Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4365 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4365 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 16476/2016, proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME, nella loro qualità di eredi di COGNOME NOME , rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al ricorso per cassazione, da ll’ Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliati presso l’Avv. NOME COGNOME in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale ha eletto domicilio in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 46/2013 della Commissione tributaria centrale -sezione di Firenze, depositata il 24 gennaio 2013; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21
gennaio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Il 25 maggio 1984 NOME COGNOME ricevette la notifica di due avvisi di accertamento che riprendevano a tassazione maggiori redditi ai fini Irpef e Ilor per gli anni 1978 e 1979 ; l’atto impositivo scaturiva da un accertamento sintetico, dal quale era emerso che il contribuente era titolare di beni incompatibili con il reddito dichiarato.
Il COGNOME impugnò entrambi gli avvisi innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Firenze, che, riuniti i ricorsi, li respinse; la Commissione tributaria di secondo grado, da lui successivamente adìta, riformò integralmente la decisione; seguì il gravame erariale innanzi alla Commissione tributaria centrale -sezione di Firenze, conclusosi con la sentenza indicata in epigrafe, che, nella contumacia del contribuente, riconobbe le ragioni dell’Ufficio e confermò gli avvisi di accertamento.
I giudici adìti, in particolare, ritennero insufficienti le allegazioni difensive del contribuente in punto alla compatibilità fra l’imponibile dichiarato e i beni di sua proprietà.
Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione NOME e NOME COGNOME (nella loro qualità di eredi di NOME COGNOME) sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria. L’Amministrazione ha depositato controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza in relazione all’art. 25, comma 4, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, applicabile ratione temporis ai fatti di causa.
Osservano che tale disposizione prevedeva l’obbligo di notifica, da parte della segreteria della Commissione tributaria centrale, di copia del ricorso alla parte intimata, onde consentire a quest’ultima il deposito di deduzioni nel termine di sessanta giorni; rilevano, quindi, che tale adempimento non era stato mai eseguito, con conseguente nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio.
Il secondo motivo denunzia nuovamente nullità della sentenza in relazione al diverso profilo di cui all’art. 27, commi 2 e 3, del medesimo d.P.R. n. 636 del 1972.
In base al combinato disposto di tali previsioni -osservano i ricorrenti -gli atti del procedimento possono essere notificati collettivamente e impersonalmente agli eredi della parte, nel domicilio eletto o nella residenza risultante dagli atti, se la notifica ha luogo entro un anno dalla morte; la notifica, inoltre, va eseguita almeno sessanta giorni prima dell’udienza fissata per la discussione.
Ed invero, nessuna di tali previsioni -essenziali al rispetto del contraddittorio -era stata rispettata nel caso di specie: il ricorso erariale era stato, infatti, notificato a NOME COGNOME meno di sessanta giorni prima dell’udienza di discussione e presso la sua residenza, nonostante egli fosse deceduto da quindici anni; la notifica, inoltre, risultava perfezionata per compiuta giacenza.
Il ricorso è inammissibile.
Esso risulta, infatti, notificato all’Amministrazione finanziaria il 28 giugno 2016, ovvero in data ben successiva alla perenzione del termine di cui all’art. 327, comma 1, c od. proc. civ., avuto riguardo al
fatto che la sentenza della Commissione tributaria centrale fu depositata il 24 gennaio 2013.
3.1. La giurisprudenza di questa Corte è, fin da epoca risalente, costante nel ritenere che il ricorso per cassazione contro le decisioni della Commissione tributaria centrale sia esperibile in applicazione diretta dell ‘art. 111 Cost. (Cass. n. 24184/2006; Cass. n. 11684/2002; Cass. n. 948/1996; Cass. n. 2104/1989).
Detto ricorso, pertanto, è soggetto, in difetto di espressa previsione o regolamentazione sulla disciplina del contenzioso tributario, all ‘ integrale applicazione delle norme del codice di rito, ivi compreso l’art. 327 cod. proc. civ.; ne deriva che la proponibilità dell’impugnazione resta preclusa quando, indipendentemente dagli adempimenti della notificazione o comunicazione del dispositivo, sia trascorso un anno dalla data della sua pubblicazione, cioè del deposito in segreteria secondo le modalità stabilite dall’art. 38 del d.P.R. n. 636 del 1972 (cfr. Cass. n. 2303/1994; Cass. n. 4846/1989; Cass. n. 3251/1989).
L’inosservanza di tale disposizione è sufficiente a che il ricorso sia dichiarato inammissibile in forza dell’avvenuto passaggio in giudicato della decisione impugnata alla data in cui il ricorso è stato proposto.
3.2. A tale riguardo, non può invocarsi in contrario, così come fanno i ricorrenti con il secondo mezzo di impugnazione, la circostanza della mancata comunicazione della data di fissazione dell’udienza per la decisione; su tale base, infatti, essi individuano il dies a quo per proporre impugnazione nel 26 giugno 2015, data nella quale assumono di «essere venuti a conoscenza del contenzioso tributario avviato dal padre».
Assume rilievo decisivo, in tal senso, il fatto che sia stata accertata l’avvenuta notifica del ricorso proposto dall’Ufficio alla Commissione centrale.
L ‘art. 327, comma 2, c od. proc. civ. consente infatti che l’impugnazione sia proposta anche dopo la perenzione del termine di cui al comma 1 soltanto laddove la parte contumace dimostri di non avere avuto conoscenza del processo «per nullità della citazione o della notificazione di essa e per nullità della notificazione degli atti di cui all’art. 292».
Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria ha dato prova del fatto che il ricorso erariale innanzi alla Commissione tributaria centrale fu ritualmente notificato a NOME COGNOME che ne sottoscrisse la ricezione a mani il 18 febbraio 1989 (cfr. allegato 9 fascicolo Avvocatura generale).
Pertanto, nessuna nullità della citazione o della sua notificazione è ravvisabile nel giudizio a quo , essendo stato esattamente osservato il disposto dell’art. 25 del d.P.R. n. 636 del 1972; e ciò è sufficiente per escludere l’applicabilità dell’art. 327, comma 2, cod. proc. civ.
3.3. Del resto, in relazione a vicenda analoga a quella che qui occupa, questa Corte ha affermato che «anche nel vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, trova applicazione, ai fini dell’impugnazione delle decisioni delle commissioni tributarie, il termine annuale di decadenza dall’impugnazione -decorrente dalla pubblicazione della sentenza, indipendentemente dalla comunicazione del dispositivo da parte della segreteria -stabilito dall’art. 327 cod. proc. civ., senza che assuma rilievo né la nullità della notificazione della predetta comunicazione, né la mancata conoscenza -per omissione del relativo avviso di cui all’art. 19 del citato d.P.R. n. 636 del 1972 -della data di fissazione
dell’udienza di discussione» (così Cass. n. 10223/2003; conformi Cass. n. 8265/2006, Cass. n. 3902/2004).
In questi casi, come nel presente, la decisione emessa in violazione del diritto di difesa della parte è una pronuncia affetta da nullità, ma pur sempre esistente; e, per il principio di conversione dei vizi della sentenza in motivi d’impugnazione, affermato dall’ art. 161 cod. proc. civ. e avente carattere generale, è necessario che la questione sia fatta valere nel rispetto delle regole procedimentali che regolano il giudizio di gravame, fra le quali assume rilievo fondamentale l’ osservanza dei termini per la proposizione dell’impugnazione.
Laddove pertanto, come nel caso di specie, tali termini non siano stati osservati, si determina il passaggio in giudicato della sentenza e, di conseguenza, è inammissibile il ricorso proposto tardivamente, senza che sia più possibile rilevare (e sanzionare) la pregressa nullità.
3.4. Concludendo, si può affermare il seguente principio di diritto: «È inammissibile il ricorso per cassazione avverso la decisione della Commissione tributaria centrale che sia stato proposto dopo il decorso del termine di cui all’art. 327, comma 1, c od. proc. civ., anche nell ‘ ipotesi in cui alla parte non sia stata ritualmente comunicata la data dell ‘ udienza di discussione, purché alla stessa sia stato notificato il ricorso proposto dalla controparte innanzi la Commissione centrale»
La declaratoria di inammissibilità del ricorso rende superfluo lo scrutinio dei motivi.
Alla stessa consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti per la condanna dei ricorrenti al versamento dell’importo previsto dall’art. 13, comma 1 -bis , del d.P.R. n. 115/2002.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2025.