Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16030 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16030 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 59/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa ‘ex lege’ dal l’Avvocatura generale dello Stato ;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con indicazione di indirizzo pec;
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. TOSCANA, n. 1183/2017, depositata il 12/05/2017;
Avviso di accertamento -Ires Irap – Impugnazione -termine – procedimento notificatorio – ripresa
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 . L’Agenzia delle Entrate, a seguito di processo verbale di constatazione redatto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE -società aventi la medesima sede legale e riconducibili alla famiglia COGNOMERAGIONE_SOCIALE -notificava alla prima separati avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2007 e 2008.
Con entrambi gli atti impositivi contestava l’indeducibilità di costi per euro 238.024,00 in ragione di ammortamenti relativi a ll’acquisto di due marchi, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. Riteneva, infatti, che il prezzo di acquisto dei medesimi fosse inferiore a que llo dichiarato e, per l’effetto, recuperava una maggiore Ires ed Irap ed irrogava le conseguenti sanzioni. Con il primo atto impositivo, relativo all’anno 2007, recuperava a tassazione anche l’Iva relativa alla fattura di acquisto del secondo marchio, per la parte ritenuta inesistente.
La società contribuente proponeva separati ricorsi avverso i due atti impositivi innanzi alla CTP di Siena la quale, con separate sentenze (nn. 150 e 151 del 2013), li accoglieva solo con riferimento alle contestazioni relative all’ammortamento del marchio RAGIONE_SOCIALE
Contro le due citate sentenze la società formulava appello principale e l’Ufficio appello incidentale c he venivano, previa riunione, entrambi rigettati con la sentenza indicata in epigrafe.
Avverso quest’ultima ha proposto ricorso per cassazione l ‘Agenzia delle entrate .
La società, rappresentata dal liquidatore giudiziale nominato nella procedura di concordato preventivo, si è difesa a mezzo controricorso, eccependo in via preliminare la tardività del ricorso. Di seguito ha depositato atto di costituzione a mezzo del proprio liquidatore
volontario aderendo alle difese già spese. Infine, ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Censura la sentenza per non essersi pronunciata sul motivo di appello con il quale aveva criticato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto congruo il prezzo di cessione del marchio RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo motivo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, 54, comma 2, d.P.R. 2 ottobre 1972, n. 6 33, dell’art. 109 t.u.i.r., dell’art. 39 d.P.R. 26 ottobre 1973, n. 600 e dell’art. 2729 cod. civ.
Censura la sentenza nella parte in cui ha affermato che l’Ufficio non aveva fornito prova idonea della indeducibilità dei costi e deduce che, al contrario, spetta al contribuente provarne l’esistenza e l’inerenza.
Preliminarmente deve rilevarsi che il controricorso proposto dal liquidatore giudiziale nominato a seguito dell’ammissione della società alla procedura di concordato preventivo è inammissibile in quanto la legittimazione processuale di quest’ultimo è ancor ata e circoscritta al perimetro delle prerogative liquidatorie e distributive che fanno capo allo stesso e, quindi, ai rapporti che nel corso ed in funzione della liquidazione vengono in essere (Cass. 17/02/2019 n. 33422). Il vizio, tuttavia, resta sanato, con efficacia retroattiva, dalla successiva costituzione del liquidatore volontario in quanto il difetto di legittimazione processuale della persona fisica che agisca in giudizio in rappresentanza di una società, senza essere a ciò abilitata, può essere
sanato in qualunque stato e grado del giudizio (e dunque anche nel giudizio di legittimità), con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza dell’ente, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator (Cass. 16/11/2021, n. 34775).
Il ricorso è inammissibile in quanto tardivo, così come eccepito dalla controricorrente.
4.1. Al giudizio si applica il termine semestrale di cui all’art. 327 cod. proc. civ., come novellato dall’art. 46 legge 18 giugno 2009 n. 69, con cui è stata prevista la riduzione del termine da un anno a sei mesi, applicabile, ai sensi dell’art. 58 della medesima legge, ai giudizi instaurati a decorrere dal 4 luglio 2009 (Cass. 04/05/2012, n. 6784 e Cass. 08/07/2015, n. 14267).
La proposizione del ricorso con il quale esso è stato instaurato è avvenuta – nella vicenda processuale in esame – posteriormente a tale data e ha riguardato avviso di accertamento notificato successivamente alla stessa data.
4.2. Nel computo dei termini processuali mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 cod. proc. civ., si osserva, a norma degli artt. 155, secondo comma, cod. proc. civ., e 2963, quarto comma, cod. civ. il sistema della computazione civile, non ex numero, bensì ex nominatione dierum , nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale. Più precisamente, il termine scade nell’ultimo istante del giorno del mese corrispondente a quello in cui il fatto si è verificato, dovendosi considerare il giorno del mese iniziale quale riferimento per determinare il giorno di scadenza. (tra le più recenti v. Cass. 26/07/2023, n. 22518)
4.3. Analogamente si deve procedere quando il termine di decadenza interferisca con il periodo di sospensione feriale dei termini, sicché, per calcolare i termini di decadenza dal gravame, non occorre tenere conto dei giorni compresi tra il primo e trentunesimo giorno di agosto di ciascun anno; in tal caso, infatti, al termine semestrale di decadenza dal gravame di cui all’art. 327, primo comma, cod. proc. civ., devono aggiungersi i trentuno giorni di tale sospensione (Cass. 25/08/2020, n. 17640).
Va sul punto evidenziato che, ai fini della determinazione della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, la modifica di cui all’art. 16, comma 1, d.l. 12 settembre 2014 n. 132 convertito con modificazioni dalla legge 10 novembre 2014 n. 162 del 2014 -che, sostituendo l’art. 1 legge 7 ottobre 1969 n. 742 ha ridotto il periodo di sospensione da quarantasei giorni a trentuno giorni (dal 1° al 31 agosto di ciascun anno) -trova applicazione, in mancanza di una disciplina transitoria, a partire dalla sospensione dei termini relativa al periodo feriale dell’anno solare 2015 (Cass. 31/12/2020, n. 30053; Cass. 17/03/2022, n. 8722).
4.3. In ragione dei principi sopra esposti, il termine per proporre il ricorso per cassazione, stante la pubblicazione della sentenza di appello in data 12 maggio 2017, scadeva il 13 dicembre 2017, calcolato sommando i trentuno giorni di sospensione feriale al termine semestrale in scadenza il 12 novembre 2017 (è appena il caso, peraltro, di rimarcare che, ove anche si volesse accedere all’orientamento giurisprudenziale v. Cass. 23/06/2021, n. 17949 statuente che tale riduzione di sospensione si applichi alle sole decisioni pubblicate o notificate a decorrere dal 1° gennaio 2015, la conclusione nel caso in questione non muta).
4.4. La notifica del ricorso è stata tentata una prima volta a mezzo raccomandata (n. 783230379243) spedita l’11 dicembre 2017 al
difensore indicato nella sentenza gravata, NOME COGNOME, presso l’indirizzo in Modena, INDIRIZZO. Detto indirizzo, tuttavia, è diverso da quello riportato in detta sentenza (in Modena, INDIRIZZO. Sempre dall’avviso di ricevimento risulta che la consegna del plico non è avvenuta «per irreperibilità del destinatario», come attestato in data 14 dicembre 2017 dall’addetto al recapito, il quale ha barrato la corrispondente voce del modulo e non ha, invece, barrato né completato, con riferimento agli adempimenti dovuti nel caso di eventuale irreperibilità solo relativa, la voce corrispondente all’assenza temporanea del destinatario e delle persone altrimenti abilitate alla ricezione. Neppure, peraltro, risulta compilata la casella relativa al deposito del plico presso l’ufficio postale. Infine, sull’ulteriore facciata dello stesso avviso di ricevimento l’indirizzo del destinatario risulta barrato.
A tale tentativo negativo di notifica ne ha fatto seguito un altro, con raccomandata (n. 783230222892) spedita, questa volta, al difensore presso l’ indirizzo indicato in sentenza. Detta raccomandata risulta spedita in data 12 febbraio 2018 e la notifica si è perfezionata 1l 14 febbraio 2018.
Il procedimento notificatorio, a seguito del primo tentativo non andato a buon fine è ripreso, pertanto, in data 12 febbraio 2018.
Deve, altresì, rilevarsi che l’Agenzia delle entrate ha spedito ulteriori raccomandate alla parte personalmente ma che tale notifica non è andata buon fine per irreperibilità del destinatario; la stessa, per altro, sarebbe comunque nulla in quanto in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali, si applica, con riguardo al luogo della sua notificazione, la disciplina dettata dall’art. 330 cod. proc. civ.; tuttavia, in ragione del principio di ultrattività dell’indicazione della residenza o della sede e dell’elezione di domicilio effettuate in primo grado, sancito dall’art. 17, comma 2,
del d.lgs. n. 546 del 1992, è valida la notificazione eseguita presso uno di tali luoghi, ai sensi del citato art. 330, comma 1, seconda ipotesi, c.p.c., ove la parte non si sia costituita nel giudizio di appello, oppure, costituitasi, non abbia espresso al riguardo alcuna indicazione (Cass. Sez. U. 20/07/2016, n. 14916).
4.5. Il complesso di tali elementi porta in primo luogo ad affermare che il mancato perfezionamento della prima notifica è imputabile alla ricorrente che ha eseguito la medesima presso indirizzo diverso da quello indicato nella sentenza impugnata.
In ogni caso, il mancato perfezionamento della notifica per irreperibilità assoluta del destinatario, anche ove consegua a fatto non imputabile ad errore del notificante impone a quest’ultimo la ripresa del processo notificatorio dovendo escludersi la possibilità di chiedere una preventiva autorizzazione del giudice, vuoi perché questa subprocedura allungherebbe ulteriormente i tempi processuali, vuoi perché non sarebbe neanche utile al fine di avere una previa valutazione certa circa la sussistenza delle condizioni per la ripresa del procedimento di notificazione, in quanto si tratterebbe solo di una valutazione preliminare effettuata non in sede decisoria e per di più in assenza del contraddittorio con la controparte interessata (Cass. Sez. U., 24/07/2009, n. 17352 con principio ribadito dalle sezioni semplici, Cass., 11/09/2013, n. 20830; Cass., 25/09/2015, n. 19060 e Cass., 01/08/2022, n. 23876).
4.6. L’attività della parte interessata a completare la notificazione deve essere attivata con immediatezza appena appresa la notizia dell’esito negativo della notificazione e deve svolgersi con «tempestività» (Cass. Sez. U. n. 17352 del 2009, cit.).
Le Sezioni Unite della Corte (con la sentenza 15/07/2016, n. 14594) hanno evidenziato come dal sistema sia anche desumibile un limite massimo del tempo necessario per riprendere e completare il
processo notificatorio relativo alle impugnazioni, una volta avuta notizia dell’esito negativo della prima richiesta. Tale termine può essere fissato in misura pari alla metà del tempo indicato per ciascun tipo di atto di impugnazione dall’art. 325 cod. proc. civ.
Si è osservato, infatti, che se questi termini sono ritenuti congrui dal legislatore per svolgere un ben più complesso e impegnativo insieme di attività necessario per concepire, redigere e notificare un atto di impugnazione a decorrere dal momento in cui si è stato pubblicato il provvedimento da impugnare, può ragionevolmente desumersi che lo spazio temporale relativo alla soluzione dei soli problemi derivanti da difficoltà nella notifica, non possa andare oltre la metà degli stessi, salvo una rigorosa prova in senso contrario (ad esempio, relativa a difficoltà del tutto particolari nel reperire l’indirizzo del nuovo studio).
Concludendo, il termine entro il quale riattivare il procedimento notificatorio -in una prospettiva ordinaria (tenuto conto che, in fondo, si tratta di rinnovare una sola delle attività per le quali il termine complessivo è riconosciuto) -va individuato nella metà dei termini ex art. 325 cod. proc. civ. ossia, per quanto concerne il ricorso per cassazione, in trenta giorni. È conservata la facoltà per l’interessato di dimostrare che tale dilazione è insufficiente in ragione di circostanze eccezionali, della cui prova resta onerato (Cass. Cass. 09/01/2024, n. 750, Cass. 03/03/2017, n. 5974).
4.7. Nel caso in esame non sussistono i detti requisiti perché il procedimento notificatorio è stato ripreso oltre il termine di trenta giorni, né la ricorrente ha allegato circostanze eccezionali e nemmeno di essere venuta a conoscenza con ritardo del mancato perfezionamento della prima notifica, circostanza anche questa la cui prova grava sul notificante (cfr. Cass. 12/09/2023, n. 26363).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto proposto tardivamente.
Alla soccombenza della ricorrente consegue la condanna alle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed in euro 7.000,00 per compenso, oltre il 15 per cento per rimborso forfetario spese generali, iva e cap come per legge.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2025.