Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19156 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19156 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 16982/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione conferita allo Studio Legale RAGIONE_SOCIALE e per esso al socio avv. NOME COGNOME
Pec: EMAIL
– ricorrente-
contro
Agenzia delle Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania n. 749/16/2024, depositata il 25 gennaio 2024, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto l’avviso di accertamento, relativo all’Iva 201 5, con il quale veniva contestata l’indebita detrazione di Iva assolta su fatture di acquisto ritenute soggettivamente inesistenti per euro 5.514.612,00, avuto riguardo alle società RAGIONE_SOCIALE Senna RAGIONE_SOCIALE
I giudici di secondo grado hanno affermato che:
-) era determinante la circostanza evidenziata in giudizio della pluralità dei soggetti con i quali la società appellante aveva intrattenuto rapporti per importi rilevantissimi che erano risultati oggettivamente avere la natura di cartiera;
-) a fronte di tale prova e di altre presunzioni la società appellata non aveva fornito alcuna prova o dimostrazione sulla sua estraneità alla frode o sulla sua non consapevolezza della frode stessa, limitandosi a sostenere che non aveva acquistato sottocosto;
-) la stessa doveva dimostrare, e non era stato fatto, di aver intrattenuto rapporti regolari contrattuali e di pagamento, di scambi commerciali con dimostrazione di mail, copie di ordini etc. e, vista la
rilevanza dei rapporti commerciali, il regolare rapporto con dipendenti e/o funzionari delle varie ditte fornitrici rivelatesi poi come cartiere; -) non potevano essere esaminate le controdeduzioni depositate tardivamente dalla appellata in data 3 ottobre 2023 in quanto l’appellato non solo si era costituito tardivamente, ma aveva depositato le proprie controdeduzioni oltre il termine previsto dall’art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992, per il deposito di memorie e documenti (applicabile anche al giudizio di appello in virtù dell’art. 58, comma 2 del medesimo decreto); tale termine doveva ritenersi perentorio, pur non essendo dichiarato tale dalla legge, in quanto diretto a tutelare il diritto di difesa della controparte ed a realizzare il necessario contraddittorio tra le parti e tra queste ed il Giudice;
-) la mancata osservazione del detto termine determinava la preclusione di ogni ulteriore attività processuale e difensiva.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a sette motivi , cui resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
In via preliminare va disattesa l’istanza di rinvio formulata nella memoria depositata in data 29 aprile 2025, con modalità telematiche, in attesa della definizione del giudizio penale relativo all’accertamento emesso per l’anno 2015, pendente dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata (RGNR 8082/18) e la cui prossima udienza è fissata per il 16 giugno 2025.
1.1 Ed invero, dopo l’abbandono della c.d. pregiudiziale tributaria di cui all’art. 21, comma 4, della legge n. 4 del 1929 , l’art. 12 del d.l. n. 429 del 1982, convertito dalla legge n. 516 del 1982, aveva disposto la rilevanza nel processo tributario del giudicato penale, sia assolutorio sia di condanna, in riferimento ai medesimi fatti materiali. Tale sistema
è stato, tuttavia, superato, sia a seguito della introduzione del nuovo codice di procedura penale, sia ad opera del d.lgs. n. 74 el 2000, in vigenza del quale il tema del raccordo tra i due procedimenti è stato interpretato in termini di «doppio binario» e quindi di autonomia reciproca dei medesimi.
1.2 Sul punto questa Corte ha costantemente affermato che « In tema di rapporti tra processo tributario e processo penale, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perché il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare » (Cass. 27 giugno 2019, n. 17258; Cass. 22 maggio 2015, n. 10578; Cass. 12 marzo 2007, n. 5720).
1.3 Ancora non spiega alcun effetto nel presente giudizio, ai sensi dell’art. 21 bis del d.lgs. n. 74 del 2000, la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, Sezione penale, n. 198/23, depositata il 24 marzo 2023, divenuta irrevocabile in data 11 giugno 2023, giusta attestazione di cancelleria del 5 settembre 2023, che ha assolto NOME COGNOME rappresentante legale della società RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 530, cpv. c.p.p. dai reati a lui ascritti (commessi il 29 settembre 2012 e il 29 settembre 2013, data di presentazione della dichiarazione), perché il fatto non costituisce reato, in quanto a prescindere da ogni considerazione circa la portata applicativa dell’art. 21 bis del d.l.gs. n. 74 del 2000 (introdotto dall’art. 1 del d.lgs. n. 87 del 2024 e poi recepito nell’art. 119 T.U. della giustizia tributaria ) e dalla circostanza che l’avviso di accertamento impugnato in questa sede è relativo all’anno d’imposta 2015, la disposizione in esame è
inapplicabile in quanto con la stessa si attribuisce efficacia di giudicato nel giudizio tributario alle sole sentenze penali irrevocabili di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso.
Passando all’esame dei restanti motivi, il primo motivo deduce la violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. e dell’art. 36, comma 2, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. La motivazione della sentenza impugnata, in sostanza, era il risultato di una mera operazione di ‘ copia/incolla ‘ di quella contenuta nella sentenza n. 535/23, pronunciata sempre nei confronti della ricorrente, ma in relazione agli anni 2013 e 2014 e ad altri fornitori. La sentenza impugnata riproduceva, addirittura, alcuni banali refusi contenuti nella decisione n. 535. La motivazione per relationem era illegittima, sia perché il rinvio non era fatto ad una sentenza che aveva già valore di giudicato tra le parti, essendo stata oggetto del ricorso per cassazione, sia perché la motivazione di riferimento, essendo stata letteralmente copiata, non poteva essere stata autonomamente ed autosufficientemente recepita e vagliata nel contesto della motivazione condizionata.
Il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 2909 c.c. e dei principi in tema di giudicato esterno espresso dalle SS.UU. n. 13916/06 e della disciplina eurounitaria in materia Iva, nell’interpretazione data dalla Corte di Giustizia il 3 settembre 2009, caso C-2/08, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. La CTR, nell’attribuire rilievo ad una sentenza pronunciata per una diversa annualità (2013-2014) aveva violato il principio per cui l’estensione del giudicato tributario era possibile per i soli elementi della fattispecie di carattere permanente, nonché il principio UE per il quale la disciplina eurounitaria in materia di Iva era composta da norme imperative la cui applicazione non poteva essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale.
4. Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 23 e dell’art. 54 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. La CTR non aveva tenuto conto della costituzione in giudizio della società contribuente, perché tardiva. Ma la disciplina del processo tributario e del codice di rito non impedivano la costituzione delle parti fino all’udienza orale di trattazione, fatte salve le preclusioni eventualmente maturate. Le controdeduzioni di secondo grado della contribuente contenevano, tra l’altro, difese ed eccezioni già sollevate in primo grado ed accolte dal giudice di primo grado, per le quali, dunque, non poteva essere maturata alcuna preclusione. Sia pure tardiva, la costituzione della società appellata poteva servire per esercitare le mere difese o per proporre eccezioni rilevabili, anche d’ufficio, o, comunque, per riproporre eccezioni in senso stretto già dedotte con i motivi del ricorso e questo al fine di resistere al gravame. L’atto di controded uzioni della società contribuente conteneva argomentazioni non soggette a preclusioni o decadenze deducibili sino all’udienza di trattazione.
5. Il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. e dell’art. 36, comma 2, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. La Corte tributaria regionale aveva dato per scontato la natura di cartiera in capo ai fornitori, senza spiegare le ragioni per le quali essa era giunta a tale convincimento. La Corte di secondo grado aveva dato per certo che i soggetti fornitori presi in considerazione dall’Ufficio fossero da qualificare come cartiere, senza indicare quali sarebbero gli elementi di fatto che dimostrerebbero una tale conclusione. L’Ufficio non aveva mai fornito alcuna prova del presunto sottocosto. La contribuente non si era limitata a contestare la mancata verifica del sottocosto, ma aveva anche fornito un raffronto, per prodotti simili, tra i prezzi di acquisto sostenuti dai fornitori sospetti e quelli sostenuti da altri fornitori, che aveva dimostrato che i prezzi dei primi erano in linea con quelli degli altri e, spesso, superiori. Così
esercitando il potere di valutazione delle prove, la Corte era giunta a ribaltare sulla contribuente l’onere di provare la propria estraneità all’operazione fraudolenta.
Il quinto motivo deduce la violazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 2697 c.c. e dei principi di riparto degli oneri probatori, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. L a Corte tributaria regionale ha dato per scontato la natura di cartiera in capo ai fornitori, senza verificare se l’Ufficio abbia assolto ai propri oneri probatori.
Il sesto motivo deduce la violazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 2697 c.c. e dei principi di riparto degli oneri probatori, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Per la sentenza impugnata, la natura fittizia di una pluralità di fornitori manifestava, di per sé, la mala fede della contribuente, senza che alcun rilievo potesse avere la dimostrazione, data dalla stessa ricorrente, della congruità dei prezzi di acquisto corrisposti ai fornitori sospetti rispetto a quelli di mercato. La sentenza impugnata pretendeva dalla società contribuente la prova del cd. sottocosto, con ciò ribaltando gli oneri probatori in relazione al profilo psicologico della consapevolezza della frode. Per la sentenza impugnata, la natura fittizia di una pluralità di fornitori manifesterebbe, di per sé, la mala fede della contribuente, senza che alcun rilievo possa avere la dimostrazione, data dalla stessa ricorrente, della congruità dei prezzi di acquisto corrisposti ai fornitori sospetti rispetto a quelli di mercato. La società contribuente non si era limitata a contestare la mancata verifica del sottocosto, ma aveva anche fornito un raffronto, per prodotti simili, tra i prezzi di acquisto sostenuti dai fornitori sospetti e quelli sostenuti da altri fornitori, che dimostrava che i prezzi dei primi sono in linea con quelli degli altri e, spesso, superiori. L’onere di provare il sottocosto gravava sull’Amministrazione e la Corte non aveva verificato se l’Ufficio a vesse fornito tale prova; piuttosto, agli atti, era certo che l’Agenzia non avesse mai verificato se
effettivamente nel caso in esame i prezzi d’acquisto fossero inferiori rispetto a quelli di mercato. Così esercitando il potere di valutazione delle prove, la Corte era giunta a ribaltare sulla società contribuente l’onere di provare la propria estraneità all’operazione fraudolenta.
8. Il settimo motivo deduce la violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. e dell’art. 36, comma 2, n. 4, c.p.c. L a sentenza impugnata non spiegava perché la mala fede potesse dirsi provata per il solo fatto di risultare acquirente da (presunti) operatori fittizi; nel contempo, essa aveva escluso che la società ricorrente avesse provato la propria buona fede trascurando, però, numerose e specifiche circostanze di fatto da quest’ultima addotte a proprio favore. Pertanto, la sentenza è illegittima perché fondata su motivazione apparente. Anche a voler considerare gli elementi indicati nella rettifica sulla natura fittizia dei fornitori, la sentenza non era in grado di spiegare perché la ricorrente dovesse necessariamente rendersi conto di quella natura fittizia. Era evidente che non si poteva addebitare alla ricorrente la mancata conoscenza di quelle violazioni, per la semplice ragione che un cliente non aveva gli strumenti per sapere se il proprio fornitore fosse in regola o meno con gli adempimenti fiscali. Altre circostanze non potevano dirsi provate per il 2015 perché accertate successivamente. L’irragionevolezza della sentenza, sulla mala fede della ricorrente, dipendeva anche dal fatto che la Corte aveva trascurato diverse circostanze evidenziate dalla contribuente (il prospetto di raffronto dei prezzi di acquisto sostenuti dai fornitori sospetti e quelli sostenuti da altri fornitori, esibito dalla contribuente ; l’assenza di rapporti di connivenza con le società fornitrici; le visure camerale eseguite che risc ontravano l’esistenza delle società fornitrici). In definitiva, la motivazione della sentenza era illegittima perché, da un lato, mostrava un appiattimento sulle circostanze solo affermate dall’Ufficio; mentre, dall’altro lato, essa aveva pretermesso diverse circostanze indicate
dalla contribuente, tutte aventi una oggettiva rilevanza rispetto alla definizione del giudizio.
L’esame delle esposte censure porta all’accoglimento del terzo motivo, la cui trattazione è prioritaria, con assorbimento dei restanti motivi.
9.1 Ed invero, questa Corte, in merito alla questione controversa, ha, con consolidata giurisprudenza, chiarito che la tardività della costituzione in giudizio del resistente, disciplinata dall’art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992, richiamato, per il giudizio di appello, dall’art. 54, non comporta, sia in base alle norme indicate, sia alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di procedura civile (alle quali rinvia l’art. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992), alcun tipo di nullità, stante la mancata previsione di simile sanzione ed il principio di tassatività delle relative cause, ex art. 156 c.p.c., ma determina soltanto la decadenza dalla facoltà di chiedere o svolgere attività processuali eventualmente precluse (Cass., 16 gennaio 2019, n. 947; Cass., 15 marzo 2006, n. 5645; Cass., 5 novembre 2004, n. 21212).
9.2 La Corte ha pure affermato che nel processo tributario è ammissibile la costituzione dell’appellato in udienza, senza l’osservanza dei termini e dei modi indicati nell’art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che la sanzione processuale dell’inammissibilità non è prevista dalla norma e la sua applicazione impedirebbe alla parte, in violazione dell’art. 24 Cost., di partecipare alla discussione orale della causa all’udienza e di esercitare il diritto fondamentale alla difesa, confutando le ragioni della controparte e la ricorrenza delle norme da questa invocate, facoltà esercitabile anche in appello ai sensi dell’art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992 ( Cass., 2 aprile 2015, n. 6734).
9.3 Dunque, qualora la parte appellata non si costituisca tempestivamente, nessuna altra conseguenza sfavorevole può derivarne, sicché deve escludersi qualsiasi sanzione di nullità per il solo fatto della tardiva costituzione della parte appellata, cui deve
riconoscersi il diritto, garantito dall’art. 24 Cost., di difendersi confutando le ragioni della controparte appellante e di partecipare alla discussione orale della causa.
9.4 E tuttavia, nel caso di specie, i giudici di secondo grado hanno affermato, errando, che la mancata osservazione del termine perentorio di cui all’art 32 del d.lgs. n. 546 del 1992, determinava la preclusione di ogni ulteriore attività processuale e difensiva, così non esaminando, come era necessario fare, le argomentazioni di cui all’atto di controdeduzioni, ivi comprese quelle specificate alle pagine 18 e 19 del ricorso per cassazione, debitamente trascritte nel rispetto del principio dell’autosufficienza , con cui si contestava, fra l’altro, l’inammissibilità dell’appello sotto diversi specif ici profili e si riproponevano le deduzioni difensive già sollevate nel ricorso di primo grado.
Per le ragioni di cui sopra, va accolto il terzo motivo, con assorbimento dei restanti motivi; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di primo grado.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo e dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di primo grado.
Così deciso in Roma, in data 14 maggio 2025.