Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 768 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 768 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33469/2018 R.G. proposto da COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. COGNOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso unitamente agli avv.ti COGNOME NOME e COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELL’EMILIA -ROMAGNA n. 190/2018 depositata il 22 gennaio 2018
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 19 dicembre 2024 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
Sulla scorta delle risultanze delle indagini bancarie condotte dalla tenenza di Codigoro della Guardia di Finanza, la Direzione
Provinciale di Ferrara dell’Agenzia delle Entrate notificava ad NOME COGNOME un avviso di accertamento mediante il quale rettificava la dichiarazione dallo stesso presentata ai fini dell’IRPEF per l’anno 2005, recuperando a tassazione maggiori redditi rappresentati da proventi illeciti da lui asseritamente conseguiti nella veste di «gestore di fatto» della RAGIONE_SOCIALE e della ditta NOME COGNOME.
Il contribuente impugnava l’atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Ferrara, la quale respingeva il suo ricorso.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna, che con sentenza n. 190/2018 del 22 gennaio 2018 rigettava l’appello della parte privata.
Avverso tale sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, dello stesso articolo il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) c.p.c., sono denunciate: (a)la violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4) e 161 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.; (b)la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; (c)la violazione o falsa applicazione degli artt. 118 e 210 c.p.c..
1.1 Si rimprovera alla CTR di aver omesso di pronunciare su proposti dal COGNOME, o comunque di averli esaminati solo in apparenza, senza esprimere il proprio convincimento in ordine alla doglianza del contribuente relativa alla mancata valutazione da parte dei primi giudici del prospetto
allegato al ricorso introduttivo del giudizio, nel quale erano riepilogati gli incassi e i versamenti in contanti da lui effettuati nell’anno 2006 sul conto corrente bancario oggetto di indagine, tutti comprovati da idonea documentazione.
1.2 Viene, al riguardo, posto in evidenza che i giudici regionali avrebbero erroneamente fatto riferimento alla motivazione di una sentenza di primo grado diversa da quella che formava oggetto di impugnazione e si sarebbero limitati ad aderire acriticamente alle argomentazioni in essa contenuta, del tutto inconferenti rispetto all’effettiva materia del contendere.
1.3 Essi, inoltre, avrebbero trascurato di esaminare -o altrimenti disatteso senza alcuna spiegazionel’istanza del COGNOME volta ad ottenere l’emissione dell’ordine di esibizione delle copie degli assegni bancari da lui girati per l’incasso nell’anno 2006: con tale mezzo istruttorio il contribuente intendeva dimostrare che il totale delle somme portate dai titoli di credito in questione corrispondeva all’ammontare dei versamenti effettuati in quell’anno sul conto corrente in verifica, a sua volta coincidente con il reddito complessivo dichiarato.
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) c.p.c., sono lamentate: (a)la violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4) e 161 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.; (b)la violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c..
2.1 Si sostiene che la CTR avrebbe omesso di esaminare il prospetto allegato al ricorso introduttivo del giudizio, nel quale erano stati indicati i redditi di lavoro subordinato e autonomo percepiti dal contribuente nell’anno 2006, a riprova della provenienza lecita dei versamenti da lui effettuati sul proprio conto corrente.
Con il terzo mezzo, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) c.p.c., sono prospettate: (a)la violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4) e 161 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.; (b)la
violazione o falsa applicazione degli artt. 31, commi 1 e 2, e 58, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973; (c)la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c..
3.1 Viene contestato alla Commissione di secondo grado di non aver statuito sul motivo di gravame del contribuente con il quale era stata ribadita l’illegittimità dell’impugnato atto impositivo per incompetenza territoriale dei verificatori.
3.2 Si deduce, in proposito, che le indagini bancarie poste a base dell’accertamento tributario avrebbero dovuto essere effettuate dalla tenenza di Comacchio della Guardia di Finanza, competente in relazione al domicilio fiscale del contribuente, e non da quella di Codigoro.
L’inosservanza delle norme sulla competenza delle varie articolazioni dell’Amministrazione Finanziaria dislocate sul territorio avrebbe determinato l’inutilizzabilità del materiale probatorio irregolarmente acquisito.
Con il quarto motivo, ricondotto al paradigma dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) c.p.c., è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c..
4.1 Si imputa alla CTR di aver a torto valorizzato a fini decisori la sentenza penale di condanna n. 1580/2011 emessa dal Tribunale di Ferrara nei confronti del COGNOME, sebbene non passata in giudicato, e per contro immotivatamente tralasciato di apprezzare gli elementi ricavabili dalle allegate sentenze della CTR della Lombardia n. 37/15/2013 e della CTR dell’Emilia -Romagna n. 1523/8/2017, entrambe passate in giudicato, con le quali era stato escluso che il contribuente avesse mai rivestito il ruolo di gestore di fatto della RAGIONE_SOCIALE e della ditta NOME COGNOME
Il ricorso è inammissibile per la sua tardività, come fondatamente eccepito «in limine litis» dalla difesa erariale e in ogni caso rilevabile d’ufficio dalla Corte.
5.1 Valgano, in proposito, le seguenti considerazioni.
5.2 Dall’esame degli atti relativi al presente giudizio di legittimità emerge che: -la presente controversia è stata introdotta successivamente al 4 luglio 2009, sicchè ad essa risulta applicabile il termine lungo semestrale di impugnazione di cui all’art. 327, comma 1, c.p.c., nel nuovo testo vigente a sèguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009; – tale termine, decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza n. 190/2018 pronunciata dalla CTR dell’Emilia -Romagna, avvenuta il 22 gennaio 2018, spirava il 23 luglio di quello stesso anno, tenuto conto della proroga di diritto operante ex art. 155, comma 4, c.p.c. per essere festivo il giorno di scadenza (domenica 22 luglio); – la notificazione del ricorso per cassazione, effettuata a mezzo del servizio postale, si è perfezionata nei confronti del notificante COGNOME il 7 novembre 2018, giorno in cui ha avuto luogo la consegna del plico all’ufficiale giudiziario, giusta il disposto dell’art. 149, ultimo comma, c.p.c..
5.3 In presenza di una notifica eseguita ben oltre la scadenza del termine di impugnazione, il ricorso va inevitabilmente incontro a una declaratoria di inammissibilità.
5.4 Non osta all’adozione di una siffatta pronuncia in rito la dedotta circostanza secondo cui la segreteria della Commissione Regionale avrebbe omesso di comunicare il dispositivo della sentenza al nuovo difensore domiciliatario del COGNOME, avv. NOME COGNOME nominato in sostituzione del precedente patrono (pag. 7 del ricorso, paragrafo 9).
5.5 L’art. 327, comma 1, c.p.c. stabilisce, infatti, che, indipendentemente dalla notificazione, il ricorso per cassazione non può proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza.
5.6 Ora, è pur vero che l’art. 37 del D. Lgs. n. 546 del 1992, dopo aver previsto (al comma 1) che la sentenza è resa pubblica, nel testo integrale originale, mediante deposito nella segreteria della Commissione Tributaria Provinciale (ora Corte di giustizia tributaria
di primo grado), soggiunge (al comma 2) che il dispositivo della sentenza è comunicato alle parti costituite entro dieci giorni dal deposito.
5.7 Altrettanto vero è che le sopra citate disposizioni si osservano anche nel giudizio tributario di appello, in virtù del rinvio ad esse operato dall’art. 61 del predetto decreto legislativo, in quanto non incompatibili con quelle che specificamente disciplinano tale giudizio, collocate nella sezione II del capo III del titolo II.
5.8 Sennonchè, per costante giurisprudenza di questa Corte, la mancata comunicazione del dispositivo non incide in alcun modo sulla decorrenza dei termini (breve e lungo) di impugnazione, la quale è collegata dalla legge a presupposti fattuali e giuridici diversi, costituiti dalla notificazione della sentenza a cura di parte o dalla sua pubblicazione (cfr. Cass. n. 20656/2021 e Cass. n. 20144/2017, in cui si precisa che l’adempimento della comunicazione del dispositivo integra un’attività meramente informativa, estranea al procedimento di pubblicazione).
5.9 Per completezza espositiva, va infine osservato che il COGNOME non può avvalersi della previsione recata dall’art. 38, comma 3, secondo periodo, del D. Lgs. cit., richiamata dal successivo art. 51, comma 1, ultima parte, la quale, sulla falsariga dell’art. 327, comma 2, c.p.c., eccezionalmente consente di proporre l’impugnazione anche dopo la scadenza del termine lungo anzidetto.
5.10 La menzionata norma è, infatti, applicabile in favore della sola parte «non costituita» che dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza (cd. contumace involontario: cfr., sull’argomento, Cass. n. 21510/2024, Cass. n. 24899/2018, Cass. n. 14746/2017, Cass. n. 9330/2017, Cass. n. 23323/2013); situazione, questa, non ricorrente nel caso di specie, avendo il COGNOME attivamente partecipato a entrambi i pregressi
gradi di merito.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano, come in dispositivo, a favore dell’Agenzia delle Entrate.
6.1 Sul punto, giova rimarcare che la parte pubblica è regolarmente costituita nel presente giudizio di legittimità, in quanto il controricorso è stato notificato entro il termine di cui al combinato disposto degli artt. 369, comma 1, e 370, comma 1, c.p.c., nel testo applicabile «ratione temporis» , risultando operante rispetto ad esso, siccome scadente fra il 24 ottobre 2018 e il 31 luglio 2019, la sospensione di nove mesi stabilita dall’art. 6, comma 11, del D.L. n. 119 del 2018, convertito in L. n. 136 del 2018.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 7.800 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione