Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22623 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22623 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5450/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587), che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO SICILIA n. 7262/2023 depositata il 04/09/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
Oggetto del giudizio è la sentenza n. 7262/15/23 pronunciata dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, depositata il 04/09/2023 e non notificata.
In precedenza, con sentenza depositata in data 30 ottobre 2017, n. 1553/01/2017, la Commissione tributaria provinciale di Ragusa aveva accolto il ricorso del contribuente avverso l’atto di contestazione CODICE_FISCALE con il quale l’Agenzia ha determinato in Euro 11.720,59 la sanzione prevista dall’articolo 2, comma 5-ter, del d.l. 13 agosto 2011, n.138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n.148, condannando l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di giudizio.
L’appello proposto dall’ufficio è stato respinto con la decisione oggetto di ricorso. I giudici di appello hanno ritenuto che ‘improrogabilmente entro il 31.12.2011, l’Agenzia delle Entrate e Riscossione Sicilia avrebbero dovuto inviare un’intimazione a pagare quanto concordato e non versato alla prevista scadenza’; nella fattispecie, invece, la decisione di secondo grado ha ritenuto che ‘l’atto di contestazione è stato notificato il 28 novembre 2016, ben oltre il termine perentorio di legge’.
L’ufficio ha quindi proposto ricorso per Cassazione, sulla scorta di un motivo di impugnazione, mentre la contribuente non si è costituita nonostante regolarità della notifica effettuata a mezzo PEC, dovendosi perciò considerare come intimata.
È stata, quindi, fissata adunanza camerale per il 20.05.2025.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso proposto dall’ufficio avverso la sentenza n. 7262/15/23 della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia Catania, si fonda sul seguente motivo di impugnazione, di seguito schematicamente riportato:
Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 20, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.472 e dell’articolo 2, comma 5 -ter, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni con legge 14 settembre 2011, n. 148, del Codice di procedura civile.
Secondo l’Agenzia il termine da rispettare per la notifica dell’intimazione di pagamento delle sanzioni non era quello del 31/12/2011 -come ritenuto dalla CTR -ma deve individuarsi nel 31 dicembre del quinto anno successivo alla violazione (che non sarebbe quella originaria oggetto del condono, ma quella del pagamento del dovuto entro il 31/12/2011 ai sensi del precedente art. 2 comma 5 bis del d.l. 138/2011).
Ai fini della decisione, va premesso per completezza che il motivo non enumera esplicitamente (probabilmente per un errore materiale di collazione dell’atto di ricorso) il vizio censurato, fra quelli tassativamente previsti dall’art. 360 c.p.c. Manca, infatti, un riferimento espresso fra le norme asseritamente violate e le parole ‘del Codice di procedura civile’.
Una lettura complessiva del ricorso permette, tuttavia, in modo agevole, di ricostruire compiutamente la tipologia di vizio, che in relazione alla contestata violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, deve ricondursi artt. 360 n. 3 c.p.c. Del tutto lineare appare lo svolgimento dei fatti che ha portato la CTR della Sicilia -Catania a ritenere che ‘Al di là del riparto dell’onere probatorio, in ordine all’effettivo pagamento delle somme dovute dalla società ricorrente, ai sensi della l. n. 289/2002’, vi fosse un motivo pregiudiziale di rigetto dell’appallo dell’ufficio, consistente nella presunta tardività della notifica dell’atto di contestazione
impugnato dal contribuente. Il tutto, quindi, con una valutazione puramente giuridica di cui in questa sede si contesta la correttezza. Il motivo di ricorso, quindi, al di là dell’incompletezza della propria intitolazione, risulta rispettoso di quanto affermato da Sez. 3, ord. n. 20870 del 26/07/2024, secondo cui nel ricorso per cassazione, il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., giusta il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione.
Del resto, secondo un diverso angolo di visuale, si è pure sostenuto che in ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché per omologia con quanto prevede la norma di cui all’art. 384, ult. comma, c.p.c., la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d’ufficio, a condizione che, da un lato, tale individuazione avvenga sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata e non richieda l’esperimento di ulteriori indagini di fatto e, dall’altro, che l’esercizio del potere di qualificazione non confligga con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto (vds. Sez. 3, ord. n. 8208 del 28/03/2025). Il che nel caso di specie neppure è necessario, posto
che si tratta più semplicemente di completare una omissione materiale attraverso la lettura complessiva del motivo, senza alcuna modificazione giuridica di quanto esposto quale ragione di doglianza dalla parte ricorrente.
Tanto rilevato in via pregiudiziale, il motivo di ricorso risulta fondato.
Viene in contestazione il portato effettivo dell’art. 2, comma 5 -ter, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni con legge 14 settembre 2011, n. 148. Ma una corretta disamina della disposizione non può prescindere dal precedente comma 5-bis.
Si riporta perciò, per comodità, il contenuto di tali due disposizioni.
Afferma il comma 5bis che ‘L’Agenzia delle entrate e le società del gruppo Equitalia e di Riscossione Sicilia, al fine di recuperare all’entrata del bilancio dello Stato le somme dichiarate e non versate dai contribuenti che si sono avvalsi dei condoni e delle sanatorie di cui alla legge 27 dicembre 2002, n. 289, anche dopo l’iscrizione a ruolo e la notifica delle relative cartelle di pagamento, provvedono all’avvio, entro e non oltre trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di una ricognizione di tali contribuenti. Nei successivi trenta giorni, le società del gruppo Equitalia e quelle di Riscossione Sicilia provvedono, altresì, ad avviare nei confronti di ciascuno dei contribuenti di cui al periodo precedente ogni azione coattiva necessaria al fine dell’integrale recupero delle somme dovute e non corrisposte, maggiorate degli interessi maturati, anche mediante l’invio di un’intimazione a pagare quanto concordato e non versato alla prevista scadenza, inderogabilmente entro il termine ultimo del 31 dicembre 2011’.
Dispone a sua volta il successivo comma 5 ter: ‘In caso di omesso pagamento delle somme dovute e iscritte a ruolo entro il termine di cui al comma 5-bis, si applica una sanzione pari al 50 per cento delle predette somme e la posizione del contribuente relativa a tutti
i periodi di imposta successivi a quelli condonati, per i quali è ancora in corso il termine per l’accertamento, è sottoposta a controllo da parte dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza entro il 31 dicembre 2013, anche con riguardo alle attività svolte dal contribuente medesimo con identificativo fiscale diverso da quello indicato nelle dichiarazioni relative al condono. Per i soggetti che hanno aderito al condono di cui alla legge 27 dicembre 2002, n. 289, i termini per l’accertamento ai fini dell’imposta sul valore aggiunto pendenti al 31 dicembre 2011 sono prorogati di un anno’.
I due commi esaminati, come si può vedere da una semplice lettura, sono strettamente avvinti.
Il primo (comma 5 bis) svolge una funzione sollecitatoria verso gli uffici, al fine di recuperare gli importi ancora dovuti dai contribuenti che avevano aderito alla normativa condonale di cui alla legge finanziaria n. 289/2002, prevedendo la necessità di operarne una ricognizione ed avviare l’azione riscossiva entro alcuni termini di cui non è indicata la natura ma l’unico dei quali, quello del 31/12/2011, deve ritenersi di carattere perentorio. Solo per quest’ultimo termine è infatti previsto l’avverbio ‘inderogabilmente’, il cui significato rimanda a qualcosa che deve accadere o essere fatto in modo assolutamente obbligatorio, senza alcuna possibilità di deroga, proprio delle norme imperative; mentre per il precedente termine di 30 giorni (secondo periodo) non vi è alcuna indicazione di perentorietà, rifacendosi ad un adempimento al quale comunque si correla il termine finale del 31/12/2011, laddove il termine di 30 giorni ancora precedente (primo periodo), pur essendo accompagnato dalle parole ‘non oltre’, non è collegato ad alcuna sanzione decadenziale e, soprattutto, si lega ad un adempimento (il compimento di una ‘ricognizione’) che appare atipico e non necessariamente tradotto in un atto impositivo o riscossivo, sì che la funzione di tale
adempimento appare, appunto, acceleratoria, ma non con potata decadenziale, in quanto mira altresì a stimolare un eventuale pagamento sia pure tardivo da parte dei contribuenti che non avevano onorato completamente i pagamenti previsti dal condono realizzato dalla legge n. 289/2002.
Se l’unico termine decadenziale previsto dal comma 5 bis, allora, va individuato nel 31/12/2011, appare altresì coerente ritenere che l’inoltro della successiva comunicazione contenente l’irrogazione di una sanzione del 50% di cui al comma 5 ter, oggetto del presente giudizio, non possa che far riferimento proprio al definitivo inadempimento del contribuente, cristallizzato inderogabilmente entro il 31/12/2011.
Se quest’ultimo termine fosse anche quello da osservare per la notifica dell’intimazione con cui si applica la sanzione del 50%, appare evidente che quest’ultima sarebbe destinata a non trovare mai applicazione, posto che nel momento finale entro il quale l’amministrazione accerta l’inadempimento del contribuente e può dare avvio al recupero coattivo, dovrebbe anche applicare la sanzione che, però, a quel punto l’ufficio non potrebbe più utilmente notificare il quanto la data del 31/12/2011 sarebbe inevitabilmente scaduta.
Accanto a questo fondamentale motivo di ordine logico-giuridico, anche l’interpretazione letterale lega il comma 5 ter alla precedente scadenza del termine previsto dal comma 5 bis. Infatti, afferma il comma 5 ter: ‘In caso di omesso pagamento delle somme dovute e iscritte a ruolo entro il termine di cui al comma 5-bis, si applica una sanzione pari al 50 per cento delle predette somme’. Le ‘predette somme’ su cui comminare la sanzione non sono letteralmente quelle originariamente inadempiute, ma -appunto -quelle iscritte a ruolo al fine dell’inizio del recupero coattivo entro il termine del precedente comma 5 bis, il cui unico termine perentorio è quello del 31/12/2011. Del resto, la sanzione del 50%
prevista dal citato comma 5 ter non può che essere ulteriore ed aggiuntiva rispetto alle sanzioni ed interessi eventualmente già applicati nella determinazione degli importi dovuti dal contribuente. Ne risulta, in definitiva, la correttezza del motivo di impugnazione proposto dall’amministrazione, laddove rileva che la notifica dell’atto di contestazione ed invito al pagamento delle sanzioni, avvenuta nei confronti del contribuente in data 28/11/2016, doveva ritenersi ancora tempestiva in quanto avvenuta entro il 31 dicembre del quinto anno successivo al 31/12/2011, nel rispetto di quanto previsto come generale termine di decadenza dall’art. 20 del D.lgs. 18/12/1997, n. 472
4. La pronuncia impugnata va quindi cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale, nel frattempo divenuta Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Sicilia – Catania affinché, in diversa composizione, proceda ad una nuova valutazione del caso tenendo conto del seguente principio: ‘Il comma 5 ter dell’art. 2 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 – convertito con modificazioni con legge 14 settembre 2011, n. 148 -risulta strettamente connesso il precedente comma 5 bis, il cui unico termine perentorio è quello del 31/12/2011 entro il quale l’amministrazione, in difetto di spontaneo adempimento, deve procedere all’iscrizione a ruolo delle somme ancora dovute in relazione alla disciplina condonistica di cui alla l. n. 289/2002; ne consegue che l’irrogazione della sanzione del 50% di cui al comma 5 ter citato deve essere notificata al contribuente entro il 31 dicembre del quinto anno successivo al 31/12/2011’.
Il giudice del rinvio affronterà altresì i motivi di impugnazione ritenuti assorbiti e provvederà sulle spese, anche in relazione al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia – Catania, in diversa composizione, per un nuovo esame ed al fine di provvedere alla regolamentazione delle spese, comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 maggio 2025