’altro fatto perdere alla TOSAP, rispetto alla sua istituzione, il carattere di “tassa”, esaltandone sempre più l’effettiva funzione di “imposta”, atteso che il tributo non sarebbe propriamente commisurato al pagamento della fruizione di un servizio pubblico (Cass.8 luglio 1998 n.6666; 6 dicembre 2016 n.24920; 14 settembre 2016 n.18108) ma l’obbligazione tributaria sorge per il mero fatto della occupazione di qualsiasi natura del suolo comunale ( S.U. n. 8628/2020). Dunque, ai sensi dei principi di diritto summenzionati, il presupposto dell’imposta è costituito dall’occupazione intesa
come dato statico ossia come mera relazione materiale con lo spazio pubblico, come utilizzo da cui derivi al soggetto privato una particolare utilità, indipendentemente dalla realizzazione di una siffatta attività modificativa (Cass. n. 1050/2023), risultando del tutto inconferente la dedotta sottrazione del bene all’uso della collettività di cui alla censura in esame.
Questa Corte ha, peraltro, statuito, che <in tema di tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, legittimamente il giudice considera in tal caso sussistente il presupposto impositivo della tassa, ai sensi dell'art. 38 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (il quale assoggetta alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province), sulla base della presunzione – operativa in mancanza di prova contraria, il cui onere grava sul contribuente -dell'effettivo e permanente esercizio dell'uso stesso da parte della generalità dei beni appartenenti all'ente territoriale (Cass. Sez. 5, 5, Sentenza n. 11993 del 08/08/2003). Trattandosi di presunzione iuris tantum di uso pubblico nascente dalla natura indisponibile delle aree occupate natura non contestata dalla società – era onere della contribuente fornire la prova contraria atta a superare detta presunzione (S.U. n. 16831/2002).
Per altro verso, trattandosi di gallerie di adduzione dell'acqua per la produzione di energia elettrica collocate nel sottosuolo ma anche sul soprasuolo, la sottrazione dei beni alla collettività è in re ipsa, impedendo al Comune l'uso di parte del sottosuolo per condutture e cavi ed alla collettività l'utilizzo di parte delle aree occupate dalle gallerie poste sul soprasuolo o nel sottosuolo; contando, peraltro, ai fini che interessano, la sottrazione del suolo comunale occupato dal predetto tracciato, come tale oggetto di tassazione ai sensi della chiara formulazione dell'art. 38, comma 2, d.lgs. n.
507/1993; sottrazione di per sé insita nelle limitazioni utilizzative e di destinazione del suolo comunale riconducibili proprio e soltanto all'occupazione infrastrutturale sovrastante o sottostante (v. Cass. 18385/19 ed altre).
Segue il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
Tenuto conto della mancanza di precedenti specifici sulle questioni trattate, nonché della reciproca soccombenza, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale;
compensa le spese di lite;
-v.to l'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012; – dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico di ciascuna parte di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della