Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 435 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 435 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8135/2018 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-resistente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CALABRIA n. 893/2017 depositata il 11/04/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/11/2024
dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale della Calabria ( hinc: CTR), con sentenza n. 893/2017 depositata in data 11/04/2017, ha dichiarato improcedibile l’appello proposto dal contribuente contro la sentenza n. 3633/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza ( hinc: CTP), per la parte relativa alla trasmissione del debito per sanzioni nei confronti degli eredi, in quanto oggetto di integrale sgravio e lo ha rigettato nel resto, confermando la pronuncia impugnata.
Il procedimento trae origine dal ricorso proposto dal sig. NOME COGNOME contro la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA notificata da Equitalia, ma relativa ai debiti del de cuius , sig. NOME COGNOME e risalenti al passaggio in giudicato di una precedente sentenza tributaria resa a carico di quest’ultimo.
Ai fini del presente procedimento è sufficiente evidenziare che la CTR:
in merito alle sanzioni contenute nella cartella notificata al de cuius ha rilevato che l’Agenzia delle Entrate aveva prodotto, nel giudizio d’appello, documentazione dalla quale emergeva che era stato
sgravato l’importo di Euro 856.070,18, pari alle sanzioni indicate nella cartella per le imposte relative all’anno 1989. Di conseguenza, dovevano essere dichiarati improcedibili i motivi di appello, in ragione della carenza di interesse dell’appellante all’accoglimento del relativo motivo di impugnazione;
– con riferimento alle censure -per violazione dell’art. 7 legge n. 212 del 2000 – relative alla mancata valutazione da parte del giudice di prime cure della lesione della posizione del ricorrente in merito alla sentenza della CTP posta alla base della cartella esattoriale impugnata ha rilevato che: a) eventuali doglianze sulla regolarità della formazione del giudicato della sentenza posta a base della cartella esattoriale non possono essere proposte con l’impugnazione di quest’ultima; b) il motivo di appe llo nella parte in cui fa riferimento alla questione della formazione del giudicato sulle sentenze della CTP n. 400 e 401 del 2012 è inammissibile poiché proposto per la prima volta in tale sede. Dal ricorso in primo grado emergeva unicamente la questione inerente la mancata notificazione al ricorrente dell’avviso di fissazione dell’udienza nei primi giudizi, che avrebbe finito per determinare, unitamente alla comunicazione del deposito della sentenza, la nullità del processo. Diversamente il giudice di primo grado aveva ritenuto che vi fosse un giudicato anche formale. Ha, quindi, richiamato il contenuto dell’art. 64 d.lgs. 31/12/1992, n. 546, rilevando che solo nelle ipotesi tipizzate in tale norma è possibile mettere in discussione i vizi presunti di una pronuncia per cui siano scaduti i termini di impugnazione, cosa che, diversamente, non può essere fatta in sede di impugnazione della cartella esattoriale, contestando le statuizioni di merito sulla correttezza della pretesa impositiva accertata nella sentenza;
– la contestazione relativa alla contraddittorietà della pronuncia e alla violazione dell’art. 65 d.P.R. 29/09/1973, n. 600 (in quanto la
sentenza avrebbe realizzato, in un obiter , un vizio di extrapetizione, pronunciandosi in violazione del relativo obbligo) è stata ritenuta inammissibile, in quanto mirava a inserire in modo surrettizio nel giudizio di appello una questione nuova, non dedotta in primo grado, rappresentata dalla notificazione degli atti impositivi in materia impersonale o al singolo erede, nonostante la conoscenza del decesso del de cuius da parte dell’amministrazione finanziaria.
L’Agenzia delle Entrate non si è costituita mediante deposito del controricorso, ma ha solo depositato , tramite l’Avvocatura dello Stato, una memoria al fine della partecipazione a un’eventuale udienza. L’Agente della riscossione responsabile per l’area territorialmente competente non si è costituito.
La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Considerato che:
Il primo motivo di ricorso è così intitolato: « Procedibilità dell’appello. Censura ex art. 360 c.p.c. n. 4 Nullità del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 100 e 92 c.p.c. Interesse ad agire del ricorrente/appellante, soccombenza virtuale.»
1.1. La ricorrente ha contestato la decisione della CTR per aver dichiarato improcedibile l’appello con riferimento alla trasmissione del debito per sanzioni, evidenziando che, solo nel giudizio di secondo grado , l’Agenzia delle Entrate aveva prodotto documentazione relativa allo sgravio per l’importo di Euro 856.70,18 rispetto al minor importo (di Euro 96.850,65) per il quale era stata disposta la riduzione nell’ambito del giudizio di primo grado. Ciò comportava, a ben vedere, la cessazione della materia del contendere (e non l’improcedibilità dell’appello in parte qua ), con la condanna al pagamento delle spese di lite a carico della parte virtualmente soccombente, da individuare nell’Agenzia delle Entrate.
Il secondo motivo di ricorso è stato così intitolato: « Censura ex art. 360 c.p.c. Violazione e falsa dell’art. 92 c.p.c.»
2.1. La ricorrente contesta la decisione impugnata, laddove ha statuito che: « Le spese seguono la soccombenza, ma vanno compensate per la metà posto che comunque le sanzioni non potevano gravare in alcun caso sull’erede.»
Ad avviso della ricorrente le spese processuali « considerata l’improcedibilità dell’appello relativ amente alle sanzioni … non potevano essere compensate, ma dovevano seguire la soccombenza piena del ricorrente relativamente al solo carico erariale e liquidate ex art. 92 c.p.c. ed all’art. 15, comma 2 -sexies, de D.Lgs 546/1992, senza tenere conto delle sanzioni e la soccombenza piena dell’Ufficio in merito alle sanzioni.» La sentenza deve essere, quindi, cassata, in quanto in relazione alla soccombenza virtuale accertata a seguito della statuizione sulla cessata materia del contendere l’amministrazione finanziaria avrebbe dovuto essere condannata al pagamento delle spese di lite.
Il terzo motivo di ricorso è stato così intitolato: « Censura ex art. 360 n. 3) c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 112, 115, 324 c.p.c. e dell’art. 57 del d.lgs. 542/1996.» Ad avviso della ricorrente la sentenza è errata, laddove presume l’esistenza del giudicato relativo alle sentenze sottese alla cartella impugnata dal ricorrente, in violazione dell’art. 2697 cod. civ. La corretta applicazione di tale norma da parte della CTR avrebbe, infatti, evidenziato come le resistenti non avessero prodotto né copia delle sentenze, né certificazione del loro passaggio in giudicato.
La sentenza, ad avviso del ricorrente, è da cassare perché non considera che l’eccezione di giudicato è stata sollevata per la prima volta dall’agente della riscossione e non dal ricorrente, con la conseguenza che era onere del primo confermare la propria
dichiarazione. Rileva, poi, a pag. 17 del ricorso che: « La CTR di Catanzaro, in ogni caso non ha correttamente giudicato gli scritti difensivi del ricorrente, che ha subito eccepito la mancanza della produzione documentale delle resistenti e la sottesa violazione dell’onere della prova, in tutti i propri scritti difensivi successivi al ricorso, a seguito della contestazione dell’agente della riscossione: -punto 1, pag. 1 note illustrative primo grado, depositate in data 10/03/2016; -all. 8 -punto 2); pa g. 4 e pag. 17 e ss. dell’atto di appello depositato in data 15/11/2016 …. »
In via preliminare e assorbente occorre rilevare l’inammissibilità del ricorso , perché proposto oltre il termine di sei mesi ex art. 327, primo comma, cod. proc. civ.
Nel caso di specie non può trovare applicazione il termine di sospensione di sei mesi previsto dall’art. 11 , comma 9, d.l. 24/04/2017, n. 50, convertito con modificazioni dalla legge 21/06/2017, n. 96, in quanto, trattandosi di sentenza depositata in data 11/04/2017, il termine di sei mesi per proporre ricorso in cassazione scadeva in data 11/11/2017. L ‘art. 11, comma 9, d.l. n. 50 del 2017 prevede, tuttavia, che: « Per le controversie definibili sono sospesi per sei mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione che scadono dalla data di entrata in vigore del presente articolo fino al 30 settembre 2017. »
Come rilevato da questa Corte (Cass., 07/05/2019, n. 11913) per rientrare nell’ambito di applicazione della disposizione appena richiamata il termine per l’impugnazione doveva scadere tra il 24/07/2017 e il 30/09/2017. Nell’ipotesi del cd. termine lungo ex art. 327 cod. proc. civ. era, quindi, necessario calcolare il termine di sei mesi (eventualmente comprensivo del termine di sospensione feriale ex legge n. 07/10/1969, n. 742) per verificare l’eventuale
scadenza nel periodo compreso tra le due date appena richiamate e solo una volta riscontrata l’effettivo verificarsi di tale ipotesi era possibile prorogare il termine di sei mesi. In altre parole, l’interpretazione dell’art. 11, comma 9, d.l. n. 50 del 2017, secondo il significato proprio delle parole usate dal legislatore (art. 12 prel.), impone di calcolare, in via prioritaria, il termine di sei mesi ex art. 327, primo comma, cod. proc. civ., per procedere solo successivamente a verificare se la scadenza di tale termine sia ricompresa tra il 24/04/2017 e il 30/09/2017 e possa, quindi, trovare applicazione la proroga di sei mesi.
Nel caso della sentenza impugnata il termine per proporre impugnazione scadeva, tuttavia, in data successiva al 30/09/2017, con la conseguenza che il caso di specie non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 11, comma 9, d.l. n. 50 del 2017 .
Il ricorso in cassazione presentato per la notificazione in data 08/03/2018 deve ritenersi, pertanto, tardivamente proposto e da considerare, quindi, inammissibile.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese di lite, stante la mancata costituzione della controricorrente nei termini per il deposito del controricorso.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 08/11/2024.