Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4307 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4307 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ICI -ATTIVITÀ AGRICOLA
sul ricorso iscritto al n. 32735/2019 del ruolo generale, proposto
DA
NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE, nata a Rossano il 22 gennaio 1947 ed ivi residente alla INDIRIZZO, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE.
– RICORRENTE –
CONTRO
il COMUNE DI ROSSANO -ora COGNOME-ROSSANO (codice fiscale CODICE_FISCALE, con sede alla INDIRIZZO, in persona del Sindaco pro tempore.
per la cassazione della sentenza n. 912/3/2019 della Commissione tributaria regionale della Calabria, depositata il 25 marzo 2019, non notificata.
UDITA la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME all’udienza camerale del 15 novembre 2024.
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è la pretesa di cui all’avviso di accertamento n. 5353, con cui il Comune di Rossano liquidava l’ICI relativa all’anno d’imposta 2010 nella somma complessiva di 5.471,00 € (come ridotta dall’ente dopo l’impugnazione, escludendo dalla tassazione taluni beni, che non erano risultati nella disponibilità della ricorrente) in relazione a vari terreni posseduti dalla contribuente, qualificati come aree fabbricabili.
La Commissione tributaria regionale della Calabria accoglieva l’appello proposto dal Comune di Rossano e riteneva, quindi, fondata la pretesa tributaria, assumendo che:
ai fini del trattamento esonerativo, rivendicato dalla ricorrente sul rilievo della destinazione dei beni all’attività agricola professionale, rilevava, invece, l’oggettiva classificazione catastale e quindi l’iscrizione dell’immobile come rurale (in categoria A/6 o D/10) in presenza dei requisiti previsti dall’art. 9 d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, mentre, qualora l’immobile risultasse iscritto in altra categoria, era onere del contribuente impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del bene;
b. una riduzione dell’imposta ai sensi dell’art. 9 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 poteva essere riconosciuta solo a fronte della prova dell’effettiva utilizzazione del terreno per scopi agricoli;
la ricorrente aveva dimostrato di possedere la qualità di imprenditrice agricola, ma non aveva provato che « i terreni de quibus fossero o meno destinati a colture», né aveva dimostrato « l’utilizzazione dei terreni per esercizio dell’attività di impresa» (v. pagina n. 4 della sentenza);
gli avvisi classamento dei beni ed il regolamento comunale non erano stati impugnati ed emergeva, sia dall’avviso di accertamento che dagli scritti difensivi della contribuente, che i « terreni non erano qualificati come agricoli risultando classificati in maniera diversa », risultando, in particolare, che gli stessi «rientrano in categorie catastali diverse da quelle agricole e, quindi, sulle quali si applica l’imposta comunale, in base a quanto disposto dall’art. 1 del D.Lgs. n. 504/1992 » (v. pagina n. 4 della sentenza impugnata).
NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione avverso detta pronuncia con ricorso notificato tramite raccomandata postale in data 25 ottobre 2019, formulando due motivi di impugnazione, successivamente depositando, in data 29 dicembre 2023 memoria ex art. 380bis . 1. c.p.c. e poi una nota il 3 gennaio 2024.
Il Comune di Rossano è restato intimato.
Con ordinanza interlocutoria depositata in data 17 gennaio 2024 questa Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo, in attesa della decisione della Sezioni unite sulla questione (coinvolta dai motivi di censura) volta ad accertare se il travisamento della prova e l’errore percettivo compiuto dal giudice del merito sia censurabile con il ricorso per cassazione oppure tramite il rimedio revocatorio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2 d.lgs. n. 504/1992, 115, primo comma, c.p.c. e 2697 c.c., sostenendo che l’ iter logico della decisione non fosse condivisibile e si ponesse in contrasto con la previsione dell’art. 2 d.lgs. n. 546/1992 nella parte in cui la Commissione regionale aveva valorizzato il fatto che la contribuente non avesse impugnato gli avvisi di classamento, il regolamento comunale e la classificazione potenzialmente edificatoria di terreni oggetto di imposta, opponendo a tale valutazione il rilievo secondo il quale tali circostanze non precludessero l’esenzione dal pagamento per i terreni edificatori utilizzati a fini agricoli.
1.1. L’istante ha dedotto che, a prescindere dalla classificazione catastale rileva, ai fini dell’esenzione dal pagamento dell’ICI, il dato oggettivo della destinazione agricola del bene e che tale evidenza doveva considerarsi dimostrata per il principio di non contestazione, non avendo il Comune posto in discussione, in primo grado, la diretta conduzione del fondo da parte della contribuente, avendo sviluppato difese che implicitamente riconoscevano l’attività di coltivazione del fondo, negando il beneficio per motivi formali e procedurali (mancata presentazione della documentazione concernente l’iscrizione negli elenchi ex SCAU, nonché della domanda di esonero dalla tassazione, omessa compilazione della domanda ed iscrizione dei coltivatori della terra negli elenchi tenuti dall’INPS, inferiorità del reddito percepito dall’attività agricola rispetto alle altre fonti).
1.2. La ricorrente ha, poi, elencato altri elementi indiziari da cui poteva desumersi l’utilizzazione agricola dei terreni da parte della COGNOME, costituiti dal fatto di non aver mai richiesto il rilascio di concessioni edilizie sui beni in questione, dalla circostanza che anche i figli dell’istante rivestivano la qualità di imprenditori agricoli a titolo principale e che avevano costituito una società semplice per svolgere l’attività agricola e che dalla dichiarazione IRAP del 2011 (relativa all’anno 2010) di detta società (RAGIONE_SOCIALE), rappresentata da NOME COGNOME, emergeva che la stessa aveva dichiarato un reddito netto di 568.036,00 €, da attribuire per un terzo (pari a 189.345,33 €) all’istante, titolare di una quota societaria pari appunto ad un terzo.
1.3. La contribuente ha, poi, lamentato la violazione dell’art. 115 c.p.c. nella parte in cui il Giudice regionale aveva ritenuto l’assenza di prova circa l’utilizzazione dei beni all’attività agricola, laddove erano stati prodotti la dichiarazione IRAP 2011 (per l’anno 2010), da cui era emerso il citato reddito derivante dall’attività agricola, nonchè il fascicolo aziendale, da cui risultavano le attività agricole, le colture praticate sui fondi, i mezzi agricoli impiegati, evidenze queste che in modo certo -a dire della ricorrente – provavano la conduzione del fondo da parte della COGNOME, quanto meno nell’attività di programmazione, organizzazione e coordinamento dei fattori produttivi.
Con la seconda censura l’istante ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 115 c.p.c. e, segnatamente, l’errore percettivo in cui sarebbe incorso il Giudice regionale nel non essersi avveduto delle prove offerte ed aver deciso, ritenendo l’assenza di riscontri
probatori, in realtà sussistenti circa la prova documentale dell’utilizzazione dei terreni ad attività agricola.
L’esame dei due motivi di ricorso va operato congiuntamente, in quanto connessi. Essi vanno accolti per le seguenti ragioni.
Occorre premettere in punto di fatto che oggetto di tassazione sono i terreni di proprietà della ricorrente, ubicati, secondo quanto emerge dalla tabella riportata nel ricorso, in area di espansione non urbanizzata e le ragioni della controversia risiedono nel fatto che il Comune ha considerato tali aree, ai fini della determinazione della base imponibile dell’imposta e quindi del valore dei beni, come terreni edificabili, laddove la contribuente assume che si tratta di aree agricole, destinate alla relativa attività posta in essere dalla medesima.
Le valutazioni del Giudice regionale si sono articolate, considerando, nella riconosciuta sussistenza del requisito soggettivo (cioè della qualità dell’istante di imprenditrice agricola), quanto segue:
sul piano giuridico, l’oggettiva rilevanza del dato catastale e della relativa classificazione del bene in categoria A/6 o D/10, ai fini dell’esenzione dal pagamento dell’imposta, ferma restando la possibilità di una riduzione della stessa ai sensi dell’art. 9, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, ove si dimostri l’utilizzazione del terreno per scopi agricoli;
b. sul versante fattuale, la qualificazione dei terreni come non agricoli, « risultando classificati in maniera diversa » (v. pagina n. 4 della sentenza), stante la mancata dimostrazione dell’utilizzazione dei beni per l’esercizio dell’impresa agricola,
non risultando « mai allegate prove in tal senso » (v. pagina n. 4 della sentenza).
Il primo motivo di impugnazione, basato sulla violazione dell’art. 2 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, risulta fondato nella parte in cui ha contestato la pronuncia impugnata per aver basato la decisione sulla rilevanza del dato catastale e, nello specifico, per aver ritenuto che il trattamento esonerativo postulasse, anche per i terreni in oggetto, la classificazione nelle categorie A/6 o D/10.
6.1. In effetti, la predetta disposizione (che fornisce, ai fini ICI, le nozioni di fabbricato, di area fabbricabile e di terreno agricolo) stabilisce, alla lett. b ), seconda parte, che «sono considerati, tuttavia, non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati nell’art. 9, comma 1, sui quali persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all’allevamento di animali».
6.2. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito, al riguardo, che:
«in forza di una interpretazione letterale e sistematica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), un terreno, pur suscettibile di utilizzazione edificatoria, deve considerarsi agricolo, ai fini della applicazione dell’imposta, laddove ricorrano tre condizioni: a) il possesso dello stesso da parte di coltivatori diretti o di imprenditori agricoli a titolo principale; b) la diretta conduzione del medesimo da parte dei predetti soggetti; c) la persistenza dell’utilizzazione agro-silvopastorale, mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione” (Cass. n. 15566/10, cit.)»;
« ricorrendo tali presupposti, il terreno soggiace all’imposta in relazione al suo valore catastale, dovendosi prescindere dalla sua obiettiva potenzialità edilizia»;
«La considerazione, in questi casi, dell’area come terreno agricolo ha quindi carattere oggettivo in quanto la persistenza della destinazione del fondo a scopo agricolo integra una situazione incompatibile con la possibilità del suo sfruttamento edilizio »;
-«le due norme, nonostante talune interferenze, disciplinano situazioni diverse: quella di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), che ha riguardo alla qualificazione dell’area ai fini del criterio del calcolo della base imponibile ed ha carattere oggettivo, e quella di cui all’art. 9 dello stesso decreto, che invece introduce agevolazioni, di carattere soggettivo, ai fini del calcolo dell’imposta in concreto applicabile» (così Cass. n. 1121/2023, che richiama Cass. n. 17337/2018, nonché, sulla ribadita incompatibilità dell’oggettiva qualità agricola di un terreno, pur potenzialmente edificabile, con la possibilità dello sfruttamento edilizio della stessa, Cass. n. 23591/2019, che richiama Cass. n. 14696/2018, Cass. n. 13261/2017; Cass. n. 15566/2010; Cass. n. 25596/2017; Cass. n. 22486/2017; Cass. n. 14824/2011; Cass. n. 16636/2011; nello stesso senso, Cass. n. 13131/2023 e Cass n. 3474/2024).
6.3. Alla luce di tali principi può, allora, comprendersi come risulti erronea la premessa giuridica da cui muove l’argomentare del Giudice regionale nella parte ha riferito il criterio della rilevanza oggettiva del dato catastale (pacifico per i fabbricati, v., tra le tante, Cass., n. 28851/2023) anche ai terreni, per i quali, invece, opera il combinato disposto degli artt. 2 e 9 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504.
6.4. Dette disposizioni disciplinano profili diversi, individuabili, rispettivamente, nella qualificazione dell’area (come non fabbricabile) ai fini del criterio del calcolo della base imponibile (art. 2) e nelle agevolazioni, di carattere soggettivo, applicabili ai fini del calcolo dell’imposta in concreto richiedibile (art. 9), dovendo aggiungersi sul punto che il regime agevolato di cui all’art. 9 del citato decreto contempla, in realtà, un’esenzione per la parte di valore del bene inferiore a 25.822,84 €, nonché varie riduzioni in relazione alle successive soglie monetarie (sempre concernenti il valore del bene) ivi considerate (cfr., sul punto, Cass. n. 1121/2023 cit.).
6.5. Si tratta di aspetti distinti e non sovrapponibili, il che significa che l’area “considerata” dall’art. 2, comma 1, lett. b ), del citato decreto come non fabbricabile (perché impiegata a fini agricoli dall’imprenditore agricolo professionale) non è, per ciò stesso, ritenuta esente dal pagamento dell’imposta in esame, risultando piuttosto sottoposta ad un regime agevolato, nel duplice senso di assoggettare il terreno alla tassazione in relazione al suo valore catastale, al netto quindi della sua potenzialità edilizia, e di calibrare la misura dell’imposta secondo i criteri di calcolo stabiliti dall’art. 9, comma 1, del menzionato decreto, che pure prevedono, nella parte di valore eccedente 25.822,84 €, l’applicazione dell’imposta con le riduzioni ivi previste (cfr., su tali principi, Cass. n. 1121/2023 cit., che richiama Cass. n. 17337/2018).
6.6. Alla stregua delle riflessioni svolte può, allora, declinarsi il seguente principio di diritto: «In tema di ICI, il criterio della rilevanza oggettiva del dato catastale riconosciuto per i fabbricati rurali non è applicabile anche ai terreni, per i quali, invece, opera il combinato disposto degli artt. 2 e 9 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504. Dette disposizioni
disciplinano profili diversi e non sovrapponibili, individuabili, rispettivamente, nella qualificazione dell’area (come non fabbricabile) ai fini del criterio del calcolo della base imponibile in base al reddito dominicale (art. 2 d.lgs. cit.) e nelle agevolazioni, di carattere soggettivo, applicabili ai fini del calcolo dell’imposta in concreto liquidabile (art. 9 d.lgs. cit.).».
Il primo motivo di impugnazione non è, invece, fondato allorquando richiama il principio di non contestazione, mentre è inammissibile quando si dilunga a sostenere la sussistenza di elementi indiziari volti a dimostrare l’utilizzazione agricola dei terreni.
7.1. Sotto tale ultimo aspetto, infatti, la censura coinvolge la Corte in un sindacato di merito sulle risultanze probatorie e, quindi, in un apprezzamento di fatto che non è esigibile in questa sede.
7.2. Quanto, invece, alla non contestazione da parte del Comune del fatto che i terreni erano stati utilizzati a fini agricoli, va ricordato che:
-«Nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di un atto affermativo della pretesa fiscale , il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato (preteso) mediante l’atto impositivo, atto preesistente al processo nei quali i fatti costitutivi sono già stati allegati in modo difforme da quanto dal contribuente ritenuto in sede giudiziale » (così, tra le tante, Cass. n. 16984/2023);
-« il principio di non contestazione, applicabile anche al processo tributario, trova qui, comunque, un limite strutturale insito nel fatto che l’avviso di accertamento (o di
rettifica) non è l’atto introduttivo del processo, quanto piuttosto l’oggetto (immediato), per lo meno nei casi in cui venga in questione la pretesa fiscale in esso riportata, sicché la cognizione del giudice è limitata dai profili che siano stati contestati col ricorso, e anche laddove, in base all’art. 23 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, l’attenzione sia rivolta alle difese dell’amministrazione pubblica resistente, e si intenda sottolineare che la parte resistente deve all’atto della costituzione in giudizio esporre «le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente», indicando «le prove di cui intende valersi» e proponendo «altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio», non per questo può trascurarsi che l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quale i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da quanto ritenuto dal contribuente; ne consegue che l’onere di completezza della linea di difesa, che in concreto si desume dal suddetto art. 23, per quanto interpretato in coerenza col principio di non contestazione oggi desumibile dall’art. 115 cod. proc. civ., non può essere considerato come base per affermare esistente, in capo all’amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell’atto impositivo (tra le tante: Cass. n. 2196/2015; Cass. n. 12287/2018; Cass. n. 19806/2019; Cass. n. 22015/2020; Cass. n. 17698/2021; Cass. n. 36028/2022; Cass. n. 37844/2022) » (così Cass. n. 5429/2023).
7.3. Nella specie, da quel che risulta dalle stesse difese della ricorrente, la pretesa impositiva muoveva dal presupposto della vocazione edificatoria dell’area e che il Comune aveva negato nel corso del giudizio la sussistenza del diritto all’esenzione, essendo i terreni condotti da una società agricola (v. pagina n. 4 e 5 del ricorso in esame), proponendo
appello proprio sul rilievo della mancata dimostrazione della diretta conduzione del fondo, il che vale ad escludere, nella concretezza del caso, l’operatività del principio di non contestazione.
Con parte del primo motivo di impugnazione, nonché con la seconda censura l’istante ha rimproverato al Giudice la violazione dell’art. 115 c.p.c. per aver ritenuto non dimostrata l’utilizzazione e la conduzione agricola dei terreni, nonostante che la documentazione offerta (dichiarazione IRAP e fascicolo aziendale) dimostrasse l’esatto contrario in termini di certezza, denunciando, quindi, il vizio di travisamento della prova, con ciò implicando non una valutazione del fatto, ma una constatazione o un accertamento che una data informazione probatoria, utilizzata in sentenza, risulti, in realtà, contraddetta da uno specifico atto processuale.
8.1. Come sopra esposto, con la citata ordinanza interlocutoria la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni unite di questa Corte sulla questione della ricorribilità per cassazione dell’errore percettivo.
Con la sentenza n. 5792/2024, ai cui ampi contenuti si rinvia, la Corte ha affermato il seguente principio di diritto: «Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio
prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale».
8.2. Nella specie, il vizio in esame è stato articolato sotto il parametro censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c. (come ha ritenuto, tra l’altro, Cass. n. 11111/2023 nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni unite, decisa come sopra), ma nulla osta, a fronte del menzionato recente arresto della Corte, alla sua riqualificazione ai sensi del num. 5 della medesima disposizione, trattandosi di supposto errore percettivo su fatti sostanziali.
In tali termini, va allora riconosciuta l’omessa percezione da parte del Giudice regionale e, quindi, il mancato esame o l’errata lettura della citata documentazione prodotta (dichiarazione IRAP e fascicolo aziendale) e dei dati ivi riportati, potenzialmente decisivi ai fini del giudizio, essendo stati indicati il valore della produzione agricola, l’utilizzo del suolo ed i mezzi di produzione.
Giova, infatti, sul punto ribadire il principio di diritto espresso da questa Corte, secondo cui «in tema di ICI, per considerare agricolo un terreno, pur suscettibile di utilizzazione edificatoria, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b ) del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, il fascicolo aziendale, di cui all’art. 9 d.P.R. n. 503/1999, contiene dati utilizzabili ma, al fine di provare nell’ambito di un giudizio contenzioso il possesso in capo al proprietario del requisito della diretta conduzione del fondo e, in generale, dei requisiti per beneficiare del regime agevolativo, occorre una verifica da parte del giudice di merito della sufficienza, adeguatezza, completezza e rilevanza delle informazioni ivi riportate, tenuto conto degli oneri probatori
incombenti sul contribuente» (cfr. Cass. n. 3474/2024 cit.; sulla rilevanza ai predetti fini del fascicolo aziendale, v. anche, Cass. n. 10306/2019).
In tale prospettiva va, pertanto, operata una valutazione di merito sui predetti, potenzialmente decisivi, elementi desumibili dal contenuto del fascicolo aziendale e dalle dichiarazioni fiscali, nel quadro complessivo della documentazione probatoria offerta dalla contribuente.
Alla stregua delle valutazioni che precedono, il ricorso va, dunque, accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rimessa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria -in diversa composizione per l’esame della documentazione prodotta dalla contribuente ed anche per regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria -in diversa composizione – anche per regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15