Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14960 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14960 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 17689/2020, proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale indica, ai fini delle comunicazioni, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 10769/2018 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 13 dicembre 2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 aprile 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnò davanti alla Commissione tributaria provinciale di Salerno l’avviso di accertamento con il quale era stato determinato presuntivamente il suo reddito ai fini Irpef per l’anno d’imposta 200 9, previo disconoscimento di poste passive effettuato dall’Amministrazione all’esito di indagini condotte sulla movimentazione bancaria.
I giudici adìti riconobbero le ragioni del contribuente limitatamente ad alcune specifiche voci di costo, confermando per il resto la pretesa erariale.
Con la sentenza indicata in epigrafe è stato respinto il successivo appello del contribuente.
I giudici regionali hanno anzitutto disatteso le eccezioni preliminari variamente sollevate dal COGNOME; quindi, nel merito, hanno ravvisato la sussistenza di elementi presuntivi sufficienti a legittimare l’accertamento ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, come effettuato, rilevando, per contro, che il contribuente non aveva offerto adeguata prova contraria.
La sentenza d’appello è stata impugnata dal contribuente con ricorso per cassazione affidato a sei motivi, illustrati da successiva memoria.
L’Amministrazione ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000 e degli artt. 32 e 33 del d.P.R. n. 600/1973.
Secondo il ricorrente, i giudici d’appello avrebbero errato nel ritenere insussistente l’obbligo di redazione di un processo verbale da parte dell’Ufficio, a pena di nullità dell’atto impositivo, al termine della verifica finanziaria.
Con il secondo motivo il ricorrente si duole, sotto forma di denunzia della violazione dell’art. 42, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973, del mancato rilievo della nullità dell’atto impositivo , in difetto di acquisizione della delega rilasciata al funzionario sottoscrittore, privo di qualifica direttiva.
Con il terzo motivo, articolato in più profili, il ricorrente deduce violazione degli artt. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e 2697 cod. civ., lamentando il mancato rilievo del fatto che, in relazione ad alcune sue operazioni ritenute ingiustificate, non gli era stata rilasciata la documentazione richiesta agli istituti di credito.
Con il quarto motivo il ricorrente svolge analoga censura, riferita tuttavia a diverse operazioni di prelievo e pagamento.
Il quinto motivo agita identiche questioni in relazione ad operazioni di incassi in contanti.
Con il sesto motivo, infine, il ricorrente denunzia violazione degli artt. 47, comma 1, del TUIR e 27, comma 1, del d.P.R. n. 600/1973, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui non ha statuito in ordine al suo rilievo relativo alla tassazione dei redditi con aliquota del 12,50%, trattandosi di redditi da capitale.
7 . L’esame dei motivi è assorbito dal preliminare rilievo di inammissibilità del ricorso in quanto tardivamente proposto.
7.1. Invero, per quanto documentato e comunemente attestato dalle parti, la sentenza d’appello fu depositata il 13 dicembre 2018; la sua impugnazione, pertanto, era soggetta al termine semestrale di cui
all’art. 327, comma primo, cod. proc. civ., sicché il termine per proporre ricorso scadeva il 13 giugno 2019.
Del pari, è pacifico che al presente giudizio si applica l ‘ art. 6, comma 1, del d.l. n. 119/2018, conv. nella l. n. 136 del 2018, a mente del quale, nelle controversie soggette a definizione secondo i criteri ivi specificati, sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione delle pronunce che scadano fra il 24 ottobre 2018 e il 31 luglio 2019.
6.2. È su tale ultimo aspetto che le posizioni delle parti divergono. Secondo l’Amministrazione, infatti, in applicazione dell’ultima disposizione richiamata, il termine ex art. 327 cod. proc. civ. scadeva il 13 marzo 2020, e, quindi, slittava al 15 maggio 2020, per effetto della proroga dei termini connessa all’emergenza epidemiologica da Covid-19, alla quale si cumula; conseguentemente, il ricorso -notificato il 15 giugno 2020 -andrebbe dichiarato inammissibile.
Il ricorrente assume invece che al termine di sospensione semestrale previsto dalla disciplina speciale per la definizione agevolata, poi prorogato per l’emergenza sanitaria, dovrebbe anche aggiungersi l’ordinario periodo di sospensione feriale, con l’effetto di far slittare l’ultimo giorno utile per l’impugnazione al 16 giugno 2020.
6.3. La tesi del ricorrente non è fondata.
Questa Corte ha infatti da tempo affermato che la previsione di cui l’art. 6, comma 1, del d.l. n. 119/2018, che ha comportato una sospensione ope legis dei termini per impugnare per un periodo di sei mesi, comporta che quest’ultima resti tale anche laddove si sovrapponga al periodo di sospensione dei termini feriali (così, ex plurimis , Cass. n. 30397/2021; si vedano anche, in relazione a previgenti regimi di sospensione in vista della possibile definizione agevolata, Cass. n. 28398/2021, Cass. n. 17371/2021, Cass. n. 12488/2021, Cass. n. 10252/2020, Cass. n. 19587/2019).
La sospensione feriale dei termini risulta infatti già compresa nel periodo di sospensione previsto, né è ipotizzabile, in assenza di espressa disposizione normativa, che in relazione allo stesso periodo di tempo si applichi una doppia sospensione.
Il diverso trattamento rispetto alla proroga connessa all’emergenza epidemiologica è dovuto al fatto che quest’ultim a non riguarda il termine per proporre impugnazione, ma tutti i termini procedurali civili, penali e tributari (Cass. n. 33069/2022).
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi € 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 aprile 2025.