Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18141 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 18141 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 26216 -20 20 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , e NOMECOGNOME quale rappresentante fiscale per soggetto non residente, rappresentati e difesi, per procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore ;
Oggetto: TRIBUTI -ESTEROVESTIZIONE contraddittorio endoprocedimentale
avverso la sentenza n. 17/06/2020 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, depositata il 03/01/2020; udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 25/03/2025 dal Cons. NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; NOME COGNOME NOME COGNOME che ha chiesto uditi, per i ricorrenti, l’avv. l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate notificò alla RAGIONE_SOCIALE società avente sede nella Repubblica Ceca, esercente l’attività di «noleggio di autovetture ed autoveicoli leggeri», un avviso di accertamento ai fini IVA, IRES ed IRAP per l’anno d’imposta 2013, emesso sul presupposto che la società fosse da considerarsi fiscalmente residente in Italia nel periodo accertato.
1.1. L’amministrazione finanziaria, infatti, recependo le risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. nel 2015 nei confronti della predetta società a seguito di accesso effettuato presso i locali della sede italiana sita nel comune di San Prisco, ritenne che la fattispecie integrasse l’esterovestizione della società contribuente, solo formalmente residente nella Repubblica Ceca ma di fatto localizzata ed operante in Italia con amministratore di fatto individuato in NOME COGNOME . Emise, quindi, l’atto impositivo contestando l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali ed accertando redditi e ricavi non dichiarati, che riprese a tassazione.
L’avviso di accertamento venne impugnato dalla società e da NOME COGNOME dinanzi alla CTP di Caserta che riteneva fondata la violazione del contraddittorio endoprocedimentale limitatamente ai
recuperi ai fini IVA e fondato nel merito il ricorso escludendo la sussistenza sub specie di un’ipotesi di esterovestizione.
La CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Campania riformò integralmente la statuizione di primo grado, accogliendo l’appello principale proposto dall’Ufficio e rigettando quello incidentale proposto dai contribuenti.
3.1. Osservarono i giudici d’appello , per le parti ancora qui di interesse:
-) che non sussisteva nella specie la dedotta violazione del contraddittorio endoprocedimentale stante «l’effettiva conoscenza dell’oggetto della verifica sostanziale effettuata dalla Guardia di Finanza di Caserta in data 4.11.2015» da parte di NOME COGNOME che doveva considerarsi l’amministratore di fatto della società contribuente in quanto, stante la accertata esterovestizione della società, il cui centro di controllo e di operatività commerciale si trovava nel territorio dello Stato italiano, l’ammini strazione finanziaria necessariamente doveva far riferimento «a colui che di fatto, ma verosimilmente sulla base di una implicita delega della dirigenza della società, dirige e gestisce di fatto la società in Italia»;
-) che dal processo verbale di constatazione che, quale atto pubblico, faceva piena prova fino a querela di falso, risultava che il COGNOME, quale amministratore di fatto della società esterovestita, si era rifiutato di presenziare alle operazioni ispettive e di ricevere copia dei relativi verbali, sicché non sussisteva alcuna irregolarità della verifica fiscale;
-) che, sempre con riferimento al profilo del contraddittorio endoprocedimentale, non sussisteva neppure la violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 in quanto nella specie l’amministrazione finanziaria aveva dato prova della sussistenz a sub specie dell’urgenza nell’emanazione dell’atto impositivo «dettata dalla
circostanza che era in corso per gli stessi fatti un procedimento penale a carico del COGNOME COGNOME»;
-) che l’inosservanza del termine di quindici giorni previsto per l’adempimento all’invito a comparire di cui agli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 e 52 del d.P.R. n. 633 del 1972, non determinava l’invalidità del processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. e del successivo atto impositivo stante la facoltatività per l’amministrazione finanziaria di invitare il contribuente a fornire dati e notizie in ordine agli accertamenti fiscali da compiere;
-) che nel giudizio avverso l’atto impositivo non spiegava effetto il giudicato esterno costituito dalla sentenza definitiva della CTP di Caserta n. 6619/2917, di annullamento dell’atto di irrogazione della sanzione per mancata risposta all’invito a comparire, in quanto l’accertata illegittimità di tale invito influisce solo sulla sanzione ma non sull’atto impositivo, anche per le ragioni espresse con riferimento alla facoltatività di quell’invito;
-) che era infondata l’eccezione della società contribuente di specificità dei motivi di appello proposti dall’Agenzia delle entrate avendo quest’ultima «dovuto riproporre tutte le questioni dedotte nell’atto di costituzione in primo grado in quanto la maggior parte di esse, con particolare riferimento agli accertamenti di fatto operati dalla G.d.F., non sono state oggetto di esame da parte della CTP, e su tale punto vi è specifica censura da parte dell’Ufficio appellante»;
-) che, quanto alla contestata esterovestizione della società contribuente, dal p.v.c. conclusivo delle operazioni di verifica erano emersi una serie di elementi (analiticamente elencati nella motivazione della sentenza impugnata), che , valutati alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale, anche unionale in materia di ‘sede dell’ amministrazione ‘ , ovvero di «sede effettiva» della società, contrapposta a quella «legale», secondo cui la localizzazione delle società deve essere effettuata non in base a dati formali, bensì in base
ad elementi di effettività sostanziale, portavano a ritenere che la società contribuente, ancorché avente sede legale nella Repubblica Ceca, fosse fiscalmente residente nel territorio nazionale ove veniva svolta in concreto l’attività di direzione e gestione dell’impresa; la società contribuente, peraltro, faceva parte del cd. RAGIONE_SOCIALE, ovvero di una serie di società, di cui una con sede nel territorio dello Stato ed altre localizzate all’estero , analogamente alla società contribuente, che facevano capo a NOME COGNOME il quale, per quanto emerso dalla verifica fiscale, oltre ad esserne socio al 50 per cento ne era anche l’amministratore di fatto;
-) che era inidoneo e del tutto insufficiente a «dar contezza di una esclusiva gestione della società in Repubblica Ceca» e, quindi, ad escludere l’accertata esterovestizione, il bilancio della società contribuente, dalla stessa prodotto in giudizio, peraltro nemmeno corredato da una certificazione ufficiale.
Avverso tale statuizione i contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato a sette motivi, cui non replica l’ intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorrenti hanno proposto i seguenti motivi di ricorso:
primo motivo: Illegittimità della sentenza -Violazione dell’art.41 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea Omessa attivazione del contraddittorio endoprocedimentale relativo ai tributi armonizzati -Difetto assoluto di motivazione -Vizio di ultrapetizione -Violazione art.36 D.Lgs.546/92 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c.;
secondo motivo: Illegittimità della sentenza -Violazione, Errata applicazione dell’art.12, comma 7 della Legge n.212/2000 Assenza di presupposti per la notifica dell’avviso di accertamento ‘RAGIONE_SOCIALE‘ in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.;
terzo motivo: Illegittimità della sentenza – Violazione, Errata applicazione degli artt.32 D.P.R.600/73 e 51 D.P.R.633/72 -Art.2909
c.c. -Omessa rilevazione di giudicato esterno in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c.;
quarto motivo: Illegittimità della sentenza per violazione dell’art. 53 D.Lgs. 546/92 e art. 2909 c.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.), per non aver rilevato la mancanza di specifici motivi di appello e la mancata impugnazione di autonome ratio decidendi che sorreggevano la sentenza di primo grado. Intervenuto giudicato interno e nullità della sentenza per non aver rilevato l’inammissibilità dell’appello per mancanza di interesse;
quinto motivo: Violazione artt. 36 e 61 del D.Lgs.n.546/92, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e 112 c.p.c., dell’art. 73 DPR 917/86 dell’art. 49 del TFUE, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., per motivazione apparente, con affermazioni apodittiche. Nullità della sentenza per vizio di extrapetizione – violazione art.112 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.) laddove ritiene insufficiente la prova fornita dalla Società della esistenza di una struttura operativa (così come richiesto da Cass.33234/18) come risultante dai bilanci giammai contestati;
sesto motivo: Illegittimità della sentenza per falsa applicazione art. 73 TUIR -Illegittimità ed infondatezza della contestata esterovestizione della RAGIONE_SOCIALE in assenza di presupposti così come da ultimo interpretato da Cass. n. 33234/2018 in violazione, altresì, dell’art. 53 Cost., dell’art. 49 del TFUE, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.;
settimo motivo: Violazione di legge in relazione agli artt.41 e 41bis DPR 600/73, artt. 24 e 25 D.Lgs. 446/97 e artt. 7 e 55 DPR 633/72, all’art. 73 DPR 917/86, e agli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., per assenza dei presupposti all’accertamento e per vizio del ragionamento presuntivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Per ragioni di ordine logico-giuridico, va esaminato preliminarmente il quarto motivo di ricorso, con cui viene dedotta
l’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi proposti dall’appellante Agenzia, che è infondato e va rigettato.
2.1. Per costante orientamento di questa Corte, nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dall’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. cod. civ., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (tra le tante, da ultime: Cass., Sez. 6^-5, 24 agosto 2017, n. 20379; Cass., Sez. 5^, 15 gennaio 2019, n. 707; Cass., Sez. 5^, 15 gennaio 2019, n. 707; Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., Sez. 5^, 2 dicembre 2020, n. 27496; Cas., Sez. 5^, 11 febbraio 2021, n. 3443; Cass., Sez. 5^, 10 marzo 2021, n. 6596; Cass., Sez. 5^, 11 marzo 2021, nn. 6850 e 6852; Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., Sez. 5^, 26 maggio 2021, nn. 14562 e 14582; Cass., Sez. 5^, 27 maggio 2021, n. 14873). Pertanto, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dalla citata disposizione processuale, non deve consistere in una rigorosa enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza (Cass., Sez. 5^, 21 novembre 2019, n. 30341). Si è, inoltre, ritenuto che non vi è incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, tali da comportare l’inammissibilità dell’appello a termini dell’art. 53, comma 1, citato, ove il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi dall’intero atto di impugnazione nel suo complesso (Cass., Sez. 6^-5, 24 agosto 2017, n. 20379; Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., Sez. 5^, 26 maggio 2021, n.
14582). Non è, quindi, necessaria ai fini dell’ammissibilità dell’appello la indicazione di specifici motivi in relazione a specifiche censure della sentenza impugnata, essendo sufficiente che l’appellante si riporti alle argomentazioni già sostenute nel grado di merito precedente, insistendo per la legittimità dell’avviso impugnato. (Cass., Sez. 5^, 26 maggio 2021, n. 14582).
2.2. Con specifico riferimento all’appello dell’amministrazione finanziaria, si è affermato che nel processo tributario vige il principio per cui, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs n. 546 del 1992, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere “i motivi specifici dell’impugnazione” e non già “nuovi motivi”, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito» (cfr., ex multis , Cass. n. 32954/2018; Cass. n. 23532/2018, non massimata; Cass. n. 7369/2017; Cass. n. 1200/2016; Cass. n. 3064/2012).
2.3. Il principio è stato da ultimo riaffermato da Cass., Sez. 5, n. 25191 del 19/09/2024, Rv. 672376 -02, secondo cui «Nel processo tributario, l’onere d’impugnazione specifica richiesto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c., è assolto anche ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado».
2.4. Ed è ciò che è accaduto nel caso in esame, in cui, per stessa ammissione della parte ricorrente (ricorso, pag. 34), l’Agenzia aveva
riproposto «pedissequamente in appello le ragioni poste a base del p.v.c. e dell’atto di accertamento».
Infondato è anche il terzo motivo di ricorso, al cui esame deve quindi passarsi, con cui si prospettano due censure. La prima incentrata sull ‘ erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto che il mancato rispetto del termine di quindici giorni previsto per l’adempimento alla richiesta di cui agli artt. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, non comportasse la nullità della richiesta e degli atti successivi . La seconda incentrata sull’estensione al presente giudizio degli effetti del giudicato costituito dalla sentenza della CTP di Caserta, n. 6619/2017, che, constatato il mancato rispetto di quel termine da parte dell’amministrazione finanziaria, aveva annullato la sanzione irrogata alla società contribuente per detta violazione.
3.1. Il motivo si prospetta complessivamente infondato.
3.2. È orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui «Nel processo tributario, l’efficacia espansiva del giudicato esterno non ricorre quando i separati giudizi riguardano tributi diversi, trattandosi di imposte strutturalmente differenti, anche se la pretesa impositiva è fondata sui medesimi presupposti di fatto» (Cass. n. 24416/2024).
3.3. Nella specie, peraltro, il giudicato esterno che invocano i ricorrenti ha riguardato la sanzione irrogata alla società contribuente per il mancato rispetto del termine per l’adempimento alla richiesta di cui agli artt. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, «con conseguente invalidità dell’atto» (come si a fferma in quella sentenza), ovvero di quella richiesta e non dei successivi atti (processo verbale di constatazione redatto dagli organi accertatori ed atto impositivo emesso dall’ amministrazione finanziaria), la cui legittimità è del tutto indipendente dal diverso procedimento previsto dalle citate disposizioni.
3.4. Invero, le irregolarità connesse alle modalità di richiesta al contribuente di esibizione documentale o di invito del medesimo a
comparire personalmente per fornire dati e notizie rilevanti, non incidono sulla legittimità delle successive attività di verifica ed eventuali atti impositivi adottati, ma comportano, al più, l’effetto di non far incorrere il soggetto sottoposto a verifica nella inutilizzabilità prevista dal comma 4 dell’art. 32 del d.P.R. 600/1973 e dal comma 5 dell’art. 51 del d.P.R. 633/1972, dei dati, delle notizie e dei documenti specificamente richiesti e non forniti (Cass. n. 26133/2024; Cass. n. 16757/2021).
Il secondo motivo di ricorso, incentrato sulla violazione del contraddittorio endoprocedimentale sotto il profilo del mancato rispetto del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, è fondato e va accolto nei termini di cui appresso si dirà.
4.1. La CTR, esaminando il motivo di appello con cui i contribuenti avevano dedotto la violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, per essere stato emesso l’avviso di accertamento senza il rispetto del termine dilatorio previsto da tale disposizione, richiamato il principio espresso da questa Corte nella sentenza n. 18184/2013 e precisato che «il vizio invalidante l’avviso di accertamento, per inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’atto, non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dell’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio», ha affermato che «l’Ufficio ha dimostrato che l’urgenza era dettata dalla circostanza che era in corso per gli stessi fatti un procedimento penale a carico del NOME».
4.2. Orbene, il comma 7 dell’art. 12 della legge n. 212 del 2000 prevede che «Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il
contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza».
4.3. La giurisprudenza di legittimità è assolutamente consolidata nel ritenere che «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio» (Cass., Sez. U, n. 18184 del 29/07/2013, Rv. 627474 – 01; conf. Cass. 30/10/2018, n. 27623; Cass. 23/07/2020 n. 15843; Cass., 20/07/2023 n. 21517; Cass. 25.7.2022, n. 23223).
4.4. Si è quindi affermato che «In tema di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la legittimità dell’emissione dell’avviso di accertamento prima dello spirare del termine dilatorio, di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, richiede specifiche ragioni di urgenza,
a tutela dal pericolo di compromissione del credito erariale, secondo un giudizio prognostico “ex ante”, relazionato cioè ad elementi o fatti emergenti in epoca anteriore e non posteriore alla notificazione dell’avviso di accertamento, la cui sussistenza deve essere dimostrata dall’amministrazione finanziaria e vagliata dall’organo giudicante» (Cass. n. 29987/2022).
4.5. Orbene, con riferimento alla fattispecie in esame, osserva il Collegio che al fine di ritenere sussistente una valida regione di urgenza, tale da giustificare l’emissione ante tempus dell’avviso di accertamento ai sensi della citata disposizione, non può ritenersi sufficiente la circostanza, affermata dai giudici di appello (pag. 7), che «era in corso per gli stessi fatti un procedimento penale a carico del NOME», senza alcun’altra specificazione e senza un accertamento in concreto della sussistenza, al momento dell’emissione dell’avviso di accertamento, di elementi di effettiva compromissione del credito erariale, che era onere dell’amministrazione finanziaria provare , e che tenga altresì conto di tutte le circostanze emergenti nel caso in esame, tra cui il fatto che quel procedimento penale aveva fatto da innesco all’attività accertativa, che la verifica fiscale si era conclusa il 4 dicembre 2015 con redazione del processo verbale di constatazione conclusivo delle operazioni di verifica e che l’avviso di accertamento era stato notificato ad un anno di distanza, il 9 dicembre 2016.
5. Ne consegue l’accoglimento del motivo che assorbe il primo, con cui i ricorrenti censurano la statuizione impugnata che, pur avendo ritenuto assolto dalla società contribuente la cd. prova di resistenza, ha comunque ritenuto legittimo l’avviso di accertamento stante la « effettiva conoscenza dell’oggetto della verifica sostanziale effettuata dalla G.d.F. in data 4.11.2015 ». Trattasi, invero, di affermazione non idonea ad incidere sulla necessità del contraddittorio e del rispetto, quindi, del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, in esito alla conclusione delle operazioni di verifica e di
consegna o notifica del p.v.c., nel caso di specie effettuata correttamente solo con la notifica dell’avviso di accertamento cui il predetto p.v.c. è stato allegato.
5.1. Al riguardo pare opportuno ricordare il principio affermato da Cass. 15/01/2019 n. 701, secondo cui «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio».
Il quinto motivo è manifestamente infondato atteso che è sufficiente una semplice lettura della sentenza impugnata per appurare come la stessa esibisca una motivazione effettiva, sia dal punto di vista grafico che contenutistico, ben al di sopra del minimo costituzionale, ex art. 111, sesto comma, Cost., doven dosi per l’effetto escludere alcuna ipotesi di omessa motivazione o di motivazione meramente apparente. Peraltro, quel che il motivo mira a censurare non è un’assenza grafica o contenutistica della motivazione, ma l’apparato argomentativo che la CTR ha profuso per addivenire alla decisione, pretendendo, inammissibilmente, che i giudici di appello dessero conto di tutte le «argomentate e soprattutto documentate contestazioni della contribuente», giacché, per giurisprudenza costante di questa Corte, «il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da
quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto» (Cass., Sez. 5, n. 29730 del 29/12/2020, Rv. 660157 -01; in termini anche Cass. n. 520/2005; n. 22801/2009). E quanto appena detto rileva anche con riferimento al bilancio societario che i contribuenti hanno depositato in atti, che i giudici di appello, senza alcuna violazione del principio di non contestazione, di cui all’art. 115 cod. proc. civ., hanno chiaramente e correttamente ritenuto non decisivo ai fini della accertata esterovestizione anche per non essere «corredato da certificazione ufficiale», e non incorrendo neppure nella dedotta extrapetizione per avere escluso l’esistenza di una struttura operativa in territorio estero su elementi probatori diversi da quelli addotti dalla parte contribuente.
Il sesto e settimo motivo di ricorso sono infondati.
7.1. I motivi in esame sono diretti a censurare, anche sotto il profilo del vizio del ragionamento presuntivo, il presupposto su cui l’amministrazione finanziaria ha fondato le contestate violazioni fiscali e le conseguenti riprese a tassazione, ovvero la fittizia localizzazione della società nella Repubblica Ceca, espressione del noto fenomeno dell’esterovestizione di cui questa Corte si è occupata in più occasioni.
7.2. La fattispecie della dissociazione tra residenza sostanziale (e quindi reale) e residenza formale (ovvero fittizia) attuata da una società, in cui si sostanzia l’esterovestizione, richiama la nozione di soggetto passivo d’imposta secondo la legislazione nazionale (art. 73 TUIR) ed il
diritto di libertà di stabilimento, invece di previsione unionale, di cui il fenomeno dell’esterovestizione rappresenta un abuso.
7.3. Ricordato che «La libertà di stabilimento è uno dei principi fondamentali del diritto dell’Unione» (considerando 2 della direttiva UE 2019/2121 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, che modifica la direttiva UE 2017/1132) e che «devono essere considerate restrizioni alla libertà di stabilimento, ai sensi dell’articolo 49 TFUE, tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono meno attrattivo l’esercizio di tale libertà (sentenze del 5 ottobre 2004, CaixaBank France,C-442/02, punto 11, e del 25 ottobre 2017, Polbud -Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punto 46), la Corte di giustizia unionale (da ultimo, CGUE, sentenza del 25 aprile 2024, in causa C-276/22, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha affermato che « L’articolo 49 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, accorda il beneficio della libertà di stabilimento alle società costituite in conformità alla legislazione di uno Stato membro e con la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro d i attività principale all ‘interno dell’Unione europea (sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud -Wykonawstwo, C-106/16, punto 32)» (Corte giustizia, sopra citata, p. 23). Pertanto, la localizzazione della sede sociale della società, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale servono a determinare, al pari della cittadinanza delle persone fisiche, il collegamento di una società all’ordinamento giu ridico dello Stato membro in cui è stabilita (v., in tal senso, sentenza del 5 novembre 2002, Überseering, C-208/00, punto 57) ma la definizione del criterio di collegamento che determina il diritto nazionale applicabile ad una società, in assenza di uniformazione nel diritto dell’Unione, rientra nella competenza di ciascuno Stato membro, avendo riguardo al fatto che l’art. 5 4 TFUE pone sullo stesso piano i criteri di collegamento sopra indicati (sede sociale, amministrazione centrale e centro di attività principale di una società (Corte giustizia, sentenza del 25 ottobre 2017,
Polbud -Wykonawstwo, C-106/16, punto 34). In buona sostanza, gli Stati membri sono liberi di determinare autonomamente, per effetto di norme interne e di convenzioni internazionali, i criteri di collegamento con il loro territorio ai fini fiscali (Corte giustizia, 27/09/1988, C-81-87, Centros), ovviamente nel limite del divieto di misure fiscali che assumano una connotazione restrittiva per la libertà di stabilimento nel territorio nazionale da parte di soggetti non residenti (Cass. 19/01/2023, n. 1544) e nella comprovata sussistenza di motivi imperativi di interesse generale, tra i quali la giurisprudenza unionale ha ricompreso la tutela dei creditori, dei lavoratori e dei soci di minoranza (Corte giustizia, sentenza del 25 ottobre 2017, C-106/16, Polbud -Wykonawstwo, p. 54 e giurisprudenza ivi citata, nonché sentenza del 25 aprile 2024, in causa C-276/22, RAGIONE_SOCIALE, p. 39).
7.4. Muovendo, poi, dal rilievo che la libertà di stabilimento presuppone comunque un insediamento reale, corrispondente anche ad un livello minimo di presenza oggettivamente verificabile, del soggetto non residente nello Stato membro ospite e l’esercizio di un’attività economica effettiva (Corte giustizia, 23/04/2008, C-201/05, Test Claimants), una restrizione alla libertà di stabilimento è giustificata dalla necessità di repressione di frodi ed evasioni fiscali «a condizione che l’obiettivo specifico dell a restrizione stessa sia di impedire condotte consistenti nella creazione di costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica, finalizzate a eludere l’imposta normalmente dovuta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale (v., in tal senso, sentenze del 12 settembre 2006, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C-196/04, EU:C:2006:544, punto 55, nonché del 20 gennaio 2021, Lexel,C-484/19, EU:C:2021:34, punto 49)» (così in Corte giustizia, sentenza del 25 aprile 2024, in causa C-276/22, RAGIONE_SOCIALE p. 46).
7.5. Viene, a questo punto, in rilievo la disciplina di diritto nazionale rinvenibile, come sopra anticipato, nell’art. 73 TUIR, con la precisazione che deve farsi riferimento alla disposizione vigente all’epoca dei fatti, e quindi anteriormente alla modifica apportata dal d.lgs. 27 dicembre 2023, n. 209, art. 2.
7.6. Al comma 3 detta disposizione prevede che «Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato».
7.7. Il comma in esame indica i criteri di collegamento, paritetici ed alternativi, tra i soggetti passivi (nel caso di specie le società) dell’imposizione diretta ed il territorio dello Stato, la cui ricorrenza, per la maggior parte del periodo d’imposta, dete rmina la residenza in Italia della contribuente e, con essa, l’assoggettamento alla potestà impositiva del fisco italiano (Cass. n. 1544/2023, in motivazione) e ciò a prescindere dall’accertamento di una eventuale finalità elusiva della contribuente (cd. esterovestizione elusiva), che sia cioè volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe (cfr. in materia di imposte dirette, Cass. 25/07/2022, n. 23150; conformi, tra le stesse parti, Cass. 11/04/2022, n. 11709 e n. 11710; in materia di IVA, cfr. Cass. n. 34723 del 2022).
7.8. Questa Corte ha condivisibilmente affermato che «Ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, nell’ipotesi di esterovestizione, ossia di localizzazione fittizia della residenza fiscale di una società all’estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa, non è necessario accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma occorre verificare l’effettività del trasferimento, cioè se la singola operazione sia meramente artificiosa, risolvendosi nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica, fermo restando che la società esterovestita non è, per ciò
solo, priva di autonomia giuridico-patrimoniale e, quindi, automaticamente qualificabile come “schermo” creato con l’unico obiettivo di farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali» (Cass., Sez. 5, sentenza n. 33234 del 21/12/2018, Rv. 652118 – 01).
7.9. I diversi criteri di collegamento effettivo con il territorio dello Stato sono quindi individuati dall’art. 73, comma 3, TUIR «facendo riferimento al dato formale della sede, ovvero agli ulteriori criteri sostanziali che tengono conto o della peculiare attività economica prevalentemente esercitata per conseguire lo scopo sociale o del luogo da cui promanano gli impulsi volitivi inerenti l’attività di gestione dell’ente. Pertanto, il profilo di riferimento, al fine di concretizzare la valutazione della soggettività passiva dell’ente nel territorio dello Stato è costituito, in siffatte ipotesi, dall’esistenza di un rapporto tra il soggetto giuridico ed il territorio di riferimento (cfr. da ultimo, Sez. 5, 13/7/2022, n. 23225)» (Cass. n. 34723/2022, cit.).
Nel caso in esame, tra i predetti criteri alternativi e paritetici, viene in rilievo quello della «sede dell’amministrazione».
8.1. Questa Corte, a proposito dell’interpretazione del relativo concetto, ha già avuto modo di precisare, e di ribadire recentemente, (in tal senso, Cass. n. 1544/2023, cit., in motivazione) che «la nozione di ‘sede dell’amministrazione’, in quanto contrapposta alla ‘sede legale’, deve ritenersi coincidente con quella di ‘sede effettiva’ (di matrice civilistica), intesa come il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente (Cass., 16/06/1984, n. 3604, 04/10/1988, n. 5359, 18/01/1997, n. 497, 13/04/2004, n. 7037, 12/03/2009, n. 6021, 28/01/2014, n. 2813); un analogo principio è stato affermato, con specifico riferimento all’art. 73, comma 3, del
d.P.R. n. 917 del 1986, da Cass. pen., 24/01/2012, n. 7080, 21/02/2013, n. 32091, 13/07/2018, n. 50151;» (così Cass. 03/06/2021, n. 15424, in motivazione; nello stesso senso Cass. 21/06/2019, n. 16697, in motivazione). Nel contesto internazionale, anche la giurisprudenza comunitaria mostra di convergere sulla rilevanza della ‘sede effettiva’, nel senso appena precisato, ai fini della determinazione della residenza fiscale. E’ stato infatti già sottolineato da questa Corte che «sullo stesso specifico punto, la citata sentenza della Corte di giustizia 28 giugno 2007, RAGIONE_SOCIALE ha statuito che la nozione di sede dell’attività economica ‘indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultima’ (punto 60), e che la determinazione del luogo della sede dell’attività economica di una società implica ‘la presa in considerazione di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società. Possono essere presi in considerazione anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie’ (punto 6 1);» (così Cass. 03/06/2021, n. 15424, in motivazione; nello stesso senso Cass. 21/06/2019, n. 16697, in motivazione).
8.2. La nozione di “sede dell’amministrazione”, in quanto contrapposta alla “sede legale”, si deve dunque ritenere coincidente con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento -nei rapporti interni e con i terzi- degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli
affari e dell’impulso dell’attività dell’ente (cfr. Cass. n. 33234/2018; Cass. n. 15424/2021). Fermo restando che tale valutazione, nel singolo caso concreto, proprio perché finalizzata all’accertamento di un dato ‘effettivo’, non può non tenere conto anch e di quei rilevanti fattori sostanziali (tra i quali, in ipotesi, lo svolgimento dell’attività principale) che, a fronte di dati formali relativi alla collocazione geografica del luogo dove si svolga l’attività amministrativa e di direzione, depongano inve ce per l’effettiva riconduzione di quest’ultima ad un diverso contesto territoriale (cfr. Cass. n. 1544/2023).
Orbene, con riferimento al caso in esame, osserva il Collegio che la sentenza impugnata non ha violato le disposizioni censurate né i principi di diritto sopra richiamati, avendo compiuto un approfondito esame degli elementi emergenti dagli atti di causa.
9.1. Al riguardo va intanto premesso che non sussiste nella specie alcun travisamento della documentazione prodotta dalla società contribuente (più precisamente, dei «due certificati di residenza fiscale rilasciati dall’autorità ceca» e la «Attestazione AIRE del Sig. NOME COGNOME», di cui a pag. 67 del ricorso), che invece la CTR ha ritenuto non decisiva, per come si dirà di seguito, né la violazione dell’art. 2697 cod. civ. pure dedotta nella rubrica del motivo ed inammissibilmente priva di successivo sviluppo argomentativo.
9.2. Il principio dell’onere della prova positivizzato nell’art. 2697 cod. civ. prescinde dal grado di intrinseca attendibilità delle affermazioni che una parte faccia a suo favore, cosicché, per effetto della struttura dialettica del giudizio, che pone le parti in identica posizione, occorre necessariamente che la verifica dei fatti posti a fondamento della domanda (o delle eccezioni) passi attraverso il vaglio di elementi diversi dalla mera affermazione che di essi faccia la parte a proprio vantaggio (Cass., Sez. V, 6 ottobre 2022, n. 29063).
9.3. Nella specie i giudici del merito hanno posto a fondamento della loro decisione quanto emergente dagli accertamenti compiuti e
dalla documentazione prodotta in giudizio da entrambe le parti, ritenendo fondata la prospettazione erariale dell’esterovestizione della società estera, senza in alcun modo violare le regole del riparto dell’onere della prova.
9.4. Innanzitutto, va dato atto che i giudici di appello hanno correttamente individuato il criterio di collegamento utilizzato nell’accertamento, ovvero la sede dell’amministrazione, e di tale criterio hanno fornito, altrettanto correttamente, un’interpretazione in chiave sostanziale (sede effettiva di direzione societaria), supportata, nella valutazione, da dati oggettivi e riscontrabili non meramente formali ed astratti.
9.5. Ci si riferisce al rinvenimento da parte della G.d.F. in sede di verifica fiscale nei locali siti in San Prisco (CE) alla INDIRIZZO della documentazione afferente l’attività della società verificata e quella di altre società (e precisamente, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) tutte riconducibili a quello che veniva individuato come il «RAGIONE_SOCIALE», tra cui le fatture, quasi tutte riferibili a prestazioni rese in Italia, nonché la documentazione dei veicoli noleggiati (che era l’att ività espletata dalla società verificata), dei raccoglitori con intestazione di documentazione bancaria, la documentazione bancaria ed i contratti di noleggio, anche di altre società. Società tutte riconducibili a NOME COGNOME il quale, da quanto emergente dagli esiti della verifica fiscale, da mero iniziale procuratore speciale della coniuge inserita nella originaria compagine sociale della RAGIONE_SOCIALE ne è presto divenuto socio al 50 per cento, attraverso diverse e quasi simultanee cessioni di quote che avevano coinvolto anche altri componenti della famiglia COGNOME. Molteplici gli elementi raccolti in sede di verifica fiscale da cui coerentemente la CTR ha tratto il convincimento circa l’operatività della società essenzialmente in terr itorio nazionale, e l’individuazione del COGNOME come amministratore di fatto. Ci si riferisce alla presenza di quest’ultimo e di suoi familiari all’interno della sede italiana della società
estera, che era sede anche di altre società tutte riconducibili al predetto COGNOME e tutte operanti nel medesimo settore, al rinvenimento della documentazione relativa all’attività svolta dalla società, al fatto che quello italiano era il principale se non esclusivo «mercato di sbocco» dell’attività della società estera, che assorbiva la quasi totalità del fatturato della società, al fatto che nello Stato estero si realizzava solo l’acquisto di veicoli ma tutti i servizi connessi alla loro circolazione e/o commercializzazione erano svolti in Italia.
10. Alla stregua di tali circostanze, anche la censura sul «vizio del ragionamento presuntivo», pure dedotta dai ricorrenti, è manifestamente infondata.
10.1. Invero, in tema di prova per presunzioni, vige il principio secondo cui «il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre
vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento» (Cass. n. 9059 del 2018). In specificazione di tale principio si è ulteriormente precisato che «il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che d eve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola – desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma» (Cass. n. 9054 del 2022).
10.2. E proprio con riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio, si è affermato che «L’ipotesi della cd. esterovestizione ricorre quando una società, pur mantenendo nel territorio dello Stato la sede
amministrativa, intesa quale luogo di concreto svolgimento dell’attività di direzione e gestione dell’impresa, localizza la propria residenza fiscale all’estero, al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa, e può essere dimostrata mediante presunzioni, purché gli indici della fittizia localizzazione, desumibili da tutti gli elementi indiziari acquisiti agli atti di causa, siano esaminati nel loro insieme, non atomisticamente, secondo i criteri della gravità, precisione e concordanza tali da trarre vigore l’uno dall’altro, completandosi a vicenda» (Cass. n. 14485/2024).
10.3. Orbene, la censura dei ricorrenti si risolve proprio nella prospettazione di una maggior forza presuntiva degli elementi da essa apportati rispetto a quelli contrari su cui l’amministrazione finanziaria ha fondato l’accertamento, oltre a porsi in contrasto con i citati principii, è manifes tamente infondata stante l’assoluta non decisività delle circostanze addotte, quali la residenza del Farina nella Repubblica Ceca, la residenza fiscale della società in detta repubblica (attestata da due certificazio ni dell’Autorità fiscale estera), l’entità ingente «dei costi sostenuti per l’allestimento della struttura operativa (beni strumentali) e per il funzionamento dell’attività (personale dipendente, affitti, spese di gestione)» risultanti dal bilancio societario. Circostanze, queste, nessuna delle quali idonee a scalfire l’accertamento compiuto in sentenza circa il luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione dell’ente e a rendere illogico il ragionamento inferenziale espresso nella sentenza impugnata. A tal riguardo va precisato che è del tutto irrilevante la prospettazione di una autonomia giuridico-patrimoniale della società estera e, conseguentemente, dei costi per investimenti a tal fine sostenuti, non essendo questo elemento di per sé escludente l’esterovestizione che, come si è detto, si fonda sull’accertamento del luogo in cui, tra due sedi (una estera e l’altra insediata nel territorio nazionale») entrambe
esistenti ed operanti, si svolge in concreto la direzione e la gestione dell’attività di impresa.
In estrema sintesi, va accolto il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, rigettati gli altri. La sentenza impugnata va conseguentemente cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente che, in diversa composizione, provvederà anche alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo e rigettati gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 25 marzo 2025