Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10999 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10999 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
TARDIVITA ‘ RICORSO
sul ricorso iscritto al n. 19969/2020 del ruolo generale, proposto
DA
COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa, in ragione di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE.
– RICORRENTE –
CONTRO
ROMA CAPITALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale e nomina poste a margine del controricorso, dall’avv. NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE).
per la cassazione della sentenza n. 7629/9/2018 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 7 novembre 2018.
UDITA la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio celebratasi in data 5 dicembre 2024.
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia sono gli avvisi di accertamento in atti con cui il Comune di Roma liquidò l’ICI per gli anni di imposta 2008/2011 in relazione a taluni immobili posseduti dalla contribuente in detto Comune.
La suindicata Commissione accolse l’appello proposto dal Comune di Roma contro la sentenza n. 14072/12/2016 della Commissione tributaria provinciale di Roma, ritenendo che l’intestazione catastale dei beni determinasse una «presunzione de facto sulla veridicità di tale risultanza, ponendo, pertanto, a carico del contribuente l’onere di fornire la prova contraria » (v. pagine nn. 2 e 3 della sentenza impugnata).
Sulla scorta di tale premessa, il Giudice regionale dava atto dell’incontestata intestazione catastale dei beni oggetto di tassazione, osservando, quanto alle unità immobiliari site in INDIRIZZO ed in INDIRIZZO che il fatto che non risultassero agli atti della Conservatoria dei registri Immobiliari di Roma al nominativo della contribuente, non potesse integrare un’adeguata prova contraria, citando sul punto l’arresto di questa Corte (Cass. n. 13661/2017) secondo cui la trascrizione degli atti traslativi è un atto di parte, per cui non poteva escludersi una mancanza di corrispondenza tra detti registri e la realtà degli scambi.
La Commissione aggiunse, infine, che la mancata modifica del dato catastale da parte della contribuente costituiva un ulteriore
elemento per ritenere fondata la pretesa formulata dal Comune nei suoi confronti.
Avverso tale pronuncia NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, notificandolo in data 9/14 luglio 2020, formulando due motivi d’impugnazione, poi illustrati con memoria ex art. 380bis .1, c.p.c. depositata il 20 novembre 2024.
Roma Capitale resisteva con controricorso notificato il 16 settembre 2020.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata e del procedimento di appello per violazione degli artt. 31, comma 1, 37, comma 2, e 61 d.lgs. n. 546/1992 in ragione dell’omessa comunicazione dell’avviso trattazione della causa in camera di consiglio e del dispositivo della sentenza.
Tutto ciò, rappresentando che i detti atti vennero comunicati, peraltro con esito negativo, presso un indirizzo di posta elettronica errato, siccome trasmessi a « EMAIL » e non all’indirizzo esatto del difensore della ricorrente, corrispondente a « EMAIL, il che aveva impedito sia di depositare la documentazione attestante la correzione di dati catastali, che di chiedere la discussione in pubblica udienza e di impugnare la sentenza nei termini ordinari, avendo avuto conoscenza della stessa solo in data 11 febbraio 2020, in occasione del ritiro in cancelleria di copia della sentenza, dell’avviso di trattazione della causa e di comunicazione del dispositivo.
Con la seconda doglianza la contribuente ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2643, 2657, 2727 e 2729 c.c., assumendo il valore solo indiziario delle risultanze catastali, come tali non suscettivi di giustificare alcuna presunzione, peraltro smentita dalle prove offerta dalla ricorrente.
Il ricorso va dichiarato inammissibile in ragione della sua tardività.
Questa Corte, in termini qui condivisi, ha chiarito e ribadito, anche da ultimo, quanto segue.
In tema di impugnazione delle sentenze delle commissioni tributarie, per le quali ai sensi dell’art. 37, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 «il dispositivo della sentenza è comunicato alle parti costituite entro dieci giorni dal deposito», trova applicazione il termine lungo di impugnazione delle sentenze, previsto in generale dall’art. 327 c.p.c., il quale decorre dalla pubblicazione della sentenza e quindi dal deposito di essa in segreteria, e non già dalla predetta comunicazione, rimanendo tale ultima attività estranea al procedimento di pubblicazione.
Ciò, anche alla luce delle indicazioni della sentenza n. 584 del 1980 della Corte Costituzionale, poiché una diversa disciplina del termine in argomento altererebbe il sistema delle impugnazioni, nel quale la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicché lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine
lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio .
Pertanto, il predetto termine lungo di impugnazione decorre sempre dal deposito della sentenza, senza che assuma alcun rilievo la comunicazione del relativo avviso da parte della cancelleria, a meno che la parte rimasta contumace non dimostri di non avere avuto alcuna conoscenza del processo; ai fini dell’accertamento di tale conoscenza, è poi sufficiente che sia nota la proposizione del ricorso, non occorrendo che sia stata anche comunicata la data dell’udienza di discussione, benché questa omissione comporti la nullità della decisione.
È restata, pertanto, isolata la non condivisa pronuncia di questa Corte (Cass. n. 6048/2013), secondo la quale nel processo tributario il termine lungo per l’impugnazione delle sentenze di cui al primo comma dell’art. 327 c.p.c. decorre, per la parte cui non siano stati debitamente comunicati né l’avviso di trattazione dell’udienza né il dispositivo della sentenza (ex art. 37 del d.lgs. cit.), dalla data in cui essa ha avuto conoscenza di tali sentenze (cfr. su tali principi, Cass. n. 19535/2024, che richiama Cass. n. 6375/2006; Cass. n. 1565/2007; Cass. n. 24913/2008; Cass. n. 21164/2009; Cass. 12761/2011; Cass. n. 23323/2013, Cass. n. 14746/2017; Cass. n.9330/2017).
Dalle considerazioni che precedono deriva che il ricorso per cassazione in esame risulta inammissibile perché tardivo, essendo stato proposto con notifica eseguita in data 9/14 luglio 2020 a fronte della pubblicazione della sentenza impugnata, avvenuta in data 7 novembre 2018 e dunque oltre il termine di cui all’art. 327, primo comma, c.p.c.
Va ancora precisato che non può operare nella fattispecie la previsione dell’impugnazione tardiva di cui all’art. 327 c.p.c.,
stabilita per il contumace cd. involontario, che individua il dies a quo del termine semestrale d’impugnazione al momento in cui la parte (non costituita) abbia avuto conoscenza del processo (cfr. Cass. n. 19535/2024 cit., che richiama Cass. n. 6466/2002).
E ciò perché, la contribuente aveva controdedotto nel giudizio di appello con atto depositato il 27 febbraio 2017, come precisato nella sentenza in esame e come riconosciuto dalla stessa contribuente, il che rende evidente che fosse perfettamente a conoscenza del processo.
Deve pure aggiungersi che non può ricevere applicazione nella fattispecie in rassegna la sospensione del termine di impugnazione prevista dal d.l. n. 119/2018.
L’art. 6, comma 11, d.l. n. 119/2018 ha stabilito che «Per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonchè per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto (ndr. 24 ottobre 2018) e il 31 luglio 2019».
L’art. 6, comma 16, d.l. n. 119/2018 ha, poi, previsto che gli enti territoriali, quindi anche i Comuni, possono prevedere (entro il 31 marzo 2019, che cadeva di domenica, e dunque entro il 1° aprile 2019) l’applicazione delle disposizioni dettate dal citato articolo alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui essi sono parte, con ciò consentendo la definizione della lite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione.
7.1. Ebbene, la ricorrente ha proposto il ricorso senza allegare e dimostrare che Roma Capitale avesse adottato la procedura di definizione agevolata della lite contemplata dall’art. 6 d.l. n. 119/2018.
Si tratta questo di onere che deve ritenersi posto a carico del contribuente, che intende beneficiare della sospensione ope legis prevista dalla suddetta disposizione e, dunque, del più lungo termine di impugnazione, condizionato alla determinazione comunale, ponendosi la suddetta circostanza come fatto costitutivo del diritto alla sospensione in relazione a controversie che coinvolgono enti territoriali e per le quali, diversamente da quanto accade per le liti tributarie in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, non opera il congegno dell’automatica sospensione del predetto termine, non dovendo, in tali ultimi casi, essere adottata alcuna delibera.
La facoltà di avvalersi della disciplina sulla sospensione dei termini di impugnazione è, invece, nel caso che occupa, strettamente collegata ad un espresso recepimento in apposito regolamento da parte dell’ente territoriale della procedura di definizione agevolata, la cui adozione deve essere specificamente allegata (e documentata) dalla parte interessata ad avvalersene, non operando, con riguardo alle norme secondarie, il principio iura novit curia e non rientrando, pertanto, la conoscenza dei regolamenti comunali tra i doveri del giudice, che, solo ove disponga di poteri istruttori, può acquisirne diretta conoscenza, indipendentemente dall’attività svolta dalle parti (cfr., tra le tante: Cass., Sez. V, 24 gennaio 2022, n. 1951; Cass., Sez. T., 25 gennaio 2024, nn. 2275 e 2422).
Non sfugge al collegio che la suindicata sospensione operi automaticamente nel senso che si applica a prescindere dal concreto intento della parte privata di avvalersi della procedura di definizione agevolata, trattandosi di una forma di sospensione ope legis (v. Cass. n. 33069/2022, che richiama Cass. n. 30397/2021; CASS 11913/2019 e Cass. n. 11531/2016).
Ciò, però, significa che non vi è margine di valutazione sulla sua operabilità per le liti definibili, ma ciò predica l’esigenza che, per usufruire del beneficio della sospensione dei termini di impugnazione, debba essere allegato e dimostrato, da chi intende usufruirne, il presupposto costitutivo della sua applicazione, vale a dire l’adesione del Comune al predetto modello procedurale di definizione della lite per la dirimente considerazione che per gli enti territoriali non opera la generale definibilità delle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio.
In conclusione, da quanto precede, consegue che:
la comunicazione di segreteria ex art. 37, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 ha natura informativa, non costitutiva della pubblicazione della sentenza e, come tale, anche la sua mancanza non incide sul termine per impugnare, che decorre sempre dalla pubblicazione della pronuncia, salvo che, nell’ipotesi in cui il contribuente, che non abbia partecipato incolpevolmente al processo, dia prova del giorno in cui sia venuto a conoscenza della sentenza, in questo caso decorrendo da tale momento il dies a quo del temine lungo per impugnare;
le eventuali cause di nullità della sentenza dovevano essere impugnate tempestivamente, non incidendo esse – stante appunto la conoscenza del processo e la loro conversione in ragioni di gravame – sul termine di impugnazione (così Cass. n. 19535/2024 cit.).
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza.
Sussistono, infine, i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte della
ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna NOME COGNOME al pagamento delle spese del presente grado giudizio, che liquida in favore di Roma Capitale nella somma di 2.400,00 € per competenze ed all’importo di 200,00 € per spese vive.
Dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte della ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 dicembre 2024.